Lo stupratore di settembre (prima parte)

di
genere
etero

«...fittiamo per tutto il resto di settembre, certo...»
Almeno quel brandello di frase era risultata comprensibile, nel contesto di una telefonata piuttosto inframmezzata. Principalmente a causa del destinatario della chiamata, che in quel momento era al volante del suo SUV, in direzione Milano.
Tullio Montanari aveva pubblicato l'annuncio tre giorni prima, sia su carta stampata che presso alcuni siti web, e quella era la quarta telefonata che riceveva. Chissà, forse era la volta buona. Certo, il prezzo che aveva stabilito per affittare una stanza della sua casa al mare non era per tutte le tasche, ma nemmeno proibitivo. E poi l'alta stagione era alle battute finali, anche se quel primo scorcio di settembre lasciava presagire bel tempo ancora a lungo. La stanza in questione era stata occupata da maggio a tutto agosto da una coppia di energici anziani, che a malincuore avevano dovuto salutare la riviera ligure di ponente per fare ritorno nella grigia Torino. A quel punto, d'accordo con la moglie Sonia, Tullio l'aveva rimessa a disposizione sino a fine mese, confidando appunto nel clima favorevole e duraturo.
Il tizio della quarta telefonata si esprimeva con marcato accento sardo, e sembrava ansioso di portare a termine la trattativa.
«In ogni caso vi troverà mia moglie, lei è rimasta lì. Io sto tornando a Milano per lavoro», proseguì il milanese. Aggiunse dell'altro, ma ancora una volta risultò incomprensibile. Ma poco male.
Pareva infatti che la ricerca di un nuovo inquilino fosse cosa fatta. Montanari riuscì a fargli intendere che, a scanso di equivoci, gli avrebbe spedito le coordinate tramite sms. Questione di minuti, il tempo di fermarsi alla prima piazzola di sosta per poterlo digitare in santa pace. Al sardo andava bene, così non gli restò che aspettare.
Il primo passo era compiuto. Quella stanza anonima presso un centro balneare di poche pretese rappresentava qualcosa di più di un semplice soggiorno. Poteva divenire, infatti, la tana per un periodo di latitanza iniziato da meno di ventiquattro ore, e proprio giù in Sardegna.

Trovare il domicilio esatto gli portò via un'ora, utile per prendere confidenza col posto. Del resto era la prima volta che Fabio metteva piede da quelle parti, e un minimo di disorientamento poteva starci. La palazzina era ubicata lungo una discreta pendenza, e comprendeva tre piani.
Ebbe conferma di aver fatto centro nel leggere il cognome di Montanari nel pannello del citofono.
Quando suonò, non ricevette risposta immediata. La ottenne al terzo tentativo.
«Sì?» sillaba sbrigativa, tipica di chi ha dovuto interrompere qualcosa suo malgrado.
«La signora Montanari? Sono qui per la stanza che affittate. Non so se suo marito l'ha avvisata.»
«Sì, salga. Ultimo piano.» Un momento dopo la serratura si sbloccò e Fabio poté entrare. Disdegnò l'ascensore, preferendo le scale. Non era mai stato tipo da negarsi qualche passo in più. E poi, a cinquantatré anni suonati, erano tutta salute.
Tre rampe di scale abbastanza ripide, ed eccolo di fronte alla porta che gli interessava. L'uscio era socchiuso, e ancor prima di bussare o aprire bocca, fu preceduto dalla proprietaria.
Gli aprì una donna minuta, sulla quarantina, di statura medio bassa. Di indubbie origini sudamericane, almeno a giudicare dai tratti somatici del viso. Lunghi capelli scuri e lisci, occhi ampi e ancora più scuri, espressivi, labbra carnose poco propense al sorriso; la consorte di Tullio Montanari non pareva sprizzare gioia da tutti i pori al pensiero di ritrovarsi un nuovo sconosciuto in casa.
«Buongiorno, io sono Sonia», lo accolse tuttavia, turandosi il naso.
«Piacere mio. Mi chiamo... ehm Francesco.» Attimo di smarrimento. Un po' perchè gli era quasi sfuggito il suo vero nome, ma soprattutto a causa dello straordinario davanzale di cui era fornita Sonia, e sul quale era precipitato il suo sguardo, a rotta di collo. E dire che era celato sotto una tuta leggera sportiva, di un paio di taglie più grande, che lasciava intuirne solo una parte.
Lei ci badò appena, assuefatta da decenni a quel genere di occhiate ed espressioni maschili non appena l'avevano sotto tiro. Occhiate e ammiccamenti più che giustificati: le donne che vantavano una sesta abbondante per uno e sessanta di altezza non crescevano mica negli alberi.
