Sperma (Bad day)

di
genere
etero

Basta per oggi, mi dico. Poi chissà perché me lo traduco pure in inglese da sola, call it a day. Forse perché "call" avrebbe potuto vincere il premio per la parola del giorno, ma è stato surclassato dalle parole "di merda".

Chiudo il laptop. Se non avessi paura di scassarlo sbatterei lo sportello proprio giù, con forza. Colonna sonora, una canzone dei R.E.M. che mi metto a canticchiare tra me e me. Bad day, avete presente? E' stata una giornataccia, per favore niente foto. Niente foto davvero, ve lo spacco in due quel cazzo di obiettivo.

Non è scusabile, lo so. Quello che ho fatto è un errore senza giustificazioni, punto. Una cazzata. Mi dispiace. Senza esagerare, eh? Non è che ho tirato giù un satellite geostazionario. Però ho mandato in tilt il lavoro di un po' di persone. Una stronzata inspiegabile, non lo so nemmeno io come ho fatto. Non ero nemmeno distratta, che cazzo vi devo dire. Andavo in automatico. Forse non bisognerebbe mai andare in automatico, bisognerebbe sempre vivere con il terrore di sbagliare.

Il capo mi si è inculata, chiaramente. Su Zoom, davanti a tutti. Senza lubrificante ma con il preservativo. Perché con il preservativo non è poi così scivoloso se non hai il gel. Molto poco piacevole, come potrete immaginare. Umiliante, direi. Quella frase - "ed è colpa tua" - penso che mi scaverà dentro per anni. Ma ci sta, me lo aspettavo. Me lo merito, persino. Una giornata di lavoro di un intero team più o meno buttata nel cesso. Cosa sia accaduto poi, a cascata, francamente non lo so, ma certo non ci siamo guadagnati stima e considerazione. Sì, di errori ne facciamo tutti e qualche cazziatone me lo sono beccato pure io, ogni tanto. Mai così, però, così era la prima volta. Avrei voluto sprofondare.

Naturalmente, poiché ogni torta ha la sua ciliegina, non poteva mancare la rampogna finale: "Ringraziate il cielo, perché oggi bisogna avere culo per tenersi anche un contratto a termine". Detta così, erga omnes, al plurale. Ma è ovvio che parlava a me. Che vi devo dire, si vede che da queste parti il mio culo va forte in ogni declinazione possibile. Ho avuto culo a essere confermata, quando lavoriamo in presenza mi guardano il culo... e oggi il capo mi ha fatto il culo.

Argomento chiuso? Col cazzo. Se possibile, il peggio è venuto dopo. La sfuriata, ve l'ho detto, ci stava tutta. Certo, qualche parola il capo se la poteva risparmiare e soprattutto certi toni. Ma non voglio fare la vittima. Quello che non mi aspettavo proprio era il veleno degli altri. Dalla tipa che proprio oggi aveva chiesto di staccare due ore prima e che non l'ha potuto fare (a proposito, domani devo ricordarmi di farle notare che "scema de guera" lo dice a sua sorella), a quell'altra che pure quando sta in smartworking si mette davanti alla videocamera con la terra in faccia e il lipstick rosa (però qualcuno le dica che così non fa altro che sottolineare il suo essere cesso). E soprattutto a quello stronzo che è stato assunto con me, che ha un contratto di somministrazione come me e al quale, non per rinfacciare, ho salvato il culo un paio di volte. Sto nerd del cazzo, non ci potevo credere quando si è messo a fare la lezione "bisogna fare così, così e cosà...". Ma vaffanculo, deficiente. Pensi di esserti guadagnato la medaglia? E tutti gli altri? Zitti, muti, a fissarmi dal display, a giudicarmi. Non erano nemmeno degli esseri umani, erano dei pixel che mi giudicavano.

