Jap Story - Hentai

di
genere
etero

La odio cazzo. Ma cosa le viene in mente di svegliarmi? Ma perché?
Non lo capisce come sto? Non se lo immagina? Apro gli occhi e la guardo. Nonostante abbia la vista ancora annebbiata mi sembra fresca come una rosa, sta occhi a mandorla del cazzo. Ma lasciami, no? Vabbè, lo ammetto, se mi sorride in quel modo mi rende molto ben disposta nei suoi confronti, è chiaro. Che trucco del cazzo, come faccio ad arrabbiarmi ora? Come faccio a mandarla affanculo? Mi ha sorriso così stanotte quando… ok, sì dopo che l’ho fatta godere. Mi ha sorriso così quando è ritornata in sé, o forse non era nemmeno del tutto ritornata in sé ma mi ha sorriso lo stesso. Il sorriso più bianco e più bello del mondo. Ma mica era merito del suo dentista, eh? E nemmeno della mamma che l’ha fatta. Era merito mio, interamente.

Due volte me la sono scopata, stanotte. Ma quanto cazzo grida strano! Sì d’accordo, anche io faccio una lagna insopportabile, è vero, ma lei sembra proprio che pianga. Prima piange e poi, bum, quel sorriso. Due volte, me la sono scopata due volte così. Una ficata pazzesca, d’accordo. Ma lei? Quante volte mi si è ripassata? Venti? Cento? Un milione? Metti che siano state un milione di volte, no? Ecco, almeno novecentomila avrei voluto urlare “basta, basta, non ne posso più!”. Non ce l’ho fatta a fermarla, è vero. E se non ce l’ho fatta è perché era troppo bello per chiederle di fermarsi. Questo non significa però che non mi abbia distrutta.

“Andiamo capelli gialli, o ci perdiamo il meglio di Firenze”, mi dice. Sai che cazzo me ne frega a me del bello di Firenze. Non posso rimanere qui, che so, un altro secolo? No, evidentemente non posso. Mi prende per una mano e mi tira su dal letto. Cazzo, ma dove la trova questa la forza? Faccio “uuuhrgh” sentendo tutti i muscoli che protestano. Faccio “ahia” mettendomi a sedere, perché quel suo modo non solo di leccarmi ma anche di infilarmi le dita front and back qualche postumo lo lascia. Senza contare i postumi che Pigi mi ha lasciato… quando? Ventiquattrore fa? Già, ma che cazzo di ore sono?

Mezzogiorno e ventitre, dice il telefono. Cazzo, avremo finito di scopare all’alba… A quanto mi ricordo, con la sua lingua infilata nella bocca e le dita nella mia vagina. Forse mi toccava pure le tette. Cioè, è l’ultima cosa che ricordo, devo essermi addormentata così. Ma non ci metterei la mano sul fuoco.

Ora, a parte la doccia che un minimo mi rimette al mondo e mi fa ricordare come mi chiamo e cosa ci faccio qui, il problema è: cosa cazzo mi metto addosso? Non è che posso uscire dall’albergo con quello squarcio sul culo dei pantaloni.

- Dobbiamo cercare un posto per comprarmi qualcosa, dei leggings… - le dico.

- Perché? – domanda.

Ma cosa cazzo “perché?”, ma come “perché?”, come cazzo pretende che vada in giro? Come se la domanda gliel’avessi fatta realmente, mi indica la divisa da scolaretta giapponese: la blusa bianca alla marinaretta, la gonna blu plissettata, il fiocco.

- Nooo… caaaazzooo… un’altra volta vestita da deficiente nooo…

- Non c’è altro, non vorrai uscire nuda – risponde secca – e comunque non è previsto che tu ti rifiuti.

- E perché non è previsto? E poi mi servono anche delle mutande e un reggiseno – protesto.

- Perché? – domanda con lo stesso tono sorpreso di prima.

- Ancora? Ma come perché?

- Non è nemmeno previsto che tu indossi intimo, sai? Prendila come una piccola punizione per stanotte, anzi è solo l’inizio…

- Cazzo significa, Yuko? Che vuol dire che è solo l’inizio? Che ho fatto?

- Non ti ricordi? – domanda.

- Non ricordo una beata minchia – rispondo un po’ interdetta.

