Un piede da 30

di
genere
feticismo

Non ho mai cercato di negare a me stesso il fatto che fossi feticista; ho già scritto alcuni racconti in merito, in parte fantasie ed invece qualche episodio reale, che mi è capitato di vivere in prima persona, giungendo a toccare le stelle con le dita.

Ho sempre però, trovato piuttosto imbarazzante il fatto che le persone, intorno a me, fossero a conoscenza della mia passione smisurata per i piedi femminili. Intendiamoci fin d'ora: sono fermamente convinto che un bel piede laccato, specialmente se avvolto da una sottile calza di nylon, sia quanto di più sexy ci possa essere nel corpo di una donna.

L'episodio che sto per raccontare, riguarda la mia esperienza in Università; o, per meglio dire, in Accademia. Ho frequentato il corso di Design presso un'Accademia di Belle Arti (che per privacy non nominerò) e mi sono sin da subito trovato molto bene con i compagni e le compagne di corso. Facevo la vita del pendolare, ed è stato così per tutti e cinque gli anni di Accademia: dapprima avanti ed indietro con il treno; poi, dopo la pandemia che ha malauguratamente stravolto l'esistenza di tutti, ho deciso di spostarmi in auto, anche quando fu di nuovo possibile spostarsi con i mezzi pubblici.

La sezione di un'Accademia, per chi non lo sapesse, è composta da un numero di frequentanti molto ridotto rispetto ad una qualsiasi Università; il nostro ateneo è ben più ristretto e le classi sono formare da circa una trentina (o poco più) di studenti e studentesse. Una cosa decisamente positiva, almeno per come l'ho vissuta, perchè permette un maggiore contatto umano non solo tra insegnanti e studenti, ma anche tra quest'ultimi stessi. In breve, quindi, ho legato con una decina dei miei compagni e compagne di corso, abbiamo creato un gruppo su WhatsApp a parte da quello utilizzato insieme al resto della sezione per le comunicazioni accademiche o la condivisione di dubbi, perplessità o qualsiasi evenienza, ed in poche settimane nacque un'amicizia che sarebbe divenuta molto duratura (e che, ancora oggi, continua ad essere coltivata da tutti noi, nonostante i corsi siano terminati ormai da tempo).

L'esperienza che vorrei raccontare, però, non fa riferimento a qualcosa che avvenne dopo la fine delle lezioni in Accademia, ma proprio durante i corsi dell'ultimo anno. Non ho mai confessato a nessuno, nemmeno agli amici più stretti, il fatto di essere feticista e quanto mi piacessero i piedi, quando si trattava di donne. Men che meno, ovviamente, l'ho dichiarato apertamente ai miei compagni in Accademia: troppa vergogna; ahimè, avevo paura di essere emarginato, considerato poco "normale" e con dei gusti strani. A pensarci, è un vero peccato: se ci fosse un po' di libertà in più, si potrebbero evitare di mandar sprecate moltissime occasioni (e tantissimi bei piedini che non seppero mai che qualcuno impazziva dalla voglia di massaggiarli, annusarli, leccarli).

A marzo dello scorso anno, ad ogni modo, la mia sezione organizzò un'uscita a Trento, per visitare la città e poi fare tappa a Rovereto, al museo MART, esempio molto interessante di architettura e design, un connubio davvero sorprendente secondo il docente che ci esortò ad organizzare l'uscita e che, pochi giorni prima della data stabilita per la partenza, si vide costretto a ritirarsi per motivi lavorativi. Decidemmo, ad ogni modo, di andare come sezione accademica, convinti che il professore ne avrebbe tenuto conto, una volta arrivati in sede d'esame.

Decidiamo di prendere un treno, e capitai casualmente seduto di fianco a Beatrice; una ragazza molto educata, sempre sorridente e dai modi molto discreti; non ci avevo mai avuto a che fare più di tanto, ma era innegabile il fatto che, qualora ci fosse bisogno di qualche aiuto, Beatrice fosse disponibile a prestarsi in ogni modo. Non conversammo più di tanto, poi, ad un certo punto, la vidi chinarsi verso lo zaino che aveva portato con sè; non avevo capito, dapprincipio, che senso potesse avere portarsi uno zaino oltre ad una borsa, ma fui ben presto soddisfatto.

