Espiazione
di
Moebius61
genere
dominazione
Il grosso portone di legno della cantina cigolò sommessamente al mio entrare svelandomi i suoi lunghi anni di servizio e la vetustà dei suoi cardini.
Con gentilezza lo ritrassi dietro me e feci scattare la chiave nella polverosa toppa, un “clack” secco accompagnò il mio gesto e rassicurò il mio animo.
Ero al sicuro ora, nessuno nel convento mi aveva notato entrare.
Mi voltai nell’ampio ma buio ambiente sgranando gli occhi per trovare ciò che desideravo, ciò che sapevo esservi, con una stretta calda che mi premeva il basso ventre e un’emozione che mi tagliava il respiro.
Quasi a tastoni girai nella prima stanza, tra vecchi mobili accatastati e botti oramai inutilizzabili, antiche panche, ragnatele e seggiole spagliate seguivo quel filo leggero di luce che proveniva dall’altra stanza e insicuro mi guidava.
Sotto la bassa volta di sasso che delimitava gli ambienti mi fermai trattenendo il respiro, sbirciando quasi di nascosto la seconda stanza e il leggero bagliore che filtrava dal vetro polveroso di una finestrella che dava sulle mura esterne.
Lei era lì e come promesso mi attendeva.
Il debole cono di luce non riusciva a spazzare via il buio dell’ambiente ma era sufficiente ad illuminare l’oggetto del mio desiderio, e anzi lo valorizzava come punto luce sol a lei dedicato.
Lei che proprio al centro del locale era in attesa, prona su un vecchio inginocchiatoio di legno, le braccia posate sul basso bordo, le mani giunte in preghiera, il capo reclinato su di esse e il fondo schiena posto alto e invitante grazie a degli utili cuscini sotto le ginocchia.
Suor Anna sussultò appena al mio lieve tossire di avviso, ma non si mosse.
La tunica nera la copriva cadendo verso il basso e modellandone la schiena e i glutei, il velo ne nascondeva il viso senza sopire il suo respiro profondo e dalla veste uscivano solo i suoi piedi nudi e bianchi, in netto contrasto con le austere vesti.
Mi avvicinai lentamente e girai intorno a lei senza parlare, ascoltando solo i battiti del mio cuore la guardavo immobile e indifesa attendere le mie mosse mentre mi beavo della sua apparente sottomissione.
Allungai una mano a sfiorarne i piedi, a scivolare lungo le piante solleticandola e poi sotto la tunica piano piano, senza alzarla e senza nulla scoprire, scivolando lungo le caviglie e i polpacci e su per le cosce fino alla loro unione, a tastare il crescere di calore.
Sfiorandola mi gustavo i suoi brividi, la sua pelle d’oca e il suo respiro in crescere, mentre le mie dita arrivavano insinuandosi fin sotto le mutandine e carezzandone il culo, prima una chiappa e poi l’altra, poi a piene mani tutte e due e slargandole con forza prima di ritrarmi veloce.
Lei ferma attendeva mentre io mi denudavo per poi spostarmi davanti a lei aprendole appena le sue mani giunte davanti al viso, quel tanto che bastava per introdurmi bollente e poi richiuderle intorno al mio gonfio desiderio, al mio cazzo che ora sporgeva davanti al suo viso, alla sua bocca.
E tra le sue dita scivolava in un ritmato e lento avanti/indietro.
Il calore delle sue mani ancora stampato sui glutei e l’irrefrenabile voglia di dare soddisfazione con le dita a quell’increscioso liquido lago che la bagnava tra le cosce si sommavano ora a quell’afrore che le riempiva le narici e al socchiuder degli occhi vergognosa per spiare quel che spuntava tra le sue mani a mò di fiore osceno, quella cappella gonfia e pulsante che le bruciava i palmi e spariva e riappariva minacciosa a pochi centimetri dalle sue labbra.
“Apro la bocca e lo assaggio” - pensava suor Anna persa tra mille emozioni – “un attimo solo per gustarne il sapore, per leccare via quell’oscena goccia di piacere che spunta sulla vetta di quel che palpita caldo tra le mie dita” – poi l’imbarazzo la sovrastava eguale alla consapevolezza d’essere solo una “cosa” da altrui giocare.
E questo la rincuorava e l’eccitava ulteriormente: un corpo ed un’anima totalmente succubi ai desideri ed al piacere di lui, senza nulla dover fare se non subire, senza nulla di cui vergognarsi se non il proprio piacere difficile da dissimulare.
Le presi il viso tra le mani sfilandomi dalle sue e la fissai un attimo solo, quello sguardo combattuto tra il guardarmi o chiudere gli occhi mi affascinava mentre mi godevo il suo turbamento alla vista della mia mano che volgare mi masturbava.
Raccolsi con un dito quella goccia argentea di voglia che bagnava la mia cappella e la porsi filamentosa davanti alla sua bocca: “Succhiala” – ordinai – un anticipo del mio sapore”.
