Il pretaccio depravato e la giovane sposina 2
di
don M.
genere
dominazione
La confessione liberatoria eccita anche lei. Le impongo di continuare a confessare ogni pensiero di tradimento e la porca inizia ad elencare tutte le volte che ha immaginato di farsi prendere a novanta gradi, dall’idraulico, appoggiata al lavabo della cucina; o dal macellaio che, rozzo e insanguinato dallo sfasciare carcasse, le tiene divaricate le lunghe e lisce gambe da modella e se la chiava, animalesco, sul bancone freddo della macelleria. Manola è adesso senza freni; se poco prima le dovevo cavare a forza anche le più innocue mancanze, ora non mostra più alcun disagio nel confessare le fantasie più indecenti, perfino quella di diventare l’amante di un prete. Un prete giovane e aitante; di quelli che fanno vedere nei film. A questa confessione trasalisco di sorpresa e l’eccitazione raggiunge il culmine. Non sono certo il bello e fascinoso prete che alberga nelle sue fantasie, sono anzi tutt’altro. Grasso, stempiato, con la faccia da bonaccione ma che sa assumere il grugno da porco quando le voglie più indecenti si insinuano nella testa. Voglio così che questa bella ragazza, con indosso l’elegante abito da sposa, bianco, candido, pulito e impreziosito da pizzi e merletti di finissima fattura, diventi adesso la mia schiava; sottomessa alle mie più oscene fantasie.
Perdo letteralmente la testa per questa bella sposa che, in abito bianco, si confessa nella mia chiesa, sviscerando i suoi pensieri più peccaminosi. Le ordino di sfilarsi il perizoma come una deviata forma di penitenza. Glielo ordino con un tono perentorio, e più che quella di un castigo divino è la paura nel vedermi così esagitato a farla obbedire. Attraverso la grata la vedo piegarsi mentre, con un po’ d’impaccio dovuto al timore di sgualcire il prezioso tessuto, solleva la fasciatura che fa da gonna e dopo aver infilato le mani là sotto, nascondendole alla mia vista, le tira fuori con un minuscolo tessuto nero tra le dita, che fa scorrere lungo le gambe, fino alle caviglie e poi sfilandoselo dai piedi. Mentre la invito a continuare a confessarsi le ordino di passarmelo attraverso la grata. Annuso forte il perizoma della ragazza. È bagnato dei suoi umori. La porca si sta eccitando davvero. La mia metà oscura, la parte oscena e depravata di me è uscita del tutto allo scoperto, davanti a questa ragazza incantevole che suscita voglie indecenti. Mi sollevo la tunica fino alla patta dei pantaloni e frenetico la sbottono, liberando il mio cazzo. Nella casa del signore; nel suo confessionale e nel pieno del sacramento libero la mia verga e la infilo in una fessura allargata della grata. Ordino a Manola di succhiarmelo.
“Ma, padre...”, fa lei scioccata.
“Zitta. Cagna! Succhiamelo...”
Manola, titubante e timorosa, si avvicina. Con gli occhi sgranati fissa la mia asta che come una canna di pistola punta, oscena e pulsante, la sua bocca. Manola si ferma a pochi centimetri dalla mia cappella ed io avverto il suo fiato scivolarmi sulla verga. Attraverso le maglie della grata riesco a scorgere gli occhioni della bella ragazza che rimpallano impazziti tra il mio cazzo svettante e pulsante e la grata, come se cercasse di scorgere i miei occhi per avere conferma della mia volontà.
“Avanti! Succhialo!”, gli intimo con tono perentorio. “Devi mostrare al tuo dio cosa immaginavi di tanto osceno e peccaminoso in quella testa così malata. Succhiamelo. Puttana!”
Manola inizia posando timorosa le labbra sulla mia cappella calda e turgida, io spingo in avanti il bacino cercando di sporgere il più possibile il cazzo, per quel che la pancia mi permette. In pratica mi addosso al pannello divisorio del confessionale e il mio peso fa scricchiolare il legno.
“Succhiamelo. Succhiamelo! Prendilo in bocca e ciuccialo, sposina del cazzo!”
