La Barbara
di
AlexFeet2594
genere
dominazione
Era rimasto solo in una terra ostile. Il bosco allungava le ombre gelide e gli alberi parevano celare continue minacce mortali. Non aveva idea di dove fosse la sua Legione, i suoi compagni; ma dopo lo scontro violento con una feroce tribù di Pitti si era risvegliato a terra coperto di fango e sangue. Solo.
Odiava la Britannia: terra di gelo e morte. In più, era terrorizzato dalle tremende storie che circolavano sulle donne locali, le selvagge che vivevano oltre il Vallo. Guerriere bellissime e sadiche che si divertivano a scempiare la virilità dei maschi avversari. Ne aveva avuto prova durante la battaglia. L'immagine del suo centurione a terra, implorante, con una barbara dalla chioma fulva, vestita di pelli, che ficcava la lama nel suo scroto dopo avergli strappato la tunica. Attimi fulminei che lo ghiacciavano ancora adesso.
Cercò di scacciare quei pensieri. Doveva essere lucido se voleva uscire da quella situazione. Avanzò cauto nel bosco sempre più buio. D’un tratto sentì il gorgogliare di un ruscello. Aveva sete ed era sporco di sangue e fango. Ne seguì il rumore fino a sbucare in una radura pietrosa. La vista di un cerbiatto che si abbeverava lo rinfrancò. L’animale scappò appena lo vide e Caius poggiò gladio e armatura su una pietra iniziando a bere e sciacquarsi. Cercava di fare svelto, occhieggiando attorno, pronto a scattare al minimo pericolo.
Stava riempendo la borraccia quando avvertì un brivido gelido e affilato alle spalle, nel punto più delicato. Rimase immobile sgranando gli occhi.
Una voce femminile disse: «Una mossa e ti castro.»
Caius era pietrificato. Avvertiva il filo tagliente di una spada alla base del suo piccolo scroto. Balbettò qualcosa di incomprensibile e la barbara lo avvicinò a senza sé senza togliere il ferro. Quando avvertì il contatto sulla schiena coi suoi seni prosperosi, la donna tolse rapida la spada e gli sferrò una micidiale ginocchiata nei coglioni nudi sotto la tunica. Caius tossì piegandosi in avanti. Non si accorse nemmeno del pizzicore con cui la sconosciuta lo punse alla base del collo. A terra, con le palle in fiamme, precipitò in torpore un narcotico in pochi secondi.
Si risvegliò un’ora dopo, legato gambe e braccia a una rudimentale struttura a X. Aveva mal di testa, in compenso il dolore alle palle era svanito. Era nudo, salvo un lembo di stoffa sui genitali. Guardò timoroso l’ambiente: una capanna spoglia e buia con un focolare al centro. Si mosse provando a liberarsi, ma era legato stretto. Urlò: «Aiutooo! Aiutooo!! Aiutooo!!!»
«Non è ancora tempo di urlare,» rispose a un tratto una voce calma, la stessa che aveva udito al fiume.
Caius si zittì cercando di capire da dove provenisse. Un attimo dopo, da un angolo buio della capanna, la vide apparire. Una guerriera bellissima, austera e dal viso affilato. I lunghissimi capelli rossi le scendevano fin oltre metà schiena. Sul busto vestiva un intreccio di cuoio e fibre, il minimo indispensabile per coprire i capezzoli di un seno abbondante e sodo. Sotto, un corto gonnellino di pelle di lupo cortissimo che lasciava svettare gambe lunghe e possenti che terminavano con un paio di piedi nudi, delicati ma decisamente letali se usati contro qualcosa di morbido come il floscio scroto dei maschi.
