Jap Story - Switch
di
RunningRiot
genere
etero
(ma leggete prima "Firenze, Santa Maria Novella" e "Venere di Botticelli", by Yuko)
Pazzesco, davvero pazzesco come basti un gesto, a volte, una semplice carezza.
Ero convinta di averla in pugno. Anzi, l'avevo in pugno. Scese dal treno sì, dovevo ancora riprendermi un pochino, è vero. Più che altro per l'incidente della macchia sul cavallo dei miei pantaloni. Cose che possono capitare, se fai un sogno erotico. E, soprattutto, se non hai nulla sotto. Nulla che una giacca non potesse coprire, comunque. La tipica aria puzzolente delle stazioni mi aveva però rimessa in sesto, come uno schiaffone. Avevo ripreso in mano la situazione.
- Viè 'n po' qua... - le avevo detto bloccandola mentre camminavamo verso l'uscita.
Yuko si era girata, quasi spaurita, sicuramente sorpresa dal mio tono deciso, imperativo. Il replay del bacio sul marciapiede della Stazione Centrale di Milano, forse ancora più cinematografico. Lei inerte tra le mie braccia, le tette quasi stampate sulle mie. Mi ha seguita senza fiatare quando l'ho presa per mano, avviandoci verso l'uscita di Santa Maria Novella. Direxione tassi. No, volevo dire: direzione taxi (mi è uscito buffamente scritto così, non l'ho corretto).
- Ma non è vicino? - ha chiesto timidamente.
- Non tanto... e comunque non mi va di camminare.
Ho detto al tassista che cercavo un albergo dalle parti di Ponte Vecchio ma che non ricordavo il nome. Me ne ha proposti tre, di cui due da tutt'altra parte. Ma guarda questo che si mette a fare il procacciatore... Gli ho detto "non fa nulla, ci lasci sul lungotevere il più vicino possibile". "Lungarno...", mi ha corretto lui. "Sì, lungarno", gli ho risposto pensando subito dopo " testa di cazzo".
Non penso che l'uomo si sia accorto di nulla, ma io sì. Ero accanto a lei. Yuko si è sbottonata i jeans e ha tirato giù la zip. Mi ha preso la mano, se l'è portata lì. Non è che ci volesse molto a capire, e del resto non è che la sottoscritta non sia mai stata sditalinata in un taxi. Magari ero ubriaca, o fatta, magari tornavo a una discoteca. Magari erano le quattro di notte e l'autista era più tollerante di fronte al miagolio impastato di una zoccola in minigonna che diceva ridendo "no, dai". Ma in pieno giorno, obiettivamente, mai. L'ho guardata intensamente. Aveva gli occhi supplicanti e si sforzava di non ansimare troppo. Ma erano gli occhi, ripeto. Davvero, mai visto occhi implorare così. Ho coperto tutto con la sua giacca, quella che fino a un momento prima copriva la chiazza sui miei pantaloni. Ho infilato la mano sentendola sussultare silenziosamente. L'elastico delle mutandine, poi i peli del pube così strani per me in una ragazza. Il suo piccolo sasso assolutamente percepibile sotto il polpastrello. L'ho vista scattare impercettibilmente, voltare il viso verso la strada, reclinare un po' la testa all'indietro e chiudere gli occhi. In quella posizione non era facile, con i jeans così stretti. Ma ho cercato di andare più giù. L'ho sentita morbida, calda, fradicia. Sicuramente aperta, anche se ho potuto penetrarla pochissimo. Continuavo a guardarla e lei lo sapeva, nonostante continuasse a tenere gli occhi chiusi. Tremava.
Ho tolto il dito, me lo sono portato lentamente alla bocca mentre vedevo tutto il suo corpo rilassarsi. Ho succhiato il suo sapore. "Ora sei mia, non avrai più controllo né volontà, sarai una schiava, peggio di una schiava, ti farò urlare pietà... pietà per averne e pietà per smettere di averne, ti farò conoscere il vero significato della parola godere". Non gliel'ho detto, è ovvio. L'ho pensato nel mio delirio. Ma ero certa che lei sapesse. Che fosse come le avessi parlato.
Siamo scese dal taxi, l'ho trascinata per le stradine finché non ho riconosciuto l'albergo. Siamo entrate a chiedere se ci fosse una stanza libera. A conti fatti, abbiamo anche avuto culo a trovarne una. Sapevo che era improbabile, impossibile. Ma mi sarebbe piaciuto se alla reception mi avessero riconosciuta. Mi sarebbe piaciuto se avessero pensato "prima l'americano poi la giapponese, non si fa mancare nulla sta puttana". Ero così su di giri che avrei detto loro sorridendo "sì, è così".