Sonia tuttavia fu sollecita e gli consentì di entrare. Fabio notò che l'appartamento era tagliato in due da un corridoio, ai lati del quale sorgevano le stanze.
Lo condusse subito alla stanza riservata agli ospiti. Sorgeva a sinistra del corridoio, fiancheggiando un ampio salotto. Non grandissima, ma funzionale. Un letto, una scrivania, due sedie e un armadio piuttosto capiente. Oltre un'ampia finestra che si affacciava in una via secondaria. Sì, per lui andava bene. La prendeva. Sonia annuì e gli disse che poteva posare il suo bagaglio, per poi raggiungerla in salotto.
«Mi occorre un suo documento, signor...»
Ecco, ci siamo, pensò Fabio Vediamo di giocarcela bene.
«Ecco, signora, veramente durante il viaggio ho smarrito quasi tutto. Cellulare, parte dei soldi, carta di credito e documenti di identità.» Che in questo momento giacevano in fondo al Tirreno, denaro contante escluso, e non ci erano finiti per errore, ma questo non poteva certo spifferarlo. A ogni modo poco prima di partire aveva fatto piazza pulita di barba e baffi, quindi i documenti avrebbero mostrato un viso piuttosto differente da come appariva adesso. «Pensi che per chiamare suo marito ho dovuto usufruire dell'unica cabina telefonica che ho trovato da queste parti. Ma sto già provvedendo a...»
«Okay. Nome, cognome e indirizzo, per favore?» Nel frattempo Sonia aveva sfoderato una stilografica e un taccuino seminuovo. Sedette sul tavolo rettangolare al centro della stanza, invitandolo a occupare la sedia dall'altro lato.
«Francesco Sanna, residente a Porto Torres, provincia di Sassari.» Dopodiché snocciolò la prima via turritana che gli venne in mente. In realtà Fabio risiedeva a trenta chilometri di distanza da dove aveva dichiarato, ossia nell'hinterland meridionale di Sassari. Ma lo avrebbe tenuto per sè. Però conosceva Porto Torres abbastanza bene. In soldoni, le aveva rifilato il nome della via che conduceva al porto industriale. Oltre che data e luogo di nascita inventati.
Dopo aver annotato ogni sillaba, Sonia richiuse il taccuino..
«Non so se mio marito glielo ha anticipato, ma nel prezzo sono comprese le pulizie che effettuerò ogni giorno, in tarda mattinata. Oppure in un'orario che andrà comodo a lei. Stesso discorso per i panni da lavare.»
«No, questo non lo sapevo. La telefonata con suo marito è stata abbastanza disturbata. Però per me va bene, nessun problema.»
«Due mensilità anticipate. Una come cauzione, l'altra per il mese. Se crede, con un ritocco adeguato potrà usufruire di tre pasti al giorno. A meno che non abbia provveduto in altro modo.»
«Al contrario, mi toglie un peso. Ai fornelli sono una frana, e non posso certo permettermi il ristorante tre volte al giorno. Sì, accetto ben volentieri.»
«Okay. Ora le preparo la ricevuta.» Un modo cortese per sollecitarlo a mettere mano al portafoglio.

Fabio non disponeva di bagaglio ingombrante. Solo uno zaino di medie dimensioni, che non richiese molto tempo per essere disfatto. Dopodichè si concesse un sonnellino che durò più di quanto avesse programmato. Del resto durante la traversata in traghetto da Porto Torres a Genova non aveva chiuso occhio, e il sonno arretrato chiedeva soddisfazione. Erano difatti le cinque del pomeriggio quando decise di uscire di casa. Chiese informazioni a Sonia sul negozio di telefonia più vicino, e la informò che sarebbe tornato in tempo per la cena.
Per sua fortuna possedeva una SIM di riserva, che non utilizzava mai, ma che adesso era tempo di scomodare. Una manna dal cielo, perchè altrimenti avrebbe dovuto procurarsene una nuova, e senza documenti non sarebbe stato possibile. Però gli occorreva un cellulare nuovo, che per buona sorte non richiedeva dati sensibili.
Sacrificò un centinaio di euro, e per il momento lo avrebbe tenuto spento. Non aveva fretta di farsi vivo col suo avvocato. Magari il giorno seguente, o al limite quello dopo ancora.