Le labbra si schiusero obbedienti e la lingua ne fece capolino, vi posai il mio dito consentendole di succhiarlo ad occhi chiusi mentre continuavo a masturbarmi.
Avvicinai il cazzo alla sua bocca e Anna la aprì di nuovo, ma le negai questo piacere e lo ritrassi, posandole poi le mani sulle spalle e iniziando a tirare la sua tunica verso di me, scoprendo man mano la sua nudità mentre piano le ricoprivo la testa con la veste rendendola cieca del mio fare.
Da sopra lei vidi apparire man mano il suo culo svettante alto, la sua schiena inarcata e le sue tette che guardavano ora libere verso il pavimento.
Ne sfiorai i capezzoli mentre le prendevo le braccia rigirandole all’indietro sulla schiena per legarne i polsi con cura, gustandomi l’insieme di quella ricca tavola imbandita e sol per me apparecchiata.
I capezzoli sporgevano a tradire l’eccitazione di Silvia, ancor di più dopo averli tirati/schiacciati tra le dita e le chiappe seminude dalle mutandine in su tirate facevano venire l’acquolina in bocca.
Quasi un peccato il tutto, quasi da punire quell’appetibilità così impudicamente esposta!
“Sei oscena così offerta” – seccamente le dissi – “meriti un’adeguata punizione”… e senza null’altro profferire la prima cinghiata schioccò secca e inaspettata su quel bianco culo così invitante e ora dallo sdegno vibrante.
Il suo corpo fu scosso da un tremore, un lamento risuonò nella penombra e quel culo svettante si ritirasse un’attimo, serrato e offeso.
Ma fu solo un istante e poi si rialzò altezzoso e invitante, aperto e dondolante da movimento d’anche quasi a sfidare la mia ira e a pungolare la mia voglia.
Dedicai all’altra chiappa la mia seconda cinghiata e questa volta non si ritrasse ma ancora dondolò sprezzante, e il nuovo lamento risuonò nelle mie orecchie più come un mugolio leggero infiammandomi ulteriormente i sensi.
Ancora abbattei la cinghia più volte arrossando quelle meraviglie mentre saliva la sicurezza che i suoi gemiti non erano lamenti ma solo piacere.
Mi buttai alle spalle la cintola e carezzai quel culo arrossato.
Un poco, solo per sentirne la pelle vellutata, il calore, per lenirne il dolore, e poi presi a sculacciarla a mani nude redarguendola per il suo godere:
“Allora ti piace essere punita, dillo che ti eccita” – sudato continuavo a sculacciarla con la mente drogata dal gioco – “Castigami di più, battimi ancora, me lo merito” – rispondeva Anna mugolando.
Era troppo, mi fermai e le allargai il culo e le cosce per vedere il suo stato:
il cavallo delle sue mutandine grigie era zuppo di umore, liquido e scostumato, e giù per le cosce scendevano due leggeri rivoli di piacere alla fioca luce scintillanti.
Presi un coltello arrugginito lì vicino dimenticato e le tagliai, strappandole via sgarbato, le rigirai sul palmo e posai le labbra su quella pozza assaggiando ed annusando orgoglioso il frutto del mio operato, poi le liberai il viso dalla tunica forzandole la bocca per infilarci i suoi slip fino a farli sparire, sgridandola e di nuovo ricoprendola.
Tornai dietro di lei non prima di averle liberato le mani, e seduto su una sedia sgangherata mi accesi una sigaretta per gustarmi con calma lo spettacolo offerto ai miei occhi, illuminato dalla fiammella d’una candela utilmente impugnata.
“Ora fammi vedere quel che sai fare” – le intimai – “mostrami tutto quel che offri e fammi vedere come sai usarlo”!
La sua iniziale titubanza fu presto sopita, fu sufficiente fare colare della bianca cera bollente sulle sue bianche estremità, qualche goccia appena sui suoi polpacci e un tremito la percorse lungo tutto il corpo dando improvvisamente vita alle sue braccia.
“Apriti bene, fammi vedere la bontà della tua merce” – le ordinai comodamente seduto davanti a quel palcoscenico, e le sue mani scivolarono sulle natiche, una per ognuna leggere ma decise, aprendole alla mia libidine.
Mi sporsi per bearmi del tutto avvicinando la fiammella cerata, le sue grandi labbra ora aperte ma in parte ancora appiccicate dal suo umore mostravano quel lucido fiore nascosto, e quella piccola rugata bocca posta poco sopra pulsava invitante e quasi si schiudeva.
Anna fremeva nel buio cui obbligata, con la bocca piena delle sue insaporite mutandine a renderla muta e le guance viola dalla vergogna per il desiderio che la infiammava.
Per la voglia d’essere violata e appagata.
“Toccami, leccami, violentami” – gli avrebbe urlato – “fai quel che vuoi ma fammi qualcosa, qualunque cosa” – pensava mentre ancor di più si slargava, inerme e nuda come non mai.
Ma le rispondeva solo il silenzio e un improvviso calore liquido aggiunto alla sua voglia: il gocciolare in mezzo al culo della saliva del suo boia.
