La latteria di Nonna -1

di
genere
incesti

Gian aveva una nonna che abitava in montagna. Si chiamava Elga, era la madre di suo padre, allevava mucche da latte con il nonno Otis.

Gian aveva molti problemi, non era tanto sveglio e aveva la faccia un po’ da tonto. Quando sua madre morì aveva appena 8 anni. Suo padre non aveva tempo per lui, era un donnaiolo giramondo, non riusciva ad occuparsi di lui a tempo pieno così un giorno salì al paese di nonna Elga. Nonna Elga era vedova da un paio d’anni già. Nonostante fosse una donna ancora molto appetitosa non aveva voluto altri mariti.
Del resto nonno Otis era il miglior marito che si potesse avere: forte, muscoloso, dotato come un toro e sempre pronto a cavalcarla anche dopo una dura giornata di lavoro. Così fino agli ultimi giorni il nonno Otis non aveva mancato di somministrarle il suo favoloso uccello.
Elga aveva 62 anni all’epoca, portava i capelli d’argento a crocchia, gli occhiali e aveva una sesta di reggiseno.
Le sue tette erano qualcosa di favoloso, belle piene e sode, stavano su nonostante l’età, puntavano ancora l’orizzonte nonostante fossero davvero imponenti. Quando si parlava della latteria Bruni, cioè quella di Otis Bruni tutti in realtà pensavano alla latteria che aveva sua moglie.
Ma Elga non aveva solo delle enormi borracce piene di latte, aveva anche un culo sontuoso, e la sua pelle bianca come il latte era liscia, serica come quella di una pesca.
Quel giorno, dicevamo, nonna Elga stava preparando una torta in cucina, indossava il suo solito vestito lungo e bianco, a fiorami, abbastanza attillato da mettere in mostra le sue forme, ma anche comodo per lavorare.
Il padre di Gian bussò forte. Era tale e quale a suo padre, anche se più tarchiato e muscoloso, aveva il collo taurino e uno sguardo duro che metteva soggezione con quella barba.
Quando lo vide nonna Elga se lo abbracciò forte. Gian era poco dietro e vide come suo padre ricambiava il focoso abbraccio di nonna premendo le sue mani sulla carne di lei attraverso il vestito. Quando si lasciarono suo padre aveva una vistosa erezione.
Elga salutò anche Gian che era diverso dal padre perché era pallido e biondo, ma aveva anche lui il collo taurino ed era tarchiatello.
Sedettero in cucina e nonna Elga preparò una merenda. Poi suo padre Antonio disse che dovevano parlare in privato indicando Gian. Nonna lo fece salire di sopra. Passarono alcuni minuti e Gian dal basso sentì dei gemiti e cigolii del letto. Curioso salì le scale e si avvicinò alla porta della camera di nonna. I gemiti salirono di tono e Gian riuscì a sentire anche cosa si dicevano suo padre e sua nonna.
-Non ti darà ohhh alcun fastidio… ahhh anzi ti sarà utile ooh prendi così, daiii.
-ohhh devi darmi più soldi ah sì così, ohhh ancora più grosso di quello di tuo padre buonanima, ahahahha
-Va bene mamma, ti darò più soldi ahhaha ma ora prendiiiii, sto sborrando…
-ah sì così figlio mio, riempimi tutta così…
Gian si affacciò e fece in tempo a vedere la nonna inginocchiata sul letto con la gonna tirata sulla schiena e il grosso culo bianco nudo con suo padre dietro di lei con i calzoni a mezza asta che estraeva il grosso membro ancora duro ma sgocciolante di sperma dalla fica della nonna.
Ansimando i due scesero dal letto e si ricomposero.
-allora affare fatto, disse suo padre e la nonna annuì.

Gian intanto era ridisceso e li aspettava in cucina.


Antonio gli diede una carezza e un bacio e gli disse di fare il bravo poi andò alla macchina e tirò fuori la valigia con le sue cose e la lasciò davanti alla porta.
Salutò e disse a nonna che sarebbe ripassato fra un mese.

Così iniziò la nuova vita in montagna di Gian.

Per molti anni non successe nulla di ché. Gian imparava a lavorare nella fattoria, a governare gli animali, mungeva le mucche. La sera era molto stanco e non vedeva l’ora di andare a letto. L’unica sua distrazione era spiare nonna mentre faceva il bagno. Si tirava fuori l’uccello che era già fuori misura e se lo menava mentre sua nonna passava la spugna su quelle tettone enormi e bianche.