Mentre stava rispondendo ad una mia curiosità riguardo allo sport che praticava ormai da anni, danze aeree, Beatrice sfilò dallo zaino un paio di scarpe da ginnastica, azzurre, e si spogliò gli stivaletti neri in pelle che aveva portato fino a quel momento. Rimasi paralizzato: nel lasso di tempo che servì a Beatrice per infilare gli stivaletti nello zaino, aveva poggiato i piedi, in calzini corti neri, che le arrivavano alla caviglia, sul sedile; si era rannicchiata, evidentemente nell'intento di non toccare per terra con i piedi scalzi. Colsi l'occasione al volo, non ragionandoci su troppo (e questo, come vedrete, risultò un errore ingenuo e fatale): tirai fuori il cellulare, mi assicurai di aver inserito il silenzioso, spingendo la tacchetta metallica a lato e scorsi freneticamente con il dito per attivare la fotocamera. Flash disattivato, e via di qualche scatto senza dare troppo nell'occhio, facendo qualche movimento di tanto in tanto, fingendo di sbirciare un messaggio e sistemandomi sul sedile. Insomma, quando Beatrice ebbe infilato gli stivaletti nello zaino ed indossato le Adidas, io le avevo scattato un bel po' di foto ai piedini. Non ero riuscito, ovviamente, a vedere i suoi piedi, ma soltanto la forma che aderiva al calzino nero; era bastato, però, per farmi sentire soddisfatto (ed un po' in colpa). Quello che proprio non avrei mai immaginato in quel momento, era che non ero il solo ad essere a conoscenza di quelle fotografie, dal momento in cui le avevo scattate. qualcuno mi aveva visto, e si era decisamente incuriosito. Non che ci volesse un genio a capire che fossi feticista, dal momento che stavo fotografando i piedi di una ragazza.

Non mi curai molto, a posteriori, di verificare se effettivamente soltanto una persona mi avesse visto o ce ne fossero state altre (in quel momento, quando mi trovai i piedini di Beatrice ad un palmo dalle mani, non riuscii a connettere granchè, e corsi il rischio senza rendermi conto del fatto che avrei potuto benissimo essere osservato dagli altri compagni). Fu Alessandra, un'altra delle mie compagne di corso, ad accorgersi di quel che avevo fatto; mi confessò, poi, di averlo trovato molto divertente mentre mi stava osservando e che non rimase poi così sorpresa della cosa: "ti ci vedo molto bene come feticista" mi disse, "forse è per quello che non ci sono rimasta più di tanto. Mi sai proprio di uno che annusa molto volentieri i piedi ad una ragazza".

Alessandra non faceva parte del mio gruppo di amici, in Accademia; ci ho scambiato qualche parole in più di quanto non avessi fatto con Beatrice ed un paio di volte ci eravamo confrontati su alcuni progetti che avremmo dovuto consegnare per due o tre corsi, ma niente di più: nella maggior parte delle giornate, il nostro rapporto si limitava ad un saluto o qualche battuta di circostanza se ci incontravamo di fronte alle macchinette del caffè.

Quella giornata corse liscia come l'olio: Trento me la ricordavo più grande, anche se il centro storico aveva un certo sentore fiabesco; il MART, invece, mi folgorò sul posto: molto interessate. Tornammo in Accademia quel pomeriggio stesso, senza particolari programmi, se non quello di bere un paio di spritz e sgranocchiare qualcosa prima di rientrare per il fine settimana. Mi arrivò un messaggio, mentre me ne stavo seduto all'esterno di un piccolo bar a circa duecento metri dalla sede dell'Accademia; la tasca dei pantaloni vibrò, ed il mio smartwatch s'illuminò: un numero che non avevo salvato in rubrica, ma che evidentemente mi conosceva piuttosto bene, perchè mi scriveva: "Ciao D, scusa il disturbo, vorrei chiederti un'opinione su un lavoro che sto preparando per la prof F, ti spiace se domani te lo mostro e mi dici cosa ne pensi? Secondo me l'ho fatto un po' con i piedi ahahahah". Trovai il finale divertente, anche perchè io, a dirla tutta, avrei desiderato con tutto me stesso di finirci, tra i suoi piedi.

Risposi che non c'era nessun problema e che ci saremmo confrontati il lunedì successivo, in Accademia, poi misi in tasca il telefono ed i pensieri tornarono a sorvolare il tavolo a cui ero seduto con altri sei compagni; ben presto, le risate sommersero il pensiero di ritrovarmi con il pene tra i morbidi piedi di Alessandra (che, tra le altre cose, non avevo mai visto, ma con una ragazza come quella, era il carattere a trasmettere un fortissimo desiderio fetish, anche senza aver visto le sue estremità).