Caius la guardò avanzare mentre sudava freddo. Tutto il suo corpo era segnato da pitture feroci, linee scure che, rilucendo alle fiamme del focolare, la facevano sembrare ancora più giunonica. A meno di un metro dal soldato si fermò fissandolo negli occhi. Caius abbassò subito lo sguardo. Era spaventato, ma pure eccitato da quella bellezza così piena e selvaggia. Mormorò: «Non… n-non mi uccidere, ti prego…»
Becky non disse nulla, poi fece una breve risatina: «Uccidere? Non siamo così selvagge come ci dipingete voi. No, e poi l’esperienza mi ha insegnato che un maschio morto non serve a nulla.» Così dicendo gli sfiorò il petto scendendo fino all’ombelico. Caius ebbe un’erezione immediata e si formò un piccolo bozzetto sul davanti del lembo di stoffa. Notandola, Becky sorrise: «Vediamo la leggendaria potenza di Roma!» Gli strappò la mutanda svelando un cazzetto microscopico, lungo come la punta di una freccia e spesso come il mignolo della barbara. Sotto, una foresta di peletti fitti e neri soffocavano una coppia di pallette rinsecchite. Becky scoppiò a ridere di gusto facendo sprofondare Caius in una vergogna rosseggiante. «E quello cos’è?!?!» Rideva, rideva e rideva. Il soldato resistette finché poté, poi la paura cedette il passo all’orgoglio. Urlò: «Schifosa puttana! Quando vi avremo ridotte tutte in schiave tu succhierai il mio uccello da mattina sera!!!»
Le risa di Becky si incepparono. Un lampo attraversò i suoi occhi ora feroci e il suo piede destro si schiantò di punta al centro dello scroto di Caius, beccando entrambe le pallette che impattarono con violenza sull’osso pubico. Il romano cacciò un acuto rimanendo a bocca aperta. Ma non ebbe manco il tempo di elaborare il dolore che Becky caricò altri cinque micidiali calci di fila che gli spedirono i coglioni infiammati nello stomaco.
Caius piegò la testa in avanti incapace di urlare. Si sentiva come stesse bruciando. La barbara riprese a ridere. In meno di venti secondi aveva deriso e annientato un soldato del più potente esercito del mondo, e tutto solo perché aveva quel sacchettino ridicolo tra le gambe di cui i maschi sono tanto fieri, ma che è il simbolo tangibile della loro inferiorità. Lei invece, no. Tra le gambe era libera, e per questo superiore. Si eccitò pensando che, in un certo senso, avrebbe reso superiore anche quel perdente che frignava nudo davanti a lei.
Attese qualche minuto e gli afferrò le palle. Caius tremò mentre rantolava. «Ah, ma allora c’è qualcosa… credevo di aver colpito il nulla e non capivo perché ti lamentassi così. Aspetta, fammi sentire…» Schiacciò prima un testicolo poi l’altro tra le dita premendo coi polpastrelli, spingendoli ai lati dello scroto così che non potessero guizzare via. Caius si dimenava impazzito. Sbraitava, piangeva, implorava con voce rotta e infantile. Becky si gustava il tormento sul suo viso schiacciandogli le palle ancora più forte. Il cazzetto, scomparsa l’erezione, era sparito tra la foresta di peli assumendo più l’aspetto di un clitoride smunto. Andò avanti così per molti minuti che parvero ere al legionario: Caius si dimenava in modo osceno cercando vanamente di assecondare gli strattoni della donna.
Quando finalmente mollò la presa, il soldato si afflosciò in avanti, appena un rantolo gli usciva dalla bocca. Becky attese studiando la ridicola virilità dell’uomo. I coglioni si erano arrossati e gonfiati rendendo il cazzetto ancora più insulso e microscopico. Si spogliò delle pelli restando nuda, rifulgendo ancora più della sua selvaggia possanza femminile. I seni turriti lucevano al fuoco con capezzoli duri come l’acciaio. Tra le gambe, la fessura della vagina era incoronata da un ciuffo di peli fulvi.
