L’Abisso / 03x01
di
Donovak Villa
genere
dominazione
Che mal di testa…
Sono sveglia? Ho dormito? E se sì, quanto? Non sento più gli arti oramai, chissà da quanto sono in questa posizione. L’unica cosa che sento è sul mio viso: lo sperma di mio figlio, ormai asciutto ed il tanfo del suo cazzo che si ostina a rimanere con me in questa stanza. Giusto il tempo di riordinare le idee che sento la porta aprirsi. Non dico nulla, tanto ha già ampiamente dimostrato che delle mie parole e delle mie suppliche se ne sbatte. Sento che si avvicina, mi preparo al peggio, invece mi toglie la benda dagli occhi delicatamente. Ho gli occhi aperti ma continua ad essere buio, la stanza è buia e nonostante le tapparelle alzate da fuori non entra luce. E’ sera dunque.
Sento slegarmi, prima le mani e poi i piedi. Ho tutto indolenzito, ma incredibilmente, il mio Ale mi massaggia delicatamente e pazientemente braccia e gambe in attesa che il tutto riprenda il suo colore naturale. Ad un mio cenno di approvazione mi lascia e finalmente mi rivolge la parola
A: “HO FAME MAMMA, MI PREPARI LA CENA PER FAVORE?
Faccio di sì con la testa ed esce. Io ci metto un po’ a riprendermi, mi alzo, barcollo e torno giù sul letto. Ci riprovo e stavolta rimango in piedi. Esco dalla stanza e mi dirigo verso l’unica luce accesa della casa, quella della cucina. C’è lui seduto.
R: ”FACCIO UNA DOCCIA E POI TI PREPARO DA MANGIARE, VA BENE?”
A: “NO. FAMMI DA MANGIARE ADESSO CHE STO MORENDO DI FAME. POI FORSE TI FACCIO FARE LA DOCCIA”
R: “MA ALE, SONO TUTTA SPORCA DI… PUZZO E VORREI LAVARMI PRIMA. PER FAVORE…”
Lo implorai.
A: “NON FARMI RIPETERE LE COSE ALTRIMENTI M’INCAZZO. SUBITO IN CUCINA!”
Parole rafforzate dal suo gesto con l’indice perentoriamente alzato e rivolto verso i fornelli. Desistetti dal ribattere. Non ne avevo le forze e forse era meglio così, almeno dopo il dovere della cena avrei potuto lavarmi e poi di lì andare subito a letto e dimenticare quest’orrida giornata.
Mi misi a cucinare, gli preparai la più classica delle cotolette, ma l’aveva sempre apprezzata. Gli porsi il piatto sul tavolo e non so perché ma in quel frangente mi sentii in dovere di chiedergli, con la voce tremolante, il permesso di poter finalmente lasciare la cucina per andare in bagno. Mi guardò, ci pensò e un attimo e
A: “VAI A LAVARTI CHE NON TI SI PUÒ GUARDARE IN FACCIA. LAVATI BENE E PROFUMATI CHE FAI PUZZA”
A quelle parole così umilianti risposi con un sommesso
R: “VA BENE. BUONANOTTE”
A: “E CHI TI HA DETTO CHE POI PUOI ANDARE A LETTO. APPENA HAI FINITO IN BAGNO TORNA QUA. TI DO GIUSTO IL TEMPO CHE FINISCO DI MANGIARE”
Ero spaventata e atterrita, chissà perché vuole che torni da lui. Possibile che abbia in mente ancora cose perverse? Possibile che dopo tutto quello che mi aveva fatto quel giorno, avesse ancora voglia di farmi soffrire?
Nel frattempo aveva già iniziato a mangiare e quindi mi affrettai ad andare in bagno.
“Ti do giusto il tempo che finisco di mangiare”, aveva detto…
Una volta davanti allo specchio non potei fare a meno di scoppiare a piangere per le condizioni in cui mi aveva ridotta. Tutto il mio viso, ad eccezione degli occhi, era una cascata di rigoli secchi ed appiccicaticci. Mi lavai con forza la faccia e poi subito sotto la doccia. Per un attimo mi sentii bene, ma un sonoro pugno alla porta del bagno mi ricordò che dovevo subito tornare in cucina da quel figlio che pian piano si stava trasformando nel mio aguzzino. MI asciugai alla buona, mi rimisi la solita vestaglia e le solite ciabatte ed uscì, affrettandomi da lui con ancora i capelli grondanti gocce d’acqua calda.
