Romilda - Capitolo 1
di
Kiray
genere
etero
Ritornai da scuola insolitamente prima quel giorno e non mi curai affatto di avvertire i miei genitori, dato che, anche se lo avessi fatto, il pranzo lo avrei dovuto preparare da solo comunque.
I miei si sono interessati sempre poco di me, hanno sempre preferito mio fratello maggiore, un vero atleta e baldo giovane. A lui perdonavano qualsiasi cosa, pure quando rincasava alle 4 di mattina, dopo aver passato l’intera nottata a bere alcool in qualche abituale festino di fine settimana. Ed è stata la loro accondiscendenza verso questo comportamento così frivolo che portò mio fratello alla morte in un incidente stradale in cui il conducente della macchina dove si trovava, suo amico, era decisamente ubriaco e andò a schiantarsi contro un tir.
I miei non si furono più ripresi da quel giorno: furono così scossi che smisero pure di parlarsi a vicenda, dopo un lungo e furioso litigio in cui si incolparono l’un l’altro per aver portato il loro stesso figlio al decesso.
Anch’io non mi ripresi mai completamente e, qualche sera, mi capitava di mettermi a piangere pensando a lui. Non era mai stato una figura di riferimento per me, questo è vero, ma di tanto in tanto capitavano dei momenti di affetto tra noi due, e quelli furono più che bastanti per me.
In quell’atmosfera casalinga così tediosa ed opprimente, l’unica persona che mi rassenerava la giornata fu Romilda, la nostra casalinga argentina.
Lei fu per me una seconda madre, quando ero piccolo fu pure la mia nutrice. Da una vita si trovava a casa nostra e per nulla al mondo qualcuno della nostra famiglia avrebbe voluto una domestica che la sostituisse.
Non so precisamente quanti anni ebbe, sicuramente fu abbastanza avanzata con l’età… non per questo il suo corpo sembrò risentirne gli effetti.
Il suo seno rimase sodo sin dalla prima volta che ebbi memoria di lei e, anzi, divenne ancora più voluminoso; la sua vita era perfettamente bilanciata con il corpo e, quando indossava l’uniforme scrosciata da domestica, questa si stringeva, lasciando però in bella vista due grosse e fastose cosce, che darono l’impressione di essere così morbide da volerle addentare. Ma la parte del suo corpo più allettante fu certamente il suo culo, grande e vistoso quando indossava il gonnellino da domestica. Se un giorno avessi mai scopato quella donna, ecco che il culo sarebbe stata la prima parte di cui mi sarei interessato.
Non mi vergogno affatto di dire che la mia prima sega l’ho fatta pensando a lei e, tuttora, continuo a farle. Rimaneva pur sempre la mia domestica, tra l’altro una donna vedova con ben quattro figli di cui farsi carico sulle spalle, ma non riuscivo a non sessualizzarla ogni volta che la vedevo.
Se quasi tutti i miei coetanei d’età avevano una fidanzata, io non riuscì mai a trovare quella giusta; e, per questo, ogni tanto venivo preso in giro dai miei puerili amici (imbecilli!) che mi facevano passare come quello gay della compagnia.
Beh, loro non conoscevano affatto l’affetto che io provavo verso la mia domestica (nessuno effettivamente lo conosceva) e che, in confronto a lei, le ragazze della mia età furono solamente delle presuntuose sciacquette incapaci di creare una relazione duratura con i loro fidanzati.
Nonostante cercassi come più potevo di creare un rapporto maggiormente passionevole con Romilda, deviando dalla semplice relazione domestica-padrone che ci legava, lei non sembrò mai ricambiare; al contrario, certe volte rimase pure sconcertata dalle mie richieste e mi invitò, invece, a cercare una compagna della mia età e perdere la verginità con lei. Non potevo farlo, io amavo solo e solamente lei, e il suo corpo fin troppo incantevole.
Fatto sta che quel giorno, dopo essere rincasato, mi recai in cucina a preparare un sandwich, dato che non avevo troppa voglia di cucinare un pasto più elaborato, ed ecco che vidi la nostra domestica piegata sulle ginocchia, con un secchio dell’acqua da un lato e una spugna tenuta stretta in una mano. Non compresi perché stesse lavando i pavimenti in quel modo così inusitato, d’altronde bastava che usasse lo straccio; e poi, sotto il suo gonnellino, scorsi che non indossava le mutandine e, in quella posizione, lasciava in bella vista la sua bella e bagnata vagina, circondata da una sottile lanugine, e il suo culo, il tanto agoniato culo, che stringeva e allargava causandomi un’erezione istantanea.