Caius alzò a fatica la testa, gli occhi gli schizzavano fuori per il dolore, ma ciò non gli impedì di incrociare il corpo nudo della barbara. Ebbe un sussulto: troneggiava davanti a lui e, dimentico del dolore, il suo piccolo pene, scattò in un’erezione tanto insulsa quanto immediata.
Becky rise passandosi una mano sui seni. Avanzò verso di lui, e Caius ebbe un orgasmo incontrollato e lancinante. Dai testicoli gonfi uscì un piccolo fiotto di sperma che imbrattò la terra battuta della capanna. La donna scoppiò in una risata sonora e terribile.
Caius era sconfitto e umiliato. Iniziò a urlare insulti con una vocina acuta perché il dolore e la vergogna lo stavano corrodendo. Nella sua testa passarono tutte le immagini delle umiliazioni subite fin dall’adolescenza. Non era mai riuscito a far godere una donna a Roma, così si era arruolato pensando che in guerra avrebbe potuto sfogarsi violentando le prigioniere. Ma si era sbagliato: giusto un paio di settimane prima era stato svergognato davanti a tutti venendosi addosso mentre tentava di
abusare di una contadina, che era pure riuscita a fuggire strappandogli la tunica imbrattata svelando ai commilitoni il piccolo segreto.
Becky andò a mettere una lama sul braciere, aspettò che finisse di sfogare e disse: «Non pensavo che anche la bambine potessero essere arruolate ahahah!»
Caius avvampò ma non riuscì a dire nulla. Gli bastò vedere la finta che fece la donna nel calciargli nuovamente le palline, per scoppiare a piangere. «N-nooo… ti pr-eeegooo… basta… la-scia…mele stare… t-ti prego…»
Lei gli si avvicinò assumendo un’espressione di sadica dolcezza. «Oh, povero cucciolo…» Con la mano andò alle palle, e Caius si irrigidì per il terrore. Gliele prese tra pollice e indice: erano così piccole e morbide. Con l’altra mano prese ad accarezzargli il viso sudato. «Vero che mi dirai tutto?»
Caius respirava a scampoli e singhiozzava. «Tutto… tutto cosa?»
Aumentò leggermente la pressione delle dita. «I vostri piani di invasione.»
Caius sentiva i capezzoli della donna passargli sul petto e una nuova erezione stava crescendo. «Sono solo un legionario…non conosco queste cose.»
Becky gli andò accanto all’orecchio destro: «E io solo una donna, una puttana barbara, dite così no?»
L’uomo deglutì e il cazzetto si rizzò del tutto. Eccitato al massimo, il suo corpo si rilassò e la mente si annebbiò. Iniziò ad ansimare, a ritrovare sicurezza in sé stesso. Tirò le braccia e voleva strappare le corde per violentare quella selvaggia subito. Becky prese a massaggiargli le palle. «Non mi vuoi dire proprio nulla?»
Caius chiuse gli occhi e alzò la testa. Stava per venire di nuovo. «Sì…»
«Parla, allora. Saprò ricompensarti.» E gli passò la lingua sul lobo dell’orecchio.
Lui tacque, poi disse: «Succhiami il cazzo, TROIA!»
Becky scostò il suo viso dal suo. Caius non se ne accorse subito. Non sentiva più la mano massaggiare. Aprì gli occhi e vide lo sguardo fiammeggiante della donna. «Adesso ti castro.»
Non ebbe il tempo di realizzare. Becky strizzò le palle con tutta la sua forza ficcandoci le unghie. Caius esplose in un urlo acutissimo. La barbara strizzava e contorceva, faceva una spremuta di coglioni isolandoli sul fondo della sacca scrotale e schiacciandoli con le unghie contro il palmo della mano. Poi, li tirò verso il basso quasi a volerli strappare. La pelle si era lacerata e il sangue iniziava a uscire. L’uomo provò a chinarsi per alleviare il dolore, ma le corde glielo impedivano. Becky glieli tirò fino a quasi metà coscia, poi mollò di colpo e glieli fece risalire con un poderoso calcio di punta che fece sputare fuori al cazzetto un misto di gocce di sperma e sangue.
