Lo spettacolo di magia

di
genere
pulp

Il mago che si era presentato come il "Grande Guignoletti" perlustrò la sala con lo sguardo. Aveva occhi chiarissimi, quasi bianchi, messi ancora più in risalto da una buona dose di eyeliner - il che lasciava pensare che utilizzasse lenti a contatto. Tutto, nel suo aspetto, era un cliché: si presentava come il classico prestigiatore attempato e longilineo, dai modi raffinati e i lineamenti vagamente mefistofelici, che indossava - manco a dirlo - un frac e un cappello a cilindro.
Fra i tavoli del ristorante alcune braccia si erano alzate in risposta alla sua richiesta di "un volontario, un gentiluomo, senza offesa per le signore beninteso - verrà anche il vostro momento." Il mago scelse un giovanotto abbronzato di bell'aspetto, poco più che un ragazzo, e lo invitò a salire sul palco tra gli applausi degli avventori.
"Vi ringrazio infinitamente, signor...?"
"Stefano. Soltanto Stefano. Niente signor."
"Stefano, benissimo. Grazie per esservi offerto di vostra spontanea volontà."
"Prego. Di nulla."
Il volontario sorrideva, con le mani nelle tasche dei pantaloni, cercando con lo sguardo la ragazza che aveva lasciato al tavolo. Aveva un taglio di capelli all'ultima moda, con una sfumatura sui lati piuttosto elaborata, e portava una camicia bianca dal cui polsino spuntava un orologio di lusso. In generale il livello di stile nel locale era alto, e faceva sembrare un po' meno fuori posto persino il Grande Guignoletti con la sua eleganza posticcia.
"Coraggio, mia cara," disse improvvisamente l'illusionista, con voce stentorea, lasciando spiazzati un po' tutti quanti. "Esci. Vieni a me." Non c'era nessun altro sul palco, e l'uomo parlava senza guardare da nessuna parte in particolare.
"Ah!"
Il giovane di nome Stefano si piegò in avanti come colpito da un cazzotto allo stomaco. Al suo grido ne fecero eco altri dalla sala, di riflesso, soprattutto femminili. Con occhi strabuzzati il volontario abbassò la testa: c'era qualcosa, all'altezza dell'ombelico, qualcosa che si dimenava. Come se un topo gli si fosse intrufolato nella camicia. La cosa scattò in avanti e Stefano mandò un altro grido strozzato. La camicia gli si era tesa in cinque punti ravvicinati, cinque punti disposti come le dita di una mano, che ruotavano lentamente. In quel momento qualcos'altro fuoriuscì dal colletto del giovane e gli si attaccò ad un lato della testa, tra il panico generale. Era una mano, una mano umana. Con ogni probabilità una mano di donna, viste le dita lunghe e affusolate e lo smalto rosso. Gli affondò nei capelli, afferrandone una manciata, poi si riaprì e si lasciò scivolare via, accarezzandogli la guancia con un'unghia mentre ritornava da dov'era venuta.
Stefano rimase immobile, sbigottito, con la bocca aperta e gli occhi allucinati. La sua camicia prese a contorcersi come animata di vita propria, squassata dai colpi di qualcosa che sembrava voler emergere, con violenza, dal corpo stesso del giovane. Un lembo uscì dai pantaloni, seguito dalla mano di prima - o forse l'altra - e buona parte del braccio a cui era attaccata. Si allungò fino al petto e vi si distese sopra a dita divaricate, prendendo ad accarezzarlo con movimenti ampi e languidi.
Nel frattempo qualcos'altro ancora stava spuntando dal colletto del povero malcapitato - dal lato della schiena, questa volta - innalzandosi fin sopra la testa: si trattava di una gamba, nuda e aggraziata, anch'essa dall'aria femminile. Teneva il piede puntato all'insù, alla maniera delle atlete di nuoto sincronizzato, e non si muoveva se non per il fatto di continuare ad ergersi sempre più in alto.
Stefano ebbe uno spasmo e sembrò sul punto di sparar via gli occhi dalle orbite. La testa gli si riversò all'indietro, e il collo si gonfiò, come se qualcosa di grosso lo stesse risalendo dall'interno. Un attimo dopo dalla bocca aperta si affacciarono, occupandola per intero, le cinque dita di un piede - dell'altro piede - che si dimenarono in una specie di saluto al pubblico, tra le labbra tese. Saluto che il pubblico, pietrificato dall'orrore, non ricambiò.
