Carla, madre e... Altro 2
di
Diamantedorato
genere
incesti
Il fuoco riscaldava l’ambiente. Scoppiettava lanciando piccole comete arancioni che si perdevano nel camino.
Tante minuscole Halley, si schiantavano nel vetro o si nascondevano negli anfratti bui del focolare, un po’ come il malcelarsi di certe persone…
Erano passati due mesi da quel lungo week end a casa di mamma. Innumerevoli interrogativi, comode risposte. Sensi colpa nascosti sotto le coperte.
Fastidiosa sensazione di avere gli occhi del mondo addosso. Rimasugli di coscienza, incollati come i mille pezzi di un vaso andato in frantumi … Talvolta non capivo se fosse tutto un sogno o un incubo o la congiunzione astrale di due anime allo sbando sentimentale. Due mesi, nel frattempo non avevo cercato un nuovo appartamento, avevo avuto una piccola promozione al lavoro, ero uscito con una trombamica e come fosse la cosa più naturale del mondo avevo continuato a scoparmi mia madre. Lisa non si era più fatta viva se non per messaggi, chiedendomi ogni volta dove fossi, come se fare nomadismo condominiale fosse il mio sport preferito.
Prima ti lasciano, a torto o a ragione, poi si preoccupano di te.
Quando seppe che a tempo da definire mi avrebbe ospitato mia madre, sembrava infastidita.
“Allora non ti fermi solamente per un weekend!”
“Sai com’è mamma…”
“Donna moderna e in carriera. Non certo la massaia d’altri tempi, con peli e pinze sui capelli direi...”
“Bè la conosci, ci tiene e poi...”
“E poi è pur sempre una mamma, quindi premurosa, coccolona, però sportiva e brava in cucina. Ma con un seno invidiabile sempre ben esposto, belle gambe e tacco-dipendente... In fondo, ti dispiacerà molto stare da lei… Siete ancora nella fase del bagnetto o avete già bypassato la morale comune?”
“Ma sei fuori??”
“Per niente, ma tranquillo non disturbo oltre: avrete tante cose da dirvi, dato che da qualche anno non vi vedevate come si deve, no?”
“Tu invece, oltre ad aver preteso del tempo da sola per capire, come te la passi?”
“Bene grazie, certo non indosso il tacco dodici e la minigonna poi porto mio padre a cena fuori, né mia madre si veste come una troia in calore... Ma comprendo che di fronte a siffatto figlio, onde evitare di farlo divertire solo con le coetanee, occorra stuzzicare qualcosa in più dell’amore platonico!”
“Come se avesse bisogno di me, ha la fila di bavosi dietro, pensi non lo sappia?”
“Bè di certo saprà che è stata brava a fartelo, magari con l’età si è incuriosita: la lasciamo insoddisfatta la bella mammina??”
“Ma che ti prende ora”?
“Ah ah... Avresti dovuto dire: che cazzo dici Lisa? Sabato scorso vi ho visti uscire dalla pizzeria, sembravate più una coppia che madre e figlio e non sono stata l’unica a pensarlo. Senti: io non so perché tua madre si veste da star di hollywood quando esce con te, non so che fate, né voglio saperlo ma se permetti, da donna, mi sembra un po’ strano che una signora esca vestita così, ogni volta che capita una cena o non so cosa col figlio!”
Non sapevo cosa risponderle, ora mi spiava? Che avrebbe detto se avesse saputo che da mamma non c’era un secondo letto? O meglio aveva un divano-letto in soggiorno, ma dopo la prima notte, fu chiaro a entrambi che la modalità materasso piccolo e scomodo e in odor di seghe, non mi avrebbe interessato granché. Feci un reset istantaneo della cosa, Dio santo: Lisa mi avrebbe messo sul giornale! Deglutii cercando mentalmente una risposta accettabile.
“E’ giovanile ok, pensavo il suo corpo fosse argomento maschile, tipo roba dei miei amici, soprattutto qualche anno fa... Sarai mica gelosa di mia madre?”
Proruppe in una risata nervosa.
“Gelosa, io? No caro, tu piuttosto vedi di stare attento: attorno ai 50 anni madre o non madre, oggi una donna può farti perdere il senno...”
“Ok ok... Ora devo andare, mi squilla il telefono, mi vogliono dall’ufficio”
Presi la chiamata, era un collega che doveva necessariamente chiedermi un favore...
Alcuni minuti dopo lessi il suo saluto.
“Va bene, un abbraccio. E trovati un appartamento senza le belle tette di mamma a portata di mano” .
Non mi andava di dargliela vinta….“Già succhiate decenni fa. Ricordi parliamo di mia madre?”
“Quella vuole altro da te, si vede da lontano, datti una svegliata, una donna queste cose le capisce e solo a parlarne, non so se mi devo incazzare o vomitare”
“È una fissa la tua…”
“Non mi convince il tuo tono, siete due porci”
“Ora basta”
“Te la scopi?”