Ero arrivato alla fatidica decisione di segarmi immantinente sul luogo, così da favorire di quella visione appieno. Peccato che Romilda si accorse della mia presenza e, come un fulmine, rifilai il mio cazzo dentro le mutande.
“Cosa fa qui, Padroncino?” Mi chiamava ogni volta così. “Se ne vada, la prego.”
Si apprestò a me, spingendo il suo rigoglioso seno contro il mio petto, e con aria supplicante mi incalzò ad andare fuori dalla cucina.
“Ma, Romilda, ho fame. Faccio un sandwich veloce e poi me ne vado via, lo giuro.”
“No, no, lei non può rimanere qui un minuto di più.” Replicò. “Non si preoccupi del suo pranzo: le cucinerò io quello che vuole e poi lo porterò nella sua camera. Ma ora, se ne vada da qui.”
Non potevo che accogliere alle suppliche della mia domestica e, dunque, mi recai nel salotto, la stanza della nostra casa più vicina alla cucina.
Mi appolai sul divano, meditando sul perché Romilda fu così agitata ed ansiosa di cacciarmi dalla cucina. Sull’onda dei miei pensieri, non mi accorsi di avere ancora l’alzabandiera. Diedi una rapida occhiata d’ispezione attorno a me, così da assicurarmi che nessuno fosse nei paraggi. In teoria, i miei dovevano essere tornati da lavoro, ma, con certa probabilità, si trovavano ognuno nelle loro camere da letto separate, dove passavano gran parte della loro giornata. Così, sfilai il mio uccello dalle mutande e presi a masturbarmi dolcemente, così da assaporare il momento. Non potevo mancare quell’occasione, non quando avevo un ricordo così nitido del culo di Romilda nella mia testa. Mi sfilai di dosso tutti gli indumenti che avevo e chiusi gli occhi, simulando mentalmente un ipotetico rapporto sessuale con Romilda. Quanto godevo al solo pensiero di lappare il suo buco del culo e poi di infilare sia l’indice che il medio nella sua vagina, facendola frignare dalla soddisfazione! Subito dopo, avrei introdotto tutto per intero il mio cazzo nel suo ano, in una botta sola, mentre avrei continuato a tastare il suo bel paio di mammellone.
Un rieccheggiante rumore proveniente dalla cucina si intromise tra me e la mia eiaculazione.
Decisi di andare subito ad investigare la provenienza di quel suono e, infatti, non mi curai nemmeno di rivestirmi.
Guardai attraverso lo spiraglio della porta che conduceva verso la cucina (quella porta era rotta da oramai più di dieci anni e non si chiudeva bene) e, nonostante la visuale fu pessima, potevo vedere abbastanza cose da scioccarmi: mio padre si stava inculando Romilda! Lei continuava a rimanere chinata e lui, come un fantino con il suo destriero, la cavalcava e le schiaffeggiava lo stuzzicante sederone, creando il rumore che mi portò a vedere quella scena così allucinante.
“¡Cerdo sucio! (Sporco maiale!)” Urlava lei, a suoni soffocati.
“Sì, adoro quando mi chiami così, lurida troietta domestica!” Le rispose mio padre.
Non potevo rimanere un minuto di più a guardare mio padre sfondare il culo di Romilda: così afferrai i miei vestiti accasciati a terra, corsi a perdifiato su per le scale e raggiunsi la mia camera, dove sbattei la porta con così tanta veemenza da creare un fragoroso rumore.
Per una buona mezz’ora rimasi seduto per terra con la schiena incollata alla porta della camera e la testa tra le mani. Romilda mi aveva cacciato dalla cucina perché stava aspettando mio padre che ritornasse a scoparla; e questo spiegava pure l’assenza di mutandine e la sua preoccupazione così palpabile. Un notabile sentimento di rancore e furore mi pervase: quella puttana di Romilda mi aveva tenuto nascosto il suo rapporto con mio padre! Come poteva farmi questo dopo tutta la confidenza che si era instaurata tra noi due?
Tra le lacrime di rabbia e un senso di disorientamento, mi alzai dal duro pavimento, che aveva reso il mio culo letteralmente un blocco di cemento, e mi diressi a fare una doccia nel bagno della mia camera. Ci rimasi pochi minuti, dacché ero stanco e volevo sdraiarmi sul letto, magari dormire per tutto il pomeriggio e far dissolvere quel tremendo ricordo.