Prima doveva raccogliere le idee, e non era per niente facile. Dura la vita da latitante, maledizione. Come luogo di riflessione optò la spiaggia principale del paese, e si servì dell'unica porzione non invasa dagli stabilimenti balneari. Otto metri stracciati, non un centimetro di più. Doveva accontentarsi, così passava il convento. In Sardegna avrebbe avuto l'imbarazzo della scelta, viste le distese di spiaggia libera presenti ovunque. E che mare, quello sardo, che in molte parti del mondo non aveva rivali. Il problema però era che Fabio non era lì per spassarsela, bensì perché costretto dagli eventi. Per quanto tempo sarebbe riuscito a vivere alla macchia, con tutti i rischi e inconvenienti che ne derivavano? Aveva fatto bene a tagliare la corda, oppure avrebbe fatto meglio a dare fiducia al sistema giudiziario? Bella domanda.
Durante queste riflessioni non riuscì a godersi in pieno la bella giornata. Gli sarebbe piaciuto fare un tuffo nelle acque ancora calde di inizio settembre, ma era sprovvisto di telo e boxer. Rimediò durante il rientro, quando si soffermò a comprarli in un negozio gestito da cinesi. Però ormai era troppo tardi utilizzarli subito, anche perchè l'ora di cena era imminente. Poco male, avrebbe rimediato il giorno dopo. Era un'estate duratura, e le giornate balneabili non sarebbero mancate di certo.
A cena, poi, Sonia si rivelò una discreta cuoca, ma di scarsa compagnia. Per tutto il tempo mise insieme cinque o sei parole, occupando il lato del tavolo più distante da lui. Non abboccò mai, nemmeno una volta, ai tentativi di Fabio nel coinvolgerla in una blanda conversazione. Niente da fare. La donna si rivelò fredda e distaccata, desiderosa solo di sparecchiare, lavare le stoviglie per poi ritirarsi in camera da letto. A quel punto Fabio chiese il permesso di guardare la televisione, che troneggiava in salotto. Permesso accordato. Nei vari telegiornali nessuna menzione alla sua fuga e alla sua situazione attuale. Meglio così. Prima veniva soppiantato, almeno da parte dell'opinione pubblica, e meglio sarebbe stato per lui. Pur con la gravosa certezza che la Legge col cavolo lo avrebbe dimenticato. La Giustizia aveva memoria lunga, in particolar modo verso un fresco latitante potenzialmente pericoloso.
Verso le undici di sera spense l'apparecchio e andò a coricarsi. Nessuna traccia di Sonia nei dintorni. Come se non fosse mai esistita.

Nei due giorni successivi non si registrò alcun progresso fra i rapporti tra Fabio e Sonia Definire gelido l'atteggiamento della donna era riduttivo. Evidentemente, per natura, non era propensa a dare confidenza agli estranei, pur costretta a conviverci. E difatti col suo inquilino cercava di dividere meno tempo possibile nella stessa stanza, che poi erano il tinello o il salotto. Per il resto del tempo Sonia si chiudeva in camera da letto, dove per lunghe ore la si poteva sentire mentre chiacchierava al telefono con i suoi cari. Almeno con loro rideva di tanto in tanto. Con Fabio ancora non era mai capitato. Forse si sarebbe ammorbidita col ritorno in riviera del marito, previsto per il fine settimana. Per intanto si limitava a buongiorno e buonasera, e poco altro.
La mattina del terzo giorno qualcosa cominciò a cambiare. Come nei due giorni precedenti, Fabio era uscito di casa poco dopo le nove, per andare a godersi l'ozio della spiaggia. Sonia, che di quel paesino, delle solite spiagge con acque subito troppo profonde per lei, della noiosa routine quotidiana di provincia ne aveva le scatole piene, e non vedeva l'ora di tornare a Milano, da dove mancava dai primi di giugno. Nella città meneghina risiedevano quasi tutti i suoi parenti stretti: primo fra tutti suo figlio Mattia, ormai adulto e vaccinato, la sorella, il fratello e i genitori. Più un nutrito stuolo di amiche con le quali era in costante contatto. Era talmente satura della riviera ligure che non usciva di casa quasi più. Ma almeno tre volte alla settimana, volente o nolente, doveva pur farlo, per approvvigionarsi al supermercato più vicino.
Era uscita di casa un quarto d'ora dopo Fabio, ed ecco che lo ritrovò mentre usciva lasciava il supermercato, da dove si era rifornito di quanto bastava per giungere all'ora di pranzo senza troppo languore. Non si avvide di lei, e si diresse dalla parte opposta, ossia verso gli otto metri di spiaggia libera.
Ubbidendo a un'impulso improvviso, Sonia decise di seguirlo. Tenendosi a debita distanza e mantenendosi invisibile. Motivo? Vallo a sapere. A parte il fatto il fatto che il suo inquilino non aveva più fatto cenno al duplicato dei suoi documenti d'identità, era evidente che l'uomo nascondeva qualcosa. E poi si sa che la curiosità è donna, e Sonia non faceva eccezione.