Caius vomitò e svenne, mentre la donna si sentiva sempre più bagnata e onnipotente.
Il romano riaprì gli occhi molte ore dopo svegliato dai piedi della donna che gli schiaffeggiavano il viso. Non era più legato alla croce, bensì seduto a terra a gambe larghe con le braccia dietro a un palo. Sentiva dolore in ogni fibra del suo corpo. Guardandosi tra le cosce vide solo un ciuffo di peletti sporchi. Fu colto dal terrore. «C-cosa… c-coosa mi hai.. fat-…»
Becky lo zittì ficcandogli il piede in bocca. «Bacia il piede che ti ha castrato!»
Caius agì d’istinto. Prese quel piede tutto in bocca iniziando a baciarlo e leccarlo con estrema devozione. Lei lo lasciò fare. «Ahahah! Adesso hai imparato il tuo posto nel mondo, microcazzo precoce.»
Continuò a leccare fino a quando lei non tolse il piede. Restarono un poco in silenzio con lui che cercava invano di guardarsi tra le gambe per capire se ancora gli penzolava qualcosa. Becky lo lasciò tormentarsi così ancora un poco, poi disse: «Tranquillo, le hai ancora le noccioline. Sono mal ridotte, ma potrebbero funzionare ancora, sempre ammesso che prima funzionassero ahaha! Però è la tua ultima possibilità: dimmi tutto quello che sai o ti esplodo quelle due cisti schifose.» Appena finì di parlare, poggiò il tallone sopra le palle, pronta a spappolarle col minimo sforzo.
«NOOOOOOOOOOOOO!!!» Caius urlò con quanto fiato aveva in gola. Chiuse gli occhi e iniziò a parlare a raffica, piangendo mentre lo faceva, intercalando il tutto con “le mie palline, no, ti prego!”
Rivelò tutto. Piani, voci, sospetti. Sapeva poco ma si sforzò di essere il più utile possibile facendo i nomi di quelli che potevano dare informazioni importanti. Becky lo ascoltava attenta e fiera. Godeva della sua superiorità, del suo essere donna. A causa di quelle due sferette molli che i maschi hanno, anche il più feroce dei guerrieri diventava un ammasso di lacrime persino sotto un calcetto di una ragazzina inerme. Ad un tratto della confessione, iniziò a masturbarsi facendo colare i fiotti del suo piacere lungo le cosce.
Caius andò avanti a parlare per mezz’ora buona sotto la minaccia costante del tallone sullo scroto devastato. Non ebbe erezioni. Il suo pene era ormai ridotto alle dimensioni della capocchia di un chiodo. Quando finì guardò Becky con gli occhi lucidi pieno di desolazione. Lei gli sorrise e disse: «Bravo.»
«Padrona, ti prego…»
«Un’ultima domanda: sei inferiore?»
«Sì, sì» si affrettò a rispondere lui.
«E perché lo sei?»
Indicò le palle col mento.
«Vorresti liberarti del peso dell’inferiorità?»
Caius esitò. Non capiva. Aveva male ed era terrorizzato come noi mai. Avrebbe fatto di tutto pur di evitare altri colpi ai gioielli. Becky esigeva una risposta. «Sì… liberami, liberami, mia padrona!»
«Come desideri.» Caricò tutto il peso del suo corpo sul tallone che stazionava sullo scroto che si schiuse un istante dopo cacciando fuori i testicoli spappolati nella polvere. A Caius si fermò il respiro e svenne nuovamente.
Lo ritrovarono due giorni dopo sulla riva del fiume. Era vivo e ciondolava sul greto senza una meta. Era completamente nudo e al posto dello scroto aveva un’ampia cicatrice cauterizzata con una lama rovente. Gli restava solo il micropene. Al collo portava una piccola custodia scura. Quando il centurione di guardia la prese vide che sopra c’era scritto: se ci tenete alle palle, andatevene! Aprì il sacchetto e vi trovò i testicoli dell’uomo!