Inizio a snocciolare le preghiere della riconciliazione e alterno delle sonore bestemmie tra un ‘atto di dolore’ e una invocazione alla misericordia, mentre la ragazza mi lecca, timida ma continua, l’asta e mi succhia la cappella. Mentre lo fa piange, ed io tra un grugnito e l’altro la rincuoro assicurandole il perdono divino se segue diligente le penitenze che è mio dovere infliggerle.
Continua a succhiarmelo, la bella Manola. Me lo succhia dentro il confessionale, con l’abito bianco con cui tra pochi giorni, in questa stessa chiesa, la unirò in sposa al suo amato. Mi fa un pompino favoloso e la mia nerchia gradisce rinvigorendosi. Dopo innumerevoli seghe da solitario, non credo al piacere che sto provando nel sentire l’asta crescere avvolta dalla sua calda bocca, e la cappella premere contro il suo palato.
Voglio di più adesso. Esco dalla mia parte del confessionale e mi fiondo su di lei. Mi interroga con lo sguardo e di nuovo mi chiede impaurita cosa voglia farle. Lo borbotta con un filo di voce rotto dal lamento e da un piagnucolio, ha tutto il mascara azzurro che le cola lungo le guance in due lacrime scure e profonde e i suoi occhioni mi fissano sgranati e impauriti. Ho un po’ di pena ora per questa sposina ma il pulsare irrequieto della mia asta mi ricorda che devo soddisfare la mia brama di sesso. Il cazzo lo sento pesante; come la canna di una lupara che mi pende tra le gambe, anche i coglioni li sento gonfi e duri. Spingo Manola con le spalle verso lo schienale, poi le afferro le caviglie e le porto su fino alle mie spalle. Manola nota che il mascara le è colato fin sul petto e sta macchiando con chiazze di azzurro scuro il bianco del suo abito da sposa. Questo la fa sbottare in un pianto isterico a dirotto, mentre a me l’immagine del candore dell’abito irrimediabilmente lordato e il suo viso angelico, stravolto e insozzato, mi eccitano come un porco.
Lei, sempre con quel filo di voce rantolante, mi prega: “nella fica no, padre.” Sente la cappella spingere fra le labbra ed insinuarsi nella fessura bagnata. Ha un sussulto, lancia un lamento e insiste, piangendo a dirotto, di non fotterla nella fica. Sempre piangendo farfuglia che deve lasciare quel ‘posto’ vergine per il marito. Libero una risata sguaiata che assomiglia al grugnire di un maiale, poi imposto la voce per darle il tono imperioso del comando. Le intimo di smetterla di frignare e le urlo che la mia nerchia è lo scettro ‘sacro’ con cui monderò le sozzure che, partendo dalle sue fantasie, le hanno sporcato il corpo. La mia asta si infila decisa nella sua fica e inizio a stantuffare avidamente mentre le borbotto che è una immonda puttana e che fottendola così le sto ripulendo anche l’anima. Manola, sempre più stravolta, si lascia scopare rassegnata e io affondo vergognosamente il mio randello dentro di lei, fino a riempirla di sborra che, con enfasi, chiamo il seme sacro che la monda dal peccato, poi mentre mi svuoto i coglioni dentro la giovane sposina mi lascio scappare altre bestemmie dette con godimento.
Sfilo il mio cazzo da dentro quella passera tanto fresca e bagnata e pronuncio la frase di rito della riconciliazione. Mi inginocchio poi fra le sue cosce aperte e le lecco la fica mentre cola la mia sborra e i suoi umori odorosi e osceni. Sono ancora eccitatissimo e voglio che questa bellissima cagna non dimentichi più l’addio al nubilato che il suo sacerdote le sta regalando. Lei continua a frignare come un’isterica, farfugliando richieste di perdono a Dio. L'afferro per un braccio e la porto in sacrestia dove c’è il portone che collega la chiesa con un locale adibito dalla Caritas a dormitorio per extracomunitari. Ne conosco tre che vengono dall’Africa e sono dei watussi, alti due metri e neri come l’ebano. Le ordino di restare ferma, seduta su una panca di legno in sacrestia mentre vado nel dormitorio a chiamarli.
