Carla mamma e altro

di
genere
incesti

Successe tutto in un giorno. Quel meraviglioso, fottuto, incredibile giorno. Vivendo talune esperienze capisci che la fantasia, per quanto arzigogolata possa essere, è sempre un passo indietro alla realtà. Il tempo quel 24 ottobre non scorse, rotolò. Like a rolling stone...
Telefonai a mia madre dandole la brutta notizia la mattina di quel tiepido fine ottobre di due anni fa. Rimase in silenzio qualche secondo prima di tentare una battutina sul destino che ci accomunava. Non ci fu bisogno di chiederle nulla, si offri lei di ospitarmi a casa sua. “Almeno ora, non hai bisogno di pensare anche a questo” disse. Convenni, nel farlo mi incantai sul tono delle sue rassicuranti parole e un torrente di immagini della mia convivenza con Lisa, mi passò davanti come un arcobaleno di toni grigi. Il pomeriggio stesso mi presentai nel suo appartamento di 55 metri quadrati in centro con in mano un trolley e nell’altra un ombrello. Mi aprì una donna elegante col suo migliore sorriso. Appoggiai l'ombrello vicino alla porta e lasciato il trolley coi vestiti l'abbracciai ricambiato. “Mamma sono bagnato”. “Chissenefrega!” Le mani sulle mie guance. M'invitò ad entrare. Tolto il giaccone umido e le scarpe mi addentrai e mia madre mi bloccò subito: “io mi posso bagnare, tu cambiati per carità che è venuta Ila proprio stamattina”. Ila è il diminutivo d’un nome impronunciabile di una graziosa ragazza coreana, la quale una volta la settimana aiutava mia madre con le faccende di casa. Essendo piuttosto impegnata al lavoro, preferisce un’oretta di palestra che tirare a lucido la casa. “Qui??” “E dove, per le scale?” mi tolsi pantaloni e camicia e glieli porsi. “Mmm… Fammi rifare gli occhi va'…” “Be’ ogni scarrafone…” feci di rimando. “È vero ma, sono anche una donna…” fece scorrere una mano sul mio petto e portò i miei abiti nel ripostiglio. La osservai e per una frazione di secondo vidi una bella donna dentro le vesti di una madre. 49 anni molto ben portati, pensai. Tornò con un mezzo sorriso in un volto serioso. “Ne vuoi parlare?” disse in piedi davanti a me. Mi ero già infilato in un paio di jeans e una maglietta; mi lasciai cadere sul divano. Incrociò le gambe, la destra dietro la sinistra, le braccia dietro la schiena. “E da dove comincio?” “Ah, ad esempio da cosa mangiamo stasera…”, disse alzando le sopracciglia. “Pizza?” proposi. “Mmm… Ci può stare” . Le accennai alcune spigolature circa il mio rapporto con Lisa negli ultimi mesi. Seduta accanto a me, ascoltava silenziosa, il dorso della mano sotto il mento. Scrutai fugace le mani curate e le lunghe unghie squadrate di un rosa acceso: “mamma mi guardi come se ti facessi una lezione…”. Arrossì e si ritrasse diversi centimetri: “forse perché m’interessa”. “Hai ragione, scusa". Non riuscii ad aggiungere altro. Si avvicinò: “Se non ne parli con me… Sei diventato timido o sono troppo vecchia per te?”, allargando le braccia con i palmi verso l’alto, il petto in fuori. Un gesto vanitoso ma innocuo, che però arrivo prima alle mie palle che al mio cervello. “Mamma tu sei uno splendore”. E mentre torna alla carica con un abbraccio, le sue tette di gomma spiaccicate sul mio petto, capisco che se mi sto eccitando ho bisogno di una scopata o ahimè per come sono ora, una bella sega. “Andiamo fuori o ordiniamo?” Rimanendo attaccata a me. “ Vado io mamma, tu prepara la tavola che tornerò con pizza e una bella bottiglia di vino". Ma perché le mamme non capiscono che ci piace, ma ci imbarazza sentire a lungo le loro tettone schiacciate sul nostro corpo? “Affare fatto” e da sportiva mi offrì il palmo delle mani, a cui risposi