Non mi preoccupai di portare il cambio di vestiti nel bagno, così tornai nella mia camera tutto nudo e un poco bagnato; qua vidi Romilda che, con il suo solito zelo, stava appoggiando un vassoio con cinque sandwich sul comodino vicino al mio letto. Vedendomi completamente spogliato, Romilda fece una faccia imbarazzata e, mettendo una mano in frapposizione tra i suoi occhi e me, cercò di deviare lo sguardo come più poteva (anche se notai che ogni tanto una sbirciatina la dava).
“Mi scusi, Padroncino! Io non sapevo che lei…”
“Non ti preoccupare, Romilda.” Dissi io, con tono smorto e apatico, pure con qualche postumo della rabbia. “Non è successo nulla.”
Invece di andare verso l’armadio a prendere un paio di mutande, mi infilai sotto le coperte del mio letto e mi coprì con le lenzuola fino all’addome.
“Le ho portato dei panini e una bottiglia di acqua, Padroncino.” Disse lei, con un certo tono di remissione.
“Grazie, ma non ho più fame.” Risposi io, cercando di apparire il più scontroso possibile.
Romilda fece un gesto di riverenza e poi, mestamente, si diresse verso la porta.
“Ho visto tutto, Romilda.” Azzardai a dire, prima che la domestica si dileguasse dalla stanza.
Romilda si placò sul posto e non si voltò nemmeno per guardarmi.
“Cosa intende, Padroncino?” Chiese lei, con voce tremante.
“Non fare la scema, Romilda.” Presi un attimo di tempo per elaborare quello che avrei riferito. “Ho visto come mio padre ti trombava e tu, sì tu, godevi come una porca!”
Ora lei si voltò verso di me, con la faccia implorante e con le mani messe a mo’ di preghiera.
“Padroncino, lei non capisce.”
“Oh, io capisco eccome! Sei solo una maledetta…” Lasciai perdere, non riuscivo ad insultarla.
Ci furono due minuti di ambiguo silenzio, finché Romilda non prese a sbottonarsi la camicia e a lasciarla cadere fino al bacino. Dato che non portava il reggiseno, il suo miracoloso seno fu subito in vista. Essa se lo afferrò e prese a giocarci, facendo ballonzolare i suoi due seni in due sensi opposti. Io, sbalordito, non potevo che rimanere ammutolito.
“Sono pronta ad offrirle questo per il suo silenzio. So che lo vuole, Padroncino.”
Il mio cazzo prese a rizzarsi e, anche sotto le coperte, la sua forma si poteva ben vedere. Poteva mai essere quella l’occasione da me tanto bramata per trombare quella donna? Ma io ero ancora arrabbiato con lei e con quello che fece con mio padre. Sì, desideravo farmi fare una bella spagnola da quelle due portentose tettone, ma ancora di più mantenere un certo ritegno.
Mi alzai dal letto, non interessandomi dell’uccello eretto, presi per un braccio Romilda e la feci sedere con me al lato del letto.
“Romilda.” Cominciai io. “Voglio solo sapere perché l’hai fatto.”
Ci fu un lungo attimo in cui ci guardammo entrambi negli occhi, poi lei esalò un sospiro di rassegnazione e decise di parlare.
“Suo padre mi costringe a fare queste cose, lui è un uomo molto cattivo. Ma io devo farlo, Padroncino, questo lavoro è l’unico sostentamento che ho per mantenere i miei figli.”
“Da quando continua questa storia?” Domandai.
“Da sempre: dal primo giorno in cui ho messo piede in questa casa, dal primo giorno in cui sono stata assunta come domestica.”
“Oh, Romilda…”
Non ero più arrabbiato con lei, no, ora ero impietosito e nettamente dispiaciuto. L’unico conforto che mi venne in mente di dargli in quel momento fu un abbraccio. Ora che avevo la testa appoggiata sulla sua spalla potevo sentire ben bene il suo inebriante odore di vaniglia e la sua pelle, morbida e liscia, che baciai a più riprese. Ancora stretti a noi, ci demmo un’ultima occhiata e venne finalmente il momento in cui unimmo le nostre labbra per dare inizio ad un’intensa limonata. Le nostre lingue si muovevano in simultanea, ognuna nella bocca dell’altro. Ma dovevo passare ad altro, dovevo toccare le sue tette, il suo inguine, i suoi soffici polpacci e il suo culo, il tanto desiderato culo.
