Romilda - Capitolo 2
di
Kiray
genere
etero
Passò all’incirca un mese e mezzo da quando persi la verginità con Romilda. Da quel giorno la ebbi sempre fissa in testa: non riuscivo a concentrarmi in nient’altro che non fosse lei. Dopo la scuola, passavo intere giornate nella mia camera a segarmi anche per quattro volte di seguito, mentre latravo il suo nome fino a venire. Stranamente però da quel giorno non proferimmo più parola assieme ed evitavamo qualsiasi contatto (cosa del tutto impossibile dato che passeggiavamo per la stessa casa). Tra di noi alloggiava una sorta di inspiegabile imbarazzo e disagio. A più riprese provai a parlarle di qualsiasi cosa mi passasse per la mente: sarebbe bastato pure un semplice «come stai?». Ma, appena ci provavo, le mie parole si trasformarono in deboli spiri d’aria.
Nello stesso tempo in cui accadeva questo, i miei genitori tornarono miracolosamente a parlare tra di loro e, talvolta, si scambiavano pure effusioni amorose e cenni d’intesa. Nelle lunghe mattine del fine settimana, uscivano assieme di casa e tornavano solo dopo le nove di sera.
La loro trascuratezza nei miei confronti si intensificò ulteriormente: se non fosse stato per Romilda probabilmente sarei pure morto di fame.
Nonostante ciò, fui parecchio allietato della loro riappacificazione: perlomeno in casa non si respirava più quell’aria angosciante tipica dalla morte di mio fratello.
Dato che l’estate era alle porte, e la scuola era agli sgoccioli, si avvicinava il periodo delle vacanze. Di punto in bianco, i miei genitori presero la decisione di fare una vacanza di una settimana presso la nostra casa al mare. Fui parecchio gioioso quando lo venni a sapere: finalmente potevo prendere una pausa dalle spossanti avventure avute durante quella primavera. Peccato che i miei genitori non pensarono a me quando decisero di partire per la spiaggia e, dunque, sarei stato costretto a rimanere a casa. Dapprincipio, fui particolarmente turbato e offeso da questa loro scelta, il quale andava solo a confermare la loro desuetudine verso di me, ma poi dedussi che quella settimana in assenza dei miei genitori poteva essere l’occasione perfetta per passare ancora più tempo con la mia amata Romilda. Ci saremmo confrontati, avremmo parlato del pomeriggio di sesso sfrenato che passammo assieme non più di due mesi fa e, dopo tutti questi convenevoli, avremmo fatto ulteriore sesso, per sette giorni di seguito! La mia gioia schizzò alle stelle e la mia impazienza crebbe vertiginosamente.
Così, finalmente, l’estate arrivò. Fui completamente libero da compiti, studio e professori assillanti sempre pronti con la penna in mano a piazzarti un brutto voto nel registro.
Mentre i miei stavano preparando le valigie per andare in vacanza, io li aiutavo con tutti gli altri preparativi. Solo in quella occasione sembrarono essere grati delle mie gesta (anche perché non ero solito a fare favori per loro), ma io volevo solo che se ne andassero il prima possibile, così da avere tutta la casa per me e Romilda.
Ci impiegammo tutta la mattinata (dalle cose che si portarono via sembrava che si allontanassero per tre mesi) e, finalmente, ebbi tutta la settimana libera.
Dato che i miei avvertirono Romilda di venire a casa nostra solo verso il tardo pomeriggio, ebbi un po’ di tempo per prepararmi al suo arrivo.
Decisi che per quelle ore dovessi astenermi dalla masturbazione, così da non fiaccare troppo il mio piccolo amico.
Posizionato davanti allo specchio a petto nudo, mi accorsi quanto pallida la mia pelle fu: passare la maggior parte del tempo in casa per tutti i mesi precedenti non fu un’idea così benefica per migliorare il mio aspetto. Così mi denudai, mi infilai il costume da bagno, mi spalmai la crema solare ovunque arrivassi con il palmo della mano ed, infine, presi branda e riflettore solare assieme per recarmi sulla spaziosa terrazza di casa mia.
La piacevole calura dei primi giorni di giugno, non ancora bollente come ad agosto, mi indusse a schiacciare un pisolino; per fortuna, fui svegliato dal rumore della serratura dell’entrata principale della nostra casa: Romilda era arrivata!
“Romilda? Sei tu?” Sapevo che era lei, ma dovevo cogliere qualsiasi movente per parlarle.
Dopo pochi secondi, sentì una flebile conferma da parte sua.
“Bene! Portami un bicchiere di aranciata, per favore.”
Dato che la cucina era ad una stanza di lontananza da me, potei percepire chiaramente tutte le sue movenze: da quando aprì il frigorifero per prendere il cartone dell’aranciata fino a quando la versò nel mio bicchiere.
“Ecco qua, Padroncino!” Finalmente mi riferì parola, però rimase statica sul ciglio della porta che conduceva al balcone.
“E che fai lì impallata?” La provocai “Non vuoi mica che mi alzi da questa comoda branda per prendere un banale bicchiere di aranciata?”
Fece un cenno con il capo di consenso, poi si diresse dalla mia parte e appoggiò il bicchiere sul tavolino ad una gamba affianco a me. Agguantai subito il bicchiere e bevvi il suo contenuto in un sorso solo. Non avevo fatto in tempo a finirlo che Romilda era già in procinto di prenderlo e portarlo a lavare, con la fretta tipica di una persona fortemente in disagio.
“Ehi, aspetta! Mica ti ho detto che lo puoi portare via.” Ammonì, mentre le bloccavo il polso con la mano.
Una timida erezione prese a muoversi sotto il mio costume, mentre mi alzavo in piedi fino ad arrivare con il viso al suo capo. Lei non riuscì a guardarmi dritto negli occhi e, invece, si concentrava sul paesaggio che si presenziava dietro di me.