Li trovo tutti e tre stravaccati sui loro lettini. Annoiati e ciondolanti, con braccia e gambe così lunghe che toccano terra. Li chiamo e a bassa voce dico loro se hanno voglia di fica. Mi fissano interrogativi poi sorridono pensando li prenda in giro, in effetti un prete che propone della fica è alquanto improbabile però sono eccitato e la mia voglia da porco non si placa, e così sussurro loro che in sacrestia c’è una giovane e bella sposina bianca che prende marito fra pochi giorni ma non sa niente di sesso, e cerca dei maschioni che le insegnino come si scopa. Si scambiano delle occhiate tra l’incredulo e il divertito, come se avessero accettato di stare allo scherzo poi io li invito a seguirmi e sorridono con tutti i loro denti bianchissimi quando vedono Manola stravolta sulla panca, con l’abito da sposa stropicciato e insozzato di sborra e del mascara colatole dal viso. L’afferro per un braccio, la faccio sporgere dalla panca e infilo una mano nella scollatura palpandole le tette, poi porto la mano sotto la gonna, fra le sue cosce, gliele allargo. Insomma metto in mostra le sue intimità come se fosse merce da vendere. E i tre negri osservano compiaciuti, si scambiano occhiate d’intesa, molto soddisfatti di quello che gli sto mostrando. Da sotto le loro tute sudicie noto il gonfiore che mette in evidenza delle mazze incredibili e allora io li invito a darsi da fare con la sposina vogliosa di sesso. Mi chino verso di lei dicendo: “Vero che vuoi succhiare tre bei cazzoni neri? Svergognata puttanella!”. Poi le sussurro che da brava cristiana non può rifiutare un aiuto a gente che soffre, e questi tre negracci non montano una femmina da mesi, gli faccio abbassare le tute e oltre a dei cazzi nerissimi e poderosi come baobab si notano dei coglioni enormi come noci di cocco. Glieli tasto e sbotto in un “Oh puttana della madonna, quanta sborra che c’è qua dentro, impaziente di essere liberata! Su ragazzi ora sfogatevi su questa cagna bianca!”
I tre negracci si avvicinano alla ragazza che li guarda impaurita e piagnucola: “La prego padre, non mi faccia toccare da loro... Mi devo sposare fra tre giorni...”. Io, incurante delle sue suppliche isteriche, sospingo i tre maschioni verso di lei e siccome loro sono titubanti, vedendo Manola tanto disperata, bestemmiando spazientito afferro il cazzo di uno dei negri (una nerchia paurosa di 40 cm) e la punto sulla bella faccia della futura sposa. Premo la cappellona bruna e dura come una noce contro la sua bocca arcuata dal pianto e dal disgusto di sentire quel cazzo grosso quanto un serpentone forzare per infilarsi dentro. Afferro la sua faccia e premo con forza sulle guance, fino a farle aprire la bocca, e così le infilo quella cappella dura e pulsante fino in gola e incito il negro a pompare questa cagna che intanto emette conati di vomito. Il negro pompa il suo cazzo enorme e scuro e Manola ha le lacrime che le riempiono gli occhi strabuzzati e le guance piene di quel randellone di carne.
“Sì così, pompaglielo tutto in gola! Guarda com’è affamata del tuo cazzo!”
Sono sempre più eccitato e vedere la bella Manola succhiare quel cazzo eccezionale mi fa perdere la testa. La faccio alzare dalla panca e mettere a quattro zampe. Quando il primo negro tira indietro la sua nerchia, liberandole la gola, lei tossisce e butta fuori una colata di saliva. Rimane a carponi sul pavimento della sacrestia, a tossire e colare saliva dalla bocca; io faccio segno all’altro negro di mettersi dietro la ragazza e di godersi il suo bel culo bianco e tremante. Lui le tira su la parte fasciata dell’abito che le fa da gonna e le palpa le natiche. Gliele palpa con avidità e gliele divarica mettendo in mostra un buchetto del culo grazioso e invitante. Infila la punta del dito e Manola inizia a gemere mentre riprende a singhiozzare. Il negro spinge dentro tutto il dito, come per saggiare il ‘terreno’, e lei poi sussulta e strabuzza gli occhi quando l’enorme verga di quest’altro si spinge decisa e prepotente nel suo culetto. Il negro ha infilato la sua mazza nera e nodosa nel culetto grazioso e pallido della sposina ed ha preso a martirizzarglielo con delle crudeli stantuffate e Manola inarca la schiena contorcendosi ogni volta che quell’asta paurosamente grossa affonda fra le sue natiche bianche.