- La parola giusta – mi fa ironica – non ti ricordi che a un certo punto hai detto “oddio che voglia di cazzo”? Non è stato bello sentirselo dire mentre…

- Mentre?

- Mentre ti scopavo! E’ vero che sarà stata la quarta volta di fila che venivi, però… ne hai dette di tutte i colori…

- Oddio… io non mi rendo conto mai di quello che dico…

- Eh… l’ho capito… Hai detto “oddio come vorrei che avessi un cazzo” e quando ti ho fatto notare che ne sono sprovvista hai cominciato a vaneggiare. A proposito, bella fantasia, eh?

- Oh no…

- Oh sì, invece. Hai detto che sono una giapponese del cazzo e che allora dovevo scoparti con il Samsung. Ma a parte il fatto che è poco pratico, cara la mia occhi azzurri, quello sarebbe coreano, anzi lo è. Allora hai chiesto un Toshiba soundbar, esagerata… e poi volevi la katana, anzi il fodero di una katana… dicevi “come cazzo è che non hai una katana? Non hai visto Kill Bill? Tutti i giapponesi hanno una katana, quando cazzo è che siete diventati pacifisti?”. Dicevi robe di questo tipo… Strillavi, eh? Mi sa che in albergo ti hanno sentita… vabbè, non solo per quello.

- Una Toshiba soundbar? – le faccio – come cazzo mi è venuta in mente?

- Invece farsi venire in mente il fodero di una katana è normale… beh, adesso ti becchi una punizione.

- E sarebbe? – domando un po’ allarmata.

- Sarebbe che oggi sei il personaggio di un Hentai, hai la divisa adatta.

- Ma sei matta? – le dico – dovrei andare in giro vestita come in un porno-manga?

- Mica solo andare in giro… - ridacchia lei.

Qui accade qualcosa di strano, perché sono assolutamente sincera quando le faccio “Yuko, no”. Qualche secondo dopo, invece, dico l’opposto: “Va bene Yuko, ok, tutto quello che vuoi”. E sono sincera allo stesso modo di prima. Nel mezzo ci sono state le sue parole (“Oh, invece sì”) e soprattutto il suo dito infilato nella mia vagina. Senza un bacio né un abbraccio. Semplicemente il suo dito e il suo sguardo fisso nel mio. E’ un blitz, il suo, una guerra-lampo chirurgica e vittoriosa. Difficile spiegarvi quanto mi senta così succube in questo momento. E non sono nemmeno sicura che lei si renda conto di quanto profondamente si sia impossessata di me. Per un attimo penso anche che mi abbia assoggettata rifilandomi qualche altra sostanza. Ieri la ketamina, oggi chissà… Ma in definitiva, ripeto, sono così presa che non me ne frega un cazzo di saperlo.

Perciò ok, mi vesto come una deficiente ancora una volta e scendiamo per le strade di Firenze. All’inizio mi sento molto osservata, soprattutto al mercato dove ci sediamo a mangiare un panino. Dopo un po’ non me ne frega un cazzo nemmeno di questo. Mentre girovaghiamo come due semplici turiste per musei e per Palazzo Vecchio, Yuko parla poco. Perlopiù impartisce direttive. Mi tratta davvero come se fossi una ragazzina al seguito e io accetto di buon grado. Anzi no, che cazzo dico. Non accetto di buon grado, ne sono quasi entusiasta.

Quando poi mi fa “adesso vediamo come organizzare la serata”, sfoderando un sorrisetto ironico, da una parte mi prende una eccitata agitazione, dall’altra è come se gli eventi cominciassero a correre, a susseguirsi a una velocità cui non riesco a stare dietro.