Come un automa gli tolsi il piatto dal tavolo, sparecchiai velocemente e subito dopo cominciai a lavare i piatti dandogli le spalle. Mi rimaneva l’ultimo coltello da pulire, quando me lo sentii alle spalle. Era davvero vicino, sentivo il suo alito sulla spalla destra scoperta. Alzo leggermente la testa e mi sussurrò all’orecchio
A: “TU SEI MIA”
Mi girai di scatto col coltello in mano, lui lo vide e allora il suo sguardo si fece di sfida. Sapeva che non avrei mai avuto il coraggio, come potevo. Lui era l’amore della mia vita, la mia speranza per un futuro migliore. Avrei fatto di tutto per lui, persino… persino lasciare che abusasse di me. Gettai il coltello nuovamente dentro il lavandino in segno di resa, lui di tutta risposta mi afferrò il collo
A: “TU SEI MIA. TI TRASFORMERÒ NELLA MIA TROIETTA TUTTO FARE, NELLA MIA PUTTANELLA DOCILE E REMISSIVA, NON MI DIRAI MAI DI NO. DA OGGI SEI LA MIA SCHIAVA”
R: “TU SEI PAZZO, MA CHE TI È PRESO! COME PUOI ANCHE SOLO PENSARE UNA COSA DEL GENERE!”
Dissi tentando di divincolarmi.
Per un attimo ero tornata in me ed ero pronta a ribellarmi con tutte le mie forze a quell’incubo crescente, ma un sonoro ceffone mi riportò subito alla realtà delle cose. Non lo vidi neanche arrivare, so solo che la testa si scuotè talmente tanto che mi ressi in piedi solo perché incastrata tra lui ed il lavabo della cucina.
A: “INGINOCCHIATI!”
R: “NO!”
Ed un altro schiaffo risottolineò la mia sostanziale impotenza di fronte al suo volere.
A quel punto mi mise entrambe le mani al collo, non per soffocarmi, ma per costringermi in ginocchio dinanzi a lui. Non perse tempo nel farmi capire le sue intenzioni, si abbassò i pantaloni della tutta e tirò fuori un cazzo già pronto tirandosi dietro il solito tanfo da mancata pulizia. Non lo avevo mai visto da quella prospettiva, era enorme, rosso e persino lui sembrava cattivo come il padrone. Mi afferrò per i capelli così forte da farmi emettere un piccolo urlo di dolore e subito ne approfittò per infilarci il suo cazzone. Per la seconda volta nello stesso giorno mi ritrovai col suo cazzo in gola, era lui a comandare, mi teneva la testa tra le sue mani e mi sbatteva dentro, senza il minimo riguardo, la sua verga direttamente in gola. Mi stava scopando la bocca senza ritegno e io potevo al massimo tentare di allontanarmi quando non riuscivo più a respirare, ma avevo pochi secondi di tempo per prendere ampie boccate d’ossigeno perché me lo risbatteva subito dentro. Sul pavimento sotto di noi si era formata una pozzanghera di saliva appiccicosa. Stentavo a credere che in pochi minuti potesse uscirne così tanta. Ero rassegnata a farlo venire, non opponevo più neanche tanta resistenza, ma lui aveva altre intenzioni quella sera. Non voleva finirla subito. Mi prese dalle braccia come un peso morto, mi sollevò e mi sbattè sul tavolo di fronte a noi
R: “NO ALE! CHE VUOI FARE! NO ALE QUESTO NO! NON TE LO PERMETTO! SONO TUA MADRE!”
Il solito ceffone ben assestato mi ricordò quanto la mia volontà non contasse assolutamente nulla per lui. Mi aprì in fretta e furia la vestaglia, scostandola su entrambi i lati, mi calò il reggiseno facendo saltare un gancetto che fece fuori uscire il mio seno tanto abbondante quanto ormai cadente e pieno di smagliature. Lo raccolse con entrambe le mani e vi si fiondò come un bambino in cerca del latte. Cominciò a succhiare il mio capezzolo dall’ampia aureola scura, lo leccava, succhiava e ogni tanto lo mordeva alternando sensazioni di piacere a dolore acuto. Dopo aver tartassato senza tregua il mio seno per qualche minuto si fermò di colpo e mi guardò. Evidentemente fu troppo anche per lui quella scena pietosa: sua madre ridotta ad una maschera di lacrime. Per un attimo pensai che ritornò in sé e che capì l’assurdità di ciò che stava facendo. Ma fu solo l’ennesima illusione da parte mia. Mi girò con violenza sbattendomi nuovamente sul tavolo, questa volta facendomi mettere a pecora. Da dietro sollevò la vestaglia coprendo la parte superiore del mio corpo. Evidentemente non voleva vedermi, chissà se per “pudore” o perché gli facevo schifo. Mi strappò via, letteralmente, le mutande e mi spalancò le gambe.