Adagio, scorsi giù lungo il suo collo, continuando a baciarla ovunque arrivassi con le labbra, fino a raggiungere i suoi capezzoli, che afferrai tra due dita e strinsi forte. Un rivolo di latte materno fluii lungo le mie unghie e io, istintivamente, leccai prima le mie dita bagnate, poi le sue mammelle. Rimanendo con la bocca attaccata alle sue tette, mi distesi lungo il letto, posizionando la bella Romilda sopra di me. Potevo sentire nella mia gola il suo latte scorrere: quanto era delizioso! Intanto, lei aggrappò le sue mani alla spalliera del letto e mi riempiva la fronte di baci.
Quando fui sazio di quell’afrodisiaca bevanda, afferrai il suo culo. Finalmente potevo toccarlo, potevo sentire quanto tenero fu! E poi, senza nemmeno chiedere il permesso, sfilacciai la sua gonna e infilai l’indice su per il suo retto. Lei emise un tale gemito che mi motivò a spingere ancora più affondo il mio dito.
“Más. ¡Quiero más! (Ancora! Ne voglio ancora!)” Frignò lei.
Mi resi conto che, quasi in maniera involontaria, il mio pene prese a strisciare in mezzo alle sue natiche, spingendo ancora di più il mio dito nel profondo del suo ano. E allora tolsi l’indice dal buco e, al suo posto, ci infilai il mio cazzo che, inizialmente, incontrò un po’ di attrito, ma poi scivolò lungo il suo retto che fu una meraviglia.
Nel frattempo che Romilda strusciava il suo clitoride contro il mio addome, io continuavo a muovere il bacino, una volta su e una volta giù, al fine di arrivare sempre più a fondo di quell’orifizio. La domestica spostò le braccia dalla spalliera del letto alle mie spalle, stringendo così forte da procurarmi dei graffi del quale dolore mi sarei accorto solo più tardi.
“¡Estoy cerca, estoy muy cerca! (Sono vicina, sono molto vicina!)” Gemé.
E mentre continuavamo a sobbalzare l’uno sull’altro, ecco che dal mio fallo uscì un potente getto di sborra, seguito da altri cinque, forse sei schizzi, che andarono ad inondare pienamente il suo culo. Romilda non poté che cacciare un forte orgasmo, che probabilmente risuonò per tutta la casa, ma di cui mi importava veramente poco in quel momento.
Ansimavamo, sudavamo e piagnucolavamo, ma soprattutto eravamo in estasi.
Restai con il mio cazzo infilato su per il suo culo per venti minuti buoni intanto che continuavo a palpeggiare il suo seno; percepí la mia stessa sborra cadere giù per il suo orifizio anale ed andare ad insozzare non solo le coperte, ma pure i miei testicoli, trovatisi direttamente sotto al suo culo.
Ripreso dal momento paradisiaco che stavo vivendo, alzai Romilda dal mio uccello e lei cacciò un ulteriore orgasmo. Il mio pisello gocciolava di sperma e umori femminili fino alla sua base.
Romilda si sdraiò al mio fianco, stusciandosi a me e massaggiandomi il petto.
“Le è piaciuto, Padroncino? So che le è piaciuto.” Mi stuzzicò lei.
“Certo Romilda che mi è piaciuto. Tu non sai da quanto tempo aspettavo questo momento.”
“Oh, ma io lo so Padroncino, lo so benissimo. Lei è sempre stato geloso del mio corpo, l’ha voluto sempre per sé.”
Un eloquente silenzio interruppe i nostri discorsi.
“Romilda…” Accennai.
“Sì, Padroncino?”
“Io… non sono sicuro che tu abbia fatto questo di tua spontanea volontà, magari ti sei vista costretta a venire a letto con me. Sappi solo che, anche se fosse così, io cercherò di allontanarti da quel bastardo di mio padre in tutti i modi possibili.”
“No, Padroncino.” Negò lei. “Io sono venuta a letto con lei perché la amo, la amo veramente tanto. Non l’ho mai fatto prima solo perché lei si merita una ragazza più giovane e fertile di me.”
“Cosa dici, Romilda?” Rimproverai. “Tu sei stupenda, tutta un’altra cosa rispetto alle mie coetanee.”