“Ma certo”
“S’è scopata pure i tuoi amici o li lascia segare?”
“Buona giornata“
“Se non altro ha buon gusto…Fanculo tu e la vaccona...”
Dai toni e dalle battute, se non l’avessi conosciuta, avrei detto che fosse davvero gelosa. Certo, avesse saputo la discesa lussuriosa del rapporto con mia madre, l’avrei capita. Ma ben mi guardavo di farle carpire anche il minimo dettaglio dei nostri amplessi proibiti.
Tuttavia mamma aveva davvero delle tette da urlo e un corpo incredibilmente tornito per i suoi 49 anni. Quelle piccole imperfezioni, davano il senso di vita vissuta e non certo fanatismo estetico, come certe signore che “abitano” in palestra.
Fui catturato ancora una volta dal focolare del ristorante in cui mi ero fermato a pranzo.
Le parole nei messaggi di Lisa, piuttosto affilate, mi avevano comunque colpito.
Le fiamme del camino mi fecero cadere in una piccola trance: improvvisamente davanti agli occhi, immagini opache sostituivano la lucidità razionale della realtà.
Vedevo Lisa, la vedevo mentre scopava con quel cretino col Mercedes aziendale, poi la vedevo appartarsi con lui, poi sentivo nettamente i gemiti profondi. Ma non erano di Lisa, erano di Carla, mia madre. Ora era lei a montare su di me come una cavallerizza gioiosa, un’amazzone impazzita che alla sua età era capace di twerkcare come le porcone da film porno o le nuove leve delle cantanti latine. Nella fantasia tremolante, le sue tette già abbondanti erano enormi e mentre cavalcava il mio uccello le sballottolava a destra e a manca.
Mi destai da quel film, immobile mi guardai in giro rotando gli occhi. Ognuno faceva gli affari suoi e la mia incipiente erezione era ben mascherata da pantaloni e tovaglia che arrivava sopra le gambe.
Ripresi a respirare, guardai il cellulare come avesse davvero squillato e una volta rilassatomi, andai a pagare.
Le mie giornate scorrevano nel binario della vita con una nuova serenità.
Una rotaia scorreva verso le soddisfazioni in campo lavorativo, discreta vita sociale e qualche sessione di palestra.
L’altra rotaia andava dritta verso un sentiero inesplorato. Negli utimi anni era partita con un rapporto di coppia vivace, alternato a tinte piatte, per poi finire dritto dritto dentro un incesto pieno di colori, potente, inaspettato.
Eravamo consci di essere dei maniaci drogati di sesso.
Gli amici che notavano le occhiaie parlavano di seghe da single. Qualcuno sapendo il mio ritorno all’ovile, aveva provato a ipotizzare, più o meno scherzando, un aiutino materno. Dubito avessero idea di aver fatto centro. E io sono piuttosto bravo a dissimulare… Quelle occhiaie erano il risultato di scopate in ogni angolo di casa.
E fuori casa.
Scopatone che sapevano di piacere intensissimo, talvolta rabbiose, talvolta lascive, ma sempre sudate.
Scopatone audaci, improvvisate, da fondere la pelle l’un l’altra, ma sempre volute, a volte suggerite solo con lo sguardo, ma approvate dagli umori che si mescolavano come vitigni esclusivi, per dare un risultato d’autore.
L’azzardo non è tanto scoparti tua madre, sai che novità!
Il rischio è non fermarti se trovi un godimento così intenso. Sapere che tua madre se la scoperebbero in tanti perché è una bella donna, non aiuta certo a smettere. La sorpresa di un sesso portentoso a portata di mano è una calamita potente. In fondo, è proprio sapere che quella bella signora che urla, squirta e graffia è tua madre, che ti piace!
Ti piace chiamarla mamma con naturalezza, mentre le dai il cazzo ovunque. Ti piace il suo sguardo d’intesa, il suo accettare di essere la tua troia selvaggia, mentre rivoli di sborra le colano dagli angoli della bocca. Ti piace uscire dagli schemi senza fregarsene se ti considerano pazzo. Due adulti, molto adulti, liberi e consapevoli della loro scelta di volare con un sorriso sopra i pregiudizi della gente. Ti piace sorridere alla beffa: cerchi chissà dove, e le scopate più intense le fai con una che hai vicino da quando sei nato. Ti piacciono quei pompini succosi, fatti con dedizione assoluta, perché frutto di un amore incondizionato. Ti piace perché non devi chiedere nulla, lei ti guarda e con finto diniego scrolla la testa, ma poi è lì a tirarti via le impurità dall’anima con la sua bocca esperta. E mentre te lo lavora e ti guarda compiaciuta, non tocchi il cielo, lo prendi in mano e lo fai tuo. Attimi vibranti in cui sei il padrone del mondo.
Ti piace abbattere quelle barriere di conformismo, sprigionare il desiderio di non essere deferente, come una cravatta al collo in una riunione di colletti bianchi. Ci vorrà il tempo che ci vuole, nel mentre abbiamo deciso di consumarci di piacere.