E' per i miei occhi ed i miei sensi uno spettacolo di estrema goduria, e subito ne prende parte anche il terzo negro che, anche lui, dirige la sua paurosa verga pulsante e nodosa nella bocca della bella e prossima sposina. Manola ha le labbra tremolanti. Non riesce a credere all’incubo in cui si è venuta a trovare, lei, che solo mezzora fa era in sartoria, tutta raggiante, a provare un abito da sposa sfavillante nel suo biancore e che ora è ridotto ad un cencio, stropicciato, insozzato e puzzolente per le continue colate di sborra che, sia io che i tre negri arrapati, le abbiamo schizzato addosso! I negri, a turno, si piazzano davanti alla bella e minuta biondina che, inginocchiata, prende i loro enormi cazzi in bocca e li succhia voracemente, come loro le ordinano di fare.
Dopo l’iniziale titubanza data dall’incredulità di questo osceno e inaspettato ‘regalo’, i tre grandi e grossi africani prendono un atteggiamento prepotente verso di lei, la piccola e formosa donne bianca; lanciandole borbottii rabbiosi nella loro lingua. Borbottii che rassomigliano a pesanti insulti, mentre la tengono per la testa e guidano il suo muoversi avanti e indietro; costringendola a sentirsi quelle lunghe verghe scivolarle impetuose fin nella gola. I tre negri cambiano spesso posizione, e alla bella bionda Manola non risparmiano pose e atti degradanti e osceni.
Osservo eccitatissimo le oscenità che usano sulla ragazza. La tengono a quattro zampe, sul freddo pavimento della sacrestia, e mentre un negraccio la scopa in bocca con foga incredibile, facendole colare saliva e vomito, un altro le si è accosciato dietro e le stantuffa il cazzo nel buco del culo, con un ritmo impetuoso e regolare, spostandosi poi nella sua graziosa fichetta tutta bagnata. Il terzo si smanetta la mazza e palpa le tette alla ragazza che intanto si dimena e inarca la schiena e si lascia scopare.
Il negro che la sta inculando ha un cazzo così lungo che, osservando la scena, mi chiedo come riesca la ragazza a riuscire a farselo entrare tutto. Eppure è così. Quella verga enorme e nera trapana senza ritegno il culo bianco della futura sposina. Quella nerchia possente si infila poi nella fica calda e stretta, come un treno in corsa che entra in una galleria. E le pompate continuano, e questa cagna bianca della mia parrocchiana se le prende tutte e ansima, sbuffa dal naso e mugugna mentre ha la bocca piena dei cazzi degli altri due negri che si alternano a infilarglielo fino in gola.
Ho preso il telefono e filmato tutta la scena. Manola è rimasta per oltre un’ora per terra in sacrestia, con i tre negri che a turno l’hanno scopata di brutto nel culo, in bocca e nella fica. Ho seguito tutto stando attento che quei tre allupati non le sborrassero nella fica, finendo per ingravidarla (nonostante che il pensiero di lei fresca sposa che partorisce bambini neri mi abbia eccitato parecchio).
Si avvicina l’ora della messa, presto in sacrestia sarà un viavai di persone fra chierici, lettori e collaboratori quindi soddisfatto metto fretta ai tre africani che finiscono di sgrullarsi le verghe, facendo colare sulla ragazza gli ultimi fiotti densi e odorosi, dopo averle imbrattato di sborra i capelli, la schiena e quel che resta del vestito nuziale ridotto a un cencio osceno e sacrilego.
Mando via i tre maschioni e sgattaiolo in un ripostiglio del Centro d’accoglienza. In tutta fretta raccolgo un maglione sformato e il pantalone di una tuta. Sono sudici e maleodoranti, sono i vestiti lerci della traversata sui barconi che vengono mandati al macero. C’è il rischio che portino batteri pestilenziali e attacchino malattie ma adesso Manola ne ha bisogno. Non può farsi vedere in chiesa mezza nuda, con addosso solo uno straccio sporco e odorante di sborra che fino a un’ora prima era un costoso ed elegante abito nuziale.