Mentre le sbarravo l’uscita della terrazza, usai la mano libera per strusciare le mie dita lungo la sua soffice pelle, fino ad arrivare al collo che strinsi energicamente.
Invece di divincolarsi, Romilda sembrò acconsentire alle mie violazioni e si lasciò andare.
Così la scaraventai contro la branda, con la pancia rivolta verso il basso, e gli alzai la sottana, che mi lasciò già in mostra il suo corpulento culo e la sua fradicia vagina. Non aveva portato le mutandine, sapeva che quel giorno sarei tornato a scoparla!
Con una mano, le bloccai entrambe le braccia dietro la schiena, mentre con l’altra sfilai il cordoncino del mio costume da bagno e questo, mosso dalla mia erezione, cadde ai miei piedi.
“Quanto ho atteso questo momento! Da troppo tempo volevo toccare nuovamente il tuo culo.” Pensai ad alta voce.
Sputai un rivolo di saliva sul culo di Romilda, il quale andò a centrare in pieno il suo ano e, successivamente, scivolò giù fino a raggiungere la sua vulva.
Tinsi il mio glande nella saliva che sputai così da lubrificarlo e poi, senza remore, ficcai l’intero cazzo su per il suo culo: sia Romilda che io cacciammo un orgasmo in simultanea.
“Te he echado de menos, Papi. (Mi sei mancato, Papino.)” Disse lei.
Presi a scoparla selvaggiamente sin da subito; velocizzavo di minuto in minuto il mio ritmo e i suoi mugolii non fecero che spronarmi a continuare in quel modo.
Romilda fu così tanto concitata che non fui in grado di tenere ferme le sue mani sulla sua schiena; così le liberai e lei, per favorire la penetrazione, dilatò le sue natiche schiacciando le sue dita contro di esse.
“¡Más fuerte, Papi! Quiero soñar. (Più forte, Papino! Voglio sognare!)”
Ero sul punto di sborrare: ero vicino ad affogare le sue viscere nella mia sborra, ma questa volta volevo fare qualcosa di speciale e di inconsueto che mi avrebbe fatto ricordare quella sborrata per sempre.
Dunque, levai il mio cazzo dal suo ano inzuppato di liquido preseminale e presi il bicchiere vuoto poggiato sul tavolo al nostro fianco. Mi alzai dalla branda e mi parai in piedi di fronte a Romilda, ancora inebetita dalla brutale inculata inferta.
“Perché si è fermato, Padroncino?” Mi chiese, con tono di supplica. “Ero quasi vicina a venire.”
Presi la sua mano e gli porsi il bicchiere, che poi recò direttamente sotto il mio uccello.
“Mungi il mio uccello, Romilda, e riempi questo bicchiere con la mia sborra.”
Senza fare troppe domande, Romilda si inginocchiò, afferrò il mio uccello e prese a segarmelo.
Siccome già da prima il mio pisello era sul punto di implodere, non ci volle molto prima che arrivai a colmare fino a metà il bicchiere; in più Romilda era un portento a fare le seghe ed era difficile durare più di così.
Dopo l’intensa sborrata che feci, vacillai così tanto che fui sul punto di perdere l’equilibrio se non mi fossi seduto in tempo sulla branda.
“Cosa devo fare ora con questo bicchiere, Padroncino?”
“Ma come? Non ti sembra ovvio? Bevilo! Dissetati con il mio seme.”
Inizialmente, rivolse un’occhiata disgustata verso il contenuto del bicchiere e poi tornò a fissarmi.
“Ma devo proprio, Padroncino? Adoro quando il mio culo viene riempito della tua sborra, ma berlo… Non ho mai provato prima di adesso ad inghiottire lo sperma di un uomo.”
“Beh, allora vuol dire che c’è sempre una prima volta per tutti.”
Afferrai entrambe le sue mani che tenevano il bicchiere e poi la aiutai ad inclinarlo verso la sua bocca; lei dissigillò le sue labbra e, ben presto, vidi che la mia sborra scendeva lungo il suo gargarozzo, sino a che il bicchiere non fu completamente svuotato.
Dapprincipio fece un’espressione nauseata, poi sembrò pure compiaciuta da quello che bevve.
Scostai due ciocche di capelli incollate con il sudore dalla sua fronte e poi la guardai dritto negli occhi.
“Ti amo, Romilda!” Proferì poi.
“Anch’io la amo, Padroncino!” Ribatté lei.
Subito dopo, ci lasciammo andare ad un prolisso abbraccio.
Giacché non volevo lasciare Romilda inappagata, la portai nuovamente a distendersi sulla branda, mentre io scendevo con la bocca giù nella sua vulva e, da lì a presto, immersi la mia lingua nel suo orifizio vaginale e premetti il mio pollice contro il suo clitoride, fino a farle un ditalino.
Il pollice della mia mano destra, invece, lo infilai dentro la sua bocca, dove venne stretto dai suoi denti senza però causarmi dolore.
“¡Qué divertido! (Che goduria!)” Strillò.
Muovevo la lingua una volta in alto e una volta in basso, così da stimolare le pareti interne della sua vagina; poi la sfilai fuori e, subito dopo, la rimisi dentro, e continuai così fino a quando le mie papille gustative non furono invase da dolciastri umori femminili.
Dopo quella sessione di sesso orale, ci distendemmo l’uno accanto all’altro nella branda e, nonostante fu troppo piccola per starci in due, lì ci addormentammo, stanchi e più che soddisfatti.