D’impulso le sue dita andarono a cercarla e scivolarono con lei su quelle bocche affamate procurandole nuovi brividi, la mano destra prese il possesso della sua figa da sotto la pancia, aprendola e martoriandone il clitoride.
Lui la lasciò fare per un poco, poi le spinse le dita all’ingresso di quel succoso fiore ed estasiato le guardò sparire tra un sciacquio rumoroso.
Prima una, solitaria, in breve due, perse in un lento frugare ed in un ritmato entrare.
Poi più nessuna.
Lui le aveva sfilate e avviluppate tra le labbra, succhiando via quel perlato liquido che le ricopriva e bagnando nella sua bocca altre dita sin’ora inutilizzate.
La lingua di lui che improvvisamente prese possesso del suo ano cercando di violarlo le fece perdere le ultime remore, riempì la sua figa di quanto più dita poteva masturbandola lasciva e tremando/mugolando trascinata dalle onde del piacere si abbandonò ad un intenso orgasmo.
Un breve rilassamento dopo lo sfogo, dopo il piacere, la bocca aperta a cercare aria e ancora qualche tremito che lento si sopiva, poi quel calore improvviso tra le cosce, sulle labbra aperte.
Lui vi si era poggiato bollente stuzzicandola su e giù con il cazzo, sul grilletto e poi risalendo lungo le labbra, era fuoco solido che la rifaceva perdere e bagnare.
Una mano a schiacciare quel cazzo contro lei, a strusciarlo lungo tutto il taglio soffermandosi dove più scivolava a rischio di cadervi dentro, e l’altra mano persa a frugarla più sopra, in quel bocciolo sempre più indifeso, sempre più curioso d’esser violato.
Dall’alto la saliva cadeva precisa mentre le di lei difese venivan meno, aprendosi ai giochi altrui e agevolandoli, rilassandosi e lasciandosi violare dallo sconosciuto piacere.
Poi inaspettato fu tutto dentro e subito immobile, in un colpo solo l’aveva davanti penetrata.
Suor Anna sentiva le palle contro le cosce e il suo bacino contro le natiche, riempita completamente da quella cosa pulsante, a bocca spalancata attendeva invano d’esser scopata.
Ma le dita di lui erano ancor curiose e si accanivano nell’angusto pertugio, tastando dal suo interno il proprio cazzo davanti impiantato.
Il pollice della mano destra vi scivolava come nel burro fuso, presto accompagnato dal fratello della sinistra, e poi un comune affondare e dilatare per altre ancora accogliere e esagerare.
Anna stava impazzendo e roteava i fianchi per meglio sentirlo dentro, con le pareti della figa lo strizzava per eccitarlo ancora e quell’altrove curiosare era già delizia e voglia di provare.
Lui altrettanto era come drogato dal tutto a disposizione, come un bimbo felice per i regali aperti sotto l’albero di Natale in tutti eccitato si perdeva, e tutti voleva provare.
Finalmente lui si mosse, arretrò il bacino sfilando piano il cazzo dal fondo del di lei calore.
Quasi tutto sin fino all’imboccatura, per gustarne il nettare scivoloso che lo ricopriva, poi lo affondò violento con un secco colpo di reni che la lasciò senza fiato iniziando una folle cavalcata dentro e fuori di lei.
Anna gemeva senza ritegno godendosi quell’atteso momento, quella lancia bollente che la penetrava su e giù sempre più veloce, accompagnata da quel frugare continuo nel suo didietro che quasi le faceva desiderare un secondo uomo in contemporanea.
Poi pentita della sua cupidigia scacciava imbarazzata il pensiero e si lasciava travolgere dalla scopata in atto, cercando di contenere al meglio gli affondi senza cadere e lasciando salire dal più profondo un’altra ondata di piacere.
Come un maglio lui continuava ad affondarle dentro, a sbatterla violento godendosi dall’alto gli scuotimenti delle sue chiappe a ogni colpo inferto.
I pollici fermamente affondati nel suo culo sempre più generoso e il gemere di Anna in crescere lo facevano sballare.
Lei inizio presto a tremare, a uggiolare e a sbattersi all’indietro al ritmo e contro quel cazzo che la faceva godere… e si lasciò andare al piacere quasi lasciandosi cadere, zuppa di sudore e priva di forze, con la figa palpitante e gonfia.
Il suo boia chiuse gli occhi mordendosi la lingua, stringendo forte il cazzo alla base per fare arretrare quel magma che da dentro spingeva.
“Non ancora, no” – disse.
Si sfilò da quel fradicio fiore che lo aveva avviluppato, mangiato, guardando il suo pulsare e cercando di riprendere fiato, lucidità e possesso del gioco.
Con fare misericordioso le passò davanti donandole di nuovo la luce, le liberò la testa dalla tonaca e delicatamente le aprì la bocca liberandola dalle mutandine che la intasavano.
Ormai solo un pezzo di stoffa indistinto e privo di forma, completamente impregnato di saliva e dei suoi precedenti umori.