battendogliele in un doppio clap di sintonia di pensiero. Scelsi un vino bianco strutturato, meridionale, ricco di sapori e non certo economico: il tipo frizzante dell’enoteca sapeva il fatto suo. O sapeva semplicemente prendermi per il culo. Tornai a casa con due pizzone belle fumanti: con frutti di mare per me e salmone per mia madre. La porta d’ingresso era aperta. “Eccomi…” chiudendo con un piede la porta una volta dentro. La luce nell’altra stanza tremolava. Ombre fantasmagoriche danzavano sui muri. Era piuttosto buio. “Non accendere la luce” la sentii dire dalla piccola sala. Obbedii e voltato l'angolo trovai una tavola imbandita con piccole coppe di salatini e due calici neri. Una tovaglia bianchissima attraversata da una fusciacca fucsia, rendeva tutto elegante. Le candele riscaldavano l’ambiente con luce calda e una sensazione di effimero si perdeva nella fiamma. Sorrisi della situazione ma apprezzai il gesto. Era rilassante ma sensuale, come il profumo che percepii dopo il primo passo… Intrigante, floreale, pungente e deciso me ne stetti due secondi assorto da quel massaggio olfattivo. Inspirai a fondo e quando riaprii gli occhi, li posai su una femmina matura ma di notevole bellezza. Una gonna nera al ginocchio, calze nere e una semplice camicia bianca. “È di suo gradimento, signore?”, civettuola. “Dio, mamma! Abbi pietà di me, ora sono single…” mentre le passavo i cartoni delle pizze. Attimi dopo realizzai di averglielo comunicato con leggerezza, ma dentro di me ero serissimo. Sorrise ammiccando. “Vado a metterle in un piatto” e si girò. La guardai dalla testa ai piedi. “Riesci a sorvolare su questi sabot casalinghi?” disse uscendo dalla stanza. Deglutii e dovetti battere varie volte le palpebre. “Mi soffermerò sul resto”, con una punta d’ironia. Il suo viso fece capolino dallo stipite. Alzò due volte in rapida sequenza le sopracciglia curate e scomparve. “Le scarpeeeee…” feci due passi indietro e le tolsi. La cena filò via liscia come olio e tra un bicchiere e l’altro la bottiglia suonava a vuoto che ancora piccoli tranci di pizza erano sul piatto. Volle sapere un sacco di cose del mio rapporto. Non ero abituato ad approfondire certe tematiche con mia madre, eravamo uniti ma raramente scendevamo in particolari intimi. Dopo vari discorsi su diversi argomenti, arrivò a farmi domande sul sesso. Un alone di imbarazzo scese tra noi ma il vino stemperava le rigidità trasformandole in risolini e sguardi intensamente fugaci. “Tre anni assieme, di cui uno di convivenza… Non arrivi manco a un quinto del tempo, soprattutto alla vostra età, se non c’è grande affinità sotto le coperte!” “Be’ si…” “E chissà perché scommetto che negli ultimi tempi da quelle parti tira aria pesante.. “ “Cioè? “ “Da quanto non lo fate?” “Mamma…” feci imbarazzato. “La considero una risposta…” appoggiò la mano sulla mia mentre mi guardava a labbra strette. I suoi occhi brillanti danzavano, come a seguire la fioca luce dei ceri. Il mio pollice saliva, cercando di accarezzarle l'incavo tra pollice e indice della mano sopra la mia. La sua testa s’inclinò un poco, non riuscivo a decifrarne lo sguardo. “Hai quasi 28 anni, una buona posizione, sei maturo.. “ intrecciò le dita alle mie “e poi sei bello!” scosse le mani con una scrollata mentre lo diceva. “La mamma è semp..” “E basta: anche come donna ho voce in capitolo, ok?” “Agli ordini!” La serata avanzò tra discorsi più o meno seri sul morbido sofà, il vino nelle vene stimolava gesti e parole. Strano, mi sentivo in sintonia con lei come con una amica intima. Pareva dovesse rivelarmi qualcosa di clamoroso o che la serata dovesse animarsi, tipo quando