“Oh, Padroncino…” Concluse, con tono compassionevole. “Lei è un bravo padrone.”
I miei si sono interessati sempre poco di me, hanno sempre preferito mio fratello maggiore, un vero atleta e baldo giovane. A lui perdonavano qualsiasi cosa, pure quando rincasava alle 4 di mattina, dopo aver passato l’intera nottata a bere alcool in qualche abituale festino di fine settimana. Ed è stata la loro accondiscendenza verso questo comportamento così frivolo che portò mio fratello alla morte in un incidente stradale in cui il conducente della macchina dove si trovava, suo amico, era decisamente ubriaco e andò a schiantarsi contro un tir.
I miei non si furono più ripresi da quel giorno: furono così scossi che smisero pure di parlarsi a vicenda, dopo un lungo e furioso litigio in cui si incolparono l’un l’altro per aver portato il loro stesso figlio al decesso.
Anch’io non mi ripresi mai completamente e, qualche sera, mi capitava di mettermi a piangere pensando a lui. Non era mai stato una figura di riferimento per me, questo è vero, ma di tanto in tanto capitavano dei momenti di affetto tra noi due, e quelli furono più che bastanti per me.
In quell’atmosfera casalinga così tediosa ed opprimente, l’unica persona che mi rassenerava la giornata fu Romilda, la nostra casalinga argentina.
Lei fu per me una seconda madre, quando ero piccolo fu pure la mia nutrice. Da una vita si trovava a casa nostra e per nulla al mondo qualcuno della nostra famiglia avrebbe voluto una domestica che la sostituisse.
Non so precisamente quanti anni ebbe, sicuramente fu abbastanza avanzata con l’età… non per questo il suo corpo sembrò risentirne gli effetti.
Il suo seno rimase sodo sin dalla prima volta che ebbi memoria di lei e, anzi, divenne ancora più voluminoso; la sua vita era perfettamente bilanciata con il corpo e, quando indossava l’uniforme scrosciata da domestica, questa si stringeva, lasciando però in bella vista due grosse e fastose cosce, che darono l’impressione di essere così morbide da volerle addentare. Ma la parte del suo corpo più allettante fu certamente il suo culo, grande e vistoso quando indossava il gonnellino da domestica. Se un giorno avessi mai scopato quella donna, ecco che il culo sarebbe stata la prima parte di cui mi sarei interessato.
Non mi vergogno affatto di dire che la mia prima sega l’ho fatta pensando a lei e, tuttora, continuo a farle. Rimaneva pur sempre la mia domestica, tra l’altro una donna vedova con ben quattro figli di cui farsi carico sulle spalle, ma non riuscivo a non sessualizzarla ogni volta che la vedevo.
Se quasi tutti i miei coetanei d’età avevano una fidanzata, io non riuscì mai a trovare quella giusta; e, per questo, ogni tanto venivo preso in giro dai miei puerili amici (imbecilli!) che mi facevano passare come quello gay della compagnia.
Beh, loro non conoscevano affatto l’affetto che io provavo verso la mia domestica (nessuno effettivamente lo conosceva) e che, in confronto a lei, le ragazze della mia età furono solamente delle presuntuose sciacquette incapaci di creare una relazione duratura con i loro fidanzati.
Nonostante cercassi come più potevo di creare un rapporto maggiormente passionevole con Romilda, deviando dalla semplice relazione domestica-padrone che ci legava, lei non sembrò mai ricambiare; al contrario, certe volte rimase pure sconcertata dalle mie richieste e mi invitò, invece, a cercare una compagna della mia età e perdere la verginità con lei. Non potevo farlo, io amavo solo e solamente lei, e il suo corpo fin troppo incantevole.
Fatto sta che quel giorno, dopo essere rincasato, mi recai in cucina a preparare un sandwich, dato che non avevo troppa voglia di cucinare un pasto più elaborato, ed ecco che vidi la nostra domestica piegata sulle ginocchia, con un secchio dell’acqua da un lato e una spugna tenuta stretta in una mano. Non compresi perché stesse lavando i pavimenti in quel modo così inusitato, d’altronde bastava che usasse lo straccio; e poi, sotto il suo gonnellino, scorsi che non indossava le mutandine e, in quella posizione, lasciava in bella vista la sua bella e bagnata vagina, circondata da una sottile lanugine, e il suo culo, il tanto agoniato culo, che stringeva e allargava causandomi un’erezione istantanea.