Odiava la Britannia: terra di gelo e morte. In più, era terrorizzato dalle tremende storie che circolavano sulle donne locali, le selvagge che vivevano oltre il Vallo. Guerriere bellissime e sadiche che si divertivano a scempiare la virilità dei maschi avversari. Ne aveva avuto prova durante la battaglia. L'immagine del suo centurione a terra, implorante, con una barbara dalla chioma fulva, vestita di pelli, che ficcava la lama nel suo scroto dopo avergli strappato la tunica. Attimi fulminei che lo ghiacciavano ancora adesso.
Cercò di scacciare quei pensieri. Doveva essere lucido se voleva uscire da quella situazione. Avanzò cauto nel bosco sempre più buio. D’un tratto sentì il gorgogliare di un ruscello. Aveva sete ed era sporco di sangue e fango. Ne seguì il rumore fino a sbucare in una radura pietrosa. La vista di un cerbiatto che si abbeverava lo rinfrancò. L’animale scappò appena lo vide e Caius poggiò gladio e armatura su una pietra iniziando a bere e sciacquarsi. Cercava di fare svelto, occhieggiando attorno, pronto a scattare al minimo pericolo.
Stava riempendo la borraccia quando avvertì un brivido gelido e affilato alle spalle, nel punto più delicato. Rimase immobile sgranando gli occhi.
Una voce femminile disse: «Una mossa e ti castro.»
Caius era pietrificato. Avvertiva il filo tagliente di una spada alla base del suo piccolo scroto. Balbettò qualcosa di incomprensibile e la barbara lo avvicinò a senza sé senza togliere il ferro. Quando avvertì il contatto sulla schiena coi suoi seni prosperosi, la donna tolse rapida la spada e gli sferrò una micidiale ginocchiata nei coglioni nudi sotto la tunica. Caius tossì piegandosi in avanti. Non si accorse nemmeno del pizzicore con cui la sconosciuta lo punse alla base del collo. A terra, con le palle in fiamme, precipitò in torpore un narcotico in pochi secondi.
Si risvegliò un’ora dopo, legato gambe e braccia a una rudimentale struttura a X. Aveva mal di testa, in compenso il dolore alle palle era svanito. Era nudo, salvo un lembo di stoffa sui genitali. Guardò timoroso l’ambiente: una capanna spoglia e buia con un focolare al centro. Si mosse provando a liberarsi, ma era legato stretto. Urlò: «Aiutooo! Aiutooo!! Aiutooo!!!»
«Non è ancora tempo di urlare,» rispose a un tratto una voce calma, la stessa che aveva udito al fiume.
Caius si zittì cercando di capire da dove provenisse. Un attimo dopo, da un angolo buio della capanna, la vide apparire. Una guerriera bellissima, austera e dal viso affilato. I lunghissimi capelli rossi le scendevano fin oltre metà schiena. Sul busto vestiva un intreccio di cuoio e fibre, il minimo indispensabile per coprire i capezzoli di un seno abbondante e sodo. Sotto, un corto gonnellino di pelle di lupo cortissimo che lasciava svettare gambe lunghe e possenti che terminavano con un paio di piedi nudi, delicati ma decisamente letali se usati contro qualcosa di morbido come il floscio scroto dei maschi.