Lei seguiva ogni suo movimento con occhi adoranti, ma senza parlare perché non ancora le era concesso.
Le permise anche di stirare le braccia, la schiena, le ginocchia e amorevolmente, riposizionandola, le prese il viso tra le mani cercando il suo sguardo appagato e carezzandone le labbra con i pollici.
Gliele forzò leggero passando le dita sui suoi denti e facendole aprire la bocca, con una mano stretta sul suo mento e l’altra sulla testa la teneva spalancata facendole colare dall’alto la sua saliva sulla lingua che lei aveva prontamente sporto dalle labbra.
Poi ad ogni goccia la lasciava e lei diligente deglutiva riaprendo immediatamente la bocca bramosa.
“Vedo che sei riarsa” – le sussurrò ironico – “tormentata dalla sete” – sentenziò poggiandole sulla lingua la punta del cazzo ora semigonfio e di lei impregnato.
Il tempo appena di gustarlo tra le labbra, di avvolgerlo e leccarlo un poco, che la sua gola fu colpita da un getto liquido inaspettato, caldo e salato, che la colse impreparata.
Aprì la bocca tossendo forte e tutto spruzzando via.
Poi si ricompose dispiaciuta e con la lingua fuori attese quello che quel cazzo davanti al viso le voleva fare.
Il secondo getto di pioggia la colpì sul naso e poi sulla guancia, prima di correggere il tiro e di riempirle la bocca colandone fuori dai lati, per poi dedicarsi preciso ad annaffiare le sue tette dondolanti.
E “lui” si stava di nuovo gonfiando minaccioso davanti ai suoi occhi.
Un ultimo getto le ricolmò la bocca mentre lui con i pollici inseriti ai lati la teneva spalancata, un attimo veloce, prima di affondarvi tutto dentro.
Il suo cazzo finì di crescere tra le sue labbra, nello sciacquio indistinto di quella bocca si inalberò felice e cominciò a usarla come fosse una figa.
Le mani sulla testa a imprimerle il ritmo e il bacino a spingere, a scoparla sino a soffocarla.
Lo sfilò fuori di colpo davanti a quegli occhi delusi, a quella bocca che forse voleva definitivamente berlo, e con un chiodo fisso nella testa tornò alle sue terga di nuovo spiandole
Manesco le strizzai allargandole a dismisura e immergendo la lingua in quel voglioso culo così dilatato, in quella piccola bocca che si apriva invitandomi ad entrare dentro di se accogliendo la mia lingua come anticipo di promessa.
Diventavo matto a scivolarle così dentro il culo, a leccarla così osceno, ad assaporarla a fondo facendo colare da quel pacciugo creato la mia saliva subito sotto, dove gli altrui sensi si risvegliavano e dove le mie dita già infierivano.
Mi alzai gonfio di insana voglia e posizionai Suor Anna a mio piacere, saggiai per l’ultima volta la sua cedevolezza e puntai la cappella sull’obbiettivo introducendola senza alcuna fatica, cedevole quanto goloso si era prontamente allargato, avvolgendomi e accompagnandomi dentro di se.
Il sospiro di rimando fu ammissione di resa totale, e non dovetti neanche affondare perché il suo rinculare fu subito dispotico e arrogante.
Sol mi limitai quindi ad osservare quel corpo che mi mangiava, quel culo in cui sguazzavo senza difficoltà e quel mugolare sguaiato che il tutto celebrava.
Mi posizionai a fondo, fermo immobile a gustarmi quello’osceno spettacolo, presi la candela resistendo alla voglia di cavalcarlo e la feci gocciolare sul sopra delle sue natiche, sulla sua schiena.
Ad ogni colata bollente corrispondevano tremiti e strizzate di cazzo, mentre le sue dita si erano rimpossessate del grilletto e lo molestavano violente.
Era giunto il momento di lasciarsi andare, le palle mi dolevano gonfie e bisognose di scaricare e il cazzo mi pulsava quasi dolorosamente, immerso in quel culo spettacolare.
Lo sfilai tutto per gustarmi quello “stappare” e prima che quella bocca si richiudesse la ri-violai a fondo iniziando a galoppare ad occhi chiusi, guidato solo dai suoi gemiti ora finalmente liberi e sibillini.
Non ci volle molto, né per lei né per me.
Accellerai i colpi in sincronia con i suoi tremiti e la condussi a nuovo piacere, finalmente lasciandomi invadere anche dal mio:
il primo spruzzo lo donai al suo culo, sfilandomi poi immediato e finendo di sciogliermi dentro la sua figa che non rifiutò lo scambio.
Dentro di lei mi rimpicciolii e esausto mi sfilai, inginocchiandomi poi davanti ai suoi tremiti, guardando affascinato quella piccola bocca così torturata e quel succo bianco che gocciolava fuori dalla sua figa.
Lo raccolsi sulla lingua più che potei, a bocca spalancata, per condividerlo con la sua, per fargli assaggiare il frutto delle sue fatiche.
