L'Amica del cuore

di
genere
prime esperienze

Dieci del mattino. Un bel raggio di sole irrompe dai vetri della finestra della mia camera da letto, illuminandola di riverberi. E’ un caldo scampolo di fine estate che mi godo ancora semi addormentata e illanguidita. Tornare a letto e concedermi un’altra oretta di pennichella dopo la sveglia all’alba per preparare la colazione per la mia famiglia è un piacere assoluto della vita. Oggi poi è uno di quei giorni speciali, da circoletto rosso nel calendario. Passerò il pomeriggio con la mia amica Stefania. E questo è un altro piacere assoluto della vita che mi concedo appena posso. Vorrei che avvenisse tutti i giorni, ma capisco che non sia possibile: ciascuna di noi ha impegni e doveri ai quali non si può sottrarre. Lei più di me, dato che lavora fuori casa, mentre io sono una semplice casalinga. I nostri pomeriggi sono segreti condivisi da complici, tesori che custodiamo come due cuori in un grande scrigno. Nessuno ne sa niente, nessuno ha mai sospettato niente. Di solito arrivo da lei verso le 16, con l’animo in tumulto, dolcemente eccitata, il cuore in gola. Parcheggio sempre un po’ distante, impiego due minuti a percorrere il piccolo viale che mi conduce alla villetta a schiera dove abita, in un quartiere residenziale. In verità, penso che sia una precauzione eccessiva: in fondo, cosa c’è da temere? Siamo solo due amiche che si incontrano per prendere un thé insieme. Ma Stefania mi ha chiesto di fare così e obbedisco. Forse in passato qualche vicino si è lasciato sfuggire un commento di troppo sulle sue frequentazioni e ritiene in un certo senso di dovermi proteggere. Molto romantico. Mi accoglierà sulla soglia con un abbraccio amichevole, due baci sulle guance, e un “Ciaooo cara” ad uso e consumo dei vicini che ogni tanto spuntano fuori a sorpresa. Una volta dentro, nella ovattata sicurezza delle quattro mura, mi abbraccerà di nuovo, stavolta tenendomi stretta a sé e mi bacerà ancora, lingua in bocca e dita che scorrono agili sulle ciocche dei capelli.
-Bentornata nel tuo castello, madamigella – mi dirà sorridendo e io mi sentirò prima avvampare poi sciogliermi dentro. Come quella prima volta, poco meno di due anni fa.
Se mi riguardo indietro, non posso non provare una punta di tenerezza verso la persona che ero. A 46 anni, con una perla di marito e due bellissimi figli, in piena salute e senza problemi economici, potevo a giusta ragione definirmi una persona felice e realizzata. Certo, non era tutto oro quel che luccicava. Lo specchio di camera mia impietoso mostrava i primi segni del tempo: il seno, che avevo sempre avuto piuttosto formoso, iniziava a cadere; il sedere, cominciava a farsi troppo largo per i miei gusti. Delle striature di argento sui capelli mi facevano intuire che tra poco avrei dovuto dedicarmi alla tintura per ridare alla chioma il colorito naturale, un castano chiaro del quale andavo fiera. Il problema più grosso però l’avevo dentro. C’era qualcosa che non andava. Sentivo serpeggiare una inquietudine inedita che non riuscivo ad interpretare. Crisi di mezza età? Menopausa? Delusione? Insoddisfazione? Per che cosa poi? Avevo tutto quel che desideravo, la mia vita procedeva serena, senza sbalzi.
Forse avrei voluto avere un maggior controllo della mia vita. Da quando mi ero sposata, anzi no, da quando mi ero fidanzata, mi ero affidata a mio marito in tutto e per tutto, riconoscendogli una praticità e un senso degli affari che a me mancava totalmente. La natura aveva fatto di me una creatura timida, insicura, riservata, persa nel suo mondo. Una sognatrice pura e semplice. Amavo la lettura e scrivere: piccole poesie, riflessioni, pensieri utili ad esprimere una personalità che faticavo a mettere in mostra nella mia vita di tutti i giorni e che sicuramente non sarebbe stata capita. Non da mio marito, che era tutto l’opposto: un uomo brillante, estroverso, affascinante, sportivo. Non era un ottuso insensibile, ma aveva poca attitudine alla spiritualità. Se gli avessi rivelato l’altra me stessa, al di là dei silenzi, avrebbe sorriso con aria compassionevole, mi avrebbe dato un mezzo abbraccio e il letto sarebbe stato il passo successivo. Come a dire: ma perché rovinarsi la vita con questi pensieri inutili? Come a zittirmi.