L’indomani mattina mi recai al centro commerciale, dove entrai in un negozio di intimo per donna. Mi trovavo piuttosto a disagio a trovarmi in un luogo brulicante di donne e io l’unico uomo a vagare da scaffale a scaffale; ma ero risoluto a comprare un lingerie per Romilda, così che per i prossimi giorni, quando si trovava a casa mia, potesse indossare solo quello e portarmi al massimo dell’eccitazione.
Impiegai un quarto d’ora per trovare quello giusto, dato che doveva essere perfetto: era un dessous di un immacolato bianco, con delle aperture nel reggiseno per far trasparire i capezzoli e una riga nelle mutandine per lasciare ben vedere la vulva.
Lo portai subito alla cassa, senza guardare direttamente in faccia la commessa ed imbarazzarmi ancora di più, e sborsai una parte di risparmi dello stipendio guadagnatomi lo scorso anno durante un lavoro estivo.
Dopo l’acquisto mi recai a casa, dove, secondo le tempistiche da me calcolate, Romilda si doveva già trovare.
E, in effetti, era nello scantinato intenta ad azionare la lavatrice per lavare i panni.
“Padroncino!” Sorpresa, corse subito ad abbracciarmi. “Mi ero preoccupata che non si trovasse a casa. Pensavo che oggi non avesse voglia di scoparmi.”
“Quando mai non avrei voglia di scopare quel sublime culo che ti ritrovi, Romilda?”
“Oh, lei è troppo gentile con me, Padroncino.” Disse, onorata del complimento fattogli.
Per un attimo mi dimenticai della busta che tenevo in mano.
“Ah, giusto!” Esclamai ad una certa. “Ti ho portato un regalo.”
Tirai fuori dall’incarto il lingerie e, a vederlo così, Romilda non sapeva cosa dire.
“Potrai tenerlo per tutto il tempo che staremo assieme.”
“Oh, quanto desidero indossarlo!” Ribatté lei. “Ma suo padre è parecchio fiscale in quanto indumenti.”
“Che si fotta!” Berciai. “I miei rimangono via per altri sei giorni, hai tutto il tempo di tenerlo addosso senza che loro se ne accorgano.”
Accennò ad un timido sorriso, poi me lo sfilò delicatamente di mano, lo perlustrò per un attimo e cominciò a togliersi il suo vecchio indumento da domestica.
“Oh!” Sbottò, interrompendo a metà la sua opera. “Forse dovrei andare in un luogo più appartato per cambiarmi.”
“E che differenza fa?” Risposi senza esitare. “D’altronde, ti ho già vista nuda e sei una meraviglia.”
“Eddai! La smetta di ingraziarmi, Padroncino.”
Lasciò crollare per terra la sua uniforme, mostrandosi nel pieno della sua bellezza fisica; dei deboli raggi di sole che filtrarono dalla piccola finestrella della stanza andarono a colpire direttamente le sue parti più volumimose, facendomi rizzare immantinente il pisello. Non riuscendo a resistere, presi a strofinare il mio uccello attraverso i pantaloni, simulando una sega.
“Aspetta, Romilda!” La afferrai per un braccio proprio quando si stava per chinare al fine di raggiungere il suo indumento da domestica lasciato abbandonato per terra; così, si ritrovo direttamente stampata sul naso il mio crescente membro. “Mi è venuta una certa voglia di farlo.”
“Certo, Padroncino, il lingerie può aspettare.”
“Sì, può aspettare…”
Slacciai la cintura, poi tirai giù la cerniera dei pantaloni, la quale si incastrò a metà; dovetti farmi aiutare da Romilda per disincagliarla, così come una madre farebbe con il suo piccolo bambino. Da lì in poi, ci pensò lei a togliermi i pantaloni e le mutande di dosso, lasciandomi solo con le scarpe e la t-shirt.
La domestica procedette con l’aggrapparsi alle mie gambe e strinse forte le sue unghie alle mie cosce. Mi guardò per un attimo: i suoi occhioni sembrarono quelli di un cucciolo di cane dopo essere stato bastonato dal suo padrone. Dipoi introdusse la punta della sua lingua dentro il meato urinario del mio prepuzio, fino ad agguantare con tutta la sua bocca il mio uccello per intero.
Potevo sentire il calore del suo palato e la sua lingua che si muoveva lungo l’asta del mio pene, recandomi un tale stimolo instabilizzante che mi costrinse a sedermi sul primo gradino della scalinata che portò al piano di sopra.
Romilda cercò di dire qualcosa, ma ogni suo monosillabo si convertì in un bizzarro suono di risucchio.
Finito di ingoiarmi l’uccello, staccò le sue labbra dal mio prepuzio, creando dei indissolubili fili di bava, e passò al mio scroto, che baciò e aspirò dentro la sua bocca fino a che il piacere fu così intenso che sborrai nei suoi capelli, imbiancandoli.
Ma la nostra sessione di sesso non finì di certo lì: il pompino non mi aveva aiutato a calmare i bollenti spiriti, anzi, fui ancora più arrapato di prima.
Così, afferrai Romilda e la sostenni sulle mie braccia, per poi sbatterla contro il muro.
Mentre lei si aggrappava con tutte le sue forze a me, incrociando le sue braccia intorno alle mie spalle e le sue gambe intorno al mio culo, io le sfondai la vagina con il mio instancabile cazzo, pomiciando sul suo collo.
“¡Eres una bestia sexual, Papi! (Sei una bestia del sesso, Papi)” Mi sussurrò all’orecchio.
Nel giro di dieci minuti fui nuovamente pronto a sborrare e, questa volta, sentì che il gettito sarebbe uscito in maniera più poderosa.
“Non lì, Padroncino!” Mi raccomandò. “Vieni dentro la mia bocca: mi sono innamorata della tua sborra.”
