Espiazione 2

di
genere
dominazione

Espiazione 2

Uscii quatto quatto dalle cantine lasciandola intenta a ricomporsi, per nulla conscio se fosse solo nel vestiario o anche nella sua mente.
Le immagini del nostro “gioco” appena consumato mi danzavano impazzite davanti agli occhi e i suoi sapori di cui ero pregno continuavano a deliziarmi il palato.
Mi annusavo le dita per respirare ancora i suoi profumi mentre tornavo al parco con sulle spalle il decespugliatore preso nella cantina, ogni tanto domandandomi se per sbaglio avessi esagerato, se mi fossi lasciato prendere la mano dal desiderio e così facendo l’avessi contrariata.
Rimuginavo il tutto nella testa mentre avviato il motore ripulivo un pezzo di muro di cinta invaso dai rovi, ancora perso in lei bisticciavo con quelle lunghe fruste spinose che si difendevano dalla mia lama famelica aggrovigliandola tra le loro spire.
“Spire infide e pericolose come la nostra storia” – mi ritrovai a dirmi ad alta voce – “ma tanto seducenti da perderci la testa, ne più ne meno come nel melodioso gemere della mia seduttrice persa nel mostrarmi il suo lato più oscuro” – e subito il mio basso ventre si riscaldava – “spero proprio di non averla delusa e/o intimorita, ma era talmente eccitante questa volta sottomessa che non sono riuscito a trattenermi” – conclusi sudando su quei rovi ora vinti.

Suor Anna aveva preso i voti da poco tempo, giusto un anno, la ricordo sin dal primo giorno quando entrò nel convento un po’ titubante, alla ricerca di se stessa inizialmente e poi man mano avvolta dall’ambiente e più sicura del suo passo.
La seguivo da lontano fin dal subito già curioso e attirato da lei a sua insaputa, poco o niente conoscendo della sua vita precedente ma creando man mano, forse su suo canovaccio, un sottile legame morboso in crescere, una complicità tanto vietata quanto per questo più eccitante che ci aveva miracolosamente (mi scuso per l’eresia) avviluppato.
Inizialmente furono solo sguardi, saluti rispettosi quando incrociati per caso e poi un crescere leggero di apparente complicità che presto sfociò in disdicevole “ben altro”.

Il parco del convento che curavo era ben ampio e impegnativo, si perdeva addirittura sino ad un piccolo boschetto alla sua estremità destra, con rivolo d’acqua accessoriato.
In quel punto vi trovavo rifugio nel primo pomeriggio estivo, con pranzo a sacco preso in cucina mi concedevo poi una pennichella sotto una volta di giovani amarene, sfuggendo alla calura e riposandomi prima dell’avvio del lavoro pomeridiano.
Le 4 giovani piante avevano creato una piccola grotta aggrovigliandosi tra di loro, le mantenevo tali e al suo interno mi nascondevo dopo cibato per godermi un po’ di frescura sull’erba al loro interno.
Quasi mai nessuno veniva sino lì ma in ogni caso una volta dentro ero sicuro e nascosto da eventuali visite altrui.
“Quasi mai” si, almeno fin prima dell’arrivo di Suor Anna, che nel suo meditare solitario e taciturno a volte si perdeva a passeggiare fino al boschetto, convinta anche lei d’esser sola.
Ne sentii i passi una prima volta rasentare il mio rifugio e la osservai nascosto sedersi sul muretto del rivolo d’acqua, all’ombra degli alberi rimuginava tra se e se leggendo un libricino, un’altra volta mi risvegliai dal pisolo che lei era già là e aspettai ad uscire che tornasse via per non fare scoprire il mio rifugio.
Poi una bel giorno mi regalò ignara uno splendido spettacolo e da quella data lo ammetto, iniziai a sperare nella sua passeggiata fino ora saltuaria.
Quel pomeriggio particolarmente afoso la vide spogliarsi della lunga veste che la ricopriva, un attimo fugace ma intenso alla ricerca della frescura dell’acqua che scorreva sotto di lei, e che forse le aveva causato nel suo bisbigliare liquido uno stimolo non più rinviabile.
Io la seguii con gli occhi da sotto le frasche sdraiato, con il respiro fermo per non rovinare l’attimo, lei si guardò più volte intorno e poi si tolse la tunica restando in mutandine e una maglietta leggera che le metteva in risalto il seno abbondante.
Si inginocchiò e china verso il rivo, mostrandomi così il suo eccitante derrier, si terse con l’acqua fredda il viso, il collo e le braccia, liberando anche i suoi lunghi capelli bruni dal velo.
Poi non paga diede il colpo di grazia al mio turbamento calandosi veloce le braghette accovacciata e lasciando sgorgare da se un lungo e scintillante zampillo dorato che si franse rumoroso nel rigagnolo.
Si asciugò, si rivestì e se ne andò veloce lasciandomi eccitato come un ragazzino alle prime armi, indeciso se darmi pace o resistere al “peccato”.
Il giorno dopo l’attesi inutilmente e mi appisolai, per poi scorgerla al risveglio tornare al convento non prima d’essersi voltata un attimo mentre uscivo dal mio rifugio. Sperai che non mi avesse scorto.