Ero arrivato alla fatidica decisione di segarmi immantinente sul luogo, così da favorire di quella visione appieno. Peccato che Romilda si accorse della mia presenza e, come un fulmine, rifilai il mio cazzo dentro le mutande.
“Cosa fa qui, Padroncino?” Mi chiamava ogni volta così. “Se ne vada, la prego.”
Si apprestò a me, spingendo il suo rigoglioso seno contro il mio petto, e con aria supplicante mi incalzò ad andare fuori dalla cucina.
“Ma, Romilda, ho fame. Faccio un sandwich veloce e poi me ne vado via, lo giuro.”
“No, no, lei non può rimanere qui un minuto di più.” Replicò. “Non si preoccupi del suo pranzo: le cucinerò io quello che vuole e poi lo porterò nella sua camera. Ma ora, se ne vada da qui.”
Non potevo che accogliere alle suppliche della mia domestica e, dunque, mi recai nel salotto, la stanza della nostra casa più vicina alla cucina.
Mi appolai sul divano, meditando sul perché Romilda fu così agitata ed ansiosa di cacciarmi dalla cucina. Sull’onda dei miei pensieri, non mi accorsi di avere ancora l’alzabandiera. Diedi una rapida occhiata d’ispezione attorno a me, così da assicurarmi che nessuno fosse nei paraggi. In teoria, i miei dovevano essere tornati da lavoro, ma, con certa probabilità, si trovavano ognuno nelle loro camere da letto separate, dove passavano gran parte della loro giornata. Così, sfilai il mio uccello dalle mutande e presi a masturbarmi dolcemente, così da assaporare il momento. Non potevo mancare quell’occasione, non quando avevo un ricordo così nitido del culo di Romilda nella mia testa. Mi sfilai di dosso tutti gli indumenti che avevo e chiusi gli occhi, simulando mentalmente un ipotetico rapporto sessuale con Romilda. Quanto godevo al solo pensiero di lappare il suo buco del culo e poi di infilare sia l’indice che il medio nella sua vagina, facendola frignare dalla soddisfazione! Subito dopo, avrei introdotto tutto per intero il mio cazzo nel suo ano, in una botta sola, mentre avrei continuato a tastare il suo bel paio di mammellone.
Un rieccheggiante rumore proveniente dalla cucina si intromise tra me e la mia eiaculazione.
Decisi di andare subito ad investigare la provenienza di quel suono e, infatti, non mi curai nemmeno di rivestirmi.
Guardai attraverso lo spiraglio della porta che conduceva verso la cucina (quella porta era rotta da oramai più di dieci anni e non si chiudeva bene) e, nonostante la visuale fu pessima, potevo vedere abbastanza cose da scioccarmi: mio padre si stava inculando Romilda! Lei continuava a rimanere chinata e lui, come un fantino con il suo destriero, la cavalcava e le schiaffeggiava lo stuzzicante sederone, creando il rumore che mi portò a vedere quella scena così allucinante.
“¡Cerdo sucio! (Sporco maiale!)” Urlava lei, a suoni soffocati.
“Sì, adoro quando mi chiami così, lurida troietta domestica!” Le rispose mio padre.
Non potevo rimanere un minuto di più a guardare mio padre sfondare il culo di Romilda: così afferrai i miei vestiti accasciati a terra, corsi a perdifiato su per le scale e raggiunsi la mia camera, dove sbattei la porta con così tanta veemenza da creare un fragoroso rumore.
Per una buona mezz’ora rimasi seduto per terra con la schiena incollata alla porta della camera e la testa tra le mani. Romilda mi aveva cacciato dalla cucina perché stava aspettando mio padre che ritornasse a scoparla; e questo spiegava pure l’assenza di mutandine e la sua preoccupazione così palpabile. Un notabile sentimento di rancore e furore mi pervase: quella puttana di Romilda mi aveva tenuto nascosto il suo rapporto con mio padre! Come poteva farmi questo dopo tutta la confidenza che si era instaurata tra noi due?
Tra le lacrime di rabbia e un senso di disorientamento, mi alzai dal duro pavimento, che aveva reso il mio culo letteralmente un blocco di cemento, e mi diressi a fare una doccia nel bagno della mia camera. Ci rimasi pochi minuti, dacché ero stanco e volevo sdraiarmi sul letto, magari dormire per tutto il pomeriggio e far dissolvere quel tremendo ricordo.