Detto ciò, ho pianto. Sì ho pianto. Non è proprio facile che mi metta a piangere ma l'ho fatto. Non voglio fare la dura, eh? Qualche volta può capitare. Insomma, come capita a tutti, credo. Ho spento la videocamera, mi sono rimessa a lavorare e, nel farlo, piangevo. Ho portato a termine il mio lavoro e mandato un messaggio alla chat: "E' a posto, scusate ancora". Ci fosse stato uno che mi ha risposto. Vabbè, ho spento tutto. E' stato in quel momento che mi è venuta in mente la canzone dei R.E.M. Anzi no, prima sarò stata un quarto d'ora con i gomiti appoggiati sul tavolo a non pensare a un cazzo. La canzone mi è venuta in mente quando mi sono alzata per andare in cucina a farmi un tè. Invece del tè, però, ho aperto il frigo e ho mandato giù un bicchiere di vodka. Non uno shot, proprio un bicchiere. Non so come cazzo ho fatto a non attaccarmi alla bottiglia. Avrò un problema con l’alcol?

Quando Luca è arrivato ero mezza brilla sul terrazzino della cucina a farmi una sigaretta. Essendo un sottoscala, la mia vista era limitata a un cortiletto e alla rampa di un garage. Non un granché, ma sufficiente per fissare un punto qualsiasi senza pensare a un cazzo. Ho sentito la porta aprirsi, sono corsa da lui, emanava freddo. Bacetto, poi l'ho aiutato a togliersi il giaccone. Bacio, vero stavolta. Anche un po' troppo languido da parte mia, forse, perché dopo mi ha chiesto "tutto ok?". Mi sono stretta nelle spalle, gli ho sorriso, ma non ho risposto. Mentre andava a sedersi sul divano e a togliersi le scarpe gli ho detto "vuoi qualcosa? ti faccio un tè, un caffè? una birra?". Ha risposto di no e mi ha sorriso, si è stiracchiato, rilassato. Fine giornata anche per lui, finally home.

Sono andata a sedermi sulle sue ginocchia. Cosa abbastanza rara anche questa. Di solito lo faccio quando ho voglia, ma in contesti completamente diversi e soprattutto quando non siamo in casa. E' una specie di codice tra di noi, una cosa che risale a più di un anno fa. Eravamo a un brunch con degli amici, una domenica. Mi andai a sedere sulle sue ginocchia e gli gettai le braccia al collo, sorridendo. Gli sussurrai "dopo... andiamo allo scannatoio e mi dai una botta? anche due?". Glielo dissi ridacchiando, quasi. Ero allegra, ironica, anche quella volta avevo bevuto un po’, mi sa. Ma non scherzavo mica. Tra l'altro erano i primi tempi della nostra storia e avevamo sempre una voglia reciproca di scoparci che non potete nemmeno capire. E ricordo anche perfettamente come furono quelle due "botte", magari un'altra volta ve le racconto, quando sono più in vena.

Ora no, ora non è così. Non voglio nessuna botta. Voglio solo accoccolarmi e poggiare la testa dove finisce il collo e comincia la spalla. Inusuale, abbastanza. Così inusuale che mi domanda "ma è successo qualcosa?". Ancora una volta non glielo dico, non rispondo. Faccio un flebile mugugno e nascondendo di più la testa. "Dai...", fa lui passandomi la mano dietro la schiena. Ma non ho voglia di dirgli tutto, di confessare il fallimento. Sarà orgoglio, sarà che non mi sono ancora ripresa.

- Giornataccia al lavoro... - gli dico.

- Che è successo?

- Ma se non ci capisci un cazzo, come faccio a spiegartelo? - rispondo quasi ridendo. In realtà vorrei rimettermi a piangere.

Mi stacco e gli prendo la faccia tra le mani facendo finta di scuoterla.

- Come te lo spiego, eh? Come te lo spiego, che non capisci un cazzo tu... - gli faccio in modo fintamente burbero, cercando di ridarmi un tono.

- Se vuoi ti parlo della mia, di giornata - risponde lui sorridendo.

- Uh, sì... rogito ergo sum...

- Eh... magari... - risponde dandomi un pizzicotto sul sedere - te lo spiegherei pure, ma non ci capisci un cazzo...

Consumata la sua piccola vendetta, mi stringe un po' e mi accarezza i capelli sulla nuca. Un po' troppo tipo coccole-a-un-cocker-spaniel, d'accordo, ma vanno bene lo stesso. Va bene anche l'inutile litania dei "non ci pensare", "non ti ci fissare". Perché io sono una che un po' ci si fissa, sapete?

- Andiamo a fare un giro? - propone.

- Non mi va.