Secondo l’opinione comune, formavamo una splendida coppia. Vivevo all’ombra di lui, la sua aura era una specie di lenzuolo protettivo. Pensavo che lamentarsi sarebbe stato da ingrate, moltissime donne avrebbero voluto essere al mio posto; eppure a volte avrei voluto essere più decisa, far valere il peso del mio punto di vista che mio marito sottovalutava. E questo alla lunga finiva col pesare..
Un giorno che dovevo andare a prendere mio figlio a scuola, ebbi un contrattempo e arrivai con qualche minuto di ritardo. Lo trovai nel cortile ormai quasi deserto, che aspettava insieme ad un altro bambino e ad una signora alta e distinta.
-Buonasera, sono Stefania – disse la donna - I nostri figli hanno già fatto amicizia, ora tocca a noi.
Mi colpirono subito i suoi occhi: tondi, vivaci, espressivi. E i suoi modi, cordiali ed educati, ma allo stesso tempo rapidi, sbrigativi. Dava l’impressione di una donna dal carattere forte, abituata ad avere in mano la sua vita e a saperne cosa fare. Ed era bella, con i capelli biondi tagliati un po’ alla “bob”, a caschetto, scompigliati dal vento; elegante, nella sua semplicità del suo abbigliamento, una camicetta bianca accompagnata da una giacca color cammello e una gonna nera, dalla quale spuntavano un paio di belle gambe fasciate da calze ugualmente nere e stivaletti che le arrivavano sotot il ginocchio.
-Piacere, Anna – dissi semplicemente.
Mi sentii in dovere di scusarmi per il ritardo, non dovuto a mie colpe.
-Non si preoccupi, sono cose che possono capitare e poi per me è stato un piacere, suo figlio è un ragazzo davvero simpatico, si vede che l’ha educato bene.
Arrossii un poco e borbottai qualche parola di ringraziamento. Poi scambiammo un paio di frasi di circostanza. Il suo sguardo fisso su di me mi faceva sentire leggermente in imbarazzo. Sembrava che mi stesse studiando. Tornò sulla bella amicizia costruita dai nostri figli.
-Ma perché non venite da me domani sera? I ragazzi potranno giocare e noi potremmo conoscerci meglio.
Accettai. A dire il vero, ero contenta che mio figlio avesse un vero amico: educato quanto si vuole, lo vedevo crescere con un carattere troppo simile al mio e per uno strano motivo questo non mi piaceva.
Il pomeriggio seguente ci presentammo puntualissimi. I ragazzi salirono subito in camera a giocare alla playstation, lasciandoci sole. Stefania si rivelò un’ospite e una conversatrice piacevolissima. Era come un vulcano ribollente di vigore e di entusiasmo. Nel giro di un paio d’ore, in ordine sparso e disordinato, mi aveva travolta raccontandomi in dettaglio tutta la sua vita. Emiliana di origine, si era trasferita da poco in Sardegna a seguito del marito, ma dopo il divorzio aveva preferito non muoversi da una terra che l’aveva conquistata. Mi parlò del suo lavoro, dei suoi interessi, dei suoi viaggi, L’ascoltavo quasi senza fiatare, soggiogata dalla sua verve. Sebbene fosse solo un paio di anni più vecchia, aveva vissuto molto più di me. Quando si alzò dal divano, non potei fare a meno di soffermarmi sulle linee del suo corpo, disegnata dalla camicetta bianca. Aveva la pancia piatta, senza un filo di grasso. Incredibilmente per una persona timida come me, mi venne istintivo farle i complimenti per come si tenesse tonica e in forma. Sorrise.
-Grazie, cara, ma anche tu non scherzi.
Riprese a fissarmi per un attimo e sentii una fitta alla bocca dello stomaco. Era imbarazzo o compiacenza?