R: “ALE, TI PREGO, TI IMPLORO! SEI ANCORA IN TEMPO! TORNA IN TE, SONO TUA MADRE!”
Quelle parole sortirono l’effetto di far decadere ogni dubbio, qualora nella sua mente ve ne fossero ancora. Si inginocchiò, si godette lo spettacolo di sua madre a gambe oscenamente aperte per qualche istante per poi afferrarmi con decisione il culo per allargarlo ancora di più quasi a volermi strappar via le natiche e si fiondò con tutta la faccia lì in mezzo. Cominciò a leccare tutto, indistintamente, dal clitoride all’ano passando per il perineo. Ricordo bene i versi che emetteva quando leccava. Sentivo i suoi baci, la sua lingua e la sua abbondante salivazione passare dal clitoride per poi penetrarmi con la lingua la figa e poi risalire girando attorno l’ano per tentare di penetrarlo, senza riuscirvi, ancora con la lingua. Ecco cosa intendeva con “lavati bene e profumati” pensai tra me. Era tutto premeditato. Poi si fermò, di colpo, ancora qualche istante di contemplazione e sento uno sputo abbondante dritto in figa. Sento che si alza, armeggia un po’ e d’un tratto sento la punta della sua cappella proprio al centro della mia passera.
R: “Ale N…!”
Non mi diede neanche il tempo dell’ultima supplica che mi penetrò con un unico, potente colpo! Urlai a squarcia gola per il dolore del colpo, erano anni che non prendevo un cazzo e mai in vita mia un cazzo così grosso. I colpi successivi furono altrettanto violenti ma meno dolorosi, anche se non potevo di certo dirmi eccitata, il suo precedente sputo misto ai miei umori vaginali avevano cominciato a smussare i colpi di quella potente verga che sembrava fatta d’acciaio rovente.
Tentai di estraniarmi da quel momento, cose se stessi vivendo quella scena in terza persona. Eccomi lì, buttata a pecora sul tavolo quadrato della mia cucina al quale ero aggrappata con le mani ai due lati opposti, mentre mio figlio stava abusando di me.
Un sonoro e doloroso schiaffo sul culo mi riportò in me
A: “DILLO!”
Non sapevo a cosa si riferisse, non lo avevo ascoltato. Un altro ceffone altrettanto forte sempre sul culo, ridestò la mia attenzione
A: “HO DETTO DILLO! DILLO CHE SEI LA MIA TROIA!”
Non rispondetti, in quel momento potevo solo che piangere. Mi prese per i capelli allora, portando il mio orecchio sinistro vicino alla sua bocca
A: “CI VORRÀ POCO PER EDUCARTI, ALLA FINE, CHE TU LO VOGLIA O NO, TI TRASFORMERÒ NELLA MIA PUTTANA TUTTO FARE. TU UBBIDIRAI SENZA FIATARE A TUTTI I MIEI ORDINI”
Lo disse quasi sottovoce, ma capì che era tremendamente serio. A quel punto i colpi diventarono ancora più incessanti, li sentivo tutti in fondo alla vagina, ansimava, era stanco, ma continuava imperterrito ad aumentare il ritmo, sembrava una bestia senza controllo in attesa di quel momento da sempre. Sentii la vestaglia volar via sopra la testa, per qualche secondo armeggiò col gancetto del reggiseno, ma spazientito lo strappò via. Mi tolse il reggiseno senza nessun riguardo e a quel punto infilo una mano tra il tavolo ed il mio seno sinistro. Cominciò a strizzarlo con forza tanto che mi fece tornare ad urlare, la cosa evidentemente lo eccitò parecchio perché dopo altri due, tre colpi tolse finalmente il cazzo dalla mia ormai martoriata figa. Ingenuamente mi preparai ad accogliere il suo orgasmo sulla schiena, ma la mano sul mio seno mi tirò con forza verso di lui, mi fece girare ed inginocchiare al suo cospetto, solo a quel punto mollò la mia pesante tetta per prendermi la testa ed infilami il cazzo, ancora grondante dei miei umori, in bocca. Provo ad opporre un minimo di resistenza, ma mi tappa il naso con l’indice ed il pollice costringendomi ad aprire la bocca il più possibile per prendere aria. A quel punto infierisce infilandomi tutto il suo enorme cazzo fin quasi le palle dritto in gola. Sono una maschera di lacrime e muco, ma non sembro fargli pena, anzi. Vedo che la cosa lo eccita ancora di più. Dopo un paio di minuti di supplizio in quella posizione, con la testa incastrata tra il bordo del tavolo ed il suo cazzo, il solito grugnito mi fa capire che sta per venire. Chiudo gli occhi rassegnata in attesa dell’ennesima sbarrata in faccia, ma le sue parole mi ricordano la mia ingenuità