Manola è rannicchiata e tremante sulla panca in sacrestia, io le butto addosso quei vestiti che mi ha fatto schifo toccare e la sprono a infilarseli e sparire immediatamente. Lei è stravolta, singhiozza e tira su col naso mentre si infila gli indumenti lordi. Io le metto fretta, la sospingo verso l’uscita secondaria e, vedendola scioccata, provo a confortarla dicendole che ora quel cornutone del suo futuro marito può avere la moglie che ha sempre desiderato: una ninfomane affamata di cazzi. Io poi celebro messa con il cazzo duro sotto la tunica per tutto il tempo.
(per commenti: imperium@hotmail.it)
Perdo letteralmente la testa per questa bella sposa che, in abito bianco, si confessa nella mia chiesa, sviscerando i suoi pensieri più peccaminosi. Le ordino di sfilarsi il perizoma come una deviata forma di penitenza. Glielo ordino con un tono perentorio, e più che quella di un castigo divino è la paura nel vedermi così esagitato a farla obbedire. Attraverso la grata la vedo piegarsi mentre, con un po’ d’impaccio dovuto al timore di sgualcire il prezioso tessuto, solleva la fasciatura che fa da gonna e dopo aver infilato le mani là sotto, nascondendole alla mia vista, le tira fuori con un minuscolo tessuto nero tra le dita, che fa scorrere lungo le gambe, fino alle caviglie e poi sfilandoselo dai piedi. Mentre la invito a continuare a confessarsi le ordino di passarmelo attraverso la grata. Annuso forte il perizoma della ragazza. È bagnato dei suoi umori. La porca si sta eccitando davvero. La mia metà oscura, la parte oscena e depravata di me è uscita del tutto allo scoperto, davanti a questa ragazza incantevole che suscita voglie indecenti. Mi sollevo la tunica fino alla patta dei pantaloni e frenetico la sbottono, liberando il mio cazzo. Nella casa del signore; nel suo confessionale e nel pieno del sacramento libero la mia verga e la infilo in una fessura allargata della grata. Ordino a Manola di succhiarmelo.
“Ma, padre...”, fa lei scioccata.
“Zitta. Cagna! Succhiamelo...”
Manola, titubante e timorosa, si avvicina. Con gli occhi sgranati fissa la mia asta che come una canna di pistola punta, oscena e pulsante, la sua bocca. Manola si ferma a pochi centimetri dalla mia cappella ed io avverto il suo fiato scivolarmi sulla verga. Attraverso le maglie della grata riesco a scorgere gli occhioni della bella ragazza che rimpallano impazziti tra il mio cazzo svettante e pulsante e la grata, come se cercasse di scorgere i miei occhi per avere conferma della mia volontà.
“Avanti! Succhialo!”, gli intimo con tono perentorio. “Devi mostrare al tuo dio cosa immaginavi di tanto osceno e peccaminoso in quella testa così malata. Succhiamelo. Puttana!”
Manola inizia posando timorosa le labbra sulla mia cappella calda e turgida, io spingo in avanti il bacino cercando di sporgere il più possibile il cazzo, per quel che la pancia mi permette. In pratica mi addosso al pannello divisorio del confessionale e il mio peso fa scricchiolare il legno.
“Succhiamelo. Succhiamelo! Prendilo in bocca e ciuccialo, sposina del cazzo!”
Inizio a snocciolare le preghiere della riconciliazione e alterno delle sonore bestemmie tra un ‘atto di dolore’ e una invocazione alla misericordia, mentre la ragazza mi lecca, timida ma continua, l’asta e mi succhia la cappella. Mentre lo fa piange, ed io tra un grugnito e l’altro la rincuoro assicurandole il perdono divino se segue diligente le penitenze che è mio dovere infliggerle.
Continua a succhiarmelo, la bella Manola. Me lo succhia dentro il confessionale, con l’abito bianco con cui tra pochi giorni, in questa stessa chiesa, la unirò in sposa al suo amato. Mi fa un pompino favoloso e la mia nerchia gradisce rinvigorendosi. Dopo innumerevoli seghe da solitario, non credo al piacere che sto provando nel sentire l’asta crescere avvolta dalla sua calda bocca, e la cappella premere contro il suo palato.