- Compriamo qualcosa e ce lo cuciniamo? Dai, scegliamo una ricetta su Internet e la roviniamo...

- No, non mi va - rispondo ridacchiando, stavolta, perché so che la battuta è riservata a me - facciamoci portare qualcosa.

- Una corsetta serale?

- Non ho la roba qui...

Tre proposte, tre cazzate, ok. Cioè, nemmeno cazzate. Diciamo tre normalissime idee nessuna delle quali andata a segno. D'accordo. Ma anche le intenzioni contano, no? In un attimo misuro la differenza tra l'avere davanti agli occhi un essere umano - uno dei miei esseri umani preferiti, tra l'altro - invece che delle faccine che mi guardano da uno schermo. E’ come se averlo qui facesse tornare umana anche me, la sua presenza soddisfa i miei sensi. La tridimensionalità della sua figura per la mia vista, il suo odore per il mio olfatto, la sua voce al naturale per il mio udito. Il suo viso ancora tra le mie mani per il tatto. Ora è il momento di dare anche al gusto ciò che merita. Lo bacio, gli infilo la lingua dentro, sento il sapore della sua bocca. E' un bacio appassionato, ma che di per sé non prelude a niente. Ce ne diamo tanti e non sono necessariamente da pre-scopata. E nemmeno questo lo è, anche se gli dico "ho un'idea migliore". Ma per dirla proprio tutta, l'idea che ho testa non è esattamente quella di finire questo tardo pomeriggio a gambe spalancate. Non lo so nemmeno quale sia la mia “idea migliore”, a me basta stare appoggiata al suo petto che si alza e si abbassa impercettibilmente nel respiro.

E' vero, da un certo punto di vista sarebbe perfetto se lui mi capisse al volo e, senza dire nulla, continuasse a stringermi e ad accarezzarmi, a trasmettermi calore. Ma poiché l'imperfezione è degli esseri umani la sua reazione in un certo senso mi piace anche di più. Trattandosi di lui, inoltre, la sua reazione non può che essere quella di un perfetto testa di cazzo che fa dell'ironia e del bullizzarmi in modo soft la sua ragione di vita. Del resto, adoro Luca anche per questo motivo.

- Scopa che ti passa? - chiede con un sorrisino e andando subito alle conclusioni sbagliate.

- Mi sei mancato, stronzetto - sussurro passandogli un dito sulle labbra ancora umide di baci.

- Questo l'avevo capito...

Non glielo dico, ma in realtà non ha capito niente. Anche perché l'ho appena capito anche io, l'ho capito mentre lo dicevo. Dovrei rispondere "guarda che mi sei mancato tu, non il tuo cazzo" e sarebbe la pura verità. Avrei davvero avuto bisogno di lui, della sua presenza fisica, corporale, per farmi consolare dopo essere stata brutalizzata telematicamente. Avrei avuto bisogno di una mano da stringere. Ma poiché la sua presenza fisica, corporale, vitale, mi serve adesso, evito di puntualizzare. Lascio perdere, sto al suo gioco. Non so bene dove porterà, magari anche io mi faccio un film sbagliato. Magari nemmeno lui mette al primo posto, in questo momento, il desiderio di accoppiarsi. Mi sento un po' in un limbo, ma ci sto bene, ci sto comunque meglio di prima. Mi andrebbe bene anche restare così e finire a giocare a scacchi, se in questa casa avessimo degli scacchi, ovviamente.

- Cosa avresti capito, scusa? - gli domando dando il via alle schermaglie.

- Mica capita solo a te... - risponde.

Un classico suo, a proposito di scacchi: la mossa del cavallo. Ti ci butti contro come un bufalo incazzato e lui si sposta, ti manda a schiantare, prende in mano la situazione. E io ci casco sempre come una cretina.

- Cioè? Che stai dicendo? Non ti ci vedo a prenderti un cazziatone... - gli faccio.

- Ah beh, capita anche quello... ma volevo dire che, per esempio, capita anche di tornare a casa con la voglia di cappottarti appena ti vedo... - dice lui cambiando completamente la scena.

- Cappottarmi, eh?

- Cappottarti.

- Cioè, tipo quando?

- Boh, anche venerdì scorso, tipo. O forse giovedì... uno di quei due giorni lì, ora non ricordo.