A: “ADESSO INGOI TUTTO, PUTTANA! E GUAI A TE SE NE FAI CADERE ANCHE SOLO UNA GOCCIA PERCHÉ TE LA FACCIO RACCOGLIERE DAL PAVIMENTO CON LA LINGUA”
A quelle parole spalanco gli occhi dal terrore. É una cosa che non ho mai fatto, che non ho mai voluto fare. Ho litigato milioni di volte con mio marito perché mi sono sempre rifiutata, è una cosa innaturale, uno schifo! Ma ai miei pensieri fa solo seguito un’abbondata sbarrata in bocca. Uno, due, tre schizzi abbondantissimi mi riempiono la bocca così tanto da dover stare attenta a non farmi scappare lo sperma dai lati della bocca. Lo tengo tutto dentro trattenendo il fiato in attesa di un suo cenno. L’orgasmo che ha avuto si vede che è stato fortissimo, in faccia è tutto rosso ed ha dovuto reggersi con una mano al tavolo per non perdere l’equilibrio. Io rimango lì, in ginocchio ai suoi piedi col cazzo in gola e la bocca piena di sperma. Lo guardo e aspetto che lo tiri fuori. Lui lo fa, lentamente, prestando attenzione che non ne perdessi neanche un po’. Una volta tolto il cazzo, richiudo subito la bocca e lo guardo nella speranza che si accontentasse così e mi permettesse di sputare subito quello schifo accumulato.
A: “ADESSO INGOIA TUTTO E POI TIRA FUORI LA LINGUA CHE VOGLIO CONTROLLARE”
E uno schiaffo stanco mi ricorda chi i suoi ordini non si discutono. Non ho speranze, mi tocca farlo. Chiudo gli occhi e ingoio. E’ talmente tanto che ho bisogno di tre sorsi per mandarlo giù tutto, poi, come da suoi ordini, apro la bocca e tiro fuori la lingua per fargli vedere che ho fatto tutto bene.
A: “ADESSO PULISCIMELO E FALLO BENE CHE È UN BEL PO’ CHE NON LO LAVO”
Di quello ne ero certa dato il puzzo che ormai lo contraddistingueva. Non protesto neanche più, lo prendo in bocca leccando bene la cappella e rimuovendo con la punta della lingua un po’ di sperma accumulato ai lati del frenulo e per finire ciuccio un’ultima gocciolina di sperma che noto gli sta uscendo dal buco della cappella.
A: ”E BRAVA LA MIA SVUOTA PALLE. STAI COMINCIANDO A CAPIRE E A DARMI SODDISFAZIONI. RICORDA SEMPRE CHE L’UNICO SCOPO DELLA TUA VITA DEVE ESSERE QUELLO DI SODDISFARE LE VOGLIE DEL TUO PADRONE”
Rispondo abbassando lo sguardo in segno di sottomissione. Sembra assurdo ma la vista del suo volto soddisfatto mi ha reso quasi fiera di me. E poi devo ammettere che il gusto dello sperma non è poi così male. Era un po’ amarognolo ma tutto sommato non faceva schifo. Quanti litigi avrei potuto evitare con mio marito se fosse riuscito a convincermi.
Ma che sto pensando, ma cosa dico! Possibile che il mio Ale sta riuscendo a trasformarmi veramente nella sua puttana?
Alzo gli occhi verso di lui, non ho ancora il coraggio di alzarmi.
R: “POSSO ANDARMI A LAVARE?”
A: “POSSO ANDARMI A LAVARE… COSA”
R: “NON CAPISCO, COSA VUOI CHE TI DICA”
Uno schiaffo correttivo mi riporta subito alla realtà
A: “COSA SONO IO?”
Capisco tutto…
R: “POSSO ANDARMI A LAVARE, PADRONE?”
A: “BRAVA, COSÌ MI PIACI. VAI TROIA E TI DO ANCHE IL PERMESSO DI ANDARE A LETTO CHE DOMANI CONTINUIAMO…”
Quelle parole mi atterrirono, ma già sapevo che qualsiasi cosa avessi ipotizzato per domani, sarebbe stata abbondantemente superata dalla realtà della sua mente perversa.