Poi ognuno tornerà a vivere entro canoni a cui i più sono conformati.
La casetta di legno era favolosa, piccola e pratica. Ne valeva tutto il lungo viaggio. Non mancava nulla e il caldo non era un optional. Da dietro i vetri il panorama mozzafiato era una cartolina delle montagne austriache. A distanza un laghetto di smeraldo danzava in cadenzate sesse, quasi a ritmo degli abeti che formavano un mare attorno. Un grande lenzuolo verde in attesa delle prime intense nevicate, da cui qua e là i camini delle casette tipo la nostra, lasciavano il sospetto che qualcuno avesse avuto lo stesso nostro buon gusto.
Ci regalammo una settimana di pace, lontano da rumori, nervosismi, inquinamento e stress. Fuori dai vetri un quadretto familiare, dentro il calore radioattivo pronto a detonare. Mamma Carla stava armeggiando con le padelle, e io mi godevo le sue gambe e il suo culo. Proprio come due amanti avevamo dato sfogo alle nostre fantasie più assurde. Le chiesi di cucinare per me con solo il grembiule da cucina. Il bello di queste cose è che non avevo mai bisogno di ripeterlo due volte.
Assecondava ogni mia richiesta come fosse un ordine. Incredibile riuscire a descrivere come dopo la prima notte, tutto tra noi divenne naturale, sessualmente parlando. Ovviamente oltre il grembiule le feci indossare un paio delle sue “Castamere”: tacco dodici con plateau e un colore rosso Ferrari che tirerebbe su il cazzo anche a un morto!
Mentre mi dava le spalle facendo attenzione alle sue padelle, mi tolsi i pantaloni.
Fanculo la follia del perbenismo: avevo già l’uccello in tiro.
Quelle chiappe che ondeggiavano al ritmo dei movimenti dietro ai fornelli, il suo essere concentrata su ciò che stava facendo, era benzina sul fuoco.
Parlandole, mi avvicinai, non so se si fosse accorta che sotto ero nudo e col cazzo duro.
Sicuramente se ne accorse mentre avvicinatomi a lei, gli appoggiai il glande sopra il culo.
Fermò all’istante i lavori e lasciò che la sua nuca toccò il mio petto. Abbassai i fornelli e le allargai le gambe. Le cinsi il poderoso seno stringendolo, torturandone i capezzoli.
“Così non vale...” disse.
“E come vale?” Le chiesi...
La risposta era nella mano che era passata dalla tetta alla fica: umori.
Umori di donna matura, consapevoli, liberi. Umori che scendevano dritti dritti dalla volontà di una donna di godere, e se quegli umori liquidi erano causati dal figlio non era importante, anzi era estremamente eccitante. Importante era godere trasgredendo. Presi il cazzo e lo puntai sulla sua fica bollente. Non mi andava di perdermi in preliminari: avevo bisogno di sentirlo dentro di lei. Lì e subito.
Non era ancora bagnata fino in fondo ma lo divenne in brevissimo tempo.
La misi quasi a pecora per agevolare l’ingresso del pene. Le morsi il trapezio e l’orecchio. Iniziò subito a gemere. Con le mani roteavo le tettone e stringevo i capezzoli con una certa forza.
I gemiti divennero urletti. Lasciata una sola mano a strizzare la mammella, le presi i capelli e tirandole la testa, la feci raddrizzare di qualche centimetro.
Ora la pompavo a dovere e nel farlo tiravo forte i suoi capelli facendole reclinare il capo. Sembrava una leonessa domata.
Sbavavo sulla sua pelle. La mia saliva brillava sulle sue spalle, la sua schiena.
Aumentai la potenza dei colpi, un urlo demoniaco le uscì dalla profondità della gola. Allora strinsi di più la grande ciocca di capelli che avevo in mano e tirai ancora più forte mentre la scopavo senza pietà. Improvvisamente tante brevi ma intense e numerose pulsioni vaginali, avvolsero il mio cazzo di pietra. Non vedevo benissimo ma per terra stava scendendo un lago: mia madre stava squirtando come una fontana. I suoi umori ammantavano anche le mie palle, oltre al pavimento e al vetro del forno davanti a lei.
“Così mi ammazziiiiiiii....” disse con una serie interminabili di i, al ritmo delle mie pompate.
Credo di aver risposto che volevo farle tutt’altro: farla godere come una matta. Cambiai l’ordine delle mani: ora la sinistra si prese una grossa ciocca di capelli e la destra fu riempita dalla sua tetta.
Si girò di tre quarti: aveva una sguardo perso, il fiatone, sudava ma le sue iridi trasmettevano pace e piacere profondo.
Non ero lontano, ancora qualche pompata e l’avrei raggiunta.