Dopo quel pomeriggio, prendemmo a frequentarci regolarmente. Andavamo al cinema, a teatro, a fare shopping, al ristorante. A volte passeggiavamo lungo la spiaggia, gustandoci il caldo sole invernale. Con lei, mi trovavo a mio agio. Nonostante la sua ridondante personalità. Sapeva ascoltare e rispettava i miei tempi di reazione. Mi sentivo diversa, compresa e apprezzata. Se dicevo la mia, su un qualsiasi argomento, non mi interrompeva mai per poi rispondere con osservazioni acute e intelligenti. Con Stefania riuscivo a vincere le mie chiusure. Era diventata la mia migliore amica, io che di amiche non ne avevo mai avute molte. Mi appoggiavo a lei e notavo, con orgoglio, che anche Stefania, così sicura di sé, si confidava e teneva in grande considerazione i miei consigli e le mie opinioni. Ne ero gratificata, la sua compagnia mi faceva bene. C’era però anche dell’altro.
Una sera andammo a prendere una pizza con due o tre sue conoscenti, doveva essere una serata piacevole e divertente, ma ammetto che non mi divertii affatto. Lì per lì non capii il perché, in fondo si erano dimostrate persone gentili e piacevoli. Ci vollero giorni per realizzare che la loro presenza mi aveva portato via l’assoluta attenzione di Stefania. Insomma, ero stata gelosa! Del resto nel piccolo mondo che avevamo creato non c’era spazio per nessun altro. Pure mio marito ne era rimasto escluso. Gliel’avevo presentata, ma lui non ne era rimasto particolarmente colpito. “Bella tipa”, fu tutto quello che riuscì a dire. A Stefania non avevo mai parlato del mio rapporto coniugale; da donna perspicace qual era però, ci mise pochissimo ad intuire il mio stato di subordine se non di dipendenza. Mi fece capire che non approvava, ma non disse una sola parola contro mio marito. Si limitò ad attestare che era un uomo fortunato ad avermi e come sempre, accolsi il suo complimento con una gioia interiore intensa, difficile da spiegare.
Di uomini io e Stefania non parlavamo. Ci concentravamo su noi stesse, sulle nostre sensazioni; discorrevamo di vita, di stati d’animo, di emozioni, di letteratura, di musica. Le uniche frivolezze, quando capitava, erano dedicate alla moda. Al di là della sintonia intellettuale, ridevamo moltissimo. Stefania era anche riuscita a farmi tirar fuori un senso dell’umorismo che non avrei mai pensato di possedere.
-Sei divertentissima – mi disse una volta – Hai proprio tutte le qualità, bella, intelligente e spiritosa.
Quella sera rientrai a casa col cuore che sorrideva.
Dopo circa un anno che eravamo diventate amiche, presi il coraggio a due mani e le confessai che mi dilettavo a scrivere poesie. Glielo dissi quasi senza accorgermene, fu una sorta di “rivelazione spontanea”. Mi vergognavo troppo: un secondo dopo me ne ero già pentita di avergliene parlato, ma ormai era tardi. Lei ne fu colpita.
-Ma dai! Mi farai leggere qualcosa?
-Mah….non sono niente di che….
-Sono sicura che sono bellissime! Perché non vieni da me domani pomeriggio, così me ne leggi qualcuna?
-Scherzi? Noooo…..
-Uffa, ti prego. Ci tengo.
Finì per convincermi, tanto per cambiare, e ci demmo appuntamento al giorno seguente da lei. Non avrei saputo spiegare perché, ma quel pomeriggio percepivo qualcosa di strano nell’aria. Una particolare irrequietezza, una agitazione insolita. Sensazioni che non riuscivo a mettere a fuoco. Rammento che ad un certo punto dissi tra me e me “Vediamo cosa succede”. Non mi riferivo tanto al timore di essere giudicata male come poetessa: anche se Stefania avesse ritenuto ridicole le mie composizioni, avrebbe trovato le parole giuste per non ferirmi. Era come se sapessi dentro di me che dovesse succedere qualcosa, che mi sarei trovata davanti ad un crocevia e avrei dovuto scegliere quale strada intraprendere. Ma a queste conclusioni sono giunta adesso a ragion veduta; quella sera ero soltanto terribilmente nervosa.
Stefania mi accolse col suo solito smagliante sorriso.