Quel convento che da anni mi accoglieva come giardiniere e factotum ora aveva assunto diversa connotazione, non più solo casa sicura ma anche giardino delle meraviglie.
Con gentilezza lo ritrassi dietro me e feci scattare la chiave nella polverosa toppa, un “clack” secco accompagnò il mio gesto e rassicurò il mio animo.
Ero al sicuro ora, nessuno nel convento mi aveva notato entrare.
Mi voltai nell’ampio ma buio ambiente sgranando gli occhi per trovare ciò che desideravo, ciò che sapevo esservi, con una stretta calda che mi premeva il basso ventre e un’emozione che mi tagliava il respiro.
Quasi a tastoni girai nella prima stanza, tra vecchi mobili accatastati e botti oramai inutilizzabili, antiche panche, ragnatele e seggiole spagliate seguivo quel filo leggero di luce che proveniva dall’altra stanza e insicuro mi guidava.
Sotto la bassa volta di sasso che delimitava gli ambienti mi fermai trattenendo il respiro, sbirciando quasi di nascosto la seconda stanza e il leggero bagliore che filtrava dal vetro polveroso di una finestrella che dava sulle mura esterne.
Lei era lì e come promesso mi attendeva.
Il debole cono di luce non riusciva a spazzare via il buio dell’ambiente ma era sufficiente ad illuminare l’oggetto del mio desiderio, e anzi lo valorizzava come punto luce sol a lei dedicato.
Lei che proprio al centro del locale era in attesa, prona su un vecchio inginocchiatoio di legno, le braccia posate sul basso bordo, le mani giunte in preghiera, il capo reclinato su di esse e il fondo schiena posto alto e invitante grazie a degli utili cuscini sotto le ginocchia.
Suor Anna sussultò appena al mio lieve tossire di avviso, ma non si mosse.
La tunica nera la copriva cadendo verso il basso e modellandone la schiena e i glutei, il velo ne nascondeva il viso senza sopire il suo respiro profondo e dalla veste uscivano solo i suoi piedi nudi e bianchi, in netto contrasto con le austere vesti.
Mi avvicinai lentamente e girai intorno a lei senza parlare, ascoltando solo i battiti del mio cuore la guardavo immobile e indifesa attendere le mie mosse mentre mi beavo della sua apparente sottomissione.
Allungai una mano a sfiorarne i piedi, a scivolare lungo le piante solleticandola e poi sotto la tunica piano piano, senza alzarla e senza nulla scoprire, scivolando lungo le caviglie e i polpacci e su per le cosce fino alla loro unione, a tastare il crescere di calore.
Sfiorandola mi gustavo i suoi brividi, la sua pelle d’oca e il suo respiro in crescere, mentre le mie dita arrivavano insinuandosi fin sotto le mutandine e carezzandone il culo, prima una chiappa e poi l’altra, poi a piene mani tutte e due e slargandole con forza prima di ritrarmi veloce.
Lei ferma attendeva mentre io mi denudavo per poi spostarmi davanti a lei aprendole appena le sue mani giunte davanti al viso, quel tanto che bastava per introdurmi bollente e poi richiuderle intorno al mio gonfio desiderio, al mio cazzo che ora sporgeva davanti al suo viso, alla sua bocca.
E tra le sue dita scivolava in un ritmato e lento avanti/indietro.
Il calore delle sue mani ancora stampato sui glutei e l’irrefrenabile voglia di dare soddisfazione con le dita a quell’increscioso liquido lago che la bagnava tra le cosce si sommavano ora a quell’afrore che le riempiva le narici e al socchiuder degli occhi vergognosa per spiare quel che spuntava tra le sue mani a mò di fiore osceno, quella cappella gonfia e pulsante che le bruciava i palmi e spariva e riappariva minacciosa a pochi centimetri dalle sue labbra.
“Apro la bocca e lo assaggio” - pensava suor Anna persa tra mille emozioni – “un attimo solo per gustarne il sapore, per leccare via quell’oscena goccia di piacere che spunta sulla vetta di quel che palpita caldo tra le mie dita” – poi l’imbarazzo la sovrastava eguale alla consapevolezza d’essere solo una “cosa” da altrui giocare.
E questo la rincuorava e l’eccitava ulteriormente: un corpo ed un’anima totalmente succubi ai desideri ed al piacere di lui, senza nulla dover fare se non subire, senza nulla di cui vergognarsi se non il proprio piacere difficile da dissimulare.
Le presi il viso tra le mani sfilandomi dalle sue e la fissai un attimo solo, quello sguardo combattuto tra il guardarmi o chiudere gli occhi mi affascinava mentre mi godevo il suo turbamento alla vista della mia mano che volgare mi masturbava.
Raccolsi con un dito quella goccia argentea di voglia che bagnava la mia cappella e la porsi filamentosa davanti alla sua bocca: “Succhiala” – ordinai – un anticipo del mio sapore”.
Le labbra si schiusero obbedienti e la lingua ne fece capolino, vi posai il mio dito consentendole di succhiarlo ad occhi chiusi mentre continuavo a masturbarmi.