Mi piegai leccandole la guancia e le labbra. Riuscimmo a baciarci e in quella posizione non propriamente comoda ripresi a scoparla. Tornarno i gemiti, attaccai meglio la bocca alla sua.
Aumentai le spinte pelviche. Sgranò gli occhi, si staccò da me per cacciare un urlo assordante guardando nel vuoto. La sentii imprecare, lei che pur non essendo una cattolica praticante non era certo un serbatoio di parolacce.
Eravamo un bagno di sudore, forse la fatica della posizione mi rallentava la venuta ma stavo sull’orlo. Estrassi l’arnese e glielo puntai sul buco del culo. Fece un pochino di fatica ad entrare poiché non mi ero prodigato più di tanto a umettarlo. Rincarai la dose di spinte pelviche per farlo entrare bene e come un guanto, il suo culo aderì perfettamente al mio bel cazzo. Inarcai la schiena per darle il massimo dei centimetri che potevo. Mi gustai qualche secondo la sensazione stupenda di sentirmelo stringere e fui dolcemente accarezzato dalla sensazione di dominio. Il lato machista reclamava il suo perimetro di gloria, mentre mamma sembrava persa, gli occhi chiusi e il respiro pesante. Iniziai il classico on-off dal culo. Ad un tratto iniziò a muovere la testa convulsamente: destra, sinistra, su, giù, poi sentii un peto e di nuovo la fontana di mamma si apriva sotto di noi. Quanto diamine ne produceva di quei liquidi? Preso da tutto questo sconquasso impazzii, fottendola come non ci fosse un domani. Mollai tetta e capelli, la presi per i polsi, le sue gambe cedettero e il suo viso cadde a pochi centimetri dai fornelli ad induzione.
Non so dirvi se le sue urla fossero anche di spavento ma non smise di farlo, come in preda ad un raptus era colta da tremori ovunque. La cavalcai tirandola per i polsi e gridandole oscenità a cui rispose con turpiloquio che preferisco non riportare. A furia di urlare sentivo che la sua voce stava cedendo, diedi gli affondi finali.
Finalmente riuscii a venire.
Non la sua immagine di un viso stravolto che guardava al nulla con occhi strabuzzati, non il suo sudare, le sue fontane sotto, non chi fosse la donna che stavo scopando...
Non il mio dolore alle gambe.
Il suo improvviso inspirare nel silenzio, seguito come uno scoppio da un ultimo urlo animalesco mentre le riempivo l’intestino di sperma: quello si che mi diede una carica esplosiva.
In un attimo fui preso da una forza sconosciuta. Un vigore carnale che pareva venuto da Dio, o dal demonio, non saprei.
Mille accecanti soli vidi brillare davanti a me.
Forse, mi fece comodo interpretare il suo urlo come un incitamento, così la scopai con tutta l’irruenza che avevo in corpo.
La sborrata fu estremamente intensa e copiosa, il suo folle urlare l’accompagnò dal primo all’ultimo schizzo e sul finire della mia venuta, notai le vene del suo collo come serpenti di smeraldo che pompavano sangue a più non posso.
Ci facemmo forza per restare in piedi, tolsi il cazzo che sembrava immerso nel gel. Il budello sembrava non volerlo rilasciare. Ci sedemmo sul divanetto a due metri da lì.
Mamma aveva un viso stravolto e uno sguardo indecifrabile. Io ancora il fiatone. Non rispondeva. Poi come al ralenty, si girò verso di me.
Mormorò qualcosa con le labbra e sorrise mesta. Poi guardò il mio cazzo ancora gonfio e impastato di noi. Si avvicinò per baciarmi. Un piccolo bacio e un sorriso. Poi me la ritrovai piegata sul bacino. Avevo ancora un pochino di fiatone quando chiusi gli occhi inebetito dal suo succhiare ovunque sul e intorno al cazzo. La lingua saettava tra palle e verga e così per un minutino. Prima di staccarsi, me lo morse con amore. Presa per i capelli e tirandole la testa all’indietro le tolsi il cazzo dalla bocca. La porca lo fece passare fra i denti. Le tirai più decisamente la testa all’indietro e liberato l’uccello dalla morsa sei suoi denti, glielo sbattei ovunque in faccia. Le piaceva e mi piaceva. Cacciò fuori la lingua pronunciando per una decina di secondi la vocale a… Fu eccitante renderla come sincopata dalle botte che le davo col cazzo. Il suo viso laido aveva un’espressione da troia felice e soddisfatta. “Quando finirà, ne morirò...” disse poi accucciandosi a me.
Solo in quel momento capii quanta verità c’era in quella breve frase.
Solo in quel momento capii che pur continuando ad avere le mie avventure con le ragazze, la mia vita sociale normale, non so quanto avesse potuto durare scopare con lei. Amavo quella donna di una luce nuova. Nulla era cambiato dell’amore che legava madre e figlio, ma tanto era aumentato di una cosa che non sapevamo come nominare e che ci piaceva in un modo che forse, non avevano ancora inventato parole per descrivere. E l’orizzonte era ancora lontano…
Tante minuscole Halley, si schiantavano nel vetro o si nascondevano negli anfratti bui del focolare, un po’ come il malcelarsi di certe persone…
Erano passati due mesi da quel lungo week end a casa di mamma. Innumerevoli interrogativi, comode risposte. Sensi colpa nascosti sotto le coperte.