Ripensandoci ora certe schermaglie appaiono infantili e buffe, specialmente da quando abbiamo iniziato a viverci davvero a fondo e senza filtro alcuno, ma provo ancora eccitazione nel riviverle nei miei ricordi.
La sera intravidi suor Anna nel chiostro con delle sue Sorelle e mi parve di scorgerle sul viso un’espressione schernitrice, un leggero increspare delle labbra a formare un sorriso conscio, forse anche malizioso come mi piaceva pensare.
Nei giorni successivi l’attesi ancora seduto nel mio fresco rifugio e lei non mi deluse.
Arrivò e si sedette al solito posto mettendo i piedi nell’acqua, presto smise di leggere e si chinò a bagnare le mani passandole poi sui polpacci e su a salire in contemporanea alla sua veste.
Si bagnava le gambe con cura mostrandole sempre più nude, prima di spostarsi con un salto repentino dall’altra parte del rigagnolo a me ora rivolta, forse per controllare meglio che non venisse giù nessuno dal convento.
Appoggiò la schiena ad un’albero e ri-posò i piedi dentro l’acqua continuando a rinfrescarsi le gambe, ora tenute larghe e con la tunica tirata su intorno ai fianchi.
Dalla mia postazione la spiavo attento cercando di interpretare quel suo sguardo che, almeno apparentemente, fissava il mio verde rifugio.
Quasi inconsapevole la mia mano strusciava sul gonfiore caldo che mi riempiva il basso ventre.
Le sue mani ora solleticavano le bianche cosce su e giù perdendosi a tratti nel loro interno, le gambe sempre più spalancate mi regalavano un’ampia visione delle sue mutandine almeno fino a quando le tolse con lentezza estenuante, alzando il culo e sfilandole dalle gambe ora richiuse.
Le portò un attimo al volto ben ricordo, forse odorandole, poi sempre fissando nella mia direzione allargò di scatto le cosce con un sogghigno di sfida stampato in volto, le sue mani vi corsero nel mezzo a dirigere verso l’alto un lungo zampillo di pipì luminosa, inquietante e apparentemente senza fine.
Ne seguivo l’arco disegnato nell’aria ed il suo infrangersi sull’erba e sul rivo, quando non interrotto brutale dalla sua mano che in mille schizzi luminosi lo infrangeva, lo seguivo fino al suo calare nella sorgente da cui scaturiva, fino al suo spegnersi e tra le cosce gocciolare. E la sete mi prendeva!
Ora la sue dita bagnate erano passate dalla sua bocca, dove minuziosamente assaporate, a torturare la sua figa insieme alle mie che mi avevano spogliato e mi masturbavano senza ritegno.
Nel silenzio del primo pomeriggio riuscivo a sentire il suo mugolare e scorgevo le sue dita strusciarle veloci il grilletto, frugarla poi e sparirvi dentro come forsennate.
Al salire dei suoi gemiti mi si spense la mente e come un’invasato uscii dal mio rifugio segandomi in piedi e fecondando subito il prato con i getti del mio piacere, così osceno, forse volgare non so, ma a lei dedicato.
Tremante me ne stetti lì come uno scemo a guardarla scattare in piedi e fuggire via precipitosa, con le scarpe e le mutandine in mano sparire velocemente nel nulla.
Meditando sull’accaduto cercavo di capire se e quanto danno avessi fatto, senza esimermi però dal passare una mano sull’erba da lei bagnata per portarla al viso ed alla bocca, e indecente assaggiare il suo gusto e il suo profumo, forse ora irrimediabilmente perso.

E la paranoia mi avvolse scontata al suo dileguarsi.