Il pedinamento si concluse dopo neanche tre minuti, quando Fabio posò le sue cose poco prima del bagnasciuga. In quel momento quella porzione di spiaggia era libera anche nel senso compiuto del termine, dal momento che il sardo era l'unico bagnante presente. Un po' perché era ancora presto, un po' perché la temperatura ambiente era ancora mite, ma anche perché la prima decade di settembre non era paragonabile alla prima di agosto, in quanto a presenze turistiche. Ma tempo un'ora, o anche meno, e la beata solitudine si sarebbe miseramente interrotta.
Sonia non ebbe difficoltà a mimetizzarsi a distanza, occupando una panchina che le permetteva di spiarlo senza essere vista. A meno che Fabio non si fosse voltato di centottanta gradi, puntando lo sguardo nella direzione esatta. Cosa che non sembrava intenzionato a fare, intento com'era a levarsi i vestiti, restando con i soli boxer acquistati tre giorni prima. Nel studiarlo nel dettaglio, Sonia ammise che, per essere un over 50, l'uomo conservava un fisico segaligno, privo di massa grassa, che molti suoi coetanei probabilmente invidiavano. Certo, la peluria era un po' eccessiva, soprattutto su petto, schiena e lungo le gambe. Del resto l'aspetto villoso era una peculiarità dell'uomo sardo, quindi nulla da stupirsi. Ma allora, come mai Fabio si era completamente rasato barba e capelli? D'accordo, faceva ancora caldo, ma non c'era più l'afa opprimente di luglio e agosto. No, ci doveva essere sotto qualcosa.
Queste riflessioni sfumarono poco dopo, quando Fabio entrò in acqua, immergendosi sino al collo senza aspettare di prendere confidenza con la temperatura del mare. Mica male, pensò lei. Non è da tutti. Io resterei paralizzata a riva per un quarto d'ora, senza il coraggio di bagnarmi dalle caviglie in su.
Lo osservò mentre si allontanava al largo, con bracciate vigorose e regolari. A quanto pareva, al sardo piaceva avventurarsi sino a mare aperto.
«Che nuotatore», commentò Sonia a bassa voce. Lo seguì con lo sguardo per qualche minuto, finchè non si alzò e tornò a dirigersi al supermercato. Non prima di voltarsi un'ultima volta, faticando un poco a individuarlo.
Sei sposata, si rimproverò mentalmente. Quindi, a parte Tullio, al diavolo tutti gli uomini.

La curiosità è donna, dicevamo.
E a volte la curiosità uccide il gatto, ma la soddisfazione lo riporta in vita, recita un antico adagio. Nel caso di Sonia non si dovette arrivare a tanto, ma per una volta nella vita decise di infrangere le regole della buona creanza, ossia intrufolandosi senza essere invitata nella privacy altrui.
Fabio era ancora impegnato a sbracciare o a prendere il sole in spiaggia, quando lei, di ritorno dalla spesa, entrò nella sua stanza per le consuete pulizie mattutine. Era distratta, con le antenne dirottate verso quel qualcosa che non gli tornava. Passò la scopa e si apprestò a lavare il pavimento quando prese la decisione di frugare tra le poche cose del suo inquilino sardo. Non era del tutto persuasa del fatto che gliela avesse raccontata giusta, riguardo i documenti smarriti. Aprì l'armadio a muro e perquisì tutto ciò che poteva perquisire, ma non approdò a nulla. Stava per richiuderlo quando l'occhio le cadde sullo zaino. Lo aprì, frugò ogni anfratto, ogni tascone e tutti gli angoli. Niente, nemmeno una ragnatela strappata. Sospirò e si arrese, richiudendo l'armadio dopo aver rimesso ogni gruccia al suo posto. Si apprestò a ultimare l'opera di pulizia quando si diede della stupida, adocchiando un tascabile che stazionava sornione nel comodino.
Sonia lo prese e quasi nemmeno si prese la briga di leggere il titolo. Si trattava comunque di un giallo da quattro soldi, in edizione economica e nemmeno recente. Tant'è vero che il prezzo di copertina era espresso ancora nelle vecchie lire. Lo aprì, lo sfogliò e fece tombola.