Fastidiosa sensazione di avere gli occhi del mondo addosso. Rimasugli di coscienza, incollati come i mille pezzi di un vaso andato in frantumi … Talvolta non capivo se fosse tutto un sogno o un incubo o la congiunzione astrale di due anime allo sbando sentimentale. Due mesi, nel frattempo non avevo cercato un nuovo appartamento, avevo avuto una piccola promozione al lavoro, ero uscito con una trombamica e come fosse la cosa più naturale del mondo avevo continuato a scoparmi mia madre. Lisa non si era più fatta viva se non per messaggi, chiedendomi ogni volta dove fossi, come se fare nomadismo condominiale fosse il mio sport preferito.
Prima ti lasciano, a torto o a ragione, poi si preoccupano di te.
Quando seppe che a tempo da definire mi avrebbe ospitato mia madre, sembrava infastidita.
“Allora non ti fermi solamente per un weekend!”
“Sai com’è mamma…”
“Donna moderna e in carriera. Non certo la massaia d’altri tempi, con peli e pinze sui capelli direi...”
“Bè la conosci, ci tiene e poi...”
“E poi è pur sempre una mamma, quindi premurosa, coccolona, però sportiva e brava in cucina. Ma con un seno invidiabile sempre ben esposto, belle gambe e tacco-dipendente... In fondo, ti dispiacerà molto stare da lei… Siete ancora nella fase del bagnetto o avete già bypassato la morale comune?”
“Ma sei fuori??”
“Per niente, ma tranquillo non disturbo oltre: avrete tante cose da dirvi, dato che da qualche anno non vi vedevate come si deve, no?”
“Tu invece, oltre ad aver preteso del tempo da sola per capire, come te la passi?”
“Bene grazie, certo non indosso il tacco dodici e la minigonna poi porto mio padre a cena fuori, né mia madre si veste come una troia in calore... Ma comprendo che di fronte a siffatto figlio, onde evitare di farlo divertire solo con le coetanee, occorra stuzzicare qualcosa in più dell’amore platonico!”
“Come se avesse bisogno di me, ha la fila di bavosi dietro, pensi non lo sappia?”
“Bè di certo saprà che è stata brava a fartelo, magari con l’età si è incuriosita: la lasciamo insoddisfatta la bella mammina??”
“Ma che ti prende ora”?
“Ah ah... Avresti dovuto dire: che cazzo dici Lisa? Sabato scorso vi ho visti uscire dalla pizzeria, sembravate più una coppia che madre e figlio e non sono stata l’unica a pensarlo. Senti: io non so perché tua madre si veste da star di hollywood quando esce con te, non so che fate, né voglio saperlo ma se permetti, da donna, mi sembra un po’ strano che una signora esca vestita così, ogni volta che capita una cena o non so cosa col figlio!”
Non sapevo cosa risponderle, ora mi spiava? Che avrebbe detto se avesse saputo che da mamma non c’era un secondo letto? O meglio aveva un divano-letto in soggiorno, ma dopo la prima notte, fu chiaro a entrambi che la modalità materasso piccolo e scomodo e in odor di seghe, non mi avrebbe interessato granché. Feci un reset istantaneo della cosa, Dio santo: Lisa mi avrebbe messo sul giornale! Deglutii cercando mentalmente una risposta accettabile.
“E’ giovanile ok, pensavo il suo corpo fosse argomento maschile, tipo roba dei miei amici, soprattutto qualche anno fa... Sarai mica gelosa di mia madre?”
Proruppe in una risata nervosa.
“Gelosa, io? No caro, tu piuttosto vedi di stare attento: attorno ai 50 anni madre o non madre, oggi una donna può farti perdere il senno...”
“Ok ok... Ora devo andare, mi squilla il telefono, mi vogliono dall’ufficio”
Presi la chiamata, era un collega che doveva necessariamente chiedermi un favore...
Alcuni minuti dopo lessi il suo saluto.
“Va bene, un abbraccio. E trovati un appartamento senza le belle tette di mamma a portata di mano” .
Non mi andava di dargliela vinta….“Già succhiate decenni fa. Ricordi parliamo di mia madre?”
“Quella vuole altro da te, si vede da lontano, datti una svegliata, una donna queste cose le capisce e solo a parlarne, non so se mi devo incazzare o vomitare”
“È una fissa la tua…”
“Non mi convince il tuo tono, siete due porci”
“Ora basta”
“Te la scopi?”
“Ma certo”
“S’è scopata pure i tuoi amici o li lascia segare?”
“Buona giornata“
“Se non altro ha buon gusto…Fanculo tu e la vaccona...”