un locale sta riempiendosi di gente giusta e l'aria diventa frizzante. “Mi va di fumare” le dissi. Il balcone restituiva una visuale sulla parte moderna della città. Aveva smesso di piovere. Una leggera foschia ammantava il paesaggio urbano restituendo sensazioni ovattate. I lampioni a luce calda immergevano ogni cosa in un’atmosfera ramata. Una sigaretta per uno, filosofeggiando sui tempi migliori, quelli andati e quelli a venire. L’ultima miccia al tabacco ce la dividemmo. Sembravamo due quindicenni che si dividevano la prima canna. Ad ogni tirata due sguardi lucidi s’incrociavano. Lei con le braccia conserte scossa da piccoli brividi che chiedevano un riparo fra braccia più calde. Tirammo quella Marlboro in religioso silenzio, vicini, in compagnia di cemento , vetro e metallo e qualche clacson lontano. Le tirate avevano scaldato la sigaretta; fumarla non faceva che rafforzare gli effetti del vino. “Oddio sai che mi gira la testa? Non ho più l’età!” disse mamma. Un tiro e la appoggiai sul vaso della pianta grassa in basso a destra. Mi alzai con lei che mi teneva una mano: l’abbracciai e le massaggiai la schiena per scaldarla ”Tutto ok mammetta?” “Si si, ospito un uomo stasera… Assomiglia ad un ragazzo che fino a diciotto anni mi salutava con quei bei bacini…” “Ma anche fino a venti. Eh eh, abbiamo perso quel vizietto qualche anno fa!“ risposi. “Quanto mi mancano… Ma che vuoi fare? Quando crescono si vergognano della mamma.” “Di te? Perché dovrei? Dimostri 10 anni in meno!” “Esagerato". “E poi da come ricordo, ero soprattutto io a prendere l’iniziativa. Mi sentivo in colpa a lasciarti sola". Sorrise inclinando il capo da un lato. “Poi ero spesso geloso". Raddrizzò la testa, gli occhi sgranati e la bocca spalancata: “Perché?” Ripresi la sigaretta, aspirai veleno, assaporandolo come se mi aiutasse a cercare le parole giuste.” Gliela porsi. Aspirò pure lei con evidente piacere, fissandomi. “Perché avevo solo te, perché ti frequentavi con quei tipi da Billionaire, perché sei giovane, bella ed è normale che piaci. Ora lo capisco, all’epoca era un po' più difficile da digerire. Sai, la paura di restare solo a quell’età, quando sai che può essere vero, supera quella della voglia di indipendenza.” Spense la sigaretta nella terra della piantina. Seria, si avvicinò ancora di più. “Non ti avrei mai abbandonato: sei la mia vita. Mi dispiace tu abbia sofferto, anche se… Be’, sono lusingata!” mordendosi il labbro inferiore. “Vorrà dire che ti darai da fare per recuperare!" Finì la frase sorridendo poi si strinse a me, donandomi la femminilità del suo corpo. Purtroppo questa poesia tra madre e figlio fu interrotta da una violenta erezione. “Oh ooooh!” scandì con palese ironia. Cercai di scansarmi, ma lei mi stupì abbassando la voce: “tranquillo, sono sempre tua madre… E poi, caspita! Ok recuperare, ma tu i preliminari proprio no, eh!” ridendo. “Dai mamma, che dici?” “Non ti devi mica vergognare: ti capisco. È normalissimo.” “Dici?” Rimase qualche secondo ancora avvinghiata al mio bisogno di sesso, poi staccatasi, sospirò, mi fece l’occhietto e mi guidò dentro. “Andiamo a nanna?” “Ma si dai, non sono stanco ma ho voglia di distendermi”. Estrarre il pigiama dal trolley produsse una fitta al cuore. La catalogai come immagine tipica del fallimento di coppia. “Vado a cambiarmi". “Anche io" facendole vedere la massa informe di cotone buttata rabbiosamente nel trolley la mattina. Mi fece portare tutti i vestiti in camera sua, facendo spazio tra i suoi abiti per quei pochi miei ben ripiegati. “Lascia fuori quelli, se riesco te li stiro domani” “ok" risposi rabberciando alla bell'e meglio i panni