Caius la guardò avanzare mentre sudava freddo. Tutto il suo corpo era segnato da pitture feroci, linee scure che, rilucendo alle fiamme del focolare, la facevano sembrare ancora più giunonica. A meno di un metro dal soldato si fermò fissandolo negli occhi. Caius abbassò subito lo sguardo. Era spaventato, ma pure eccitato da quella bellezza così piena e selvaggia. Mormorò: «Non… n-non mi uccidere, ti prego…»
Becky non disse nulla, poi fece una breve risatina: «Uccidere? Non siamo così selvagge come ci dipingete voi. No, e poi l’esperienza mi ha insegnato che un maschio morto non serve a nulla.» Così dicendo gli sfiorò il petto scendendo fino all’ombelico. Caius ebbe un’erezione immediata e si formò un piccolo bozzetto sul davanti del lembo di stoffa. Notandola, Becky sorrise: «Vediamo la leggendaria potenza di Roma!» Gli strappò la mutanda svelando un cazzetto microscopico, lungo come la punta di una freccia e spesso come il mignolo della barbara. Sotto, una foresta di peletti fitti e neri soffocavano una coppia di pallette rinsecchite. Becky scoppiò a ridere di gusto facendo sprofondare Caius in una vergogna rosseggiante. «E quello cos’è?!?!» Rideva, rideva e rideva. Il soldato resistette finché poté, poi la paura cedette il passo all’orgoglio. Urlò: «Schifosa puttana! Quando vi avremo ridotte tutte in schiave tu succhierai il mio uccello da mattina sera!!!»
Le risa di Becky si incepparono. Un lampo attraversò i suoi occhi ora feroci e il suo piede destro si schiantò di punta al centro dello scroto di Caius, beccando entrambe le pallette che impattarono con violenza sull’osso pubico. Il romano cacciò un acuto rimanendo a bocca aperta. Ma non ebbe manco il tempo di elaborare il dolore che Becky caricò altri cinque micidiali calci di fila che gli spedirono i coglioni infiammati nello stomaco.
Caius piegò la testa in avanti incapace di urlare. Si sentiva come stesse bruciando. La barbara riprese a ridere. In meno di venti secondi aveva deriso e annientato un soldato del più potente esercito del mondo, e tutto solo perché aveva quel sacchettino ridicolo tra le gambe di cui i maschi sono tanto fieri, ma che è il simbolo tangibile della loro inferiorità. Lei invece, no. Tra le gambe era libera, e per questo superiore. Si eccitò pensando che, in un certo senso, avrebbe reso superiore anche quel perdente che frignava nudo davanti a lei.
Attese qualche minuto e gli afferrò le palle. Caius tremò mentre rantolava. «Ah, ma allora c’è qualcosa… credevo di aver colpito il nulla e non capivo perché ti lamentassi così. Aspetta, fammi sentire…» Schiacciò prima un testicolo poi l’altro tra le dita premendo coi polpastrelli, spingendoli ai lati dello scroto così che non potessero guizzare via. Caius si dimenava impazzito. Sbraitava, piangeva, implorava con voce rotta e infantile. Becky si gustava il tormento sul suo viso schiacciandogli le palle ancora più forte. Il cazzetto, scomparsa l’erezione, era sparito tra la foresta di peli assumendo più l’aspetto di un clitoride smunto. Andò avanti così per molti minuti che parvero ere al legionario: Caius si dimenava in modo osceno cercando vanamente di assecondare gli strattoni della donna.
Quando finalmente mollò la presa, il soldato si afflosciò in avanti, appena un rantolo gli usciva dalla bocca. Becky attese studiando la ridicola virilità dell’uomo. I coglioni si erano arrossati e gonfiati rendendo il cazzetto ancora più insulso e microscopico. Si spogliò delle pelli restando nuda, rifulgendo ancora più della sua selvaggia possanza femminile. I seni turriti lucevano al fuoco con capezzoli duri come l’acciaio. Tra le gambe, la fessura della vagina era incoronata da un ciuffo di peli fulvi.
Caius alzò a fatica la testa, gli occhi gli schizzavano fuori per il dolore, ma ciò non gli impedì di incrociare il corpo nudo della barbara. Ebbe un sussulto: troneggiava davanti a lui e, dimentico del dolore, il suo piccolo pene, scattò in un’erezione tanto insulsa quanto immediata.