- E perché non l'hai fatto?

Ve l'ho detto, ci casco sempre. Seguo incuriosita il filo del suo ragionamento e perdo di vista il mio obiettivo, che in questo momento è quello di restare accoccolata così per l'eternità.

- Non lo so - risponde - forse perché abbiamo sempre tutto il tempo che vogliamo... Se vivi insieme non è come quando ti vedi, esci la sera e poi comunque ognuno dopo torna a casa sua e quindi... mmm... bisogna combinare qualcosa.

- Luca, che cazzo stai a dì? Mica viviamo insieme, noi - rispondo rialzando leggermente la testa.

- No, ma famo a capisse: ci vediamo tutte le sere qui, qualche volta pure la mattina, o a pranzo... e comunque quando torno ci sei. Ci passiamo i fine settimana... un po' more uxorio, no?

- ...mmm e questo secondo te inibisce il raptus di... di cappottarmi?

- Inibisce no, come dire... lo diluisce. A te non capita?

- Boh, non lo so... - gli dico.

- Non t'è mai venuta la fantasia... che ne so... una fantasia qualsiasi, durante il giorno, che poi invece non hai realizzato?

- Mah, non lo so, forse sì..... cioè sì, ma...

- Cioè tipo?

- Ahahahah ma perché devo essere io a dirtela? Tu manco mi hai detto cosa intendevi per "cappottarmi"...

- E dai... lo sai cosa intendevo... dai, dimmelo.

- Ah beh... è una cosa che in realtà non ho pensato una sola volta. Cioè... non è nemmeno la sola, sai com'è, i pensieri a volte vanno per i cazzi loro e...

- Ahò... - mi fa con un po' di dissimulata impazienza.

- Ok, ok... Beh, ho pensato che mi piacerebbe aspettarti inginocchiata dietro la porta e farti un pompino appena entri. Ancora con il giaccone addosso, a proposito di cappotti... se parliamo di fantasie, io ho avuto questa, tiè - manca solo che gli faccia la linguaccia, ma il tono con cui gli parlo è quello.

- Ahahahah... e tu perché non l'hai fatto?

- Ma che cazzo ne so io dell'ora in cui arrivi a casa te! Mica posso stare inginocchiata là davanti tutto il pomeriggio...

- Beh, potrei farti uno squillo quando sono al portone... oppure potresti farlo appena entro...

- Non sarebbe la stessa cosa, oppure mancherebbe l'effetto sorpresa... - gli obietto.

- ...mmm, hai ragione. Ma come ti è venuta st'idea?

- Ma ti senti quando fai ste domande del cazzo? - rispondo dopo averlo guardato in silenzio per un po' - sto scrivendo un manuale, va bene? Il manuale del pompino perfetto, quella sarebbe la pagina settantadue...

- Ahahahah, che stronza... chiedevo... e dici che ci pensi spesso, eh?

- Proprio spesso no, però un giorno mi ci sono masturbata tre volte mentre ero su zoom ahahahah...

- Davvero?

- Davvero... volevo pure dirtelo quando sei tornato maaa... beh non ce n'è stato bisogno.

- Perché?

- Ci hai pensato da solo... ti ricordi quel giorno che eravamo in cucina e abbiamo rotto la bottiglia di vino? Beh, era quella volta lì.

- Ah... la passione... - ironizza.

- Ah, la sfiga di avere un testa di cazzo come fidanzato... - lo rimetto a posto.

- Comunque non ci credo che ti sei masturbata in call... e nessuno si è accorto di nulla?

- Ma che cazzo, se te lo dico... perché non dovresti crederci?

- Perché ti si vede, soprattutto ti si sente...

- A parte il fatto che, ti ricordo stronzetto, mi hai scopata mentre ero in call...

- Sì, ma avevi spento microfono e cam!

- E quella volta invece no, non ho spento un cazzo. Fingevo di essere molto concentrata sugli appunti ahahahah.

- Tre volte, eh?

- Già... beh, mica di fila. Cioè, due di fila... l'altra un po' più tardi.

- Pensando di aspettarmi in ginocchio dietro la porta.

- Oh yes.

- E poi? Altre idee dicevi?