Il segnalibro che fece capolino era in realtà una tessera di iscrizione a una biblioteca pubblica. E non di Porto Torres, bensì di un centro mai sentito nominare, sempre in provincia di Sassari. Ma furono le generalità riportate che le diedero conferma definitiva che Francesco Sanna non era chi diceva di essere. Il nominativo riportato era infatti Fabio Saba, nato cinquantratrè anni prima nel medesimo paesino dove era attiva la biblioteca. E a dirla tutta, aveva festeggiato il compleanno da pochissimo, e cioè il giorno successivo a quando si era presentato alla sua porta. Nel rettangolino plastificato della tessera, poi, vi era in calce una microscopica fototessera, che con ogni probabilità riprendeva le fattezze del suo inquilino. Certo, nell'immagine Francesco/Fabio aveva almeno un lustro in meno, e sfoderava barba e capelli neri, sia pur screziati di grigio di qua e di là, ma non più di tanto. Ma non occorreva un riscontro dei RIS di Parma o della Sezione Informatica del Mossad per stabilire oltre ogni ragionevole dubbio che l'uomo della mini foto era l'inquilino di Sonia e Tullio.
Prima di reinserire la tessera tra le pagine del tascabile, Sonia lo fotografò col cellulare. Eseguì le pulizie in tutta fretta, dopodiché si rifugiò nella stanza matrimoniale dove accese il computer portatile.
Una capatina su Google la fece sussultare come quando si sta per affrontare di colpo una discesa a rotta di collo dalle montagne russe. Il respiro le si mozzò, in cuore prese a tamburellare come raramente le era capitato nei quattro decenni della sua esistenza, mentre la mano destra, quella che afferrava il mouse, fu pervasa da un tremolio degno di un delirium tremens.
Quando fu in grado di intendere e volere, diversi minuti più tardi, convenne che sì, il suo inquilino aveva tutte le ragioni per mentire sulla sua identità, a costo di modificare i propri connotati, sacrificando barba e capelli. A questo punto Sonia si fece una domanda non differibile: chi avvertire per prima? Suo marito o le forze dell'ordine? Bella domanda anche quella.
Ma naturalmente vinse Tullio.

Destino volle che anche stavolta una telefonata a Tullio Montanari si rivelasse un percorso a ostacoli, tanto fu tormentata. A tratti persino priva di audio. Sonia aveva optato per la linea morbida, anche perché il coniuge era atteso in riviera il giorno dopo. Però qualcosa doveva pur e anticipargli, ma la parola ("quella" parola) non riusciva a pronunciarla. Il termine in questione era "stupratore".
Vi riuscì dopo cinque o sei tentativi, ma Tullio afferrò solo l'ultima sillaba.
«Puoi ripetere, per favore?» domandò mentre guidava, parlando attraverso il Bluetooth.
«E' uno...» Panico. Scrupoli. Ripensamento improvviso. Oppure che altro? Fatto sta che alla fine le sue corde vocali emisero una frase non del tutto in linea con l'elaborazione del cervello. Frase che stavolta arrivò a Tullio abbastanza chiaramente.
«E' un nuotatore. Se la cava in acqua almeno quanto te.»
L'uomo non si soffermò a domandare a chi si riferisse la moglie. Del resto negli ultimi giorni gli altri argomenti scarseggiavano, quindi tanto valeva informarsi sul tipo di mezza età che occupava una stanza del loro appartamento al mare.
«Ah, davvero? Questo è da vedersi. Lo hai forse visto in azione?»
«Ho notato che si è procurato pinne e maschera da sub. Comunque sì, l'ho beccato per caso mentre facevo due passi nel lungomare.»
«Dovresti farli più spesso, questi due passi», osservò Tullio tra uno scroscio e l'altro della telefonata. «Sono settimane che stai chiusa in casa, a parte la spesa.»
«Te l'ho ripetuto più volte. Il mare mi ha stufata, e Milano comincia a mancarmi. Non vedo l'ora che finisca settembre. Dal primo ottobre sino a giugno prossimo non voglio più vedere una spiaggia, nemmeno in fotografia.»
Se Tullio avesse potuto vederla, avrebbe letto nel viso di Sonia un certo disagio, frammisto a indecisione e sovrappensiero. Perché?
Se lo chiedeva lei stessa, anche dopo aver portato a termine la telefonata.
Forse l'unica soluzione era quella di prendere il toro per le corna, e senza indugiare più di tanto.

Al suo rientro dalla mattinata in spiaggia, Fabio si fece una doccia e si apprestò a pranzare. Stavolta però trovò apparecchiato solo per lui. Sonia gli aveva preparato un'insalata di riso dall'aspetto invitante, e dal momento che non doveva aspettarla cominciò a gustarsela compiaciuto. Buona, veramente buona, sentenziò si dalle prima cucchiaiate.