stropicciati. Chiuse l'anta a scorrimento e iniziò a sbottonarsi la camicia. Lo fece con naturalezza, con la grazia che la contraddistingue, chiedendomi se l'indomani potessi aiutarla con la spesa del sabato e giretti vari. Si girò di fianco e la tolse riponendola in una gruccia. La gonna cadde a terra senza fronzoli di sensualità; fu proprio quella semplicità a risvegliare il tarlo ormonale. Uscita da quel cilindro afflosciato di stoffa mi guardò di sottecchi. Deglutii fotografando le gambe nel nero di quel nylon, perfettamente aderente ai suoi lineamenti. Il piccolo rotolino che sbucava dall'elastico delle calze, rappresentava la sexy imperfezione della circostanza. Resettai con un respiro, conscio che dovevo sfogarmi quanto prima se non volevo impazzire. Ero talmente pregno di testosterone che mi eccitavo con il corpo di mia madre. È una donna in forma, brillante e giovanile ma sa essere austera quando serve: al lavoro, lei e il suo tacco dieci non transigono! Non avevo contemplato il suo lettone. Quando mi vide cercare una coperta mi domandò il motivo. “Il divano non ha coperte e non è più giugno da un po’” “Scusa caro, va bene che sei massiccio, ma come vedi tua madre si può permettere un letto per due…” “In verità non vorrei esserti di peso, crear problemi “ “Addirittura!” incredula. “Sei fuori? Ma averne di una compagnia degna di questo nome!” in un gesto eclatante, le mani a percorrere la mia figura. “Vieni stupidino, io non sono lei, in questo senso tu puoi chiedermi di tutto, non riesco a pensare a niente che non sia il tuo bene… Forse, come dicevi prima, la mamma è sempre la mamma, abbracciami scemo". Lo feci con moderazione contrariamente a lei che si fiondò su di me. Il mio pigiama incontrò la sua camicia da notte e per un momento temetti una nuova erezione. Scacciai ogni pensiero erotico e non so come riuscii a non farlo venire duro. Solo un leggero accenno di rigonfiamento, come un piccolo saluto al ventre materno al di là dei tessuti. Avevo pur sempre bisogno di sfogarmi per mancanza di sesso, per lo stress degli ultimi periodi, o semplicemente il vecchio sano piacere di tirarsi una sega. Una madre ti legge dentro e infatti tra il serio e il faceto mi disse: “Tutto a posto?” “Si perché?” Abbassò gli occhi, indicò i miei genitali e li rialzò puntandoli sui miei e sorrise con malizia. Non è facile mettermi in imbarazzo però sentivo il calore nelle orecchie e nelle guance. “Più o meno” risposi. “ “Mm… Sarà!” si sedette su lato sinistro del letto e iniziò a togliersi i collant. La osservavo di sguincio dissimulando in modo puerile menefreghismo sistemandomi il pigiama. Si girò di scatto beccandomi con le dita nella marmellata. “Se ci tieni imito la Loren…” senza far trapelare emozioni se non un mezzo sorriso. Ne risi non sapendo cosa rispondere. Distolsi lo sguardo quando la vidi combattere col reggiseno. Sotto le coperte parlottammo in compagnia di una luce rossa fioca. La lampada a glitter immergeva la stanza in un’atmosfera di rarefatte sensazioni. Il fatto di avere una bella donna accanto ma non poterla scopare, creava una frustrante alternanza di eccitazione e nervosismo. Supino studiavo i piccoli riflessi che la lampada produceva sul soffitto e tutt’intorno. La sua mano s'intrufolò fra i miei capelli. “Rilassati” sottovoce. Non risposi. Si avvicinò continuando a farmi carezze in testa. “Ci sto provando". Stesa su un fianco, percepivo il suo sguardo indagatore. “Ti voglio bene" “Anche io mamma". L'altra mano si appoggiò sul mio petto. “Senti qua! Aspetta, non ti muovere" e si posizionò con la testa sul mio pettorale sinistro. Girata verso di me, chiuse le