-Bene, bene. Che mi hai portato allora?
“Ci siamo - pensai – Il momento è arrivato”.
Tolsi fuori dei fogli di carta dove avevo ricopiato, a mano libera, due delle composizioni che mi piacevano di più. Stefania mi chiese di leggergliele, ma era chiedere troppo.
-E’ meglio se le leggi per conto tuo.
Sorrise ancora, prese i fogli e si immerse nella lettura. Per quanto possa sembrare patetico, girai lo sguardo: individuare una risatina sarcastica mi avrebbe addolorata. Ogni tanto però non resistevo e mi voltavo a dare una occhiata furtiva. Leggeva attenta, concentrata. Dopo dieci minuti che a me parve una eternità, si alzò dal divano e mi venne incontro. La sua reazione mi lasciò a bocca aperta. Mi abbracciò forte.
-Ma sono stupende! Scrivi troppo bene! Sei una vera poetessa!
Colta di sorpresa, non seppi cosa rispondere.
-Davvero ti piacciono?
.Certo! Sai usare le parole, le immagini che descrive sono vive, sembra di averle davanti agli occhi. E sei bravissima a raccontare gli stati d’animo. Devi pubblicarle! Sono troppo belle per essere lasciate dentro un cassetto.
-Io non so…
-Dammi retta. So quel che dico.
Ebbe una pausa.
-Quello che scrivi riflette il tipo di persona che sei.
Lo disse con un tono di voce deciso, secco.
Mi sentii lusingata nella mia vanità.
-Perché, che tipo di persona sono?
Adesso mi guardava negli occhi. Mi mise le mani sulle spalle.
-Bella. Una bella persona. Dentro e fuori.
Risi nervosamente.
-Sei troppo gentile, mi confondi…
-Dico sul serio. Sei una persona eccezionale.
Non perse altro tempo e accostò le sue labbra alle mie. Le poggiò delicatamente, poi sentii la sua lingua farsi spazio nella mia bocca, leggera ma decisa. La assecondai. Le nostre lingue finalmente si incontrarono e iniziarono a lottare. Non avevo mai baciato una donna prima, non ci avrei mai pensato; Fosse successo solo un anno prima, mi sarei vergognata di me stessa, sarei fuggita via scandalizzata, forse schifata. In quel momento invece mi venne tutto naturale, spontaneo. Non ne ero stupita. Volevo farlo. Capii che desideravo che Stefania avesse tentato di farlo molto tempo prima. Non avevo avuto il coraggio di confessarmelo.
Adesso volevo che continuasse. Non pensavo a nulla. Non c’erano inibizioni, non c’erano paure. Volevo che quell’attimo magico durasse ancora. Come se mi avesse letto nel pensiero, mi accarezzò il viso e mi baciò ancora. Ci metteva passione e io ricambiavo con lo stesso ardore. Ero persa. Galleggiavo inebriata dentro una bolla sorvolante un universo sconosciuto. Riconobbi il profumo di Stefania, Lancome, dolce, fruttato, sensibile. Perlustrò il mio collo con la lingua, lo attaccò a forza di piccoli bacetti. Me li godetti con gli occhi chiusi, la testa piegata all’indietro, il respiro che si faceva affannoso.
Passò oltre. Mi accarezzò il seno sopra la stoffa del vestito, le mani sapevano quel che dovevano fare. Sfilò il vestito, rimasi in mutandine e reggiseno davanti a lei. Restò a contemplare il mio corpo, con cupidigia. Mi toccò di nuovo il petto, stavolta infilò una mano dentro il reggiseno. In breve rimasi a seno nudo. Me lo accarezzò. Arrivò ai capezzoli.
-Hai un bellissimo seno.
-Anche tu, mi pare.
-Vuoi vederlo nudo?
-Sì.
Anche questa risposta venne naturale. Avevo perso ogni controllo. L’idea che si spogliasse davanti a me, di ammirarla nuda, mi mandava in estasi. Con movimenti lenti, studiati, sensuali, cominciò a sbottonarsi la camicetta. Aperto l’ultimo bottone, la gettò sul divano. Mi accorsi che le piaceva essere guardata. Prolungò il tempo di attesa di un paio di secondi prima di slacciarsi il reggiseno e liberare due tette piene e sode. I capezzoli, grandi e appuntiti, svettavano superbi.