Quando fece 16 anni la sua vita cambiò perché cominciò a sentire la voglia di infilare quel coso, che nel frattempo era diventato spropositato, in qualunque anfratto umido gli capitasse.
Gian era bassino, appena 1 e 65, era tozzo, collo taurino e non sembrava una cima, che fosse un po’ scemotto e duro di comprendonio era chiaro a tutti. Come era chiaro anche che tra le gambe aveva un portento della natura. Aveva ereditato gli stessi geni del nonno e del padre anch’essi dotati di spropositati uccelli ma il suo li superava sia in lunghezza che in larghezza.
Se infatti l’uccello di nonno Otis aveva raggiunto i 23 cm in erezione e 9 cm di diametro, quello del padre i 27 cm e 10 di diametro, il suo era di ben 32 cm e 12 di diametro, un palo di carne che avrebbe gareggiato con un cavallo.
Non trovando ragazzine con cui soddisfare le proprie voglie Gian cominciò a dedicarsi agli animali da fattoria. Provò a montare una capra ma appena l’animale sentì il suo affare bussare al suo buco scappò dopo avergli mollato dei calci nelle palle.
Scoprì però che le vacche erano più facili perché avevano la vagina più grossa e adatta al suo enorme cazzo, che era più simile a quello di un toro che di un uomo. Così usando lo sgabello per la mungitura riuscì a salire all’altezza giusta e a infilare il suo nerbo durissimo nella cavità della vacca che cominciò a muggire di piacere.
Gian venne 3 volte senza mai perdere l’erezione. La vagina della mucca si contraeva stringendo il suo cazzo. Dopo la terza volta Elga sentì i muggiti, era nel campo e stava strappando le erbacce. Si incuriosì, sembrava che la mucca stesse partorendo. Si avvicinò alla stalla sospettosa. Insieme ai muggiti della mucca che le ricordavano quelli della monta, sentì altri gemiti, umani. Accostò la porta della stalla e vide una cosa che le fece strabuzzare gli occhi.
Suo nipote Gian si stava fottendo la sua mucca Caterina. E a quanto pare a Caterina piaceva, sentiva quell’uccello come aveva sentito quello di Boso, il toro che l’aveva montata lo scorso anno. Restò incantata a vedere quella scena oltraggiosa senza il coraggio di intervenire. Sentì anche un calore al bassoventre. Quella scena la stava eccitando e questo la riempiva di vergogna. Quando vide Gian estrarre la ricca proboscide ancora dura e sgocciolante di sperma sentì che doveva intervenire. Ma si prese qualche istante per valutare meglio l’attrezzo di suo nipote. Cercò di raffrontarlo mentalmente con quello di suo marito buon’anima e di suo figlio ma entrambi difettavano di qualche cm. Quello di suo marito era più corto e meno largo, quello del figlio più corto. A occhio e croce sarà stato almeno 30 cm se non di più, un cazzo da cavallo o da toro visto che era molto largo, specie alla base che terminava con i coglioni più grossi che avesse mai visto in vita sua e ne aveva visti di belli grossi assistendo alle monte.
Dopo aver studiato bene la dotazione sentì il dovere di entrare per redarguire il nipote.
-Cosa diavolo stavi facendo, razza di maiale depravato!!!
Gian divenne rosso e armeggiando in modo goffo tentò di rimettere nei pantaloni quel grosso palo di carne ancora in parziale erezione ma nella manovra l’uccello roteò nell’aria e sparse qualche goccia di sperma attorno colpendo anche nonna Elga un po’ sotto il collo, nell’incavo di quei superbi meloni. La goccia scivolò dentro lasciando una striscia di sborra tra i seni.
Nonna Elga si infuriò, intimò a Gian di rimettersi in ordine e di raggiungerla in cucina che dovevano fare due chiacchiere. Così uscì dalla stalla sbattendo forte la porta di legno perché si capisse che era molto arrabbiata.
Gian si sistemò i pantaloni dopo essersi pulito l’uccello con la maglia. E a capo chino attraversò il cortile per andare a parlare con la nonna.
La nonna lo aspettava in cucina seduta a capotavola. Nell’attesa si era ripulita con le dita dello sperma che era scivolato sui suoi seni. Lo aveva anche assaggiato, trovandolo più gustoso di quello del figlio e consistente come quello di Otis.
-Siediti, gli disse.
Gian si sedette abbastanza vicino. Nonna Elga non poté fare a meno di notare il grosso rigonfiamento dei suoi pantaloni, arrivava quasi a metà coscia. Come non aveva potuto notarlo, prima d’ora?
-Lo sai che quello che stavi facendo è sbagliato? E’ contro natura accoppiarsi con gli animali.
Non devi farlo mai più. Ci sono le ragazze per fare quelle cose. Te ne troverai una che ti piace, la sposerai e farai quelle belle cose per fare i figli.
Gian scosse la testa. Sembrava molto triste.
-Nonna, nessuna mai mi sposerà.
-E per quale ragione?
-Perché sono stupido e poi tutti mi deridono in paese, mi chiamano Cazzo d’asino, il figlio della Iole mi ha detto che nessuna ragazza mi vorrà mai, perché hanno paura che le sventri.
Nonna Elga sorrise perché ricordava ancora la sua prima notte di nozze quando nonno Otis si calò i pantaloni e le sventolò sotto il naso il suo superbo uccello. Ricordò quanto era spaventata delle sue dimensioni e solo dopo 10 minuti già lo implorava di ficcarglielo tutto, fino alle palle e di farglielo sentire in gola. Un po’ si eccito al ricordo, sentì la grossa e polposa fica inumidirsi mentre i capezzoli si indurirono e strusciarono contro la sua camicetta tendendola.
Gli fece una carezza e dolcemente gli disse:
-Non aver paura figliolo, vedrai che tra qualche anno le ragazze faranno a gara per contendersi il tuo… ehm, la tua splendida dote.
-Dici davvero Nonna? O lo dici solo per consolarmi?
-Sono sincera Gian, la natura ti ha provvisto di uno strumento di grande piacere per noi donne.
Gian sentì un brivido di eccitazione nel sentire che sua nonna aveva detto “noi donne”.
-Ora sono troppo piccole per sapere, ma quando saranno più grandi saranno molto curiose di sperimentare misure non convenzionali come le tue.
-Ma nel frattempo cosa dovrei fare? Mi piace da matti ficcarlo, non riesco a essere felice menandomelo come quando ero più piccolo.
Nonna Elga cercò di essere comprensiva e materna, allontanando quella pericolosa e folle idea che le stava frullando in testa sollecitata dai languori del suo corpo in astinenza da cazzo.
-Capisco Gian, ho ignorato per troppo tempo quanto sei cresciuto. Sei cresciuto molto.
Non poté fare a mano di fissargli il pacco mentre pronunciava quelle parole.
-Più che naturale che ti vengano in testa certe voglie…
-E quindi che posso fare, nonna?
Nonna Elga si ammutolì e deglutì. L’idea ora era ben chiara nella sua testa. Era un’idea sbagliata, terribile ma anche seducente. Un’idea che la stava facendo bagnare oltre modo e le stava facendo perdere il senno.
La voce si abbassò e divenne un po’ roca perché stava per dire qualcosa di proibito e sconcio.
-Caro Gian, se proprio senti questa smania incontrollabile la prossima volta lascia stare la mucca e vieni da me, troveremo una soluzione insieme, va bene?
Gli fece una carezza e fuggì in preda a un’eccitazione bestiale mischia a vergogna.