Poi è successo. Non so come, ma è successo. Chi lo sa perché. Una carezza sulla schiena. Una leggera, piccola, dolce carezza sulla schiena. Un gesto di affetto e basta. Assolutamente priva persino di quella piccola pressione che ti comunica una urgenza. Una carezza, mi verrebbe da dire, più al mio maglioncino di cotone celeste che alla mia schiena.
Ho avvertito la scossa, il brivido. Se n'è accorto persino il tipo dell'albergo mentre mi restituiva la carta di identità: "Si sente bene signorina?". "S-sì...", ho risposto cominciando a sudare freddo.
Pazzesco, davvero pazzesco come basti un gesto, a volte, una semplice carezza.
Yuko continua a seguirmi docilmente. Come un animale domato. Forse attende il mio assalto già nell'ascensore. Ma l'animale non è più lei, sono diventata io. Una femmina di mammifero sotto attacco, una preda. Per chissà quale intreccio di destini, congiunzioni astrali, magie, quella carezza sulla schiena è stata lo switch. Il passaggio, la deviazione, lo scambio. Non so nemmeno come faccio ad aprire la porta della stanza. O meglio, lo so. Ma non saprei descriverlo. Dentro mi sembra che tutto sia avvolto in una luce più forte e più bianca di quella che davvero c'è fuori.
Mi volto verso di lei, tutte e due in piedi, l'una di fronte all'altra. Yuko mi guarda come una che attende disposizioni. Ma non sono più in grado di dare disposizioni a nessuno. Non ho nessun tipo di intimo, nemmeno i fantasmini. Mi scalcio le sneakers e rimango con i piedi nudi sulla moquette. Poi il maglioncino, poi finalmente i pantaloni. Come una lingua, l'aria sfiora la mia fregna bagnata e schiusa. Un altro brivido, più forte di tutti quelli che ho avuto sinora. So che sarebbe molto spettacolare lasciarmi cadere sul letto. Nuda, i capelli svolazzanti, le cosce spalancate che sbrilluccicano in mezzo. Con un sorriso radioso e le braccia protese in un invito. Sarebbe una cosa da film. Ma in realtà non riesco a fare un cazzo. Le gambe mi tremano e ho la vista un po' appannata. Parlo a fatica.
- Yuko - le sussurro - fammi tutto, ma proprio tutto tutto tutto quello che vuoi.
Pazzesco, davvero pazzesco come basti un gesto, a volte, una semplice carezza.
Ero convinta di averla in pugno. Anzi, l'avevo in pugno. Scese dal treno sì, dovevo ancora riprendermi un pochino, è vero. Più che altro per l'incidente della macchia sul cavallo dei miei pantaloni. Cose che possono capitare, se fai un sogno erotico. E, soprattutto, se non hai nulla sotto. Nulla che una giacca non potesse coprire, comunque. La tipica aria puzzolente delle stazioni mi aveva però rimessa in sesto, come uno schiaffone. Avevo ripreso in mano la situazione.
- Viè 'n po' qua... - le avevo detto bloccandola mentre camminavamo verso l'uscita.
Yuko si era girata, quasi spaurita, sicuramente sorpresa dal mio tono deciso, imperativo. Il replay del bacio sul marciapiede della Stazione Centrale di Milano, forse ancora più cinematografico. Lei inerte tra le mie braccia, le tette quasi stampate sulle mie. Mi ha seguita senza fiatare quando l'ho presa per mano, avviandoci verso l'uscita di Santa Maria Novella. Direxione tassi. No, volevo dire: direzione taxi (mi è uscito buffamente scritto così, non l'ho corretto).
- Ma non è vicino? - ha chiesto timidamente.
- Non tanto... e comunque non mi va di camminare.
Ho detto al tassista che cercavo un albergo dalle parti di Ponte Vecchio ma che non ricordavo il nome. Me ne ha proposti tre, di cui due da tutt'altra parte. Ma guarda questo che si mette a fare il procacciatore... Gli ho detto "non fa nulla, ci lasci sul lungotevere il più vicino possibile". "Lungarno...", mi ha corretto lui. "Sì, lungarno", gli ho risposto pensando subito dopo " testa di cazzo".