Lunedì mattina, ore 8:45, parcheggio adiacente all'Accademia. Chiudo l'auto, poi mi metto il spalla lo zaino e m'incammino verso l'ingresso; "Davide!" sento alle spalle: è Alessandra. Il suo treno era evidentemente appena arrivato, ed anche lei si stava dirigendo verso l'Accademia. Mi raggiunse: "passato bene il week end? In pausa parliamo di quel progetto, poi?"; mandò uno sbuffò dalle labbra sottili, allontanando la IQos. Le risposi che andava bene e c'incamminammo verso la lezione del lunedì mattina, che stava per cominciare.

11:30, durante la pausa di metà mattina, mi alzo per andare a prendere un caffè, poi torno a sedermi, siccome non fumo e decido di sistemare alcuni appunti che avevo preso durante l'ultima lezione del venerdì: stare dietro a quel professore, che parlava a mille all'ora, diventava davvero difficile, anche per le mie dita da scribacchino, che digitavano compulsivamente sulla tastiera; sorrisi, incappando ogni due righe circa in parole storpiare e termini che non sarebbero potuti esistere nemmeno nel peggiore dei dizionari. Mi ero completamente della promessa che avevo fatto ad Alessandra; di lì a pochi minuti, ci avrebbe pensato lei a ricordarmela. Sentii una sedia accanto alla mia postazione che cigolava, ed Alessandra si mise a sedere al mi fianco.
"Allora, il progetto!" mi disse, sorridendo.

"Ah,, certo, che stupido! Hai fatto bene a ricordarmelo!"
"Preferisci che ne discutiamo dopo? Sicuro sia un buon momento?"
"Sì, certo! Scusami, ma la memoria non è decisamente il mio forte". Se avessi saputo fin dall'inizio quel che Alessandra aveva in servo, mi sarei sicuramente ricordato di ogni minimo particolare; anzi, non ci avrei dormito per tutto il week end.

"Ok, allora..." disse, aprendo il PC; la mela di Apple si illuminò di bianco, e lo schermo si accese. Alessandra aprì la galleria delle immagini, poi si diede una rapida occhiata intorno, come per controllare che nessuno stesse guardando. Girò lo schermo verso di me, e ci vollero una decina di secondi perchè realizzassi quel che stava accadendo: mi sarei aspettato di vedere le fotografie di un progetto, ed invece mi ritrovavo ad osservare delle foto, sì, ma dei piedi di Alessandra. C'erano fotografie in tutte le salse: con i calzini, con calze a rete, autoreggenti; ogni inquadratura possibile o immaginabile: piante dei piedi, dita, caviglia, di tutto. Non potevo credere ai miei occhi; stavo sudando freddo. Come era possibile? Per un momento la guardai, aspettandomi di vederla chiudere imbarazzata lo schermo, perchè aveva sbagliato cartella, ma non accadde niente di tutto questo. Alessandra mi fissava, con tono serio, e potevo quasi riflettermi nelle sue iridi azzurre. Non disse nulla, fino a quando non ebbi finito di scorrere le immagini, che erano circa una ventina.
"Allora, ti sembra bello?"
"Molto" accennai, con la gola secca. Come diavolo aveva scoperto che...? non feci nemmeno in tempo a formulare il pensiero per intero, che mi anticipò, quasi mi avesse letto nella mente.

"Forse avresti dovuto stare più attento a fotografare i piedi a Beatrice, era proprio palese quel che stessi facendo". Cazzo! Ecco, ora tutto si spiegava: quella era stata senza dubbio la sola occasione che Alessandra aveva avuto per scoprirmi. Dove era seduta, in treno? E chi c'era con lei? Ne aveva forse parlato con qualcuno o...

"Le vuoi?" aggiunse. "Sono tue, e non devi scattare foto di nascosto, anche perchè o queste foto oppure i miei piedi non li vedrai più! Se dovesse ricapitare l'occasione, non mi siederei di sicuro vicina a te, dopo quello che ho visto".

"Ascolta, sono feticista, questo l'hai capito...ma non significa che io sia ricattabile. Cosa vuoi?" le chiesi; iniziavo a stizzirmi, anche se avrei desiderato averle tutte, quelle fotografie, dalla prima all'ultima.