Non potevo che assecondarla. Così la riposi al suolo, dove lei si inginocchiò subito a me, aggrappandosi con le mani alla mia vita; con la lingua di fuori, fu pronta a prendere in bocca qualsiasi cosa che gli avrei ordinato di ingoiare.
“¡Aliméntame, Papi! (Nutrimi, Papi!)” Mi esortò.
Segandomi, raggiunsi finalmente l’eiaculazione: solo con il primo schizzò fui in grado di centrare appieno la sua bocca, mentre gli altri caldi spruzzi si riversarono un po’ da tutte le parti nella sua faccia, due o tre pure nei suoi occhi, rendendola cieca per pochi attimi.
Per pulire il mio prepuzio dal liquido eiaculatorio lo introdussi nuovamente nella bocca di Romilda, la quale pulì da cima a fondo l’asta del mio pene, mettendoci la stessa diligenza di quando si trovava a fare qualsiasi mansione casalinga.
Per qualche minuto, ci sedemmo vicino alla lavatrice: mentre io pulivo accuratamente con delle salviette il suo viso dalla mia sborra, lei continuava a giocherellare con i miei testicoli.
Non dicemmo nulla, eravamo troppo spossati per parlare.
Dopo aver finito il mio lavoro con le salviette, lei si afflosciò su di me e, inducendo la sua testa verso i miei genitali, cominciò a farmi un altro bocchino.
Quella sera, Romilda chiamò per telefono a casa sua per dire ai suoi familiari che sarebbe rincasata solo l’indomani mattina; difatti, decise di rimanere a dormire con me nel letto dei miei genitori, in cui facemmo sesso per tutta la notte e imbrattammo le lenzuola di sborra ed umori femminili, senza nemmeno curarci di pulirli il giorno dopo.
Era un sogno rimanere per così tanto tempo con la mia amata Romilda; dovetti darmi dei pizzicotti ogni tanto per essere certo che fosse tutto reale.
Durante un afoso mercoledì pomeriggio, dopo aver scopato per l’ennesima volta il culo di Romilda, udì una macchina parcheggiare sul vialetto di casa nostra.
Aspettai qualche minuto sul letto della mia camera prima di scoprire chi fosse, dato che ero troppo stanco per muovere anche un solo muscolo. Recuperate le forze, corsi verso la finestra, scostai la tenda e vidi che, davanti alla porta del nostro garage, vi era accostata la macchina di mio padre! Cosa ci faceva lì? Non doveva essere con la mamma nella casa al mare? Quel fetente era sul punto di rovinare l’appassionata settimana di sesso sfrenato tra me e Romilda!
Non ci pensai un attimo di più a dirigermi verso il salotto per andare da Romilda, ma fu troppo tardi. Quando mi insinuai nel soggiorno di casa, la prima cosa che notai fu mio padre che diede un tonante schiaffo sulla guancia di Romilda, facendola rovinare contro il tavolo.
“Le regole erano chiare, brutta puttanella!” Esordí mio padre. “Per stare qui dentro, tu ti vesti solo nel modo in cui ti ordino io di vestirti.”
Troppo scosso dallo schiaffo di Romilda, non capì dapprincipio cosa intendesse mio padre: poi mi ricordai del lingerie che comprai e che, in quel momento, Romilda stava indossando.
“Padrone, mi scusi…” Implorò la vessata Romilda.
“Taci! Hai trasgredito le regole!” E dopo aver detto questo, diede un altro paio di schiaffi contro il viso della domestica, portandola a sanguinare dal naso.
Mio padre rimase a fissarla, con posa imperiosa e autoritaria, mentre lei piangeva e lo pregava di smettere. Io rimasi fermo dietro l’angolo in cui mi ero appostato per guardare l’intera scena, incapace di intervenire nella scena per colpa della mia vigliaccheria.
“Però potrei sorvolare per questa volta.” Aggiunse mio padre dal nulla. “D’altronde, il culo flaccido e decrepito di mia moglie mi ha obbligato a interrompere le mie vacanze con il desiderio di vedere nuovamente il tuo culo, e quel lingerie che indossi mi eccita da morire.”
Mio padre si abbassò i pantaloni e le mutande in simultanea, poi prese il suo cazzo tra le mani e cominciò a segarselo con movimenti lenti e ripetuti.
“Con mia moglie non è lo stesso fare sesso, Romilda; tu mi capisci.”
“La prego, Padrone. Io non voglio farlo!”
“Oh sì che lo vuoi, perché te lo ordino io!”
Mio padre agguantò per le spalle la povera Romilda con un’irruenza tale da farmi accapponare la pelle e poi le strappò con altrettanta violenza il lingerie di dosso, riducendolo in miseri cenci e brandelli.
“La prego, Padrone, mi fa paura.”
Quel lascivo di mio padre ignorò completamente le sue grida e i suoi pianti, prendendo a strusciare il suo pisello contro la sua vagina.
Non potevo temporeggiare ulteriormente: Romilda era in pericolo!
Irruppi tra i due con un rumoroso «ehy», per poi correre verso mio padre e spingerlo via da Romilda, facendolo però cadere contro la teca posizionata lì affianco, di cui il vetro si ruppe in mille pezzi.
“Padroncino!” Urlò con tono di sorpresa la mia amata Romilda.
Mio padre non si alzò da terra e, vedendo un rivolo di sangue scendere giù lungo la sua fronte stempiata, intuì che fosse svenuto, forse morto: poco me ne importava!
“Padroncino, cosa ha fatto?” Chiese Romilda, ancora frastornata.
“Dobbiamo andarcene, Romilda. Prendi le chiavi della tua macchina e fuggiamo via.”
“Ma, Padroncino…”
“Sbrigati Romilda!”