Voglio di più adesso. Esco dalla mia parte del confessionale e mi fiondo su di lei. Mi interroga con lo sguardo e di nuovo mi chiede impaurita cosa voglia farle. Lo borbotta con un filo di voce rotto dal lamento e da un piagnucolio, ha tutto il mascara azzurro che le cola lungo le guance in due lacrime scure e profonde e i suoi occhioni mi fissano sgranati e impauriti. Ho un po’ di pena ora per questa sposina ma il pulsare irrequieto della mia asta mi ricorda che devo soddisfare la mia brama di sesso. Il cazzo lo sento pesante; come la canna di una lupara che mi pende tra le gambe, anche i coglioni li sento gonfi e duri. Spingo Manola con le spalle verso lo schienale, poi le afferro le caviglie e le porto su fino alle mie spalle. Manola nota che il mascara le è colato fin sul petto e sta macchiando con chiazze di azzurro scuro il bianco del suo abito da sposa. Questo la fa sbottare in un pianto isterico a dirotto, mentre a me l’immagine del candore dell’abito irrimediabilmente lordato e il suo viso angelico, stravolto e insozzato, mi eccitano come un porco.
Lei, sempre con quel filo di voce rantolante, mi prega: “nella fica no, padre.” Sente la cappella spingere fra le labbra ed insinuarsi nella fessura bagnata. Ha un sussulto, lancia un lamento e insiste, piangendo a dirotto, di non fotterla nella fica. Sempre piangendo farfuglia che deve lasciare quel ‘posto’ vergine per il marito. Libero una risata sguaiata che assomiglia al grugnire di un maiale, poi imposto la voce per darle il tono imperioso del comando. Le intimo di smetterla di frignare e le urlo che la mia nerchia è lo scettro ‘sacro’ con cui monderò le sozzure che, partendo dalle sue fantasie, le hanno sporcato il corpo. La mia asta si infila decisa nella sua fica e inizio a stantuffare avidamente mentre le borbotto che è una immonda puttana e che fottendola così le sto ripulendo anche l’anima. Manola, sempre più stravolta, si lascia scopare rassegnata e io affondo vergognosamente il mio randello dentro di lei, fino a riempirla di sborra che, con enfasi, chiamo il seme sacro che la monda dal peccato, poi mentre mi svuoto i coglioni dentro la giovane sposina mi lascio scappare altre bestemmie dette con godimento.
Sfilo il mio cazzo da dentro quella passera tanto fresca e bagnata e pronuncio la frase di rito della riconciliazione. Mi inginocchio poi fra le sue cosce aperte e le lecco la fica mentre cola la mia sborra e i suoi umori odorosi e osceni. Sono ancora eccitatissimo e voglio che questa bellissima cagna non dimentichi più l’addio al nubilato che il suo sacerdote le sta regalando. Lei continua a frignare come un’isterica, farfugliando richieste di perdono a Dio. L'afferro per un braccio e la porto in sacrestia dove c’è il portone che collega la chiesa con un locale adibito dalla Caritas a dormitorio per extracomunitari. Ne conosco tre che vengono dall’Africa e sono dei watussi, alti due metri e neri come l’ebano. Le ordino di restare ferma, seduta su una panca di legno in sacrestia mentre vado nel dormitorio a chiamarli.