Più tardi dopo che si fu calmata masturbandosi con un cetriolo, e immaginando che quel cetriolo fosse l’uccello del marito buon’anima per la maggior parte del tempo quando non fu quello del figlio e per pochi vergognosi ma appaganti istanti quello del nipote, ripensò a quanto aveva detto.
Rifletté che non si era poi sbilanciata del tutto. Aveva solo invitato il nipote a non montare la mucca e a venire a parlare con lei. Non si era offerta di sostituire la vacca, almeno non in modo esplicito. Volle credere a questo piccolo inganno anche se sapeva che non era così.

Comunque non passò molto tempo che poté provare a se stessa quanto si fosse ingannata circa le sue reali intenzioni.

Il giorno dopo Nonna Elga stava mungendo la vacca Caterina quando Gian entrò nella stalla. Il nipote vide la nonna con le gambe larghe sotto la mucca. Si chinò per vederle meglio le cosce polpose. Vide che non portava le mutande. Aveva una grossa fica con folti peli bianchi.
Gian sentì un formicolio alle palle, il sangue cominciò a intasare i canali ingrossando il suo uccello.
Si avvicinò a nonna e la salutò.
Nonna Elga smise di mungere.
-Hai finito di spaccare la legna?
-Sì nonna.
Gian era senza maglietta e Nonna Elga poteva vedere che era sudato. Aveva il petto muscoloso e possente come quello del padre. Poi gli occhi scivolarono in basso e notò il rigonfiamento.
Era mezzo duro e sembrava pulsare dentro i pantaloni.
-Devi chiedermi qualcosa?
Gian arrossì ed Elga sospettò qualcosa, tanto che cominciò subito a bagnarsi.
-Ieri mi hai detto che se mi viene voglia di montare Caterina devo venire a parlarti.
Elga deglutì.
-Bene figliolo, ora cerchiamo di capire se questa voglia che hai è davvero così incontenibile o puoi in qualche modo reprimerla.
-E come faccio a capirlo?
Elga sorrise, sentì i grossi capezzoli indurirsi.
Gian poteva vedere i grossi meloni di nonna e si sporgeva per vederli meglio attraverso la scollatura del vestito.
-Calati i pantaloni e vediamo la situazione.
Nonna Elga non credette a quello che le era uscito di bocca. Ma ormai il dado era tratto.
Gian ubbidì. Calò i pantaloni lentamente finché il suo uccello che stava rapidamente crescendo saltò fuori di fronte agli occhi stupefatti di nonna Elga. Visto da vicino era ancora più impressionante. Nonna poteva osservare le grosse vene che innervavano quella proboscide enorme, il glande era grosso e massiccio ma proporzionato alle dimensioni del tronco che si allargava alla base raggiungendo dimensioni proibitive per qualsiasi vagina. Era davvero qualcosa di prodigioso. Nonna Elga vide l’abbondante smegma colare dalla cappella, sgocciolava per terra formando una piccola pozza. Elga si chiese se avesse un buon sapore. Si stava bagnando come quando era ragazza sposata da pochi mesi mentre aspettava a letto che suo marito salisse per montarla.
Gian le mise il suo arnese sotto il naso non sapendo bene che fare. Ora era completamente duro in tutti i suoi 32 cm.

(continua)
scritto il
2021-01-11
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