R: “BUONANOTTE PADRONE...”
Sono sveglia? Ho dormito? E se sì, quanto? Non sento più gli arti oramai, chissà da quanto sono in questa posizione. L’unica cosa che sento è sul mio viso: lo sperma di mio figlio, ormai asciutto ed il tanfo del suo cazzo che si ostina a rimanere con me in questa stanza. Giusto il tempo di riordinare le idee che sento la porta aprirsi. Non dico nulla, tanto ha già ampiamente dimostrato che delle mie parole e delle mie suppliche se ne sbatte. Sento che si avvicina, mi preparo al peggio, invece mi toglie la benda dagli occhi delicatamente. Ho gli occhi aperti ma continua ad essere buio, la stanza è buia e nonostante le tapparelle alzate da fuori non entra luce. E’ sera dunque.
Sento slegarmi, prima le mani e poi i piedi. Ho tutto indolenzito, ma incredibilmente, il mio Ale mi massaggia delicatamente e pazientemente braccia e gambe in attesa che il tutto riprenda il suo colore naturale. Ad un mio cenno di approvazione mi lascia e finalmente mi rivolge la parola
A: “HO FAME MAMMA, MI PREPARI LA CENA PER FAVORE?
Faccio di sì con la testa ed esce. Io ci metto un po’ a riprendermi, mi alzo, barcollo e torno giù sul letto. Ci riprovo e stavolta rimango in piedi. Esco dalla stanza e mi dirigo verso l’unica luce accesa della casa, quella della cucina. C’è lui seduto.
R: ”FACCIO UNA DOCCIA E POI TI PREPARO DA MANGIARE, VA BENE?”
A: “NO. FAMMI DA MANGIARE ADESSO CHE STO MORENDO DI FAME. POI FORSE TI FACCIO FARE LA DOCCIA”
R: “MA ALE, SONO TUTTA SPORCA DI… PUZZO E VORREI LAVARMI PRIMA. PER FAVORE…”
Lo implorai.
A: “NON FARMI RIPETERE LE COSE ALTRIMENTI M’INCAZZO. SUBITO IN CUCINA!”
Parole rafforzate dal suo gesto con l’indice perentoriamente alzato e rivolto verso i fornelli. Desistetti dal ribattere. Non ne avevo le forze e forse era meglio così, almeno dopo il dovere della cena avrei potuto lavarmi e poi di lì andare subito a letto e dimenticare quest’orrida giornata.
Mi misi a cucinare, gli preparai la più classica delle cotolette, ma l’aveva sempre apprezzata. Gli porsi il piatto sul tavolo e non so perché ma in quel frangente mi sentii in dovere di chiedergli, con la voce tremolante, il permesso di poter finalmente lasciare la cucina per andare in bagno. Mi guardò, ci pensò e un attimo e
A: “VAI A LAVARTI CHE NON TI SI PUÒ GUARDARE IN FACCIA. LAVATI BENE E PROFUMATI CHE FAI PUZZA”
A quelle parole così umilianti risposi con un sommesso
R: “VA BENE. BUONANOTTE”
A: “E CHI TI HA DETTO CHE POI PUOI ANDARE A LETTO. APPENA HAI FINITO IN BAGNO TORNA QUA. TI DO GIUSTO IL TEMPO CHE FINISCO DI MANGIARE”
Ero spaventata e atterrita, chissà perché vuole che torni da lui. Possibile che abbia in mente ancora cose perverse? Possibile che dopo tutto quello che mi aveva fatto quel giorno, avesse ancora voglia di farmi soffrire?
Nel frattempo aveva già iniziato a mangiare e quindi mi affrettai ad andare in bagno.
“Ti do giusto il tempo che finisco di mangiare”, aveva detto…
Una volta davanti allo specchio non potei fare a meno di scoppiare a piangere per le condizioni in cui mi aveva ridotta. Tutto il mio viso, ad eccezione degli occhi, era una cascata di rigoli secchi ed appiccicaticci. Mi lavai con forza la faccia e poi subito sotto la doccia. Per un attimo mi sentii bene, ma un sonoro pugno alla porta del bagno mi ricordò che dovevo subito tornare in cucina da quel figlio che pian piano si stava trasformando nel mio aguzzino. MI asciugai alla buona, mi rimisi la solita vestaglia e le solite ciabatte ed uscì, affrettandomi da lui con ancora i capelli grondanti gocce d’acqua calda.