- E poi basta. Non voglio confessarti cose che potresti usare contro di me ahahahahah....

- Scema... sai che io pensavo che la tua fosse più una fantasia tipo... boh, tipo "immagino di farmi trovare al computer nuda, oppure in intimo trasparente, reggicalze e guepière"...

- Io? In reggicalze e guepière? Ma sei cretino? Mi ci vedi?

- Ahahahahah... no. Comunque sempre meglio dei pantaloni della tuta.

- Scemo - rispondo facendo finta di non avere capito che scherza.

- Però il sopra è impeccabile... - aggiunge accarezzando il mio maglioncino rosa là dove si appoggiano il colletto della camicetta e la collanina.

- Non posso mica andarci in pigiama, su zoom...

Mi alzo in piedi davanti a lui. In una botta sola mi sfilo pantaloni, mutandine e anche i calzini sformati con cui pattino sul parquet sintetico dello scannatoio. Resto come mamma mi ha fatta dalla vita in giù. Gli domando "così va meglio?" e mi inginocchio sul divano, a cavallo delle sue gambe, gli riprendo la faccia tra le mani. Ho quasi paura che, puff, mi svanisca davanti. Luca intrufola tutte e due le mani sotto la camicetta. Sono senza reggiseno, mi accarezza le tette. Che reagiscono, e non sono le sole.

Ero partita per un gioco che per lui prevedeva solo un ruolo: quello di un enorme pelouche umano fatto per stringermi e scaldarmi. Adesso invece cosa succede? Chi lo porta avanti il gioco? Non importa, in fondo, non importa. Lo bacio per sentire la morbida grandezza della sua lingua nella mia bocca, è tutto così maledettamente reale che mi metterei a piangere. Sulle sue guance c'è ancora una traccia sfumata di dopobarba, quello che un giorno gli ho comprato io e che a lui non piace. Ancora una bellissima imperfezione: se lo mette solo perché l'ho scelto io.

- E poi ero io quella che "scopa che ti passa", eh? - gli mormoro guardandolo negli occhi. E sorridendogli.

- Perché? Che ho fatto? - risponde pinzandomi un capezzolo e portando l'altra mano a scivolare sul mio personale ingresso al paradiso. Mi fa fremere un po'. Normale, dopotutto.

- Ahahahah, no, nient... aaaah...

La sequenza di suoni è proprio così come ve l'ho appena descritta: risata, frase incompiuta, gemito. Che può combinare un dito nella vagina, eh?

- Che succede? - domanda con quella sua aria del cazzo mentre mi mordo un labbro per non dargli soddisfazione. Anche se, così facendo, mi sa tanto che gliene do ancora di più.

- Niente, non succede niente - rispondo chiudendo gli occhi e scuotendo la testa. Sorridendo persino.

- Ah, mi pareva... - fa lui infilandomi anche un altro dito.

Stavolta arriva proprio l'urletto, seguito da una formidabile sensazione di vuoto. Troppo fulminea l'invasione delle sue dita, troppo rapida la ritirata. Gliele afferro, quelle dita, gliele succhio con tutto il mio sapore sopra. Mi interrompo solo per dirgli "quanto sei stronzo". Lui ridacchia, io adesso mi sento aperta e accesa. Che non significa che mi sia venuta voglia di scopare, badate. Significa che ho voglia di succhiargli le dita, appunto.

- Anche questo è nel manuale? - domanda.

- ... mm-mm... pagina trentaquattro - gli rispondo - ma se vuoi ti faccio vedere la pagina trentacinque... quella è molto wow.

Ride. Prima mi tocca le tette, poi mi sditalina e adesso ride. Ma si può essere più stronzi?

- Cazzo ridi, eh? - gli faccio mettendogli una mano tra le gambe - lo sai che sei una carogna?

- Io?

- Sì, proprio tu - gli rispondo mentre continua a ridere come se il mio massaggino al pacco non gli faccia alcun effetto.

- Ma se a me non andasse di scopare? - domanda mentre gli slaccio la cintura e gli sbottono i pantaloni.

- E chi ha voglia di scopare? - gli dico avventurandomi con la mano dentro l'intimo, bypassando il cazzo un po' gonfio e andando ad accarezzargli morbidamente i testicoli - voglio parlarti del mio manuale.