A quella sollecitazione, Romilda si diresse verso l’entrata di casa, dove raccolse le chiavi della sua macchina da un piattino di ceramica. Senza curarci del fatto che lei fosse integralmente nuda, uscimmo di casa ed entrammo a capofitto nella sua macchina, con cui partimmo da lì a poco lungo la strada che si formava davanti a noi.
“Ho paura, Padroncino.” Si agitò lei.
Non sapevo cosa rispondere, dacché avevo paura pure io.
“E ora dove andiamo?” Domandò, con voce affievolita dal pianto.
“Lontano, Romilda, lontano.”
Nello stesso tempo in cui accadeva questo, i miei genitori tornarono miracolosamente a parlare tra di loro e, talvolta, si scambiavano pure effusioni amorose e cenni d’intesa. Nelle lunghe mattine del fine settimana, uscivano assieme di casa e tornavano solo dopo le nove di sera.
La loro trascuratezza nei miei confronti si intensificò ulteriormente: se non fosse stato per Romilda probabilmente sarei pure morto di fame.
Nonostante ciò, fui parecchio allietato della loro riappacificazione: perlomeno in casa non si respirava più quell’aria angosciante tipica dalla morte di mio fratello.
Dato che l’estate era alle porte, e la scuola era agli sgoccioli, si avvicinava il periodo delle vacanze. Di punto in bianco, i miei genitori presero la decisione di fare una vacanza di una settimana presso la nostra casa al mare. Fui parecchio gioioso quando lo venni a sapere: finalmente potevo prendere una pausa dalle spossanti avventure avute durante quella primavera. Peccato che i miei genitori non pensarono a me quando decisero di partire per la spiaggia e, dunque, sarei stato costretto a rimanere a casa. Dapprincipio, fui particolarmente turbato e offeso da questa loro scelta, il quale andava solo a confermare la loro desuetudine verso di me, ma poi dedussi che quella settimana in assenza dei miei genitori poteva essere l’occasione perfetta per passare ancora più tempo con la mia amata Romilda. Ci saremmo confrontati, avremmo parlato del pomeriggio di sesso sfrenato che passammo assieme non più di due mesi fa e, dopo tutti questi convenevoli, avremmo fatto ulteriore sesso, per sette giorni di seguito! La mia gioia schizzò alle stelle e la mia impazienza crebbe vertiginosamente.
Così, finalmente, l’estate arrivò. Fui completamente libero da compiti, studio e professori assillanti sempre pronti con la penna in mano a piazzarti un brutto voto nel registro.
Mentre i miei stavano preparando le valigie per andare in vacanza, io li aiutavo con tutti gli altri preparativi. Solo in quella occasione sembrarono essere grati delle mie gesta (anche perché non ero solito a fare favori per loro), ma io volevo solo che se ne andassero il prima possibile, così da avere tutta la casa per me e Romilda.
Ci impiegammo tutta la mattinata (dalle cose che si portarono via sembrava che si allontanassero per tre mesi) e, finalmente, ebbi tutta la settimana libera.
Dato che i miei avvertirono Romilda di venire a casa nostra solo verso il tardo pomeriggio, ebbi un po’ di tempo per prepararmi al suo arrivo.
Decisi che per quelle ore dovessi astenermi dalla masturbazione, così da non fiaccare troppo il mio piccolo amico.
Posizionato davanti allo specchio a petto nudo, mi accorsi quanto pallida la mia pelle fu: passare la maggior parte del tempo in casa per tutti i mesi precedenti non fu un’idea così benefica per migliorare il mio aspetto. Così mi denudai, mi infilai il costume da bagno, mi spalmai la crema solare ovunque arrivassi con il palmo della mano ed, infine, presi branda e riflettore solare assieme per recarmi sulla spaziosa terrazza di casa mia.
La piacevole calura dei primi giorni di giugno, non ancora bollente come ad agosto, mi indusse a schiacciare un pisolino; per fortuna, fui svegliato dal rumore della serratura dell’entrata principale della nostra casa: Romilda era arrivata!
“Romilda? Sei tu?” Sapevo che era lei, ma dovevo cogliere qualsiasi movente per parlarle.
Dopo pochi secondi, sentì una flebile conferma da parte sua.
“Bene! Portami un bicchiere di aranciata, per favore.”
Dato che la cucina era ad una stanza di lontananza da me, potei percepire chiaramente tutte le sue movenze: da quando aprì il frigorifero per prendere il cartone dell’aranciata fino a quando la versò nel mio bicchiere.
“Ecco qua, Padroncino!” Finalmente mi riferì parola, però rimase statica sul ciglio della porta che conduceva al balcone.
“E che fai lì impallata?” La provocai “Non vuoi mica che mi alzi da questa comoda branda per prendere un banale bicchiere di aranciata?”
Fece un cenno con il capo di consenso, poi si diresse dalla mia parte e appoggiò il bicchiere sul tavolino ad una gamba affianco a me. Agguantai subito il bicchiere e bevvi il suo contenuto in un sorso solo. Non avevo fatto in tempo a finirlo che Romilda era già in procinto di prenderlo e portarlo a lavare, con la fretta tipica di una persona fortemente in disagio.
“Ehi, aspetta! Mica ti ho detto che lo puoi portare via.” Ammonì, mentre le bloccavo il polso con la mano.
Una timida erezione prese a muoversi sotto il mio costume, mentre mi alzavo in piedi fino ad arrivare con il viso al suo capo. Lei non riuscì a guardarmi dritto negli occhi e, invece, si concentrava sul paesaggio che si presenziava dietro di me.
Mentre le sbarravo l’uscita della terrazza, usai la mano libera per strusciare le mie dita lungo la sua soffice pelle, fino ad arrivare al collo che strinsi energicamente.
Invece di divincolarsi, Romilda sembrò acconsentire alle mie violazioni e si lasciò andare.