-Vuoi toccarmi?
-Sì, lo voglio.
Mi prese le mani e se le portò addosso. Le usò per accarezzarsi come avrebbe fatto stando da sola. Si masturbava come se le mie mani fossero un giocattolo per il suo godimento. Le sue tette erano morbide, vellutate. Avanzò offrendolo la sinistra alla mia bocca.
-Baciala – sussurrò.
E lo feci. Le succhiai il capezzolo avidamente, alternandoli a colpi di lingua. Poi passai all’altra tetta, era appena più grande della sua gemella. Data la mia inesperienza, non sapevo come me la stessi cavando; ma lei dopo un paio di secondi prese ad ansimare e mi diede la risposta.
“Le piace”, pensai soddisfatta.
Volle di più. Afferrò ancora la mia mano e se la mise dentro le mutandine. Il contatto ebbe il risultato immediato di farla sobbalzare e strapparle una esclamazione di piacere. Amai subito la sua figa. Era già tutta bagnata, bagnatissima; la sentivo larga, vasta, spaziosa. Guidò due dita dentro di sé. Tenendo stretta la mia mano, la muoveva su e giù, strofinandola energicamente contro il suo sesso. Andò avanti per un po’, mentre mi baciava e toccava il mio seno con l’altra mano. Mi piaceva ma decisi di assumere una parte più attiva. Improvvisamente, fermai il ritmo. Incontrai il suo sguardo interrogativo e per tutta risposta le affondai dentro un dito, sino in fondo. Lei ebbe un fremito formidabile, come attraversata da una scossa elettrica.
-Siiiii….è bellissimo…brava.
Non era abbastanza. Si sedette sul bordo del divano, e spalancò le gambe.
-Vieni, cara.
Capii quel che voleva e mi affrettai ad accontentarla. Inginocchiata sul divano, portai la bocca vicino alla sua figa e iniziai a leccarla. Non sapevo cosa aspettarmi ma il suo odore e il suo sapore mi piacquero immediatamente. I gemiti di Stefania mi fecero capire che la stava facendo godere.. Incoraggiata, continuai con la lingua soffermandomi sul clitoride. Strillò di piacere, muovendosi come una indemoniata. Pensai di darle il colpo di grazia rimettendole dentro prima un dito, poi un altro. Ne aveva abbastanza: venne con un grido e così stette, a gambe ancora spalancate.
La guardai riprendersi, tutta soddisfatta di me stessa,.felice di averla fatta godere. Stefania si sdraiò sopra di me sul divano. Stringevo il suo corpo con amore. Restammo a baciarci e a scambiarci carezze per un po’, sino a quando non ritenne di avere recuperato forze abbastanza per passare all’azione.
-Ora tocca a te – disse.
Mi sfilò le mutandine e mi aprì le gambe. Andò senza esitazioni sulla mia figa. Certamente era più esperta di me, di sicuro non ero la prima donna con la quale faceva l’amore. Fu il mio ultimo pensiero prima di abbandonarmi al piacere assoluto. Seppe lavorarmi con la lingua e con le mani; strinse il clitoride e mi penetrò con le dita. Ad un certo punto entrò con le sue cosce dentro le mie. Le nostre fighette vennero a contatto e lei spinse. Mi scopava come avrebbe fatto un uomo. Io godevo come una matta, lei aveva ripreso ad eccitarsi. Alla fine venimmo insieme, lei si abbandonò sopra di me.
Dopo furono altre coccole e nuove carezze. Mi confessò che la scoperta della sua omosessualità, avvenuta per puro caso, aveva segnato la fine del suo matrimonio. Non aveva avuto storie significative, non ne cercava. Ma con me era stato diverso: avevo acceso qualcosa dentro di lei. Io compresi male, farfugliai che non avevo intenzione di lasciare mio marito. Lei rise: “Tesoro, non dobbiamo sposarci”, mi resi conto del malinteso e mi unì alla risata. Aveva ragione, Siamo solo due amiche che si vogliono bene e godono nel darsi piacere a vicenda. Questo non significa essere innamorate. O forse un pochino sì.









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2022-09-26
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