Avvicinai il cazzo alla sua bocca e Anna la aprì di nuovo, ma le negai questo piacere e lo ritrassi, posandole poi le mani sulle spalle e iniziando a tirare la sua tunica verso di me, scoprendo man mano la sua nudità mentre piano le ricoprivo la testa con la veste rendendola cieca del mio fare.
Da sopra lei vidi apparire man mano il suo culo svettante alto, la sua schiena inarcata e le sue tette che guardavano ora libere verso il pavimento.
Ne sfiorai i capezzoli mentre le prendevo le braccia rigirandole all’indietro sulla schiena per legarne i polsi con cura, gustandomi l’insieme di quella ricca tavola imbandita e sol per me apparecchiata.
I capezzoli sporgevano a tradire l’eccitazione di Silvia, ancor di più dopo averli tirati/schiacciati tra le dita e le chiappe seminude dalle mutandine in su tirate facevano venire l’acquolina in bocca.
Quasi un peccato il tutto, quasi da punire quell’appetibilità così impudicamente esposta!
“Sei oscena così offerta” – seccamente le dissi – “meriti un’adeguata punizione”… e senza null’altro profferire la prima cinghiata schioccò secca e inaspettata su quel bianco culo così invitante e ora dallo sdegno vibrante.
Il suo corpo fu scosso da un tremore, un lamento risuonò nella penombra e quel culo svettante si ritirasse un’attimo, serrato e offeso.
Ma fu solo un istante e poi si rialzò altezzoso e invitante, aperto e dondolante da movimento d’anche quasi a sfidare la mia ira e a pungolare la mia voglia.
Dedicai all’altra chiappa la mia seconda cinghiata e questa volta non si ritrasse ma ancora dondolò sprezzante, e il nuovo lamento risuonò nelle mie orecchie più come un mugolio leggero infiammandomi ulteriormente i sensi.
Ancora abbattei la cinghia più volte arrossando quelle meraviglie mentre saliva la sicurezza che i suoi gemiti non erano lamenti ma solo piacere.
Mi buttai alle spalle la cintola e carezzai quel culo arrossato.
Un poco, solo per sentirne la pelle vellutata, il calore, per lenirne il dolore, e poi presi a sculacciarla a mani nude redarguendola per il suo godere:
“Allora ti piace essere punita, dillo che ti eccita” – sudato continuavo a sculacciarla con la mente drogata dal gioco – “Castigami di più, battimi ancora, me lo merito” – rispondeva Anna mugolando.
Era troppo, mi fermai e le allargai il culo e le cosce per vedere il suo stato:
il cavallo delle sue mutandine grigie era zuppo di umore, liquido e scostumato, e giù per le cosce scendevano due leggeri rivoli di piacere alla fioca luce scintillanti.
Presi un coltello arrugginito lì vicino dimenticato e le tagliai, strappandole via sgarbato, le rigirai sul palmo e posai le labbra su quella pozza assaggiando ed annusando orgoglioso il frutto del mio operato, poi le liberai il viso dalla tunica forzandole la bocca per infilarci i suoi slip fino a farli sparire, sgridandola e di nuovo ricoprendola.
Tornai dietro di lei non prima di averle liberato le mani, e seduto su una sedia sgangherata mi accesi una sigaretta per gustarmi con calma lo spettacolo offerto ai miei occhi, illuminato dalla fiammella d’una candela utilmente impugnata.
“Ora fammi vedere quel che sai fare” – le intimai – “mostrami tutto quel che offri e fammi vedere come sai usarlo”!
La sua iniziale titubanza fu presto sopita, fu sufficiente fare colare della bianca cera bollente sulle sue bianche estremità, qualche goccia appena sui suoi polpacci e un tremito la percorse lungo tutto il corpo dando improvvisamente vita alle sue braccia.
“Apriti bene, fammi vedere la bontà della tua merce” – le ordinai comodamente seduto davanti a quel palcoscenico, e le sue mani scivolarono sulle natiche, una per ognuna leggere ma decise, aprendole alla mia libidine.
Mi sporsi per bearmi del tutto avvicinando la fiammella cerata, le sue grandi labbra ora aperte ma in parte ancora appiccicate dal suo umore mostravano quel lucido fiore nascosto, e quella piccola rugata bocca posta poco sopra pulsava invitante e quasi si schiudeva.
Anna fremeva nel buio cui obbligata, con la bocca piena delle sue insaporite mutandine a renderla muta e le guance viola dalla vergogna per il desiderio che la infiammava.
Per la voglia d’essere violata e appagata.
“Toccami, leccami, violentami” – gli avrebbe urlato – “fai quel che vuoi ma fammi qualcosa, qualunque cosa” – pensava mentre ancor di più si slargava, inerme e nuda come non mai.
Ma le rispondeva solo il silenzio e un improvviso calore liquido aggiunto alla sua voglia: il gocciolare in mezzo al culo della saliva del suo boia.