In realtà mi sa che un po’ di voglia mi è venuta. I crampetti non mentono. Smonto dal divano e mi inginocchio per terra, tra le sue gambe, mentre glielo tiro fuori. "Troia bocchinara all'opera, mon amour", penso guardandolo in faccia prima di abbassare la testa.

Ma il mio fine ultimo non è fargli un pompino. Lo so io e lo capisce benissimo lui quando rialzo la testa e lo guardo, impugnando la sua mazza finalmente dura e lucida.

- Andiamo di là, dai - sussurra mezzo stravolto.

- No, qui... - rispondo.

- Ti va qui?

- Sì, anzi là... - gli dico voltandomi verso il tavolo.

Il tavolo. Amo essere scopata sul tavolo. E lui lo sa. E' una cosa che ho amato sin dalla prima volta che l'ho fatta, con quello che sia pure un po' impropriamente posso considerare il mio primo vero fidanzato. A novanta. Fa più zozzo, fa proprio tanto tanto troia a disposizione. Ci starei delle ore, così. Mi ci farei legare, così. Puttana esibita. Guardata, desiderata, o anche ignorata. Chissà, magari un giorno glielo dico che mi ci deve inchiodare per le mani a quel tavolo.

Tuttavia, non so come spiegarvelo perché in effetti è un po’ tutta una contraddizione, ho sì voglia di sesso ma non è la solita voglia. C’è qualcosa che mi manca, che non mi torna, che non riesco a decifrare bene.

Gli do la schiena e mi appoggio al tavolo con le mani, mi inclino poco. Non è proprio la posizione più adatta, non è il modo in cui mi accomodo quando mi lui prende così, ma lo faccio apposta. Desidero che il tocco finale sia il suo. Desidero quel piccolo gesto di imperio, la mano sulla schiena che mi spinge verso il basso. Mai abbastanza brusco, quando è lui a farlo. Eppure come vorrei che mi sbattesse giù con forza, anche a rischio di schiantarci la faccia. Perché proprio sempre sempre no, ma diciamo che sette volte su dieci mi piace essere un po' maltrattata. E se arriva l'ottava non mi metto certo a piangere. Tutta la mia grazia, tutta la mia bionditudine, finiscono per infrangersi contro questo mio modo di concepire il sesso. Tuttavia, Luca, va bene anche così. La spinta sulla schiena poteva essere più forte ma va bene così. Quanto vorrei che capisse che in questo momento è come se avesse già cominciato a fottermi. Ho conosciuto qualche ragazzo che a sto punto mi aveva già detto cose tipo "che mignotta che sei" facendomi sentire posseduta senza nemmeno esserselo tirato fuori. Mi piacerebbe così tanto che lo facesse anche lui, ma non importa. Adesso proprio non importa. Voglio che mi prenda e basta, in un modo o in un altro.

- Scopami, dammelo, fammi il cazzo che ti pare! – piagnucolo appena sento la sua mazza toccarmi.

La verità è che vorrei che ne godesse più lui di quanto ne stia godendo io. Per qualche recondito motivo, adesso, tengo molto di più al suo piacere che al mio. E, devo ammettere, la supplica funziona, perché comincia a sbattermi da subito con energia, strappandomi gridolini di incitamento e approvazione. Lo voglio così, anzi lo voglio più forte.

- Prendimi, sfondami! - gli urlo.

Quanto possiamo essere sceme in quei momenti, no? Mica solo io, eh? Mi sono confrontata con le mie amiche più intime e... beh, pure loro. Quello ti sta sbattendo come un animale e tu gli dici pure "prendimi, sfondami"? Magari le parole possono essere diverse, ognuna avrà le sue, ok, ma il concetto è quello. Meriteremmo quasi che si fermassero e ci dicessero "e che cazzo stiamo facendo, secondo voi?". Invece, misteriosamente e meravigliosamente, non avviene mai. Anzi, ti rispondono pure. Risposte che variano dal tacito assenso, al "ti scopo", al "quanto sei troia", al "te lo faccio uscire dagli occhi". Anche qui, l’elenco delle risposte potrebbe essere infinito, era solo per fare qualche esempio. Luca è più il tipo che dice "ti scopo". A me, onestamente, se dicesse "te lo faccio uscire dagli occhi" piacerebbe anche di più. Devo sempre essere io quella che alza il livello del dirty talking?