La vedo mettere mano al telefono e chiamare Leone, il suo amico pediatra. Si allontana intimandomi di restare in piedi accanto a una coppia di anziani turisti stranieri schiantati su una panchina. Guardano un po’ straniti questa biondina inopinatamente vestita alla marinara proprio mentre un refolo di vento si insinua sotto la gonna e mi ricorda che non indosso le mutandine. Basterebbe già questo a scaldarmi, ma è l’espressione di Yuko nel momento in cui ritorna e mi annuncia trionfante “tutto fatto” che mi provoca una contrazione e un attacco di calore immediato. Per un attimo temo davvero che tra un po’ sarà chiaro al mondo che ho cominciato a colare tra le gambe. Dopo qualche secondo me ne frego anche di questo e mi lascio trascinare via presa per mano dalla nipponica. Così, al seguito. Mi sento davvero il personaggio di un Hentai e la cosa comincia a piacermi parecchio. Nel senso che mi diverte, ok, ma soprattutto nel senso che mi eccita. E non è nemmeno eccitazione sessuale, nonostante quello che voi possiate pensare. Quello che mi fa andare proprio fuori come un balcone è l’idea che lei disponga di me. Mi verrebbe da dirle va bene, occhi a mandorla, è chiaro che insieme al dito mi hai infilato nella fica anche un microchip o qualcosa del genere, ma il controllo remoto dove lo nascondi? In borsa? O direttamente nel cervello? E questo lo penso nei rari momenti di, diciamo così, lucidità. Capite come sto messa, no?

Senza nemmeno rendermene conto finiamo in un teatro. L’ingresso è davvero minuscolo. I cartelloni ai lati dell’entrata danno per stasera una rappresentazione il cui nome non mi dice nulla. Non ci vengono chiesti i soldi per il biglietto ma i nostri nomi, che vengono spuntati da un elenco fatto di molti fogli. Entriamo ed è un casino. Sedute a guardare lo spettacolo ci sono davvero poche persone, in platea invece gironzola un sacco di gente a cui della pièce evidentemente non frega un cazzo. Ma quelli cui sembra fregare ancora meno sono gli attori sul palcoscenico. Li osserviamo per cinque minuti, io e Yuko, e sembrano capitati lì per caso. Se lo fanno apposta non lo so – se sì sono davvero bravi – ma si aggirano senza combinare apparentemente nulla, intervallando lunghissimi silenzi a battute insensate. Ogni tanto qualcuno domanda all’altro “cos’è che devo dire ora?”.

Un tipo si avvicina e chiede a Yuko “siete voi le amiche di Leone?”, lei fa cenno di sì con la testa. Si chiama Sebastiano, non è molto in là con gli anni, una quarantina forse, ma direi che li porta male, soprattutto in viso. Il resto, a parte un accenno di pancia, è più o meno ok, diciamo normale. Mi colpiscono gli occhi un po’ acquosi e i capelli lunghi e disordinati tra i quali i fili bianchi cominciano a farsi notare.

- E’ lei – dice Yuko indicandomi.

- Però! Bella troietta… stasera ci divertiamo – dice Sebastiano dopo avermi squadrata.

- Eh? – dico io.

- Da questo momento sei sua.

- Dai che stasera ci divertiamo.

- Ma che cazzo dite?

Il giro è lo stesso. Yuko, l’uomo, io. Guardo interrogativa la figlia del Sol levante, lei mi fa cenno con la testa di andare con lui. “No, un momento, che cazzo succede?”, faccio a tutti e due. La jap risponde “molto semplice, tesoro, farai tutto quello che vuole lui, è chiaro?”. Senza dire una parola lei mi si para davanti, a meno di venti centimetri, mi guarda dritta negli occhi. Basta questo, reagisco e protesto ma dentro di me so già come andrà a finire. “Ma Yuko… e tu?”, piagnucolo. “Io sono qui, non preoccuparti”. Piagnucolo ancora e le dico “ma che cazzo… a me non va di fare…”. La giapponese mi interrompe ridendo: “Fare cosa? Ma che ti credi? Ahahahahahah”.

Non so perché ma, se da un lato so che seguirò le sue disposizioni, dall’altro non mi sento molto tranquilla. Si rivolge a Sebastiano dicendogli “una cosa soft, vero?”. “Molto soft”, la tranquillizza lui. “Non se la scopa nessuno, nemmeno tu”, chiarisce occhi a mandorla. “E’ chiaro”, risponde il tipo. Mi prende per mano e mi porta via che sto ancora piagnucolando. Tira fuori un cannone e se lo accende proprio sotto il cartello “vietato fumare”, poi me lo passa. Do due tiri e glielo porgo, lui mi fa “è tutto per te, aspettami qui”. Torna con un bicchierino e mi dice “bevi”. E’ whisky, mi lamento dicendogli che il whisky non mi piace. Dice “bevi lo stesso”. Eseguo. Il fuoco mi esplode nello stomaco, Sebastiano aspetta che finisca il cannone e mi strattona via tenendomi per mano. Ho la testa che comincia a girare e sulle gambe non sono proprio saldissima.