Becky rise passandosi una mano sui seni. Avanzò verso di lui, e Caius ebbe un orgasmo incontrollato e lancinante. Dai testicoli gonfi uscì un piccolo fiotto di sperma che imbrattò la terra battuta della capanna. La donna scoppiò in una risata sonora e terribile.
Caius era sconfitto e umiliato. Iniziò a urlare insulti con una vocina acuta perché il dolore e la vergogna lo stavano corrodendo. Nella sua testa passarono tutte le immagini delle umiliazioni subite fin dall’adolescenza. Non era mai riuscito a far godere una donna a Roma, così si era arruolato pensando che in guerra avrebbe potuto sfogarsi violentando le prigioniere. Ma si era sbagliato: giusto un paio di settimane prima era stato svergognato davanti a tutti venendosi addosso mentre tentava di
abusare di una contadina, che era pure riuscita a fuggire strappandogli la tunica imbrattata svelando ai commilitoni il piccolo segreto.
Becky andò a mettere una lama sul braciere, aspettò che finisse di sfogare e disse: «Non pensavo che anche la bambine potessero essere arruolate ahahah!»
Caius avvampò ma non riuscì a dire nulla. Gli bastò vedere la finta che fece la donna nel calciargli nuovamente le palline, per scoppiare a piangere. «N-nooo… ti pr-eeegooo… basta… la-scia…mele stare… t-ti prego…»
Lei gli si avvicinò assumendo un’espressione di sadica dolcezza. «Oh, povero cucciolo…» Con la mano andò alle palle, e Caius si irrigidì per il terrore. Gliele prese tra pollice e indice: erano così piccole e morbide. Con l’altra mano prese ad accarezzargli il viso sudato. «Vero che mi dirai tutto?»
Caius respirava a scampoli e singhiozzava. «Tutto… tutto cosa?»
Aumentò leggermente la pressione delle dita. «I vostri piani di invasione.»
Caius sentiva i capezzoli della donna passargli sul petto e una nuova erezione stava crescendo. «Sono solo un legionario…non conosco queste cose.»
Becky gli andò accanto all’orecchio destro: «E io solo una donna, una puttana barbara, dite così no?»
L’uomo deglutì e il cazzetto si rizzò del tutto. Eccitato al massimo, il suo corpo si rilassò e la mente si annebbiò. Iniziò ad ansimare, a ritrovare sicurezza in sé stesso. Tirò le braccia e voleva strappare le corde per violentare quella selvaggia subito. Becky prese a massaggiargli le palle. «Non mi vuoi dire proprio nulla?»
Caius chiuse gli occhi e alzò la testa. Stava per venire di nuovo. «Sì…»
«Parla, allora. Saprò ricompensarti.» E gli passò la lingua sul lobo dell’orecchio.
Lui tacque, poi disse: «Succhiami il cazzo, TROIA!»
Becky scostò il suo viso dal suo. Caius non se ne accorse subito. Non sentiva più la mano massaggiare. Aprì gli occhi e vide lo sguardo fiammeggiante della donna. «Adesso ti castro.»
Non ebbe il tempo di realizzare. Becky strizzò le palle con tutta la sua forza ficcandoci le unghie. Caius esplose in un urlo acutissimo. La barbara strizzava e contorceva, faceva una spremuta di coglioni isolandoli sul fondo della sacca scrotale e schiacciandoli con le unghie contro il palmo della mano. Poi, li tirò verso il basso quasi a volerli strappare. La pelle si era lacerata e il sangue iniziava a uscire. L’uomo provò a chinarsi per alleviare il dolore, ma le corde glielo impedivano. Becky glieli tirò fino a quasi metà coscia, poi mollò di colpo e glieli fece risalire con un poderoso calcio di punta che fece sputare fuori al cazzetto un misto di gocce di sperma e sangue.
Caius vomitò e svenne, mentre la donna si sentiva sempre più bagnata e onnipotente.