- Oddio Luca spaccami non smettere! - lo imploro graffiando il tavolo con le unghie mentre il rumore delle carni che sbattono mi riempie l'orecchio e mi fa impazzire quasi quanto il suo cazzo che mi riempie il corpo.

- Voglio venirti in bocca...

No. Ecco, no. Non voglio che mi vieni in bocca. Voglio che mi vieni dentro. Voglio essere inondata, bagnata dentro dal tuo seme. Certo, mi piacerebbe che ne facessi tanto, tantissimo. Che a un certo punto uscisse fuori dalla mia brocca e cadesse sul pavimento, mentre tu spingi e spingi e ne fai ancora. Ma non importa, non ti preoccupare. Dammi quello che puoi, prendo quello che viene. Non resterò né insoddisfatta né delusa, te lo prometto.

Perché, di colpo, è come se avessi capito ciò che voglio. Come se una luce laser puntasse direttamente ed esclusivamente una piccolissima porzione di cervello, rendendomi finalmente chiarissimo ciò di cui ho bisogno, ora. Perché la verità è che voglio solo che tu mi venga dentro. Voglio, letteralmente, che tu ti faccia una sega dentro di me. Solo che invece della tua mano sarà la mia vagina a menarti il bastone. Voglio spremere il succo dei tuoi coglioni, fino all'ultima goccia.

Voglio il tuo sperma.

Anzi, se vuoi te lo dico papale papale, voglio la tua sborra. Ho sempre un certo ritegno con la parola sborra, anche quando scrivo. La uso perché fa più zozzo. Sì, è così. Ma ad usarla, in genere, vi confesso che un po' mi vergogno. Ma adesso no, non mi vergogno per nulla. Voglio la tua sborra. Allagami la fregna di sborra.

Ti giuro, Luca, non è come al solito. A me piace tanto quando vieni, davvero. Dentro, in bocca, addosso... mi fa impazzire, ne vado fiera. E' una cosa che adoro e che mi fa sentire una forza della natura, sul serio. Ma non c'entra niente, adesso. Non mi sento nemmeno particolarmente sottomessa al cazzo, adesso. Il tubo di carne dura che hai tra le gambe mi dà piacere, certo, come sempre. Mi tira fuori urletti, gemiti, strilli, mi fa diventare lagnosa come una bambina. Come sempre. Ma non è il mio piacere che rincorro e, a ben vedere, nemmeno il tuo. Cerca di capire e non prenderla male, Luca, in questo momento sei solo uno strumento. Voglio qualcosa che sta molto al di sopra dei nostri orgasmi.

Voglio il tuo sperma. Voglio le tue cellule riproduttive, voglio la vita che c'è dentro. La voglio, anche se non servirà a un cazzo perché sono sotto pillola. La voglio lo stesso. Devi schizzarmi la vita dentro, devi darmi la scintilla primaria e irrazionale.

- No - piagnucolo sotto i suoi colpi - no sborrami dentro, sborramela tutta...

Mai stata così volgare con lui? No, non è vero, lo sono stata eccome. E chissà quante altre cose anche peggiori gli avrò detto nei momenti in cui non mi fa capire più un cazzo e perdo il controllo. Ma evidentemente anche lui capisce, o almeno intuisce, che c'è qualcosa di diverso dal solito. Perché mi chiede "che c'hai stasera sorellì?".

"Sorellì". Ogni tanto gli viene da chiamarmi in questo modo. Non lo gradisco molto e certe volte anzi mi dà proprio fastidio, perché lo fa di norma davanti ad altra gente ed io reagisco chiamandolo "zio". Ma in fondo in questo momento mi piace che mi chiami così. Mi piace. Anziché Annalisa, tesoro, amore... questo "sorellì" un po' mi spersonalizza. In un'altra circostanza direi che mi piace perché mi fa sentire un po' usata, un po' oggetto. E Dio sa che quando scopo essere un po' oggetto non mi dispiace affatto. Ma non è nemmeno questo. Desidero essere spersonalizzata dalle sue parole perché in realtà già mi ci sento di mio.