Non penso che l'uomo si sia accorto di nulla, ma io sì. Ero accanto a lei. Yuko si è sbottonata i jeans e ha tirato giù la zip. Mi ha preso la mano, se l'è portata lì. Non è che ci volesse molto a capire, e del resto non è che la sottoscritta non sia mai stata sditalinata in un taxi. Magari ero ubriaca, o fatta, magari tornavo a una discoteca. Magari erano le quattro di notte e l'autista era più tollerante di fronte al miagolio impastato di una zoccola in minigonna che diceva ridendo "no, dai". Ma in pieno giorno, obiettivamente, mai. L'ho guardata intensamente. Aveva gli occhi supplicanti e si sforzava di non ansimare troppo. Ma erano gli occhi, ripeto. Davvero, mai visto occhi implorare così. Ho coperto tutto con la sua giacca, quella che fino a un momento prima copriva la chiazza sui miei pantaloni. Ho infilato la mano sentendola sussultare silenziosamente. L'elastico delle mutandine, poi i peli del pube così strani per me in una ragazza. Il suo piccolo sasso assolutamente percepibile sotto il polpastrello. L'ho vista scattare impercettibilmente, voltare il viso verso la strada, reclinare un po' la testa all'indietro e chiudere gli occhi. In quella posizione non era facile, con i jeans così stretti. Ma ho cercato di andare più giù. L'ho sentita morbida, calda, fradicia. Sicuramente aperta, anche se ho potuto penetrarla pochissimo. Continuavo a guardarla e lei lo sapeva, nonostante continuasse a tenere gli occhi chiusi. Tremava.
Ho tolto il dito, me lo sono portato lentamente alla bocca mentre vedevo tutto il suo corpo rilassarsi. Ho succhiato il suo sapore. "Ora sei mia, non avrai più controllo né volontà, sarai una schiava, peggio di una schiava, ti farò urlare pietà... pietà per averne e pietà per smettere di averne, ti farò conoscere il vero significato della parola godere". Non gliel'ho detto, è ovvio. L'ho pensato nel mio delirio. Ma ero certa che lei sapesse. Che fosse come le avessi parlato.
Siamo scese dal taxi, l'ho trascinata per le stradine finché non ho riconosciuto l'albergo. Siamo entrate a chiedere se ci fosse una stanza libera. A conti fatti, abbiamo anche avuto culo a trovarne una. Sapevo che era improbabile, impossibile. Ma mi sarebbe piaciuto se alla reception mi avessero riconosciuta. Mi sarebbe piaciuto se avessero pensato "prima l'americano poi la giapponese, non si fa mancare nulla sta puttana". Ero così su di giri che avrei detto loro sorridendo "sì, è così".
Poi è successo. Non so come, ma è successo. Chi lo sa perché. Una carezza sulla schiena. Una leggera, piccola, dolce carezza sulla schiena. Un gesto di affetto e basta. Assolutamente priva persino di quella piccola pressione che ti comunica una urgenza. Una carezza, mi verrebbe da dire, più al mio maglioncino di cotone celeste che alla mia schiena.
Ho avvertito la scossa, il brivido. Se n'è accorto persino il tipo dell'albergo mentre mi restituiva la carta di identità: "Si sente bene signorina?". "S-sì...", ho risposto cominciando a sudare freddo.
Pazzesco, davvero pazzesco come basti un gesto, a volte, una semplice carezza.
Yuko continua a seguirmi docilmente. Come un animale domato. Forse attende il mio assalto già nell'ascensore. Ma l'animale non è più lei, sono diventata io. Una femmina di mammifero sotto attacco, una preda. Per chissà quale intreccio di destini, congiunzioni astrali, magie, quella carezza sulla schiena è stata lo switch. Il passaggio, la deviazione, lo scambio. Non so nemmeno come faccio ad aprire la porta della stanza. O meglio, lo so. Ma non saprei descriverlo. Dentro mi sembra che tutto sia avvolto in una luce più forte e più bianca di quella che davvero c'è fuori.
Mi volto verso di lei, tutte e due in piedi, l'una di fronte all'altra. Yuko mi guarda come una che attende disposizioni. Ma non sono più in grado di dare disposizioni a nessuno. Non ho nessun tipo di intimo, nemmeno i fantasmini. Mi scalcio le sneakers e rimango con i piedi nudi sulla moquette. Poi il maglioncino, poi finalmente i pantaloni. Come una lingua, l'aria sfiora la mia fregna bagnata e schiusa. Un altro brivido, più forte di tutti quelli che ho avuto sinora. So che sarebbe molto spettacolare lasciarmi cadere sul letto. Nuda, i capelli svolazzanti, le cosce spalancate che sbrilluccicano in mezzo. Con un sorriso radioso e le braccia protese in un invito. Sarebbe una cosa da film. Ma in realtà non riesco a fare un cazzo. Le gambe mi tremano e ho la vista un po' appannata. Parlo a fatica.
- Yuko - le sussurro - fammi tutto, ma proprio tutto tutto tutto quello che vuoi.
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