Mentre ci dirigiamo verso il palco un uomo ci ferma e saluta Sebastiano. “Ciao Seb, è lei?”. Lui risponde “uh-uh”. L’altro gli fa “allora ti dispiace se ne approfitto subito? Tra un po’ devo andare”. Sebastiano gli risponde “ma prego” e meno di un secondo dopo sento la mano dell’uomo che si infila sotto la gonna e indugia sul mio sedere nudo, a lungo. Me lo accarezza e basta, io sono paralizzata dalla sorpresa e non riesco a guardare in faccia nessuno dei due. Il tizio ritira la mano e fa a Sebastiano “tanta roba”, tira fuori una banconota da venti euro e gliela porge. Poi si avvia verso una donna che avrà più o meno la stessa età di Sebastiano e una faccia da troia vera, le scopre i seni tirandole giù le spalline del vestito da sera. Lo sento dire “sbrighiamoci che mi è venuto duro” mentre si allontana.

E’ stato tutto così rapido che non ho avuto non dico il tempo di reagire ma nemmeno quello di farmi un’idea. Guardo Sebastiano, devo avere la faccia di una che è stata appena teletrasportata su Plutone. “Venti euro per una tastata, se poi qualcuno ti vuole sculacciare sono dieci euro a sculaccione. Se ti vogliono toccare la figa sono cinquanta euro”, dice. La spiegazione finisce qui. Il giro per la platea, condotta come se fossi al guinzaglio, frutta un bel po’ di mani sul culo a me e un bel po’ di banconote a lui. In due mi piazzano una mano tra le gambe (scaldandomi un po’, ammetto). Il primo che vuole sculacciarmi, invece, decide di investire cento euro. Si siede, mi mette sulle sue ginocchia come una bambina cattiva e mi scopre il sedere. Alla sesta-settima manata comincio e strillare per il dolore, alla decima ho le chiappe che vanno a fuoco. Sebastiano mi rialza in piedi, mette una mano sotto la gonna e me lo accarezza. Poi mi infila un dito nella fica. Entra facile, sono bagnata da morire. E aperta. Mi irrigidisco ma al tempo stesso comincio a miagolare. Il mio sculacciatore gli fa “ehi, quanto vuoi per questo?”, lui risponde “certe cose posso farle solo io”. Dopo un po’ mi molla. Diciamo un attimo dopo avere superato il punto di non ritorno, il punto in cui mi verrebbe da implorarlo di non smettere. Mi prende e mi trascina sul lato del palco, dietro il tendone del sipario. Dalla platea nessuno ci può vedere, ma gli attori sì, siamo a pochi metri da loro. Se lo tira fuori. Avermi sditalinata deve avere avuto qualche effetto anche su di lui, perché è già abbastanza in allerta. Cerca di spingermi giù mettendomi le mani sulle spalle. Gli lancio un “ehi” di protesta cercando di divincolarmi. Mi fa “dai bella troietta, succhia, ricordi che ha detto la tua puttana giapponese?”. Con il pollice indica un punto dietro di me, mi volto e mi accorgo di Yuko che ci osserva serafica, a braccia conserte. “Ma lei aveva detto…”, “aveva detto che ‘un ti si scopa, bimba, ora prendimelo in bocca”. “Ma qui ci vedono tutti!”, piagnucolo ancora con lo sguardo rivolto agli attori. “Non ci bada nessuno”, risponde Sebastiano. Stavolta mi schianta giù e me lo offre direttamente sulle labbra. Stavolta obbedisco. Non ha un gran cazzo e non dura nemmeno tanto. Però mi scarica in bocca una quantità di sperma notevole. Come è notevole la voglia di maschio che sento salirmi dentro quando assaggio il suo sapore. Magari se il maschio in questione non fosse lui sarebbe meglio, ma lui è quello che ho davanti. Mi domanda “ingoiato?”. Gli rispondo di sì e mi metto a pulirlo per bene, con una dedizione maggiore rispetto a quella che avevo mentre glielo succhiavo. Gli strappo un “che puttana” di cristallina ammirazione. Quando ho finito mi volto per cercare Yuko, ma lei non c’è più.

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scritto il
2020-12-15
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