D’impulso le sue dita andarono a cercarla e scivolarono con lei su quelle bocche affamate procurandole nuovi brividi, la mano destra prese il possesso della sua figa da sotto la pancia, aprendola e martoriandone il clitoride.
Lui la lasciò fare per un poco, poi le spinse le dita all’ingresso di quel succoso fiore ed estasiato le guardò sparire tra un sciacquio rumoroso.
Prima una, solitaria, in breve due, perse in un lento frugare ed in un ritmato entrare.
Poi più nessuna.
Lui le aveva sfilate e avviluppate tra le labbra, succhiando via quel perlato liquido che le ricopriva e bagnando nella sua bocca altre dita sin’ora inutilizzate.
La lingua di lui che improvvisamente prese possesso del suo ano cercando di violarlo le fece perdere le ultime remore, riempì la sua figa di quanto più dita poteva masturbandola lasciva e tremando/mugolando trascinata dalle onde del piacere si abbandonò ad un intenso orgasmo.
Un breve rilassamento dopo lo sfogo, dopo il piacere, la bocca aperta a cercare aria e ancora qualche tremito che lento si sopiva, poi quel calore improvviso tra le cosce, sulle labbra aperte.
Lui vi si era poggiato bollente stuzzicandola su e giù con il cazzo, sul grilletto e poi risalendo lungo le labbra, era fuoco solido che la rifaceva perdere e bagnare.
Una mano a schiacciare quel cazzo contro lei, a strusciarlo lungo tutto il taglio soffermandosi dove più scivolava a rischio di cadervi dentro, e l’altra mano persa a frugarla più sopra, in quel bocciolo sempre più indifeso, sempre più curioso d’esser violato.
Dall’alto la saliva cadeva precisa mentre le di lei difese venivan meno, aprendosi ai giochi altrui e agevolandoli, rilassandosi e lasciandosi violare dallo sconosciuto piacere.
Poi inaspettato fu tutto dentro e subito immobile, in un colpo solo l’aveva davanti penetrata.
Suor Anna sentiva le palle contro le cosce e il suo bacino contro le natiche, riempita completamente da quella cosa pulsante, a bocca spalancata attendeva invano d’esser scopata.
Ma le dita di lui erano ancor curiose e si accanivano nell’angusto pertugio, tastando dal suo interno il proprio cazzo davanti impiantato.
Il pollice della mano destra vi scivolava come nel burro fuso, presto accompagnato dal fratello della sinistra, e poi un comune affondare e dilatare per altre ancora accogliere e esagerare.
Anna stava impazzendo e roteava i fianchi per meglio sentirlo dentro, con le pareti della figa lo strizzava per eccitarlo ancora e quell’altrove curiosare era già delizia e voglia di provare.
Lui altrettanto era come drogato dal tutto a disposizione, come un bimbo felice per i regali aperti sotto l’albero di Natale in tutti eccitato si perdeva, e tutti voleva provare.
Finalmente lui si mosse, arretrò il bacino sfilando piano il cazzo dal fondo del di lei calore.
Quasi tutto sin fino all’imboccatura, per gustarne il nettare scivoloso che lo ricopriva, poi lo affondò violento con un secco colpo di reni che la lasciò senza fiato iniziando una folle cavalcata dentro e fuori di lei.
Anna gemeva senza ritegno godendosi quell’atteso momento, quella lancia bollente che la penetrava su e giù sempre più veloce, accompagnata da quel frugare continuo nel suo didietro che quasi le faceva desiderare un secondo uomo in contemporanea.
Poi pentita della sua cupidigia scacciava imbarazzata il pensiero e si lasciava travolgere dalla scopata in atto, cercando di contenere al meglio gli affondi senza cadere e lasciando salire dal più profondo un’altra ondata di piacere.
Come un maglio lui continuava ad affondarle dentro, a sbatterla violento godendosi dall’alto gli scuotimenti delle sue chiappe a ogni colpo inferto.
I pollici fermamente affondati nel suo culo sempre più generoso e il gemere di Anna in crescere lo facevano sballare.
Lei inizio presto a tremare, a uggiolare e a sbattersi all’indietro al ritmo e contro quel cazzo che la faceva godere… e si lasciò andare al piacere quasi lasciandosi cadere, zuppa di sudore e priva di forze, con la figa palpitante e gonfia.
Il suo boia chiuse gli occhi mordendosi la lingua, stringendo forte il cazzo alla base per fare arretrare quel magma che da dentro spingeva.
“Non ancora, no” – disse.
Si sfilò da quel fradicio fiore che lo aveva avviluppato, mangiato, guardando il suo pulsare e cercando di riprendere fiato, lucidità e possesso del gioco.
Con fare misericordioso le passò davanti donandole di nuovo la luce, le liberò la testa dalla tonaca e delicatamente le aprì la bocca liberandola dalle mutandine che la intasavano.
Ormai solo un pezzo di stoffa indistinto e privo di forma, completamente impregnato di saliva e dei suoi precedenti umori.
Lei seguiva ogni suo movimento con occhi adoranti, ma senza parlare perché non ancora le era concesso.