Tuttavia non poté non domandarsi come mai la padrona di casa non si fosse unita a lui, come di consueto. Che stesse poco bene? O era stufa di svicolare tutte le volte che Fabio cercava di intavolare una conversazione?
Le donne. Valle a capire. Sonia, poi, era la più incomprensibile e insondabile che gli fosse mai capitato di incontrare. D'accordo, la naturale e comprensibile diffidenza per gli estranei, figuriamoci di questi tempi. Sonia però pareva averlo inquadrato fin dal loro primo incontro. Fabio non sapeva dire in che modo ci fosse riuscita; fatto stava che a quei occhi scuri, a tratti neri come la pece, penetranti come un trapano per granito, be', pareva non si potesse sfuggire. O almeno non del tutto. Tu non mi freghi, bello mio. Non sono nata ieri, diceva il suo sguardo inquisitore quando si posava su di lui.
E mentre meditava su quei pensieri, ecco che Sonia entrò in ballo, a modo suo. Sorreggeva il vassoio del caffè appena fatto. L'aroma della bevanda calda si sparse piacevolmente attorno. Ma Fabio quasi non ci fece caso, dal momento che la donna gli si presentò in modo totalmente diverso da come aveva fatto sinora. L'unico aggettivo degno di compararla era DIVINA. Altri termini proprio non potevano rendere l'idea, almeno sul momento.
La mega scollatura che la canotta bianca sfoderava era quasi da oltraggio al pudore. Sempre ammesso di trovare un giudice che si sarebbe sognato di condannare e perseguire un simile capolavoro. Anche perchè adesso, finalmente, Fabio poteva avere un'idea precisa di quanto grosso, tonico e strepitoso fosse quel paio di tettone da leggenda. Oltretutto la donna non indossava reggiseno, e attraverso la sottile canotta si potevano intuire due capezzoloni dalla punta turgida, attorniati da areole rosee e larghe come il piattino da caffè che trasportava nel vassoio, assieme a caffettiera, zucchero e tazzina.
L'erezione dell'uomo fu monumentale, scomoda, brutale e scioccante. Fece una fatica titanica a distogliere lo sguardo da tale magnificenza, portandolo più in alto, fino a quegli occhi scuri e sornioni, e apparentemente distaccati. In realtà era solo apparenza. Sonia sapeva benissimo che cataclisma stava provocando, e si godeva sorniona il lungo momento di gloria.
Solo in un secondo momento Fabio ammirò il resto della carrozzeria. E sì, perchè Sonia non vantava solo un seno da urlo, ma anche due gambe mozzafiato, evidenziate da una minigonna nera, mentre ai piedi calzava solo normali infradito. Con unghie dei piedi fresche di pedicure, con lo smalto turchese che le evidenziava in forma e lunghezza.
Mai visto nulla di simile, pensò lui ancora strabiliato, mentre lei posò il vassoio sul tavolo, piegando ulteriormente il busto e concedendogli una sbirciata tra le infinite valli che si protendevano.
Non recepì nemmeno la domanda che Sonia gli rivolse dopo aver versato il caffè nella tazzina, e che dovette ripetere. «Quanto zucchero, scusi?»
Stavolta Fabio udì, e fu persino in grado di rispondere. «Due cucchiaini, grazie.»
La donna eseguì, approfittando di quel pochi secondi supplementari per restare piegata, a beneficio dei raggi X del suo inquilino. Il quale ormai provava soprattutto ristretta sofferenza, là nei Paesi Bassi, dal momento che suo fratello minore era costretto all'angusta strettoia dei jeans.
Poi finalmente Sonia si risollevò, gli allungò tazzina e piattino, e contrariamente al solito non andò via. Lei non amava il caffè, e sino a quel giorno, tutte le volte che lo aveva servito a Fabio, lo aveva lasciato da solo a gustarselo. Stavolta no. Non si dileguò, ma nemmeno rimase sotto il suo campo visivo, preferendo posizionarsi alle sue spalle, a meno di un metro dalla sua nuca.
Nel ritrovarsela alle spalle, e senza poterla ammirare come pochi istanti prima, Fabio provò una nota di imbarazzo. Tuttavia non fece una piega, limitandosi a sorseggiare la bevanda. Che non era affatto male, per essendo stata preparata da una che non beveva mai caffé.
Sonia ritrovò la parola solo dopo che la tazzina fu svuotata.
«Il pranzo è stato di suo gradimento, signor SABA?»
«Davvero niente male, signora, complimenti», rispose lui di getto, ruotando busto e collo di quasi centottanta gradi. Rendendosi però conto, con un secondo di ritardo, di esserci cascato in pieno.