Dai toni e dalle battute, se non l’avessi conosciuta, avrei detto che fosse davvero gelosa. Certo, avesse saputo la discesa lussuriosa del rapporto con mia madre, l’avrei capita. Ma ben mi guardavo di farle carpire anche il minimo dettaglio dei nostri amplessi proibiti.
Tuttavia mamma aveva davvero delle tette da urlo e un corpo incredibilmente tornito per i suoi 49 anni. Quelle piccole imperfezioni, davano il senso di vita vissuta e non certo fanatismo estetico, come certe signore che “abitano” in palestra.
Fui catturato ancora una volta dal focolare del ristorante in cui mi ero fermato a pranzo.
Le parole nei messaggi di Lisa, piuttosto affilate, mi avevano comunque colpito.
Le fiamme del camino mi fecero cadere in una piccola trance: improvvisamente davanti agli occhi, immagini opache sostituivano la lucidità razionale della realtà.
Vedevo Lisa, la vedevo mentre scopava con quel cretino col Mercedes aziendale, poi la vedevo appartarsi con lui, poi sentivo nettamente i gemiti profondi. Ma non erano di Lisa, erano di Carla, mia madre. Ora era lei a montare su di me come una cavallerizza gioiosa, un’amazzone impazzita che alla sua età era capace di twerkcare come le porcone da film porno o le nuove leve delle cantanti latine. Nella fantasia tremolante, le sue tette già abbondanti erano enormi e mentre cavalcava il mio uccello le sballottolava a destra e a manca.
Mi destai da quel film, immobile mi guardai in giro rotando gli occhi. Ognuno faceva gli affari suoi e la mia incipiente erezione era ben mascherata da pantaloni e tovaglia che arrivava sopra le gambe.
Ripresi a respirare, guardai il cellulare come avesse davvero squillato e una volta rilassatomi, andai a pagare.
Le mie giornate scorrevano nel binario della vita con una nuova serenità.
Una rotaia scorreva verso le soddisfazioni in campo lavorativo, discreta vita sociale e qualche sessione di palestra.
L’altra rotaia andava dritta verso un sentiero inesplorato. Negli utimi anni era partita con un rapporto di coppia vivace, alternato a tinte piatte, per poi finire dritto dritto dentro un incesto pieno di colori, potente, inaspettato.
Eravamo consci di essere dei maniaci drogati di sesso.
Gli amici che notavano le occhiaie parlavano di seghe da single. Qualcuno sapendo il mio ritorno all’ovile, aveva provato a ipotizzare, più o meno scherzando, un aiutino materno. Dubito avessero idea di aver fatto centro. E io sono piuttosto bravo a dissimulare… Quelle occhiaie erano il risultato di scopate in ogni angolo di casa.
E fuori casa.
Scopatone che sapevano di piacere intensissimo, talvolta rabbiose, talvolta lascive, ma sempre sudate.
Scopatone audaci, improvvisate, da fondere la pelle l’un l’altra, ma sempre volute, a volte suggerite solo con lo sguardo, ma approvate dagli umori che si mescolavano come vitigni esclusivi, per dare un risultato d’autore.
L’azzardo non è tanto scoparti tua madre, sai che novità!
Il rischio è non fermarti se trovi un godimento così intenso. Sapere che tua madre se la scoperebbero in tanti perché è una bella donna, non aiuta certo a smettere. La sorpresa di un sesso portentoso a portata di mano è una calamita potente. In fondo, è proprio sapere che quella bella signora che urla, squirta e graffia è tua madre, che ti piace!
Ti piace chiamarla mamma con naturalezza, mentre le dai il cazzo ovunque. Ti piace il suo sguardo d’intesa, il suo accettare di essere la tua troia selvaggia, mentre rivoli di sborra le colano dagli angoli della bocca. Ti piace uscire dagli schemi senza fregarsene se ti considerano pazzo. Due adulti, molto adulti, liberi e consapevoli della loro scelta di volare con un sorriso sopra i pregiudizi della gente. Ti piace sorridere alla beffa: cerchi chissà dove, e le scopate più intense le fai con una che hai vicino da quando sei nato. Ti piacciono quei pompini succosi, fatti con dedizione assoluta, perché frutto di un amore incondizionato. Ti piace perché non devi chiedere nulla, lei ti guarda e con finto diniego scrolla la testa, ma poi è lì a tirarti via le impurità dall’anima con la sua bocca esperta. E mentre te lo lavora e ti guarda compiaciuta, non tocchi il cielo, lo prendi in mano e lo fai tuo. Attimi vibranti in cui sei il padrone del mondo.
Ti piace abbattere quelle barriere di conformismo, sprigionare il desiderio di non essere deferente, come una cravatta al collo in una riunione di colletti bianchi. Ci vorrà il tempo che ci vuole, nel mentre abbiamo deciso di consumarci di piacere.