palpebre. “Ma che fai?” “Zitto!” La mano che prima era sul petto, ora era immobile sulla pancia. “Il tuo cuore…” “Batte?” “Mm”. Il cazzo non sopportò altro e non avendo occhi si preparò a un dovere non chiesto. Si preparò così bene, che nella penombra della stanza si notava comunque il bozzo da sopra le copertina leggera. Appoggiai una mano su mia madre nella speranza servisse a non farla girare. Funzionò, la mano dalla pancia scivolò lungo il mio fianco e sembrò fermarsi definitivamente sull'anca destra. L'altra mi carezzava la spalla sinistra sconfinando fino alla testa. L’erezione non voleva saperne e stava quasi diventando dolorosa. Riuscivo a malapena a tenere il respiro normale. Sembrò addormentarsi nel momento in cui la mano destra le finì tra il suo viso e la mia gola. Dio solo sa quanto mi tirava l’uccello. I sensi amplificati mi offuscavano la mente, solo dopo tutto quel tempo realizzai il suo seno che premeva sul mio costato. Chiusi gli occhi. La mia mano raggiunse il suo fianco e lì stazionò. Non avevo dimenticato a chi appartenesse quel corpo di donna che giaceva su di me. Non volevo dimenticarlo, ma allo stesso tempo tutto io mio essere avrebbe fatto carte false per entrare in lei. Ciò mi terrorizzava: chissà cosa avrebbe solo pensato, se avesse potuto sondare la mia mente. Il primo confine lo stabiliva quella concavità ove la mia mano sinistra s'era appoggiata. In quelle condizioni sconfinare, cavalcando l'onda del gluteo, era un messaggio preciso e proibito. La coperta lasciava parte di visuale gratis. Il resto esigeva cambiali a vita. Il suo respiro interruppe bruscamente la regolarità; mi ritrovai paralizzato col cazzo ancora piuttosto in tiro. Schiuse dolcemente le palpebre, mi sorrise e uno sbadiglio irrigidì le sue membra. Le mani, dapprima spalancate, strinsero la mia pelle. Un fremito percorse il suo corpo. La accarezzai lungo il fianco, stando accorto a non toccarle il culo. Lei non ebbe la stessa accortezza. Probabilmente rincoglionita dal sonno, allungò il braccio sinistro stirandolo come una gatta, poi lo fece passare radente il mio corpo. A metà percorso il suo avambraccio cozzò deciso il mio cazzo. Ebbe un sussulto: “oh madonna!”, si girò a guardare la montagnetta di tessuto nella bassa luce rossastra. Tastò sopra la stoffa come a sincerarsi della cosa. “Oh madonna", ripeté, poi proruppe in una risata sincopata. “Ma dai Mattyyyy… Non puoi stare così!” “Lo so ma'… Non ti preoccupare, so badare a me stesso: come dicevi tu, chiusa una porta, si apre un portone!” “ Si certo, ma stattene zitto, va'…”. E accadde il danno. Il piacevole e maledetto danno. La mano rimase sul mio uccello e mamma colse l’occasione per tastarmi ben bene. “Guarda che non è un problema…” con la mano strinse il mio pene in punta e si girò, occhi negli occhi: “capito?” Quell’atmosfera ormai lussuriosa non contemplava più un rapporto parentale. Inebetito, l'unica risposta che seppi darle fu la mano che ora audace, dal fianco scorse i centimetri necessari a stringerle una chiappa. Evidentemente comprese che mi rimaneva difficile dirle qualcosa. Considerò un si quel palparle i glutei con voluttà. Si voltò appoggiando la testa sulla mia pancia. Scansò la coperta e la mano prese a scivolare su e giù sopra il pigiama. Ogni tanto stringeva, ma la presa non era agevole. Con la mano destra cercai di abbassare pigiama e boxer. Mi aiutò a liberarmi del superfluo. Sentii il cazzo svettare libero: se avesse avuto la parola mi avrebbe ringraziato! “Wooow" proferì con un filo di voce, e ammutolì. La sue dita scivolarono lungo l'asta più volte. Chiuse il pugno attorno la cappella, frizionandola. Il