Li trovo tutti e tre stravaccati sui loro lettini. Annoiati e ciondolanti, con braccia e gambe così lunghe che toccano terra. Li chiamo e a bassa voce dico loro se hanno voglia di fica. Mi fissano interrogativi poi sorridono pensando li prenda in giro, in effetti un prete che propone della fica è alquanto improbabile però sono eccitato e la mia voglia da porco non si placa, e così sussurro loro che in sacrestia c’è una giovane e bella sposina bianca che prende marito fra pochi giorni ma non sa niente di sesso, e cerca dei maschioni che le insegnino come si scopa. Si scambiano delle occhiate tra l’incredulo e il divertito, come se avessero accettato di stare allo scherzo poi io li invito a seguirmi e sorridono con tutti i loro denti bianchissimi quando vedono Manola stravolta sulla panca, con l’abito da sposa stropicciato e insozzato di sborra e del mascara colatole dal viso. L’afferro per un braccio, la faccio sporgere dalla panca e infilo una mano nella scollatura palpandole le tette, poi porto la mano sotto la gonna, fra le sue cosce, gliele allargo. Insomma metto in mostra le sue intimità come se fosse merce da vendere. E i tre negri osservano compiaciuti, si scambiano occhiate d’intesa, molto soddisfatti di quello che gli sto mostrando. Da sotto le loro tute sudicie noto il gonfiore che mette in evidenza delle mazze incredibili e allora io li invito a darsi da fare con la sposina vogliosa di sesso. Mi chino verso di lei dicendo: “Vero che vuoi succhiare tre bei cazzoni neri? Svergognata puttanella!”. Poi le sussurro che da brava cristiana non può rifiutare un aiuto a gente che soffre, e questi tre negracci non montano una femmina da mesi, gli faccio abbassare le tute e oltre a dei cazzi nerissimi e poderosi come baobab si notano dei coglioni enormi come noci di cocco. Glieli tasto e sbotto in un “Oh puttana della madonna, quanta sborra che c’è qua dentro, impaziente di essere liberata! Su ragazzi ora sfogatevi su questa cagna bianca!”
I tre negracci si avvicinano alla ragazza che li guarda impaurita e piagnucola: “La prego padre, non mi faccia toccare da loro... Mi devo sposare fra tre giorni...”. Io, incurante delle sue suppliche isteriche, sospingo i tre maschioni verso di lei e siccome loro sono titubanti, vedendo Manola tanto disperata, bestemmiando spazientito afferro il cazzo di uno dei negri (una nerchia paurosa di 40 cm) e la punto sulla bella faccia della futura sposa. Premo la cappellona bruna e dura come una noce contro la sua bocca arcuata dal pianto e dal disgusto di sentire quel cazzo grosso quanto un serpentone forzare per infilarsi dentro. Afferro la sua faccia e premo con forza sulle guance, fino a farle aprire la bocca, e così le infilo quella cappella dura e pulsante fino in gola e incito il negro a pompare questa cagna che intanto emette conati di vomito. Il negro pompa il suo cazzo enorme e scuro e Manola ha le lacrime che le riempiono gli occhi strabuzzati e le guance piene di quel randellone di carne.
“Sì così, pompaglielo tutto in gola! Guarda com’è affamata del tuo cazzo!”
Sono sempre più eccitato e vedere la bella Manola succhiare quel cazzo eccezionale mi fa perdere la testa. La faccio alzare dalla panca e mettere a quattro zampe. Quando il primo negro tira indietro la sua nerchia, liberandole la gola, lei tossisce e butta fuori una colata di saliva. Rimane a carponi sul pavimento della sacrestia, a tossire e colare saliva dalla bocca; io faccio segno all’altro negro di mettersi dietro la ragazza e di godersi il suo bel culo bianco e tremante. Lui le tira su la parte fasciata dell’abito che le fa da gonna e le palpa le natiche. Gliele palpa con avidità e gliele divarica mettendo in mostra un buchetto del culo grazioso e invitante. Infila la punta del dito e Manola inizia a gemere mentre riprende a singhiozzare. Il negro spinge dentro tutto il dito, come per saggiare il ‘terreno’, e lei poi sussulta e strabuzza gli occhi quando l’enorme verga di quest’altro si spinge decisa e prepotente nel suo culetto. Il negro ha infilato la sua mazza nera e nodosa nel culetto grazioso e pallido della sposina ed ha preso a martirizzarglielo con delle crudeli stantuffate e Manola inarca la schiena contorcendosi ogni volta che quell’asta paurosamente grossa affonda fra le sue natiche bianche.
E' per i miei occhi ed i miei sensi uno spettacolo di estrema goduria, e subito ne prende parte anche il terzo negro che, anche lui, dirige la sua paurosa verga pulsante e nodosa nella bocca della bella e prossima sposina. Manola ha le labbra tremolanti. Non riesce a credere all’incubo in cui si è venuta a trovare, lei, che solo mezzora fa era in sartoria, tutta raggiante, a provare un abito da sposa sfavillante nel suo biancore e che ora è ridotto ad un cencio, stropicciato, insozzato e puzzolente per le continue colate di sborra che, sia io che i tre negri arrapati, le abbiamo schizzato addosso! I negri, a turno, si piazzano davanti alla bella e minuta biondina che, inginocchiata, prende i loro enormi cazzi in bocca e li succhia voracemente, come loro le ordinano di fare.