Così la scaraventai contro la branda, con la pancia rivolta verso il basso, e gli alzai la sottana, che mi lasciò già in mostra il suo corpulento culo e la sua fradicia vagina. Non aveva portato le mutandine, sapeva che quel giorno sarei tornato a scoparla!
Con una mano, le bloccai entrambe le braccia dietro la schiena, mentre con l’altra sfilai il cordoncino del mio costume da bagno e questo, mosso dalla mia erezione, cadde ai miei piedi.
“Quanto ho atteso questo momento! Da troppo tempo volevo toccare nuovamente il tuo culo.” Pensai ad alta voce.
Sputai un rivolo di saliva sul culo di Romilda, il quale andò a centrare in pieno il suo ano e, successivamente, scivolò giù fino a raggiungere la sua vulva.
Tinsi il mio glande nella saliva che sputai così da lubrificarlo e poi, senza remore, ficcai l’intero cazzo su per il suo culo: sia Romilda che io cacciammo un orgasmo in simultanea.
“Te he echado de menos, Papi. (Mi sei mancato, Papino.)” Disse lei.
Presi a scoparla selvaggiamente sin da subito; velocizzavo di minuto in minuto il mio ritmo e i suoi mugolii non fecero che spronarmi a continuare in quel modo.
Romilda fu così tanto concitata che non fui in grado di tenere ferme le sue mani sulla sua schiena; così le liberai e lei, per favorire la penetrazione, dilatò le sue natiche schiacciando le sue dita contro di esse.
“¡Más fuerte, Papi! Quiero soñar. (Più forte, Papino! Voglio sognare!)”
Ero sul punto di sborrare: ero vicino ad affogare le sue viscere nella mia sborra, ma questa volta volevo fare qualcosa di speciale e di inconsueto che mi avrebbe fatto ricordare quella sborrata per sempre.
Dunque, levai il mio cazzo dal suo ano inzuppato di liquido preseminale e presi il bicchiere vuoto poggiato sul tavolo al nostro fianco. Mi alzai dalla branda e mi parai in piedi di fronte a Romilda, ancora inebetita dalla brutale inculata inferta.
“Perché si è fermato, Padroncino?” Mi chiese, con tono di supplica. “Ero quasi vicina a venire.”
Presi la sua mano e gli porsi il bicchiere, che poi recò direttamente sotto il mio uccello.
“Mungi il mio uccello, Romilda, e riempi questo bicchiere con la mia sborra.”
Senza fare troppe domande, Romilda si inginocchiò, afferrò il mio uccello e prese a segarmelo.
Siccome già da prima il mio pisello era sul punto di implodere, non ci volle molto prima che arrivai a colmare fino a metà il bicchiere; in più Romilda era un portento a fare le seghe ed era difficile durare più di così.
Dopo l’intensa sborrata che feci, vacillai così tanto che fui sul punto di perdere l’equilibrio se non mi fossi seduto in tempo sulla branda.
“Cosa devo fare ora con questo bicchiere, Padroncino?”
“Ma come? Non ti sembra ovvio? Bevilo! Dissetati con il mio seme.”
Inizialmente, rivolse un’occhiata disgustata verso il contenuto del bicchiere e poi tornò a fissarmi.
“Ma devo proprio, Padroncino? Adoro quando il mio culo viene riempito della tua sborra, ma berlo… Non ho mai provato prima di adesso ad inghiottire lo sperma di un uomo.”
“Beh, allora vuol dire che c’è sempre una prima volta per tutti.”
Afferrai entrambe le sue mani che tenevano il bicchiere e poi la aiutai ad inclinarlo verso la sua bocca; lei dissigillò le sue labbra e, ben presto, vidi che la mia sborra scendeva lungo il suo gargarozzo, sino a che il bicchiere non fu completamente svuotato.
Dapprincipio fece un’espressione nauseata, poi sembrò pure compiaciuta da quello che bevve.
Scostai due ciocche di capelli incollate con il sudore dalla sua fronte e poi la guardai dritto negli occhi.
“Ti amo, Romilda!” Proferì poi.
“Anch’io la amo, Padroncino!” Ribatté lei.
Subito dopo, ci lasciammo andare ad un prolisso abbraccio.
Giacché non volevo lasciare Romilda inappagata, la portai nuovamente a distendersi sulla branda, mentre io scendevo con la bocca giù nella sua vulva e, da lì a presto, immersi la mia lingua nel suo orifizio vaginale e premetti il mio pollice contro il suo clitoride, fino a farle un ditalino.
Il pollice della mia mano destra, invece, lo infilai dentro la sua bocca, dove venne stretto dai suoi denti senza però causarmi dolore.
“¡Qué divertido! (Che goduria!)” Strillò.
Muovevo la lingua una volta in alto e una volta in basso, così da stimolare le pareti interne della sua vagina; poi la sfilai fuori e, subito dopo, la rimisi dentro, e continuai così fino a quando le mie papille gustative non furono invase da dolciastri umori femminili.
Dopo quella sessione di sesso orale, ci distendemmo l’uno accanto all’altro nella branda e, nonostante fu troppo piccola per starci in due, lì ci addormentammo, stanchi e più che soddisfatti.
L’indomani mattina mi recai al centro commerciale, dove entrai in un negozio di intimo per donna. Mi trovavo piuttosto a disagio a trovarmi in un luogo brulicante di donne e io l’unico uomo a vagare da scaffale a scaffale; ma ero risoluto a comprare un lingerie per Romilda, così che per i prossimi giorni, quando si trovava a casa mia, potesse indossare solo quello e portarmi al massimo dell’eccitazione.
Impiegai un quarto d’ora per trovare quello giusto, dato che doveva essere perfetto: era un dessous di un immacolato bianco, con delle aperture nel reggiseno per far trasparire i capezzoli e una riga nelle mutandine per lasciare ben vedere la vulva.