Poi ognuno tornerà a vivere entro canoni a cui i più sono conformati.
La casetta di legno era favolosa, piccola e pratica. Ne valeva tutto il lungo viaggio. Non mancava nulla e il caldo non era un optional. Da dietro i vetri il panorama mozzafiato era una cartolina delle montagne austriache. A distanza un laghetto di smeraldo danzava in cadenzate sesse, quasi a ritmo degli abeti che formavano un mare attorno. Un grande lenzuolo verde in attesa delle prime intense nevicate, da cui qua e là i camini delle casette tipo la nostra, lasciavano il sospetto che qualcuno avesse avuto lo stesso nostro buon gusto.
Ci regalammo una settimana di pace, lontano da rumori, nervosismi, inquinamento e stress. Fuori dai vetri un quadretto familiare, dentro il calore radioattivo pronto a detonare. Mamma Carla stava armeggiando con le padelle, e io mi godevo le sue gambe e il suo culo. Proprio come due amanti avevamo dato sfogo alle nostre fantasie più assurde. Le chiesi di cucinare per me con solo il grembiule da cucina. Il bello di queste cose è che non avevo mai bisogno di ripeterlo due volte.
Assecondava ogni mia richiesta come fosse un ordine. Incredibile riuscire a descrivere come dopo la prima notte, tutto tra noi divenne naturale, sessualmente parlando. Ovviamente oltre il grembiule le feci indossare un paio delle sue “Castamere”: tacco dodici con plateau e un colore rosso Ferrari che tirerebbe su il cazzo anche a un morto!
Mentre mi dava le spalle facendo attenzione alle sue padelle, mi tolsi i pantaloni.
Fanculo la follia del perbenismo: avevo già l’uccello in tiro.
Quelle chiappe che ondeggiavano al ritmo dei movimenti dietro ai fornelli, il suo essere concentrata su ciò che stava facendo, era benzina sul fuoco.
Parlandole, mi avvicinai, non so se si fosse accorta che sotto ero nudo e col cazzo duro.
Sicuramente se ne accorse mentre avvicinatomi a lei, gli appoggiai il glande sopra il culo.
Fermò all’istante i lavori e lasciò che la sua nuca toccò il mio petto. Abbassai i fornelli e le allargai le gambe. Le cinsi il poderoso seno stringendolo, torturandone i capezzoli.
“Così non vale...” disse.
“E come vale?” Le chiesi...
La risposta era nella mano che era passata dalla tetta alla fica: umori.
Umori di donna matura, consapevoli, liberi. Umori che scendevano dritti dritti dalla volontà di una donna di godere, e se quegli umori liquidi erano causati dal figlio non era importante, anzi era estremamente eccitante. Importante era godere trasgredendo. Presi il cazzo e lo puntai sulla sua fica bollente. Non mi andava di perdermi in preliminari: avevo bisogno di sentirlo dentro di lei. Lì e subito.
Non era ancora bagnata fino in fondo ma lo divenne in brevissimo tempo.
La misi quasi a pecora per agevolare l’ingresso del pene. Le morsi il trapezio e l’orecchio. Iniziò subito a gemere. Con le mani roteavo le tettone e stringevo i capezzoli con una certa forza.
I gemiti divennero urletti. Lasciata una sola mano a strizzare la mammella, le presi i capelli e tirandole la testa, la feci raddrizzare di qualche centimetro.
Ora la pompavo a dovere e nel farlo tiravo forte i suoi capelli facendole reclinare il capo. Sembrava una leonessa domata.
Sbavavo sulla sua pelle. La mia saliva brillava sulle sue spalle, la sua schiena.
Aumentai la potenza dei colpi, un urlo demoniaco le uscì dalla profondità della gola. Allora strinsi di più la grande ciocca di capelli che avevo in mano e tirai ancora più forte mentre la scopavo senza pietà. Improvvisamente tante brevi ma intense e numerose pulsioni vaginali, avvolsero il mio cazzo di pietra. Non vedevo benissimo ma per terra stava scendendo un lago: mia madre stava squirtando come una fontana. I suoi umori ammantavano anche le mie palle, oltre al pavimento e al vetro del forno davanti a lei.
“Così mi ammazziiiiiiii....” disse con una serie interminabili di i, al ritmo delle mie pompate.
Credo di aver risposto che volevo farle tutt’altro: farla godere come una matta. Cambiai l’ordine delle mani: ora la sinistra si prese una grossa ciocca di capelli e la destra fu riempita dalla sua tetta.
Si girò di tre quarti: aveva una sguardo perso, il fiatone, sudava ma le sue iridi trasmettevano pace e piacere profondo.
Non ero lontano, ancora qualche pompata e l’avrei raggiunta.
Mi piegai leccandole la guancia e le labbra. Riuscimmo a baciarci e in quella posizione non propriamente comoda ripresi a scoparla. Tornarno i gemiti, attaccai meglio la bocca alla sua.