Non mi preoccupai di portare il cambio di vestiti nel bagno, così tornai nella mia camera tutto nudo e un poco bagnato; qua vidi Romilda che, con il suo solito zelo, stava appoggiando un vassoio con cinque sandwich sul comodino vicino al mio letto. Vedendomi completamente spogliato, Romilda fece una faccia imbarazzata e, mettendo una mano in frapposizione tra i suoi occhi e me, cercò di deviare lo sguardo come più poteva (anche se notai che ogni tanto una sbirciatina la dava).
“Mi scusi, Padroncino! Io non sapevo che lei…”
“Non ti preoccupare, Romilda.” Dissi io, con tono smorto e apatico, pure con qualche postumo della rabbia. “Non è successo nulla.”
Invece di andare verso l’armadio a prendere un paio di mutande, mi infilai sotto le coperte del mio letto e mi coprì con le lenzuola fino all’addome.
“Le ho portato dei panini e una bottiglia di acqua, Padroncino.” Disse lei, con un certo tono di remissione.
“Grazie, ma non ho più fame.” Risposi io, cercando di apparire il più scontroso possibile.
Romilda fece un gesto di riverenza e poi, mestamente, si diresse verso la porta.
“Ho visto tutto, Romilda.” Azzardai a dire, prima che la domestica si dileguasse dalla stanza.
Romilda si placò sul posto e non si voltò nemmeno per guardarmi.
“Cosa intende, Padroncino?” Chiese lei, con voce tremante.
“Non fare la scema, Romilda.” Presi un attimo di tempo per elaborare quello che avrei riferito. “Ho visto come mio padre ti trombava e tu, sì tu, godevi come una porca!”
Ora lei si voltò verso di me, con la faccia implorante e con le mani messe a mo’ di preghiera.
“Padroncino, lei non capisce.”
“Oh, io capisco eccome! Sei solo una maledetta…” Lasciai perdere, non riuscivo ad insultarla.
Ci furono due minuti di ambiguo silenzio, finché Romilda non prese a sbottonarsi la camicia e a lasciarla cadere fino al bacino. Dato che non portava il reggiseno, il suo miracoloso seno fu subito in vista. Essa se lo afferrò e prese a giocarci, facendo ballonzolare i suoi due seni in due sensi opposti. Io, sbalordito, non potevo che rimanere ammutolito.
“Sono pronta ad offrirle questo per il suo silenzio. So che lo vuole, Padroncino.”
Il mio cazzo prese a rizzarsi e, anche sotto le coperte, la sua forma si poteva ben vedere. Poteva mai essere quella l’occasione da me tanto bramata per trombare quella donna? Ma io ero ancora arrabbiato con lei e con quello che fece con mio padre. Sì, desideravo farmi fare una bella spagnola da quelle due portentose tettone, ma ancora di più mantenere un certo ritegno.
Mi alzai dal letto, non interessandomi dell’uccello eretto, presi per un braccio Romilda e la feci sedere con me al lato del letto.
“Romilda.” Cominciai io. “Voglio solo sapere perché l’hai fatto.”
Ci fu un lungo attimo in cui ci guardammo entrambi negli occhi, poi lei esalò un sospiro di rassegnazione e decise di parlare.
“Suo padre mi costringe a fare queste cose, lui è un uomo molto cattivo. Ma io devo farlo, Padroncino, questo lavoro è l’unico sostentamento che ho per mantenere i miei figli.”
“Da quando continua questa storia?” Domandai.
“Da sempre: dal primo giorno in cui ho messo piede in questa casa, dal primo giorno in cui sono stata assunta come domestica.”
“Oh, Romilda…”
Non ero più arrabbiato con lei, no, ora ero impietosito e nettamente dispiaciuto. L’unico conforto che mi venne in mente di dargli in quel momento fu un abbraccio. Ora che avevo la testa appoggiata sulla sua spalla potevo sentire ben bene il suo inebriante odore di vaniglia e la sua pelle, morbida e liscia, che baciai a più riprese. Ancora stretti a noi, ci demmo un’ultima occhiata e venne finalmente il momento in cui unimmo le nostre labbra per dare inizio ad un’intensa limonata. Le nostre lingue si muovevano in simultanea, ognuna nella bocca dell’altro. Ma dovevo passare ad altro, dovevo toccare le sue tette, il suo inguine, i suoi soffici polpacci e il suo culo, il tanto desiderato culo.