Lo portai subito alla cassa, senza guardare direttamente in faccia la commessa ed imbarazzarmi ancora di più, e sborsai una parte di risparmi dello stipendio guadagnatomi lo scorso anno durante un lavoro estivo.
Dopo l’acquisto mi recai a casa, dove, secondo le tempistiche da me calcolate, Romilda si doveva già trovare.
E, in effetti, era nello scantinato intenta ad azionare la lavatrice per lavare i panni.
“Padroncino!” Sorpresa, corse subito ad abbracciarmi. “Mi ero preoccupata che non si trovasse a casa. Pensavo che oggi non avesse voglia di scoparmi.”
“Quando mai non avrei voglia di scopare quel sublime culo che ti ritrovi, Romilda?”
“Oh, lei è troppo gentile con me, Padroncino.” Disse, onorata del complimento fattogli.
Per un attimo mi dimenticai della busta che tenevo in mano.
“Ah, giusto!” Esclamai ad una certa. “Ti ho portato un regalo.”
Tirai fuori dall’incarto il lingerie e, a vederlo così, Romilda non sapeva cosa dire.
“Potrai tenerlo per tutto il tempo che staremo assieme.”
“Oh, quanto desidero indossarlo!” Ribatté lei. “Ma suo padre è parecchio fiscale in quanto indumenti.”
“Che si fotta!” Berciai. “I miei rimangono via per altri sei giorni, hai tutto il tempo di tenerlo addosso senza che loro se ne accorgano.”
Accennò ad un timido sorriso, poi me lo sfilò delicatamente di mano, lo perlustrò per un attimo e cominciò a togliersi il suo vecchio indumento da domestica.
“Oh!” Sbottò, interrompendo a metà la sua opera. “Forse dovrei andare in un luogo più appartato per cambiarmi.”
“E che differenza fa?” Risposi senza esitare. “D’altronde, ti ho già vista nuda e sei una meraviglia.”
“Eddai! La smetta di ingraziarmi, Padroncino.”
Lasciò crollare per terra la sua uniforme, mostrandosi nel pieno della sua bellezza fisica; dei deboli raggi di sole che filtrarono dalla piccola finestrella della stanza andarono a colpire direttamente le sue parti più volumimose, facendomi rizzare immantinente il pisello. Non riuscendo a resistere, presi a strofinare il mio uccello attraverso i pantaloni, simulando una sega.
“Aspetta, Romilda!” La afferrai per un braccio proprio quando si stava per chinare al fine di raggiungere il suo indumento da domestica lasciato abbandonato per terra; così, si ritrovo direttamente stampata sul naso il mio crescente membro. “Mi è venuta una certa voglia di farlo.”
“Certo, Padroncino, il lingerie può aspettare.”
“Sì, può aspettare…”
Slacciai la cintura, poi tirai giù la cerniera dei pantaloni, la quale si incastrò a metà; dovetti farmi aiutare da Romilda per disincagliarla, così come una madre farebbe con il suo piccolo bambino. Da lì in poi, ci pensò lei a togliermi i pantaloni e le mutande di dosso, lasciandomi solo con le scarpe e la t-shirt.
La domestica procedette con l’aggrapparsi alle mie gambe e strinse forte le sue unghie alle mie cosce. Mi guardò per un attimo: i suoi occhioni sembrarono quelli di un cucciolo di cane dopo essere stato bastonato dal suo padrone. Dipoi introdusse la punta della sua lingua dentro il meato urinario del mio prepuzio, fino ad agguantare con tutta la sua bocca il mio uccello per intero.
Potevo sentire il calore del suo palato e la sua lingua che si muoveva lungo l’asta del mio pene, recandomi un tale stimolo instabilizzante che mi costrinse a sedermi sul primo gradino della scalinata che portò al piano di sopra.
Romilda cercò di dire qualcosa, ma ogni suo monosillabo si convertì in un bizzarro suono di risucchio.
Finito di ingoiarmi l’uccello, staccò le sue labbra dal mio prepuzio, creando dei indissolubili fili di bava, e passò al mio scroto, che baciò e aspirò dentro la sua bocca fino a che il piacere fu così intenso che sborrai nei suoi capelli, imbiancandoli.
Ma la nostra sessione di sesso non finì di certo lì: il pompino non mi aveva aiutato a calmare i bollenti spiriti, anzi, fui ancora più arrapato di prima.
Così, afferrai Romilda e la sostenni sulle mie braccia, per poi sbatterla contro il muro.
Mentre lei si aggrappava con tutte le sue forze a me, incrociando le sue braccia intorno alle mie spalle e le sue gambe intorno al mio culo, io le sfondai la vagina con il mio instancabile cazzo, pomiciando sul suo collo.
“¡Eres una bestia sexual, Papi! (Sei una bestia del sesso, Papi)” Mi sussurrò all’orecchio.
Nel giro di dieci minuti fui nuovamente pronto a sborrare e, questa volta, sentì che il gettito sarebbe uscito in maniera più poderosa.
“Non lì, Padroncino!” Mi raccomandò. “Vieni dentro la mia bocca: mi sono innamorata della tua sborra.”
Non potevo che assecondarla. Così la riposi al suolo, dove lei si inginocchiò subito a me, aggrappandosi con le mani alla mia vita; con la lingua di fuori, fu pronta a prendere in bocca qualsiasi cosa che gli avrei ordinato di ingoiare.
“¡Aliméntame, Papi! (Nutrimi, Papi!)” Mi esortò.
Segandomi, raggiunsi finalmente l’eiaculazione: solo con il primo schizzò fui in grado di centrare appieno la sua bocca, mentre gli altri caldi spruzzi si riversarono un po’ da tutte le parti nella sua faccia, due o tre pure nei suoi occhi, rendendola cieca per pochi attimi.