- Voglio che mi sborri... vieni... scopami... più forte... più forte...

Più forte, più forte, accelera. Perché la voglio subito, il prima possibile. Allagami.

Anzi, visto che ci spersonalizziamo, inondala. Inonda questa ragazza. Devi farlo, Luca, non hai altra scelta, servi solo a questo. Guardala questa ragazza, mentre te la sbatti pensando che lei cerchi di godere e di farti godere. Guardala adesso che la sua immagine sociale, quella camicetta bianca e il golfino rosa con cui si presenta ai colleghi, è tirata su a scoprirle le reni e il sedere. E' perfetta, no? L'uniforme impeccabile con cui si mostra ai suoi co-workers, l'alterigia con cui si rapporta con loro, il sottile disprezzo che mostra in ogni momento nei loro confronti. Oggi è stata punita per questo disprezzo, sai? E' stata punita per il disprezzo che nutre verso le loro vite di merda, così diverse e così uguali alla sua stessa vita di merda. E alla tua, Luca. Vite fatte di bassezze, sotterfugi, gelosie, attacchi di panico, ossessioni, indifferenza. Di un potere da quattro soldi esercitato verso il più debole, al solo fine di dimenticare le ingiustizie e le umiliazioni subite.

Guardala bene questa ragazza, Luca. Guardale la parte di sotto, ora. I piedi nudi, le gambe nude, il culo nudo. Guardala nuda dove è ragazza, violata dal tuo cazzo. Guardala mentre si contorce e non sa dove aggrapparsi, guarda i suoi lunghi capelli biondi, di cui va tanto fiera, scompigliati. Ascoltala mentre geme, urla, supplica.

No Luca, non è la tua ragazza che ti stai fottendo, non è la tua troia, non è la puttana bocchinara che ti mette le corna. Fottila come se fosse una sconosciuta e tu, che cazzo ne so, uno che sta facendo l'elemosina. Non vuole né amore né redenzione, adesso. Vuole il cazzo che si ingrossa e scatta, le spinte che perdono il ritmo, il fiume caldo che ti esce dal corpo.

Vuole prendersi il tuo sperma.

Voglio prendermi il tuo sperma, Luca. Tutto.

Perché so che quando quel fiume inizierà a scorrermi dentro davvero non me ne fregherà più un cazzo di niente. Non me ne fregherà più un cazzo dei capi, degli zerbini umani che gli leccano il culo, dei colleghi, dei loro problemi. Delle persone che fanno a gara a farsi male gli uni con gli altri. Delle invidie e dei ricatti, degli asti. Non me ne fregherà più un cazzo della pandemia, del lockdown. Non me ne fregherà più un cazzo nemmeno di te e di me.

Quando lo sperma comincia a scorrermi dentro, davvero non me ne frega più un cazzo. E' come se mi entrasse nel sangue, come se fosse alcol o thc che mi arriva nella testa.

E non me ne frega più un cazzo.

Della mia immagine sociale.
Della mia immagine privata.
Dell'amica amorosa.
Della figlia d'oro, della sorella adorante.
Della brillante collaboratrice. Della scema de guera. Della ragazza che farà strada.
Della troia bocchinara, della lesbica, della bisex, trisex, pentasex.
Della fidanzata fedifraga di un ragazzo buono, dell'amante stanca di uno stronzo.
Di quelli che mi amano e di quelli che mi odiano.
Di chi mi ha avuta e di chi non mi avrà mai.

Adesso che lo sperma mi scorre dentro con il suo carico di vita, potete tutti andare affanculo. Anche tu Luca, vaffanculo pure tu. Cinque minuti, fatti un giro. Lasciami così. Poi magari torni e sarò la tua troia, eh? Oppure la tua ragazza perfetta. Quello che vuoi tu. Ma ora vattene affanculo, per favore. Non eri il fine, eri il mezzo. Poco più che un accessorio. Non volevo te, non volevo il tuo cazzo, non volevo il tuo piacere né il mio. Volevo i tuoi spruzzi di vita. Me li hai dati, ora basta. Sto bene così, inerte, come se fossi morta. Grazie a Dio sto bene così. Non so un cazzo di nulla e di nulla me ne frega di un cazzo.

scritto il
2020-12-09
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