E non era ancora finita. Anzi. La gamba destra dei pantaloni cominciò a mostrare segni di attività al suo interno, finché una mano non comparve dal fondo, di fianco alla scarpa, facendo ciao ciao. L'altra mano, che non aveva mai smesso di strofinarsi sui pettorali del volontario, si abbassò fino alla cerniera dei pantaloni e la tirò giù, per poi rovistare all'interno e tirare fuori una cosetta rosa e liscia. Quella cosa non era ciò che tutti si aspettavano, bensì un naso.
Tra l'incredulità generale il naso si spinse in fuori, seguito da una bocca e parte del mento. La bocca era molto attraente, luccicante di rossetto, e stava sorridendo a labbra serrate.
"Suvvia, mia cara, ora basta giocare," disse il mago, che per tutto il tempo era rimasto a guardare in disparte. "Il nostro pubblico desidera conoscerti."
La bocca fece una linguaccia, e tutti e quattro gli arti di donna si agitarono con fare canzonatorio per poi ritrarsi di scatto.
"Ah, è così?" tuonò il Grande Guignoletti. "Piccola impudente, t'insegno io!" In un attimo fu sul povero Stefano, che non ebbe nemmeno il tempo di riprendersi: il mago gli fece uno sgambetto che lo mandò lungo disteso per terra, poi si chinò su di lui e mimò, con entrambe le braccia, il gesto di estrarre dal suolo qualcosa di molto grande e pesante.
Dalla schiena del giovane schizzarono fuori - esplosero - due lunghe e splendide gambe, lacerandogli la camicia con uno strappo fragoroso. Scalciarono per un po' a vuoto, nell'aria, finché il mago disse "Non sei che una piccola sciocca, e un'illusa. Ora vieni a me!"
Le gambe si sollevarono, sospinte dal resto del corpo che si andava materializzando, come se ne venisse sputato fuori, dai brandelli della camicia. Si curvarono in avanti, trovando il suolo con la punta dei piedi, ed ecco che con una torsione d'innaturale grazia e potenza la donna misteriosa si raddrizzò e fece un inchino al pubblico, che finalmente la poté vedere per intero. Era molto giovane, ancora più dell'uomo da cui era scaturita, e bella come una ninfa delle sorgenti. Aveva grandi e malinconici occhi blu, e lisci capelli castano chiaro che ricadevano fino alle spalle, ai lati di un volto dolce e freddo come solo un volto di origini slave sa essere.
La sala esplose in un'ovazione che si protrasse a lungo. La drammatica entrata in scena della ragazza aveva quasi fatto passare in secondo piano - quasi! - il fatto che fosse non solo stupenda, ma anche completamente nuda. Seppur giovane aveva forme ben mature, un bel paio di tette impettite, ed era così bianca e morbida da capo a piedi che sembrava l'avessero ottenuta per pressofusione da una colata di yogurt alla fragola. La peluria fra le gambe era concentrata in un'area piccolissima, e appariva molto scura, praticamente nera.
La ragazza rimase docile ad aspettare che il pubblico si calmasse. Non accennò mai a coprirsi, si lasciava scivolare addosso gli sguardi e gli apprezzamenti senza alcun segno di imbarazzo. Ai suoi piedi, rantolando, Stefano si issò in ginocchio. Poi la vide, e sussultò.
"Uao. E tu chi sei? Da dove salti fuori?” Si affrettò a tirarsi su in piedi. “Eri tu che mi infilavi le mani dappertutto? Cazzo, sei favolosa."
"Grazie," disse lei con la faccia di marmo. "Bella camicia. Mi dispiace." Parlava con un leggero accento dell'est europeo.
"No, non fa niente. Senti, che ne dici se ti infilo un po’ qualcosa io, adesso? Facciamo un po' per uno. Come ti chiami? Ce l'hai un nome?"
"Ewa. Toglila, dai."
"Eh?"
"Ewa. È il mio nome. Il tuo lo so già, l’hai detto prima. Togliti la camicia che è tutta rotta. Ce l'hai una giacca?"
"Amico mio," intervenne il Grande Guignoletti, frapponendosi tra i due. "Ho dovuto essere un po' duro, spero non mi serbiate rancore. Come vi sentite?"
Stefano si sfilò quello che restava della camicia, mettendo in mostra un petto depilato e dalla muscolatura ben definita, seppur non troppo voluminosa. "Tutto a posto, vecchio. Ne valeva la pena. Anzi, se per caso vuoi tirarne fuori un'altra, fatta così..."