Adagio, scorsi giù lungo il suo collo, continuando a baciarla ovunque arrivassi con le labbra, fino a raggiungere i suoi capezzoli, che afferrai tra due dita e strinsi forte. Un rivolo di latte materno fluii lungo le mie unghie e io, istintivamente, leccai prima le mie dita bagnate, poi le sue mammelle. Rimanendo con la bocca attaccata alle sue tette, mi distesi lungo il letto, posizionando la bella Romilda sopra di me. Potevo sentire nella mia gola il suo latte scorrere: quanto era delizioso! Intanto, lei aggrappò le sue mani alla spalliera del letto e mi riempiva la fronte di baci.
Quando fui sazio di quell’afrodisiaca bevanda, afferrai il suo culo. Finalmente potevo toccarlo, potevo sentire quanto tenero fu! E poi, senza nemmeno chiedere il permesso, sfilacciai la sua gonna e infilai l’indice su per il suo retto. Lei emise un tale gemito che mi motivò a spingere ancora più affondo il mio dito.
“Más. ¡Quiero más! (Ancora! Ne voglio ancora!)” Frignò lei.
Mi resi conto che, quasi in maniera involontaria, il mio pene prese a strisciare in mezzo alle sue natiche, spingendo ancora di più il mio dito nel profondo del suo ano. E allora tolsi l’indice dal buco e, al suo posto, ci infilai il mio cazzo che, inizialmente, incontrò un po’ di attrito, ma poi scivolò lungo il suo retto che fu una meraviglia.
Nel frattempo che Romilda strusciava il suo clitoride contro il mio addome, io continuavo a muovere il bacino, una volta su e una volta giù, al fine di arrivare sempre più a fondo di quell’orifizio. La domestica spostò le braccia dalla spalliera del letto alle mie spalle, stringendo così forte da procurarmi dei graffi del quale dolore mi sarei accorto solo più tardi.
“¡Estoy cerca, estoy muy cerca! (Sono vicina, sono molto vicina!)” Gemé.
E mentre continuavamo a sobbalzare l’uno sull’altro, ecco che dal mio fallo uscì un potente getto di sborra, seguito da altri cinque, forse sei schizzi, che andarono ad inondare pienamente il suo culo. Romilda non poté che cacciare un forte orgasmo, che probabilmente risuonò per tutta la casa, ma di cui mi importava veramente poco in quel momento.
Ansimavamo, sudavamo e piagnucolavamo, ma soprattutto eravamo in estasi.
Restai con il mio cazzo infilato su per il suo culo per venti minuti buoni intanto che continuavo a palpeggiare il suo seno; percepí la mia stessa sborra cadere giù per il suo orifizio anale ed andare ad insozzare non solo le coperte, ma pure i miei testicoli, trovatisi direttamente sotto al suo culo.
Ripreso dal momento paradisiaco che stavo vivendo, alzai Romilda dal mio uccello e lei cacciò un ulteriore orgasmo. Il mio pisello gocciolava di sperma e umori femminili fino alla sua base.
Romilda si sdraiò al mio fianco, stusciandosi a me e massaggiandomi il petto.
“Le è piaciuto, Padroncino? So che le è piaciuto.” Mi stuzzicò lei.
“Certo Romilda che mi è piaciuto. Tu non sai da quanto tempo aspettavo questo momento.”
“Oh, ma io lo so Padroncino, lo so benissimo. Lei è sempre stato geloso del mio corpo, l’ha voluto sempre per sé.”
Un eloquente silenzio interruppe i nostri discorsi.
“Romilda…” Accennai.
“Sì, Padroncino?”
“Io… non sono sicuro che tu abbia fatto questo di tua spontanea volontà, magari ti sei vista costretta a venire a letto con me. Sappi solo che, anche se fosse così, io cercherò di allontanarti da quel bastardo di mio padre in tutti i modi possibili.”
“No, Padroncino.” Negò lei. “Io sono venuta a letto con lei perché la amo, la amo veramente tanto. Non l’ho mai fatto prima solo perché lei si merita una ragazza più giovane e fertile di me.”
“Cosa dici, Romilda?” Rimproverai. “Tu sei stupenda, tutta un’altra cosa rispetto alle mie coetanee.”
“Oh, Padroncino…” Concluse, con tono compassionevole. “Lei è un bravo padrone.”
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