«Saba? Veramente di cognome faccio Sanna...» ma nel momento stesso in cui rispondeva, Fabio si vide perduto. D'accordo, un lapsus ci poteva stare, e non era infrequente che nomi e cognomi delle persone non entrassero nella testa di chi era distratto per natura, ma...
Ma evidentemente Sonia sapeva.
Quante probabilità c'erano che, storpiandogli il falso cognome, pronunciasse quello reale? Cazzo, qui si mette male, si disperò in silenzio.
«Fabio Saba, 53 anni appena compiuti, residente in un paesino che adesso non ricordo, sempre in provincia di Sassari ma non certo Porto Torres, come invece ha sostenuto quando ho preso i suoi dati farlocchi.» Il tono della donna era gelido e tagliente, come la mannaia di un boia dell'inquisizione.
«Si sbaglia, io non...»
«Attualmente ricercato, in quanto lunedì scorso non s'è presentato al tribunale di Sassari, dove avrebbe dovuto rispondere alle accuse di stupro ai danni di una diciannovenne, durante l'estate 2021. Lei si è presentato in questa casa il giorno prima, domenica, quindi ne ho dedotto che ha tagliato la corda il giorno prima, probabilmente via mare. Tutto ciò le risulta? Io sono certa di sì.»
Tutto esatto, virgole comprese.
Ma la cosa strana era che Fabio si meravigliò di se stesso per non provare sgomento particolare, dopo i primi momenti di smarrimento. Anzi, in verità era piacevolmente impressionato dal fatto che Sonia, una volta tanto, le avesse rivolto qualcosa di più delle solite quattro o cinque sillabe di circostanza.
«Come ha fatto a scoprirlo?» Ormai non aveva senso continuare a negare. Tanto valeva proseguire il gioco a carte scoperte.
«Una breve ricerca su internet.» Sonia non avrebbe aggiunto altre spiegazioni. Anche perché in tal caso avrebbe dovuto ammettere di aver ficcanasato tra le cose altrui.
Spiegazioni che comunque Fabio non pretese. Annuì con disappunto, dandosi del povero illuso se aveva sperato di mantenere l'incognito ancora a lungo.
«Lo dirà alla polizia? O lo ha già fatto?» domandò invece, senza scrutarla in viso, lo sguardo rassegnato e posato sulla tazzina vuota.
Seguirono lunghi secondi di silenzio. Sonia gli fissava la nuca come inebetita, imbambolata, persistendo nel conservare un'espressione neutra.
«Mi denuncerà?» ripetè allora Fabio, quando si stancò di aspettare.
Nemmeno stavolta gli fu data risposta. In compenso Sonia andò a sederti di fronte a lui, dall'altro lato del tavolo. Ancora una volta Fabio convenne che la donna, così straripante e abbigliata, avrebbe potuto fare risuscitare i morti. Mentre nei jeans alla sua erezione mancava solo di urlare di frustrazione.
«Cosa si prova a stuprare una donna?» lo rimbeccò infine. Domanda che lo fece a dir poco trasecolare. Mai se la sarebbe aspettata.
«Cosa le fai? In che modo la sevizi? E per quale motivo? Lo voglio sapere. Altrimenti sì, non esiterò a farti arrestare.»
«Stai dando i numeri», replicò lui, passando a sua volta al tu.
«Tutto, devi dirmi tutto, porco. E' la tua unica possibilità di farla franca, almeno per adesso.»
La situazione stava diventando a dir poco irreale. Fabio poi era seriamente tentato di raccogliere in fretta e furia le sue cose per poi darsela a gambe. Ma quella visione che aveva di fronte, abbinata a un'erezione che difficilmente avrebbe potuto celare una volta in piedi, lo tennero inchiodato alla sedia.
La visione, soprattutto.
Sonia mostrava uno sguardo spiritato, la voce che contrastava, come se appartenesse a un'altra se stessa, i seni gonfi, che avevano acquistato una o due taglie in più. Per non parlare della punta dei capezzoli, inturgidita a livelli extra, che spingevano sotto la bianca e stretta canotta.
Ma non era tutto. La donna aveva preso a toccarsi. Sì, proprio lì, in mezzo alle gambe, scostando il sottilissimo tanga, forse inconsapevolmente, eppure senza vera intenzione di resistere. Avrebbe dovuto farlo in un secondo momento, certo, in bagno, seduta sul bidè, come sovente faceva in casi simili. Stavolta però non ce l'aveva fatta ad aspettare, infischiandosene del fatto che Fabio se ne rendesse conto.
Del resto anche lui non vedeva l'ora di masturbarsi a sua volta. Ma per il momento teneva botta, sia pure con immenso sacrificio.