Come un automa gli tolsi il piatto dal tavolo, sparecchiai velocemente e subito dopo cominciai a lavare i piatti dandogli le spalle. Mi rimaneva l’ultimo coltello da pulire, quando me lo sentii alle spalle. Era davvero vicino, sentivo il suo alito sulla spalla destra scoperta. Alzo leggermente la testa e mi sussurrò all’orecchio
A: “TU SEI MIA”
Mi girai di scatto col coltello in mano, lui lo vide e allora il suo sguardo si fece di sfida. Sapeva che non avrei mai avuto il coraggio, come potevo. Lui era l’amore della mia vita, la mia speranza per un futuro migliore. Avrei fatto di tutto per lui, persino… persino lasciare che abusasse di me. Gettai il coltello nuovamente dentro il lavandino in segno di resa, lui di tutta risposta mi afferrò il collo
A: “TU SEI MIA. TI TRASFORMERÒ NELLA MIA TROIETTA TUTTO FARE, NELLA MIA PUTTANELLA DOCILE E REMISSIVA, NON MI DIRAI MAI DI NO. DA OGGI SEI LA MIA SCHIAVA”
R: “TU SEI PAZZO, MA CHE TI È PRESO! COME PUOI ANCHE SOLO PENSARE UNA COSA DEL GENERE!”
Dissi tentando di divincolarmi.
Per un attimo ero tornata in me ed ero pronta a ribellarmi con tutte le mie forze a quell’incubo crescente, ma un sonoro ceffone mi riportò subito alla realtà delle cose. Non lo vidi neanche arrivare, so solo che la testa si scuotè talmente tanto che mi ressi in piedi solo perché incastrata tra lui ed il lavabo della cucina.
A: “INGINOCCHIATI!”
R: “NO!”
Ed un altro schiaffo risottolineò la mia sostanziale impotenza di fronte al suo volere.
A quel punto mi mise entrambe le mani al collo, non per soffocarmi, ma per costringermi in ginocchio dinanzi a lui. Non perse tempo nel farmi capire le sue intenzioni, si abbassò i pantaloni della tutta e tirò fuori un cazzo già pronto tirandosi dietro il solito tanfo da mancata pulizia. Non lo avevo mai visto da quella prospettiva, era enorme, rosso e persino lui sembrava cattivo come il padrone. Mi afferrò per i capelli così forte da farmi emettere un piccolo urlo di dolore e subito ne approfittò per infilarci il suo cazzone. Per la seconda volta nello stesso giorno mi ritrovai col suo cazzo in gola, era lui a comandare, mi teneva la testa tra le sue mani e mi sbatteva dentro, senza il minimo riguardo, la sua verga direttamente in gola. Mi stava scopando la bocca senza ritegno e io potevo al massimo tentare di allontanarmi quando non riuscivo più a respirare, ma avevo pochi secondi di tempo per prendere ampie boccate d’ossigeno perché me lo risbatteva subito dentro. Sul pavimento sotto di noi si era formata una pozzanghera di saliva appiccicosa. Stentavo a credere che in pochi minuti potesse uscirne così tanta. Ero rassegnata a farlo venire, non opponevo più neanche tanta resistenza, ma lui aveva altre intenzioni quella sera. Non voleva finirla subito. Mi prese dalle braccia come un peso morto, mi sollevò e mi sbattè sul tavolo di fronte a noi
R: “NO ALE! CHE VUOI FARE! NO ALE QUESTO NO! NON TE LO PERMETTO! SONO TUA MADRE!”
Il solito ceffone ben assestato mi ricordò quanto la mia volontà non contasse assolutamente nulla per lui. Mi aprì in fretta e furia la vestaglia, scostandola su entrambi i lati, mi calò il reggiseno facendo saltare un gancetto che fece fuori uscire il mio seno tanto abbondante quanto ormai cadente e pieno di smagliature. Lo raccolse con entrambe le mani e vi si fiondò come un bambino in cerca del latte. Cominciò a succhiare il mio capezzolo dall’ampia aureola scura, lo leccava, succhiava e ogni tanto lo mordeva alternando sensazioni di piacere a dolore acuto. Dopo aver tartassato senza tregua il mio seno per qualche minuto si fermò di colpo e mi guardò. Evidentemente fu troppo anche per lui quella scena pietosa: sua madre ridotta ad una maschera di lacrime. Per un attimo pensai che ritornò in sé e che capì l’assurdità di ciò che stava facendo. Ma fu solo l’ennesima illusione da parte mia. Mi girò con violenza sbattendomi nuovamente sul tavolo, questa volta facendomi mettere a pecora. Da dietro sollevò la vestaglia coprendo la parte superiore del mio corpo. Evidentemente non voleva vedermi, chissà se per “pudore” o perché gli facevo schifo. Mi strappò via, letteralmente, le mutande e mi spalancò le gambe.