Dopo l’iniziale titubanza data dall’incredulità di questo osceno e inaspettato ‘regalo’, i tre grandi e grossi africani prendono un atteggiamento prepotente verso di lei, la piccola e formosa donne bianca; lanciandole borbottii rabbiosi nella loro lingua. Borbottii che rassomigliano a pesanti insulti, mentre la tengono per la testa e guidano il suo muoversi avanti e indietro; costringendola a sentirsi quelle lunghe verghe scivolarle impetuose fin nella gola. I tre negri cambiano spesso posizione, e alla bella bionda Manola non risparmiano pose e atti degradanti e osceni.
Osservo eccitatissimo le oscenità che usano sulla ragazza. La tengono a quattro zampe, sul freddo pavimento della sacrestia, e mentre un negraccio la scopa in bocca con foga incredibile, facendole colare saliva e vomito, un altro le si è accosciato dietro e le stantuffa il cazzo nel buco del culo, con un ritmo impetuoso e regolare, spostandosi poi nella sua graziosa fichetta tutta bagnata. Il terzo si smanetta la mazza e palpa le tette alla ragazza che intanto si dimena e inarca la schiena e si lascia scopare.
Il negro che la sta inculando ha un cazzo così lungo che, osservando la scena, mi chiedo come riesca la ragazza a riuscire a farselo entrare tutto. Eppure è così. Quella verga enorme e nera trapana senza ritegno il culo bianco della futura sposina. Quella nerchia possente si infila poi nella fica calda e stretta, come un treno in corsa che entra in una galleria. E le pompate continuano, e questa cagna bianca della mia parrocchiana se le prende tutte e ansima, sbuffa dal naso e mugugna mentre ha la bocca piena dei cazzi degli altri due negri che si alternano a infilarglielo fino in gola.
Ho preso il telefono e filmato tutta la scena. Manola è rimasta per oltre un’ora per terra in sacrestia, con i tre negri che a turno l’hanno scopata di brutto nel culo, in bocca e nella fica. Ho seguito tutto stando attento che quei tre allupati non le sborrassero nella fica, finendo per ingravidarla (nonostante che il pensiero di lei fresca sposa che partorisce bambini neri mi abbia eccitato parecchio).
Si avvicina l’ora della messa, presto in sacrestia sarà un viavai di persone fra chierici, lettori e collaboratori quindi soddisfatto metto fretta ai tre africani che finiscono di sgrullarsi le verghe, facendo colare sulla ragazza gli ultimi fiotti densi e odorosi, dopo averle imbrattato di sborra i capelli, la schiena e quel che resta del vestito nuziale ridotto a un cencio osceno e sacrilego.
Mando via i tre maschioni e sgattaiolo in un ripostiglio del Centro d’accoglienza. In tutta fretta raccolgo un maglione sformato e il pantalone di una tuta. Sono sudici e maleodoranti, sono i vestiti lerci della traversata sui barconi che vengono mandati al macero. C’è il rischio che portino batteri pestilenziali e attacchino malattie ma adesso Manola ne ha bisogno. Non può farsi vedere in chiesa mezza nuda, con addosso solo uno straccio sporco e odorante di sborra che fino a un’ora prima era un costoso ed elegante abito nuziale.
Manola è rannicchiata e tremante sulla panca in sacrestia, io le butto addosso quei vestiti che mi ha fatto schifo toccare e la sprono a infilarseli e sparire immediatamente. Lei è stravolta, singhiozza e tira su col naso mentre si infila gli indumenti lordi. Io le metto fretta, la sospingo verso l’uscita secondaria e, vedendola scioccata, provo a confortarla dicendole che ora quel cornutone del suo futuro marito può avere la moglie che ha sempre desiderato: una ninfomane affamata di cazzi. Io poi celebro messa con il cazzo duro sotto la tunica per tutto il tempo.
(per commenti: imperium@hotmail.it)
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