"Macchè ricatto! Ti propongo queste foto, in cambio mi aiuti con qualche ripetizione per il progetto da consegnare la prossima settimana alla F. Te ne mando metà subito e l'altra metà a progetto finito, ci stai? Non sei obbligato a dire di sì, puoi scegliere se vuoi averle o se invece rifiutare e le elimino". Alessandra stava per alzarsi, quando ribattei secco: "ho qualcosa di meglio".

"Cioè?"

"Mi fai leccare i tuoi piedi, mentre indossi un paio di autoreggenti, ed io ti faccio l'intero progetto per la F". Azzardato? Avventato? Forse sì, ma d'altro canto, era stata Alessandra ad esporsi per prima con quella proposta, ed io avevo colto la palla al balzo per rincarare la dose. Mal che fosse andata, avrei accettato le sue fotografie per qualche aiuto con il progetto.

"Non vuoi nient'altro, vero? Cioè...mi lecchi solo i piedi!" mi rispose. La cosa si stava facendo interessante.
"Sì. Niente di più. Devi indossare un paio di autoreggenti sotto ai jeans per tutta la giornata, poi mi fai giocare un po' con i tuoi piedi, ed io ti manderò il progetto fatto".
"No, aspetta...oggi è lunedì. Facciamo che venerdì mattina tu mi mandi un video dove mi mostri il mio progetto terminato...io verrò in Accademia vestita come mi hai chiesto e la sera, dopo le lezioni..." ed indicò con le mani in basso, verso i suoi piedi.

"Affare fatto"; ci stringemmo la mano e durante quella settimana io ed Alessandra ci tenemmo in stretto contatto: avevo intenzione di lavorare al suo progetto il più in fretta possibile, ma nella maniera migliore, in modo che non potesse lamentarsi di nulla e, così facendo, rifiutarsi di farmi leccare i suoi bei piedi. Quella ragazza mi aveva stregato. Non erano semplicemente i suoi piedi, numero 38, molto ben curati e da far girare la testa a farmi eccitare, ma il suo stesso comportamento: ragazza molto attraente e ben consapevole di esserlo; fèmme fatàl, come direbbero gli uomini d'altri tempi, con lunghi capelli neri ed occhi azzurri. Divoratrice di personalità troppo deboli, aveva l'aspetto di una dèa il cui unico scopo fosse quello di imporsi su chi aveva la fortuna di prostrarsi al suo cospetto. Tutto questo, ovviamente, stuzzicava terribilmente la mia fantasia. Fu proprio in quei giorni che Alessandra mi confessò di non esserci rimasta poi così male, nel vedermi scattare le fotografie ai piedini di Beatrice, come mi aveva detto: mi ci vedeva molto bene, come leccapiedi.

Arrivò giovedì sera, ed io avevo terminato il progetto di Alessandra; era venuto bene, di gran lunga meglio del mio, a cui avevo prestato molta meno attenzione. Le mandai un video su WhatsApp, in cui inquadravo lo schermo del mio PC e le spiegavo a grandi linee dove e come avevo inserito tutto quel che mi aveva chiesto, dopodichè mi sdraiai sul letto a guardare un film. Circa mezz'ora dopo, lo schermo del cellulare s'illuminò, era lei. Aveva risposto al mio video con un'emoji raffigurante due impronte di piedi. Era fatta, ancora non potevo crederci! Avrei leccato i piedi a quella tremenda e bellissima dèa.

Inutile dire che tutto il venerdì fu un continuo alternarsi di inferno e paradiso: osservavo Alessandra, e mi perdevo ad immaginare le belle calze autoreggenti scure che aderivano alla sua pelle, ai suoi piedi; a metà mattina cominciò a battere un sole primaverile, ma piuttosto insistente sulle finestre dell'aula dove eravamo a lezione e di colpo fui folgorato: faceva caldo, lì dentro. Sperai con tutto me stesso che le piante dei piedi di Alessandra stessero sudando, ed immaginai la goduria, quando la sera le avrei spogliato le scarpe per immergere il naso tra le sue dita dei piedi velate.

Finalmente, arrivò la fine dell'ultima lezione. Alessandra fece per uscire dall'aula, s'incamminò lungo il corridoio che portava al salone principale, dirimpetto all'ingresso, e spinse il maniglione della porta d'entrata; nemmeno uno sguardo, un cenno d'intesa; controllai il telefono, ma sullo schermo non comparvero messaggi. Che ci avesse ripensato? Ma a che scopo, mica ero stato così stupido da mandarle il progetto la sera prima.