mio arnese si gonfiò al massimo. Allentò la presa a favore di un inizio sega. Me lo prese al centro e tirò fino in fondo; poi cominciò la sega vera e propria. Le infilai la mano sotto le mutande e andai in cerca della figa. La sega procedeva ritmica mentre la sua intimità già grondava tra le mie dita. La sentivo gemere delicatamente e roteare la testa sul mio addome. All’improvviso strinse più forte il cazzo e alzatasi me lo prese in bocca. Mi sentivo succhiare l'anima. Più succhiava, più forte sditalinavo la sua fica. Ora gemeva col mio cazzo in bocca. Non avrei resistito ancora a lungo: da troppo non venivo ed ero ipereccitato. Con la destra le massaggiavo un po' i capelli, un po' le tette. Avevo due dita nella figa di mia madre, quando si staccò per gemere più forte. La mia mano era totalmente impiastricciata e i rumori del sesso inondavano la stanza. Segava come presa dal demonio. Ero pronto. Le spinsi la testa sul cazzo. Con una mano si appoggiò sulle mie palle, poi le strinse. L'altra in un frenetico su e giù con mezzo cazzo in bocca. Sentii nettamente il primo getto finirle in gola. Segava da Dio, accompagnando i fiotti che ingoiava avidamente. Poi mise la mano che stringeva le palle sotto l’altra, mi stiro la pelle con entrambe fin quasi a farmi male e succhiò fortissimo la cappella con movimenti circolari. Per un momento persi ogni barlume di lucidità. Non sono sicuro di aver mai provato sensazioni così potenti. Finì leccando tutto il cazzo fino alle palle, sulle quali alternò bacini a ciucciate golose. Quando mi ripresi dal torpore abissale, la trovai accanto a me. Ero spento, fu come se mi avesse mandato il cervello in paradiso e poi tolto la corrente. On. Off. Non ricordo quando caddi in quel sonno buio. Mi salutò sorridente e mi stampò un bacio sulla guancia. “Una decina di minuti…” sorridendo. Sapeva di sborra, di palle, sudore e urina. Sapeva di ogni molecola di me. E di lei. “Mam…” mise al volo un dito appiccicoso sulle mie labbra: “Ssshhh…”. Obbedii alla richiesta di silenzio e l’abbracciai. La portai sopra me. Il cazzo quasi si riprese a sentire le sue forme. Passò una mano fra i mie capelli e avvicinò il viso. A pochi centimetri scosse la testa in segno di diniego. Appoggiò le labbra alle mie per poi staccarle quasi subito. Si accostò felina al mio orecchio: “Me ne pentirò, però lo voglio…” “Sicura?” mi guardò confermando con il capo. Con un contorsionismo si tolse gli slip; andò in cerca del mio fallo, lo rimise in forma e se lo infilò nella fica. Era bagnata all’inverosimile: il pene sembrava scivolare nel burro fuso. Il tutto guardandomi come se dovessi scomparire. Di getto, il suo capo cadde all’indietro. Si muoveva lentamente. Le tolsi la camicia da notte: che belle tette ora ballonzolavano libere davanti ai miei occhi! Gliele toccai e ciò mi provocò una sensazione di gioia incontenibile. Doveva piacere molto anche a lei, poiché più palpavo deciso e più forte gemeva. I vicini? Non ci pensai. In tutta onestà, in quel frangente non me ne importava granché. Torturai i capezzoli gustandomi tutte le vocali sospiratemi in faccia. Le cinsi per i glutei senza però forzare i suoi movimenti. Guidava lei questo viaggio proibito. Anche in questo era mamma… L'osservavo cercare il piacere e ciò era bellissimo. Sembrava slittare avanti e indietro sulla vaselina tanto lo faceva con frenesia e la carica di una ventenne. Il mio bel cazzo, stordito dal lavoretto di prima reggeva bene l’inaspettata performance di mia madre. La sua prima venuta fu accompagnata da un caldo squirt sulla mia pancia fino al mio petto. L'urlo fu assorbito dai denti stretti e trasformato in