R: “ALE, TI PREGO, TI IMPLORO! SEI ANCORA IN TEMPO! TORNA IN TE, SONO TUA MADRE!”
Quelle parole sortirono l’effetto di far decadere ogni dubbio, qualora nella sua mente ve ne fossero ancora. Si inginocchiò, si godette lo spettacolo di sua madre a gambe oscenamente aperte per qualche istante per poi afferrarmi con decisione il culo per allargarlo ancora di più quasi a volermi strappar via le natiche e si fiondò con tutta la faccia lì in mezzo. Cominciò a leccare tutto, indistintamente, dal clitoride all’ano passando per il perineo. Ricordo bene i versi che emetteva quando leccava. Sentivo i suoi baci, la sua lingua e la sua abbondante salivazione passare dal clitoride per poi penetrarmi con la lingua la figa e poi risalire girando attorno l’ano per tentare di penetrarlo, senza riuscirvi, ancora con la lingua. Ecco cosa intendeva con “lavati bene e profumati” pensai tra me. Era tutto premeditato. Poi si fermò, di colpo, ancora qualche istante di contemplazione e sento uno sputo abbondante dritto in figa. Sento che si alza, armeggia un po’ e d’un tratto sento la punta della sua cappella proprio al centro della mia passera.
R: “Ale N…!”
Non mi diede neanche il tempo dell’ultima supplica che mi penetrò con un unico, potente colpo! Urlai a squarcia gola per il dolore del colpo, erano anni che non prendevo un cazzo e mai in vita mia un cazzo così grosso. I colpi successivi furono altrettanto violenti ma meno dolorosi, anche se non potevo di certo dirmi eccitata, il suo precedente sputo misto ai miei umori vaginali avevano cominciato a smussare i colpi di quella potente verga che sembrava fatta d’acciaio rovente.
Tentai di estraniarmi da quel momento, cose se stessi vivendo quella scena in terza persona. Eccomi lì, buttata a pecora sul tavolo quadrato della mia cucina al quale ero aggrappata con le mani ai due lati opposti, mentre mio figlio stava abusando di me.
Un sonoro e doloroso schiaffo sul culo mi riportò in me
A: “DILLO!”
Non sapevo a cosa si riferisse, non lo avevo ascoltato. Un altro ceffone altrettanto forte sempre sul culo, ridestò la mia attenzione
A: “HO DETTO DILLO! DILLO CHE SEI LA MIA TROIA!”
Non rispondetti, in quel momento potevo solo che piangere. Mi prese per i capelli allora, portando il mio orecchio sinistro vicino alla sua bocca
A: “CI VORRÀ POCO PER EDUCARTI, ALLA FINE, CHE TU LO VOGLIA O NO, TI TRASFORMERÒ NELLA MIA PUTTANA TUTTO FARE. TU UBBIDIRAI SENZA FIATARE A TUTTI I MIEI ORDINI”
Lo disse quasi sottovoce, ma capì che era tremendamente serio. A quel punto i colpi diventarono ancora più incessanti, li sentivo tutti in fondo alla vagina, ansimava, era stanco, ma continuava imperterrito ad aumentare il ritmo, sembrava una bestia senza controllo in attesa di quel momento da sempre. Sentii la vestaglia volar via sopra la testa, per qualche secondo armeggiò col gancetto del reggiseno, ma spazientito lo strappò via. Mi tolse il reggiseno senza nessun riguardo e a quel punto infilo una mano tra il tavolo ed il mio seno sinistro. Cominciò a strizzarlo con forza tanto che mi fece tornare ad urlare, la cosa evidentemente lo eccitò parecchio perché dopo altri due, tre colpi tolse finalmente il cazzo dalla mia ormai martoriata figa. Ingenuamente mi preparai ad accogliere il suo orgasmo sulla schiena, ma la mano sul mio seno mi tirò con forza verso di lui, mi fece girare ed inginocchiare al suo cospetto, solo a quel punto mollò la mia pesante tetta per prendermi la testa ed infilami il cazzo, ancora grondante dei miei umori, in bocca. Provo ad opporre un minimo di resistenza, ma mi tappa il naso con l’indice ed il pollice costringendomi ad aprire la bocca il più possibile per prendere aria. A quel punto infierisce infilandomi tutto il suo enorme cazzo fin quasi le palle dritto in gola. Sono una maschera di lacrime e muco, ma non sembro fargli pena, anzi. Vedo che la cosa lo eccita ancora di più. Dopo un paio di minuti di supplizio in quella posizione, con la testa incastrata tra il bordo del tavolo ed il suo cazzo, il solito grugnito mi fa capire che sta per venire. Chiudo gli occhi rassegnata in attesa dell’ennesima sbarrata in faccia, ma le sue parole mi ricordano la mia ingenuità