Il mago sorrise. "Finirei per peccare di superbia. E voi, con ogni probabilità, di lussuria."
Il silenzio in sala - il relativo silenzio - fu scosso da un grido di "Chiavala!" e da un'esplosione di grasse risate, provenienti da qualche tavolo dove si stava seriamente iniziando ad alzare il gomito.
"Signore e signori, per favore," disse il mago sollevando le braccia verso il pubblico, "facciamo un grande applauso per il nostro generoso signor Stefano - pardon, per il generoso Stefano - che ora, purtroppo, deve lasciarci per fare ritorno alla sua bella. La quale, non ne dubito, sarà ansiosa di riabbracciarlo."
Nel misto di applausi, fischi e risate che seguì, i due uomini sul palco si scambiarono una stretta di mano. Stefano fece un passo verso la ragazza, ma quella arretrò e gli soffiò un bacio dal palmo della mano, senza farsi toccare. Lui non insistette oltre, e a malincuore scese gli scalini per tornare tra la folla. Di ritorno al proprio tavolo ricevette il battimani entusiasta di un signore grassoccio e stempiato, qualche invito a battere il cinque da una tavolata di universitari, e più di uno sguardo di apprezzamento da donne di varia età. Una di queste, ad un tavolo di quattro amiche sulla trentina, chiese ed ottenne di sfilargli la camicia dalla spalla e tenersela, tra i risolini delle altre tre che riprendevano la scena coi cellulari.
Daniela, invece, non sembrava condividere alcuno di questi sentimenti. Teneva le mani rigidamente poggiate sulle ginocchia e gli mandava occhiatacce fin troppo genuine.
“Ti sei divertito? Ahi! Ma che…”
Per poco non rovesciò tutto quanto. Stefano l’aveva afferrata per un braccio, tirandola su di peso dalla sedia, e se la stava trascinando appresso verso il fondo del locale.
“Ste’, ma sei fuori? Basta, mi fai male! Mi fai male così.”
I séparé erano ancora tutti liberi. La giovane donna fu spinta oltre una tenda, perse l'equilibrio e cadde di traverso su una panca imbottita.
"Tu sei fuori," disse. "Sei matto davvero."
"Zitta," fece lui armeggiando con la cintura. "Spogliati. Levati tutto." Ansimava.
Daniela aveva perso una scarpa durante la caduta. La cercò a tentoni col piede, trovandola quasi subito.
"Non guardiamo lo spettacolo?" chiese, aggiustandosi i capelli.
"Sì, certo," disse Stefano. "Prima però mi svuoto le palle." Si abbassò pantaloni e boxer in un colpo solo, facendo sballonzolare fuori il cazzo in tiro.
"Fattele svuotare dalla tua amichetta."
Lui rise. "Mi piacerebbe, cazzo! La penserò. Penserò a lei mentre ti vengo dentro."
"Dio mio," fece Daniela, infilandosi i pollici sotto le spalline del top e del reggiseno. "Fai schifo, davvero." Abbassò tutto quanto insieme, e i seni le fuoriuscirono dalle coppe.
"Allora, ti muovi?" disse Stefano, ignorando sia l'insulto che le tette. Allungò le mani sulla gonna. "Fanculo. Faccio io."
"No!" Lei sgattaiolò via lungo la panca. "Ho le mie cose, lo capisci o no?"
"Ah." Cazzo, era vero. Gliel'aveva ben detto, prima, quando era salita in macchina. "E allora prendimelo in bocca, no?" Le mise una mano dietro la nuca e spinse la testa verso di sé. "Dai, cazzo, che sono pieno di sborra fino alle orecchie."
Daniela lasciò che lui le entrasse in bocca, scappellandolo alla bell'e meglio con le labbra e la lingua prima di cominciare ad aiutarsi con una mano. Dopo poche passate si spinse via per un momento e alzò la testa verso di lui. "Sei proprio un gran signore, Ste'."
"Lo so. È per questo che stai con me."
Lei, che aveva già ripreso a succhiarglielo, gli mostrò un dito medio con anello di marca, in oro rosa e ceramica nera.
"Succhia, dai. Così. Vedi che stavolta facciamo in un attimo. Così non ti lamenti."
Stefano chiuse gli occhi e smise di muoversi, lasciando che lei prendesse ritmo. Ripensò alla bella Ewa dalle gambe flessuose, che gli diceva di spogliarsi. Pensò alla sua fichetta slava e a come doveva essere calda e stretta e umida.

Fu di parola.
scritto il
2022-05-17
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