Le permise anche di stirare le braccia, la schiena, le ginocchia e amorevolmente, riposizionandola, le prese il viso tra le mani cercando il suo sguardo appagato e carezzandone le labbra con i pollici.
Gliele forzò leggero passando le dita sui suoi denti e facendole aprire la bocca, con una mano stretta sul suo mento e l’altra sulla testa la teneva spalancata facendole colare dall’alto la sua saliva sulla lingua che lei aveva prontamente sporto dalle labbra.
Poi ad ogni goccia la lasciava e lei diligente deglutiva riaprendo immediatamente la bocca bramosa.
“Vedo che sei riarsa” – le sussurrò ironico – “tormentata dalla sete” – sentenziò poggiandole sulla lingua la punta del cazzo ora semigonfio e di lei impregnato.
Il tempo appena di gustarlo tra le labbra, di avvolgerlo e leccarlo un poco, che la sua gola fu colpita da un getto liquido inaspettato, caldo e salato, che la colse impreparata.
Aprì la bocca tossendo forte e tutto spruzzando via.
Poi si ricompose dispiaciuta e con la lingua fuori attese quello che quel cazzo davanti al viso le voleva fare.
Il secondo getto di pioggia la colpì sul naso e poi sulla guancia, prima di correggere il tiro e di riempirle la bocca colandone fuori dai lati, per poi dedicarsi preciso ad annaffiare le sue tette dondolanti.
E “lui” si stava di nuovo gonfiando minaccioso davanti ai suoi occhi.
Un ultimo getto le ricolmò la bocca mentre lui con i pollici inseriti ai lati la teneva spalancata, un attimo veloce, prima di affondarvi tutto dentro.
Il suo cazzo finì di crescere tra le sue labbra, nello sciacquio indistinto di quella bocca si inalberò felice e cominciò a usarla come fosse una figa.
Le mani sulla testa a imprimerle il ritmo e il bacino a spingere, a scoparla sino a soffocarla.
Lo sfilò fuori di colpo davanti a quegli occhi delusi, a quella bocca che forse voleva definitivamente berlo, e con un chiodo fisso nella testa tornò alle sue terga di nuovo spiandole
Manesco le strizzai allargandole a dismisura e immergendo la lingua in quel voglioso culo così dilatato, in quella piccola bocca che si apriva invitandomi ad entrare dentro di se accogliendo la mia lingua come anticipo di promessa.
Diventavo matto a scivolarle così dentro il culo, a leccarla così osceno, ad assaporarla a fondo facendo colare da quel pacciugo creato la mia saliva subito sotto, dove gli altrui sensi si risvegliavano e dove le mie dita già infierivano.
Mi alzai gonfio di insana voglia e posizionai Suor Anna a mio piacere, saggiai per l’ultima volta la sua cedevolezza e puntai la cappella sull’obbiettivo introducendola senza alcuna fatica, cedevole quanto goloso si era prontamente allargato, avvolgendomi e accompagnandomi dentro di se.
Il sospiro di rimando fu ammissione di resa totale, e non dovetti neanche affondare perché il suo rinculare fu subito dispotico e arrogante.
Sol mi limitai quindi ad osservare quel corpo che mi mangiava, quel culo in cui sguazzavo senza difficoltà e quel mugolare sguaiato che il tutto celebrava.
Mi posizionai a fondo, fermo immobile a gustarmi quello’osceno spettacolo, presi la candela resistendo alla voglia di cavalcarlo e la feci gocciolare sul sopra delle sue natiche, sulla sua schiena.
Ad ogni colata bollente corrispondevano tremiti e strizzate di cazzo, mentre le sue dita si erano rimpossessate del grilletto e lo molestavano violente.
Era giunto il momento di lasciarsi andare, le palle mi dolevano gonfie e bisognose di scaricare e il cazzo mi pulsava quasi dolorosamente, immerso in quel culo spettacolare.
Lo sfilai tutto per gustarmi quello “stappare” e prima che quella bocca si richiudesse la ri-violai a fondo iniziando a galoppare ad occhi chiusi, guidato solo dai suoi gemiti ora finalmente liberi e sibillini.
Non ci volle molto, né per lei né per me.
Accellerai i colpi in sincronia con i suoi tremiti e la condussi a nuovo piacere, finalmente lasciandomi invadere anche dal mio:
il primo spruzzo lo donai al suo culo, sfilandomi poi immediato e finendo di sciogliermi dentro la sua figa che non rifiutò lo scambio.
Dentro di lei mi rimpicciolii e esausto mi sfilai, inginocchiandomi poi davanti ai suoi tremiti, guardando affascinato quella piccola bocca così torturata e quel succo bianco che gocciolava fuori dalla sua figa.
Lo raccolsi sulla lingua più che potei, a bocca spalancata, per condividerlo con la sua, per fargli assaggiare il frutto delle sue fatiche.
Quel convento che da anni mi accoglieva come giardiniere e factotum ora aveva assunto diversa connotazione, non più solo casa sicura ma anche giardino delle meraviglie.
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