Per pulire il mio prepuzio dal liquido eiaculatorio lo introdussi nuovamente nella bocca di Romilda, la quale pulì da cima a fondo l’asta del mio pene, mettendoci la stessa diligenza di quando si trovava a fare qualsiasi mansione casalinga.
Per qualche minuto, ci sedemmo vicino alla lavatrice: mentre io pulivo accuratamente con delle salviette il suo viso dalla mia sborra, lei continuava a giocherellare con i miei testicoli.
Non dicemmo nulla, eravamo troppo spossati per parlare.
Dopo aver finito il mio lavoro con le salviette, lei si afflosciò su di me e, inducendo la sua testa verso i miei genitali, cominciò a farmi un altro bocchino.
Quella sera, Romilda chiamò per telefono a casa sua per dire ai suoi familiari che sarebbe rincasata solo l’indomani mattina; difatti, decise di rimanere a dormire con me nel letto dei miei genitori, in cui facemmo sesso per tutta la notte e imbrattammo le lenzuola di sborra ed umori femminili, senza nemmeno curarci di pulirli il giorno dopo.
Era un sogno rimanere per così tanto tempo con la mia amata Romilda; dovetti darmi dei pizzicotti ogni tanto per essere certo che fosse tutto reale.
Durante un afoso mercoledì pomeriggio, dopo aver scopato per l’ennesima volta il culo di Romilda, udì una macchina parcheggiare sul vialetto di casa nostra.
Aspettai qualche minuto sul letto della mia camera prima di scoprire chi fosse, dato che ero troppo stanco per muovere anche un solo muscolo. Recuperate le forze, corsi verso la finestra, scostai la tenda e vidi che, davanti alla porta del nostro garage, vi era accostata la macchina di mio padre! Cosa ci faceva lì? Non doveva essere con la mamma nella casa al mare? Quel fetente era sul punto di rovinare l’appassionata settimana di sesso sfrenato tra me e Romilda!
Non ci pensai un attimo di più a dirigermi verso il salotto per andare da Romilda, ma fu troppo tardi. Quando mi insinuai nel soggiorno di casa, la prima cosa che notai fu mio padre che diede un tonante schiaffo sulla guancia di Romilda, facendola rovinare contro il tavolo.
“Le regole erano chiare, brutta puttanella!” Esordí mio padre. “Per stare qui dentro, tu ti vesti solo nel modo in cui ti ordino io di vestirti.”
Troppo scosso dallo schiaffo di Romilda, non capì dapprincipio cosa intendesse mio padre: poi mi ricordai del lingerie che comprai e che, in quel momento, Romilda stava indossando.
“Padrone, mi scusi…” Implorò la vessata Romilda.
“Taci! Hai trasgredito le regole!” E dopo aver detto questo, diede un altro paio di schiaffi contro il viso della domestica, portandola a sanguinare dal naso.
Mio padre rimase a fissarla, con posa imperiosa e autoritaria, mentre lei piangeva e lo pregava di smettere. Io rimasi fermo dietro l’angolo in cui mi ero appostato per guardare l’intera scena, incapace di intervenire nella scena per colpa della mia vigliaccheria.
“Però potrei sorvolare per questa volta.” Aggiunse mio padre dal nulla. “D’altronde, il culo flaccido e decrepito di mia moglie mi ha obbligato a interrompere le mie vacanze con il desiderio di vedere nuovamente il tuo culo, e quel lingerie che indossi mi eccita da morire.”
Mio padre si abbassò i pantaloni e le mutande in simultanea, poi prese il suo cazzo tra le mani e cominciò a segarselo con movimenti lenti e ripetuti.
“Con mia moglie non è lo stesso fare sesso, Romilda; tu mi capisci.”
“La prego, Padrone. Io non voglio farlo!”
“Oh sì che lo vuoi, perché te lo ordino io!”
Mio padre agguantò per le spalle la povera Romilda con un’irruenza tale da farmi accapponare la pelle e poi le strappò con altrettanta violenza il lingerie di dosso, riducendolo in miseri cenci e brandelli.
“La prego, Padrone, mi fa paura.”
Quel lascivo di mio padre ignorò completamente le sue grida e i suoi pianti, prendendo a strusciare il suo pisello contro la sua vagina.
Non potevo temporeggiare ulteriormente: Romilda era in pericolo!
Irruppi tra i due con un rumoroso «ehy», per poi correre verso mio padre e spingerlo via da Romilda, facendolo però cadere contro la teca posizionata lì affianco, di cui il vetro si ruppe in mille pezzi.
“Padroncino!” Urlò con tono di sorpresa la mia amata Romilda.
Mio padre non si alzò da terra e, vedendo un rivolo di sangue scendere giù lungo la sua fronte stempiata, intuì che fosse svenuto, forse morto: poco me ne importava!
“Padroncino, cosa ha fatto?” Chiese Romilda, ancora frastornata.
“Dobbiamo andarcene, Romilda. Prendi le chiavi della tua macchina e fuggiamo via.”
“Ma, Padroncino…”
“Sbrigati Romilda!”
A quella sollecitazione, Romilda si diresse verso l’entrata di casa, dove raccolse le chiavi della sua macchina da un piattino di ceramica. Senza curarci del fatto che lei fosse integralmente nuda, uscimmo di casa ed entrammo a capofitto nella sua macchina, con cui partimmo da lì a poco lungo la strada che si formava davanti a noi.
“Ho paura, Padroncino.” Si agitò lei.
Non sapevo cosa rispondere, dacché avevo paura pure io.
“E ora dove andiamo?” Domandò, con voce affievolita dal pianto.
“Lontano, Romilda, lontano.”
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