Aumentai le spinte pelviche. Sgranò gli occhi, si staccò da me per cacciare un urlo assordante guardando nel vuoto. La sentii imprecare, lei che pur non essendo una cattolica praticante non era certo un serbatoio di parolacce.
Eravamo un bagno di sudore, forse la fatica della posizione mi rallentava la venuta ma stavo sull’orlo. Estrassi l’arnese e glielo puntai sul buco del culo. Fece un pochino di fatica ad entrare poiché non mi ero prodigato più di tanto a umettarlo. Rincarai la dose di spinte pelviche per farlo entrare bene e come un guanto, il suo culo aderì perfettamente al mio bel cazzo. Inarcai la schiena per darle il massimo dei centimetri che potevo. Mi gustai qualche secondo la sensazione stupenda di sentirmelo stringere e fui dolcemente accarezzato dalla sensazione di dominio. Il lato machista reclamava il suo perimetro di gloria, mentre mamma sembrava persa, gli occhi chiusi e il respiro pesante. Iniziai il classico on-off dal culo. Ad un tratto iniziò a muovere la testa convulsamente: destra, sinistra, su, giù, poi sentii un peto e di nuovo la fontana di mamma si apriva sotto di noi. Quanto diamine ne produceva di quei liquidi? Preso da tutto questo sconquasso impazzii, fottendola come non ci fosse un domani. Mollai tetta e capelli, la presi per i polsi, le sue gambe cedettero e il suo viso cadde a pochi centimetri dai fornelli ad induzione.
Non so dirvi se le sue urla fossero anche di spavento ma non smise di farlo, come in preda ad un raptus era colta da tremori ovunque. La cavalcai tirandola per i polsi e gridandole oscenità a cui rispose con turpiloquio che preferisco non riportare. A furia di urlare sentivo che la sua voce stava cedendo, diedi gli affondi finali.
Finalmente riuscii a venire.
Non la sua immagine di un viso stravolto che guardava al nulla con occhi strabuzzati, non il suo sudare, le sue fontane sotto, non chi fosse la donna che stavo scopando...
Non il mio dolore alle gambe.
Il suo improvviso inspirare nel silenzio, seguito come uno scoppio da un ultimo urlo animalesco mentre le riempivo l’intestino di sperma: quello si che mi diede una carica esplosiva.
In un attimo fui preso da una forza sconosciuta. Un vigore carnale che pareva venuto da Dio, o dal demonio, non saprei.
Mille accecanti soli vidi brillare davanti a me.
Forse, mi fece comodo interpretare il suo urlo come un incitamento, così la scopai con tutta l’irruenza che avevo in corpo.
La sborrata fu estremamente intensa e copiosa, il suo folle urlare l’accompagnò dal primo all’ultimo schizzo e sul finire della mia venuta, notai le vene del suo collo come serpenti di smeraldo che pompavano sangue a più non posso.
Ci facemmo forza per restare in piedi, tolsi il cazzo che sembrava immerso nel gel. Il budello sembrava non volerlo rilasciare. Ci sedemmo sul divanetto a due metri da lì.
Mamma aveva un viso stravolto e uno sguardo indecifrabile. Io ancora il fiatone. Non rispondeva. Poi come al ralenty, si girò verso di me.
Mormorò qualcosa con le labbra e sorrise mesta. Poi guardò il mio cazzo ancora gonfio e impastato di noi. Si avvicinò per baciarmi. Un piccolo bacio e un sorriso. Poi me la ritrovai piegata sul bacino. Avevo ancora un pochino di fiatone quando chiusi gli occhi inebetito dal suo succhiare ovunque sul e intorno al cazzo. La lingua saettava tra palle e verga e così per un minutino. Prima di staccarsi, me lo morse con amore. Presa per i capelli e tirandole la testa all’indietro le tolsi il cazzo dalla bocca. La porca lo fece passare fra i denti. Le tirai più decisamente la testa all’indietro e liberato l’uccello dalla morsa sei suoi denti, glielo sbattei ovunque in faccia. Le piaceva e mi piaceva. Cacciò fuori la lingua pronunciando per una decina di secondi la vocale a… Fu eccitante renderla come sincopata dalle botte che le davo col cazzo. Il suo viso laido aveva un’espressione da troia felice e soddisfatta. “Quando finirà, ne morirò...” disse poi accucciandosi a me.
Solo in quel momento capii quanta verità c’era in quella breve frase.
Solo in quel momento capii che pur continuando ad avere le mie avventure con le ragazze, la mia vita sociale normale, non so quanto avesse potuto durare scopare con lei. Amavo quella donna di una luce nuova. Nulla era cambiato dell’amore che legava madre e figlio, ma tanto era aumentato di una cosa che non sapevamo come nominare e che ci piaceva in un modo che forse, non avevano ancora inventato parole per descrivere. E l’orizzonte era ancora lontano…
1
voti
voti
valutazione
7
7
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Carla mamma e altro
Commenti dei lettori al racconto erotico