un animalesco rantolo di profondo piacere. Adesso si muoveva al rallentatore . La spostai di peso stendendola alla mia sinistra. Mi fiondai su quei capezzoli duri e glieli torturai qualche minuto, le sue mani sulla mia testa che cercavano capelli da strappare. Con una lunga, lenta linguata arrivai alla figa. La guardai con devozione: il mio ingresso in questo mondo! Curata, pelo corto e intriso di noi. Annusai quasi commosso. In religioso silenzio. Stavo per stampare indelebilmente il bacio più importante: quello per rendere grazie alla vita. Chiusi gli occhi con reverenza. Quando le mie labbra si posarono sulla sua morbida vita mi fermai: doveva essere speciale. Volevo imprimermi quelle sensazioni nella profondità del cervello e chiuderle a chiave. Poi le alzai le cosce spingendogliele verso l’alto e iniziò una cunilingus che la fece impazzire. Minuti a leccarla sì avidamente che avevo un dolore cane alla mascella. “Ti pregoorabasta” proruppe in un millisecondo. Le sorrisi e mi lanciai sulla sua bocca. Aveva le labbra secche. La baciai con passione e staccatomi di scatto, tornai a cercare la porta della vita. Stavolta c'infilai il cazzo e vidi i suoi occhi girarsi all’indietro. Le tenevo le gambe per i polpacci e la scopavo con lenti e profondi colpi. Un piccolissimo squirt le fece arcuare la schiena e cacciare un urletto. Tolto l'uccello toccai la ficona e mi accorsi della colata sul culo fino al materasso. Feci girare mamma: avevo voglia di metterla a pecora. Stavolta glielo ficcai dentro con impeto: volevo sborrare. Venirle dentro e più internamente possibile. Allargai le chiappe e quel buco… Dio! Quel buco non poteva restare impunito: e quando mi sarebbe ricapitato? L'idea che fosse solo per quella notte mi fece osare: il pollice entro nello sfintere senza tanti problemi. Mentre la pompavo estrassi il pollice e inserii indice e medio nel culo. Oltre le copiose secrezioni vaginali mi aiutarono un paio di sputi. Con le dita nell'ano, sentivo il cazzo andare avanti e indietro. Mamma mugolava con insistenza, ma mi lasciò fare. Il suo era un miscuglio sensuale tra vocalizzi di godimento e gemiti sincopati. Tolsi il cazzo dalla figa e lo puntai nel culo: oppose un po' di resistenza, ma non quella che mi sarei (voluto) aspettare. Un volto stravolto si girò verso me. Mi fissò con la coda dell’occhio. Ricambiai pieno di brama di possesso. Poi il treno entrò in galleria e raggiunse mete che nessun oracolo avrebbe osato profetizzare. Rimise la faccia sul cuscino e urlò. Come un toro scatenato senza pietà la pompai nel culo. Le sue urla a perdifiato attutite dal cuscino erano benzina nell’incendio. Con una mano le sfregavo famelico il clitoride. Ero in procinto di venire ma lei mi anticipò con un poderoso squirt sul letto e una serie di urla indemoniate. Era troppo: sborrai in quel budello stretto una serie di spruzzi caldi mentre pompavo inferocito. Quasi venti centimetri di randello più largo che lungo, entravano fino a battuta del pube con la cattiveria degli ormoni in fiamme. Il buco del culo aveva la pelle tirata e rossa: era quasi violenza il mio scoparla. Il letto urtava ritmicamente contro il muro, appena attutito dai feltrini tra sponda e parete. Mamma sbatteva la faccia contro il cuscino con voce ormai rauca e un tono basso che non sapevo da dove venisse. Le caddi addosso col cazzo ancora infilato in culo. “Scusa mamma, ma hai detto che te ne saresti pentita, ho approfittato di te…” Un sospiro, e con la coda dell'occhio disse: “Sono davvero pentita" attimi di silenzio, “di non averlo fatto prima".
scritto il
2022-07-12
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