Il romano riaprì gli occhi molte ore dopo svegliato dai piedi della donna che gli schiaffeggiavano il viso. Non era più legato alla croce, bensì seduto a terra a gambe larghe con le braccia dietro a un palo. Sentiva dolore in ogni fibra del suo corpo. Guardandosi tra le cosce vide solo un ciuffo di peletti sporchi. Fu colto dal terrore. «C-cosa… c-coosa mi hai.. fat-…»
Becky lo zittì ficcandogli il piede in bocca. «Bacia il piede che ti ha castrato!»
Caius agì d’istinto. Prese quel piede tutto in bocca iniziando a baciarlo e leccarlo con estrema devozione. Lei lo lasciò fare. «Ahahah! Adesso hai imparato il tuo posto nel mondo, microcazzo precoce.»
Continuò a leccare fino a quando lei non tolse il piede. Restarono un poco in silenzio con lui che cercava invano di guardarsi tra le gambe per capire se ancora gli penzolava qualcosa. Becky lo lasciò tormentarsi così ancora un poco, poi disse: «Tranquillo, le hai ancora le noccioline. Sono mal ridotte, ma potrebbero funzionare ancora, sempre ammesso che prima funzionassero ahaha! Però è la tua ultima possibilità: dimmi tutto quello che sai o ti esplodo quelle due cisti schifose.» Appena finì di parlare, poggiò il tallone sopra le palle, pronta a spappolarle col minimo sforzo.
«NOOOOOOOOOOOOO!!!» Caius urlò con quanto fiato aveva in gola. Chiuse gli occhi e iniziò a parlare a raffica, piangendo mentre lo faceva, intercalando il tutto con “le mie palline, no, ti prego!”
Rivelò tutto. Piani, voci, sospetti. Sapeva poco ma si sforzò di essere il più utile possibile facendo i nomi di quelli che potevano dare informazioni importanti. Becky lo ascoltava attenta e fiera. Godeva della sua superiorità, del suo essere donna. A causa di quelle due sferette molli che i maschi hanno, anche il più feroce dei guerrieri diventava un ammasso di lacrime persino sotto un calcetto di una ragazzina inerme. Ad un tratto della confessione, iniziò a masturbarsi facendo colare i fiotti del suo piacere lungo le cosce.
Caius andò avanti a parlare per mezz’ora buona sotto la minaccia costante del tallone sullo scroto devastato. Non ebbe erezioni. Il suo pene era ormai ridotto alle dimensioni della capocchia di un chiodo. Quando finì guardò Becky con gli occhi lucidi pieno di desolazione. Lei gli sorrise e disse: «Bravo.»
«Padrona, ti prego…»
«Un’ultima domanda: sei inferiore?»
«Sì, sì» si affrettò a rispondere lui.
«E perché lo sei?»
Indicò le palle col mento.
«Vorresti liberarti del peso dell’inferiorità?»
Caius esitò. Non capiva. Aveva male ed era terrorizzato come noi mai. Avrebbe fatto di tutto pur di evitare altri colpi ai gioielli. Becky esigeva una risposta. «Sì… liberami, liberami, mia padrona!»
«Come desideri.» Caricò tutto il peso del suo corpo sul tallone che stazionava sullo scroto che si schiuse un istante dopo cacciando fuori i testicoli spappolati nella polvere. A Caius si fermò il respiro e svenne nuovamente.
Lo ritrovarono due giorni dopo sulla riva del fiume. Era vivo e ciondolava sul greto senza una meta. Era completamente nudo e al posto dello scroto aveva un’ampia cicatrice cauterizzata con una lama rovente. Gli restava solo il micropene. Al collo portava una piccola custodia scura. Quando il centurione di guardia la prese vide che sopra c’era scritto: se ci tenete alle palle, andatevene! Aprì il sacchetto e vi trovò i testicoli dell’uomo!
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