«Cosa provi quando ti rendi conto che una donna indifesa è alla tua completa mercé, e contro la sua volontà?» incalzò Sonia, gli occhi inchiodati sui suoi, come per trafiggere e carpire l'anima più profonda.
«Menzogne. Sono solo menzogne, maledizione! Le cose stanno ben diversamente da come hai letto», tentò di spiegare Fabio, forse non con la dovuta convinzione. Probabilmente perché l'altra non lo stava neanche a sentire. Per lei la verità era una sola, ed era quella che gli stava sputando in faccia mentre continuava a frizionarsi le parti intime.
«Quale perversa soddisfazione ti gratifica dopo aver schizzato dentro una povera diciannovenne che potrebbe essere tua figlia? Del resto si sa, le ragazzine sono molto più facili da abbindolare e da scopazzare, vero lurido porco?»
«Piantala! Non sai cosa dici! Non ne hai la minima idea, stronza!» Fabio accompagnò la rimostranza con una sonora manata sul tavolo, che però Sonia parve non percepire.
Ormai il suo era divenuto un mantra, una sorta di preghiera agli dei, una cantilena dall'andamento monotono e scontato. Ma anche straordinariamente sensuale.
«Era carina, almeno? Scommetto che era la classica brava ragazza della porta accanto, che in te ha visto il signore maturo e rassicurante, al quale affidare le proprie confidenze... Ho ragione? Del resto, si sa: in casi simili le colpe sono solo delle donne, come se vi puntino una pistola carica alla tempia e vi costringano a violentarle...»
Fabio non resistette più alla curiosità e gettò lo sguardo sotto il tavolo. Sonia non fu abbastanza reattiva, e levò la mano dalla passera con mezzo secondo di ritardo. Un ritardo più che sufficiente a dargli la conferma di cosa stesse effettivamente facendo.
«Ma guarda un po'... Pretendi di farmi la morale, di processarmi e impiccarmi senza giuria, e la verità è che lo fai solo perché ti ecciti da impazzire... A te manca più di una rotella, dammi retta!» La apostrofò con un tono che era a metà strada tra il meravigliato e lo schifato.
Parole che finalmente sembrarono pungere Sonia sul vivo, dato che tornò in sé all'istante, come se si fosse ridestata da un sogno grottesco e indecifrabile. L'imbarazzo e la vergogna per essere stata colta in flagrante la condizionarono solo per un paio di secondi. Dopodiché si alzò, muta come un pesce, persistendo a squadrare Fabio come fosse un alieno non del tutto pacifico. E sempre tenendolo bene in vista, nemmeno fosse un cane randagio incontrato in un sentiero di campagna, Sonia mantenne la distanza e uscì. Procedette lungo il corridoio il giusto necessario per andare dritta filata a chiudersi a chiave in bagno. Dove potè riprendere quello che aveva interrotto. E stavolta senza il timore che Fabio assistette al tutto. L'unica accortezza fu quella di lasciare scorrere l'acqua del bidè, dove si era seduta non appena essersi sfilati tanga e minigonna; al resto provvide la sua mano destra.
E tutto mentre Fabio, rimasto solo in sala da pranzo, nel frattempo aveva calato jeans e boxer, cominciando a sua volta a masturbarsi con grande foga.
Per entrambi non si trattò di un atto di autoerotismo come tanti altri. Per Fabio culminò infatti con un piacere così intenso da paragonare alle prime esperienze da adolescente, quarant'anni prima, quando cominciava a scoprire i segreti e i piaceri del suo corpo. Un godimento così acuto che per diversi minuti fu incapace di muovere un muscolo, rimanendo seduto, stranito e col volto segnato da un'esperienza più unica che rara.
Nemmeno Sonia fu da meno.
Mentre si masturbava selvaggiamente, stimolò la mente con pensieri mai azzardati in vita sua, nemmeno alla lontana. Pensieri che convergevano tutti su Fabio. Fabio che la violentava, Fabio che la sodomizzava, Fabio che la costringeva a un fellatio, Fabio che la schiaffeggiava brutalmente se lei si rifiutava o tardava a collaborare. E ciò che la sconvolgeva, mentre un trionfale orgasmo stava per spedirla nell'Eden, era che tutti quei scenari voleva sperimentarli per davvero.
Non solo turpi fantasie, quindi, ma anche velleità da concretizzare nella loro totale pienezza.
Ne avrebbe parlato con Tullio, quanto prima. E avrebbe fatto di tutto per convincerlo ad appoggiarla in questa inedita follia. Sempre ammesso che il marito avesse accettato di tenere in casa un ricercato per stupro.
scritto il
2022-10-15
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