A: “ADESSO INGOI TUTTO, PUTTANA! E GUAI A TE SE NE FAI CADERE ANCHE SOLO UNA GOCCIA PERCHÉ TE LA FACCIO RACCOGLIERE DAL PAVIMENTO CON LA LINGUA”
A quelle parole spalanco gli occhi dal terrore. É una cosa che non ho mai fatto, che non ho mai voluto fare. Ho litigato milioni di volte con mio marito perché mi sono sempre rifiutata, è una cosa innaturale, uno schifo! Ma ai miei pensieri fa solo seguito un’abbondata sbarrata in bocca. Uno, due, tre schizzi abbondantissimi mi riempiono la bocca così tanto da dover stare attenta a non farmi scappare lo sperma dai lati della bocca. Lo tengo tutto dentro trattenendo il fiato in attesa di un suo cenno. L’orgasmo che ha avuto si vede che è stato fortissimo, in faccia è tutto rosso ed ha dovuto reggersi con una mano al tavolo per non perdere l’equilibrio. Io rimango lì, in ginocchio ai suoi piedi col cazzo in gola e la bocca piena di sperma. Lo guardo e aspetto che lo tiri fuori. Lui lo fa, lentamente, prestando attenzione che non ne perdessi neanche un po’. Una volta tolto il cazzo, richiudo subito la bocca e lo guardo nella speranza che si accontentasse così e mi permettesse di sputare subito quello schifo accumulato.
A: “ADESSO INGOIA TUTTO E POI TIRA FUORI LA LINGUA CHE VOGLIO CONTROLLARE”
E uno schiaffo stanco mi ricorda chi i suoi ordini non si discutono. Non ho speranze, mi tocca farlo. Chiudo gli occhi e ingoio. E’ talmente tanto che ho bisogno di tre sorsi per mandarlo giù tutto, poi, come da suoi ordini, apro la bocca e tiro fuori la lingua per fargli vedere che ho fatto tutto bene.
A: “ADESSO PULISCIMELO E FALLO BENE CHE È UN BEL PO’ CHE NON LO LAVO”
Di quello ne ero certa dato il puzzo che ormai lo contraddistingueva. Non protesto neanche più, lo prendo in bocca leccando bene la cappella e rimuovendo con la punta della lingua un po’ di sperma accumulato ai lati del frenulo e per finire ciuccio un’ultima gocciolina di sperma che noto gli sta uscendo dal buco della cappella.
A: ”E BRAVA LA MIA SVUOTA PALLE. STAI COMINCIANDO A CAPIRE E A DARMI SODDISFAZIONI. RICORDA SEMPRE CHE L’UNICO SCOPO DELLA TUA VITA DEVE ESSERE QUELLO DI SODDISFARE LE VOGLIE DEL TUO PADRONE”
Rispondo abbassando lo sguardo in segno di sottomissione. Sembra assurdo ma la vista del suo volto soddisfatto mi ha reso quasi fiera di me. E poi devo ammettere che il gusto dello sperma non è poi così male. Era un po’ amarognolo ma tutto sommato non faceva schifo. Quanti litigi avrei potuto evitare con mio marito se fosse riuscito a convincermi.
Ma che sto pensando, ma cosa dico! Possibile che il mio Ale sta riuscendo a trasformarmi veramente nella sua puttana?
Alzo gli occhi verso di lui, non ho ancora il coraggio di alzarmi.
R: “POSSO ANDARMI A LAVARE?”
A: “POSSO ANDARMI A LAVARE… COSA”
R: “NON CAPISCO, COSA VUOI CHE TI DICA”
Uno schiaffo correttivo mi riporta subito alla realtà
A: “COSA SONO IO?”
Capisco tutto…
R: “POSSO ANDARMI A LAVARE, PADRONE?”
A: “BRAVA, COSÌ MI PIACI. VAI TROIA E TI DO ANCHE IL PERMESSO DI ANDARE A LETTO CHE DOMANI CONTINUIAMO…”
Quelle parole mi atterrirono, ma già sapevo che qualsiasi cosa avessi ipotizzato per domani, sarebbe stata abbondantemente superata dalla realtà della sua mente perversa.
R: “BUONANOTTE PADRONE...”
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