Era già il terzo giorno che lei, suor Anna, aveva smesso di venire nel parco che io curavo, nel mio privato boschetto, e quindi anche di regalarmi quelle splendide visioni e inquietanti emozioni.
Saliva in me la conseguente certezza che lei non sapeva davvero quel giorno della mia presenza là, che non mi avesse stuzzicato apposta dunque, e quindi di aver combinato un bel casino con quella mia uscita plateale.
E se avesse deciso di denunciarmi alla Madre superiora? Sarebbe stato un bel problema visto il tanto mio impegno per conquistarmi la sua fiducia e guadagnarmi il vitto e alloggio dedicato oltre allo stipendio per il mio lavoro.
Certo ero di conseguenza impegnato costante in caso di necessità, ma era un vivere che mi piaceva, perso in un ambiente tranquillo e rilassato che sentivo ormai veramente come casa mia.
In cucina c’era sempre qualcosa di pronto per me mentre le suore mangiavano in refettorio e la mia piccola foresteria nel parco era ormai più comoda e accogliente delle celle delle suore. Un spazioso monolocale con la verandina che mi curavo a tempo perso, inizialmente quasi un rudere abbandonato ma oggi una piacevole casa.
Certo perdere lavoro e ospitalità sarebbe stato un grave danno ma mi rassicurava la tutt’ora cordialità della Madre superiora che continuava a trattarmi in maniera normale, all’oscuro quindi del fattaccio.
Come tutti i giovedì mattina l’avevo anche accompagnata in macchina in paese e attesa dopo il suo girovagare nella chiesa e nel mercato, e nulla mi pareva cambiato, menomale.
La mia suora preferita continuava intanto il suo silenzioso fare come prima, certo negandomi ora quegli sguardi cui ero abituato, mi sarebbe piaciuto parlarle e scusarmi ma non stava bene intrattenersi con loro e quindi attendevo sperando in un suo perdono, o in un suo ripensamento.
E così si era defilato anche il quarto giorno senza una sua visita e dopo aver cenato me ne stavo tranquillo sul dondolo della mia veranda ad ascoltare il frinire delle cicale in attesa d’andare a nanna. Poi una voce mi distrasse dal relax serale; era suor Lucia che reclamava il mio intervento su una cella allagata miseramente. Ahimè, mi toccava.
Passai nelle cantine del convento a prendere la mia cassetta di pronto intervento e seguii l’anziana suora lungo i corridoi, fino alla porta di una cella da cui usciva in effetti acqua lungo il pavimento. E se non andavo errato quella era proprio la cella di chi pensavo io.

Suor Anna mi attendeva, o meglio attendeva l’idraulico che la salvasse, se ne stava seduta sulla sedia con i piedi alti per non bagnarsi.
La salutai rispettoso e mi misi al lavoro sotto il lavandino a cambiare quel flessibile che ci aveva abbandonato creando il problema, chiusi l’acqua principale e mi dedicai al piccolo inconveniente. L’anziana suora aveva altro da fare e ci lasciò soli fidandosi di me e del mio lavoro e dicendomi di chiamarla appena terminato.
Suor Anna era decisamente silenziosa e si mise ad asciugare per terra mentre io accucciato bisticciavo con i tubi del lavandino.
Sentii ad un certo punto chiudere la porta della stanza e subito dopo quella del piccolo bagno dove lavoravo, non ci feci molto caso e proseguii tranquillo seppur un po’ imbarazzato dalla di lei presenza.
Poi un leggero fruscio di vesti dietro le mie spalle e improvvisamente si fece buio.
Posai gli attrezzi cercando con la testa la luce e scoprendo che ero finito sotto la tunica scura della suora, da lei avvolto, il cuore già mi tumultuava mentre cercavo di capire e soprattutto mentre sentivo quel calore vicino al viso.
Suor Anna alzò la veste da suora sul davanti, guardandomi dall’alto e consentendomi di vedere, vedere quindi scioccato che era priva di mutandine e si offriva ai miei occhi, al mio viso, forse anche alla mia bocca.
Appena il tempo di studiare da vicino ciò che avevo finora solo intravisto che una sua mano mi prese la testa e me la schiacciò a lei, tra le sue cosce, contro quel fiore umido e profumato, in quella figa bollente e “vietata”.
Improvvisamente ritornai bambino, goloso di quel cono gelato tanto desiderato da succhiare, da assaporare, da fare sciogliere, deglutire e ben gustare. E dentro lei mi persi guidato ora professionalmente da tutte e due le sue mani.
Lei cercava un piacere immediato visto il rischio del momento e io mi beavo del suo sapore e del suo miele profumato che leccavo via a fondo.
Un tempo brevissimo e i suoi tremiti silenziosi si spensero intorno alla mia bocca, le sue mani mi lasciarono la testa, la veste ricadde ordinata e lei sparì via dal bagno riaprendo le porte e lasciandomi per terra a bocca aperta, ancora un breve lasso di tempo e riapparse suor Lucia chiedendomi se avevo finito.
Richiusi la bocca asciugandomi imbarazzato il viso con il dorso della mano e cercai di riassumere un fare professionale e/o più che altro normale, mi girai dando un’ultima stretta alla ghiera e tranquillizzai la suora – “Finito Madre, come nuovo ora” – dissi raccattando i ferri.
Suor Anna non mi salutò neppure e io me ne tornai verso casa, ora ancor più perplesso ma almeno leccandomi eccitato le labbra e, rivolto verso il basso – “Tu stai tranquillo che appena arrivati ci penso io a farti abbassar la testa” – lo tranquillizzai!
scritto il
2021-01-11
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