Uscii nell'atrio e la trovai lì, che fumava la sua IQos; mi aspettava. Chiacchierammo un po' del più e del meno e di tanto in tanto buttavo l'occhio verso il basso: dai suoi Dr Martens neri, sotto alla piega dei jeans scuri, compariva un frammento di calza: le aveva per davvero! Cavolo, sentivo l'erezione gonfiarsi già nelle mutande! Sarei potuto venire anche solo annusandole le piante dei piedi velate, ne ero certo! In un certo senso, avrei goduto nel sentirla ridere, osservando i miei pantaloni tutti imbrattati di sperma. "Sei venuto annusandomi i piedi! Non ci posso credere!" risuonava la sua risata fragorosa nella mia testa.

In macchina fu straordinario, ben sopra le aspettative; la mia testa aveva galoppato molto lontano in quei giorni di attesa, immaginando cose incredibili che mi sarebbe piaciuto chiedere ad Alessandra. Quella sera, durante quell'ora di assoluto feticismo sfrenato, mi abbandonai ai miei impulsi: le spogliai i Dr Martens e li lanciai sul sedile posteriore. Immediatamente, un aroma acre, pungente, che trasportava il sentore dei piedi sudati e del nylon, invase l'abitacolo; che meraviglia. Passai le mani sulle sue piante velate, e la sensazione fu straordinaria: altro che delle fotografie per qualche ripetizione. Avevo sgobbato tutte le notti fino a tardi per quasi una settimana, ma che goduria: le mie mani scivolavano sulle piante velate di Alessandra; avevo talmente tante cose che avrei voluto fare, che per un attimo rimasi bloccato semplicemente a massaggiarle quelle meraviglie; poi, si immersi la faccia, inalando ed esalando ritmicamente come se fossi stato sull'orlo di annegare, affamato d'ossigeno. Solo che, in quel momento, avrei voluto assorbire l'odore dei suoi piedi sudati, per non dimenticarlo mai.

Presi a baciarle i piedi, a leccare ogni millimetro di quei deliziosi piedini numero 38; succhiai le dita dei piedi, feci passare la lingua sugli alluci velati. Alessandra, mano a mano che ci spingevamo oltre con quella straordinaria sessione di feticismo, cominciò ad eccitarsi. Lo avvertii nel suo corpo, che si muoveva sinuosamente e, pian piano, si stava lasciando andare sul sedile del passeggero. Il crepuscolo immortalava le mie labbra che baciavano ogni parte dei suoi piedi, ormai fradici. Alessandra si sollevò la maglietta, si sganciò il reggiseno e prese a stuzzicarsi i capezzoli.

"Non lo guardi nemmeno?" mi disse. "sarebbe la prima volta che un ragazzo non mi guarda le tette".

Non le risposi, continuai a leccarle i piedi. Poi, quasi d'istinto, Alessandra lascio cadere una delle sue estremità sul mio cavallo dei pantaloni, ed ebbe un sussulto: dovette aver avvertito la mia erezione, e fece per ritrarre il piedino velato. Poi, invece, cominciò a massaggiarmi i pantaloni, e colsi l'occasione al volo. Sapevo che sarebbe bastato ancora poco per schizzare un orgasmo caldo e potente, se avesse continuato ad andare avanti ed indietro a quel modo. Slacciai i pantaloni, abbassai le mutande ed il mio pene rimbalzò contro il suo piedino. Duro come pietra, pulsava all'impazzata, al limite dell'orgasmo. Alessandra fece scorrere il suo piedino su e giù, rapidamente ed in quel momento tolsi l'altro piede dalla mia bocca e lo portai sul mio pene. La sega, purtroppo, durò pochissimo: bastarono una trentina di secondi scarsi, in quelle condizioni, per farmi schizzare disperatamente, mentre cercavo di strappare qualche istante in più e di resistere. Getti di sperma inondarono il volante, il sedile, il pomello delle marce e colarono sui piedi di Alessandra; sembrava non finire mai, quell'orgasmo. Il mio pene, quando ebbi finito, si afflosciò sui suoi piedi pieni di sperma. Alessandra si spostò sul retro, si spogliò i jeans e tolse le calze fradice del mio sperma e si rimise i pantaloni. Tornò davanti, guardò il volante ed il pomello delle marce, inzaccherati di schizzi e disse: "controllo se ho delle salviettine". Pulii tutto, o almeno la maggior parte, poi uscii dall'auto e depositai le salviettine umide in un cestino poco distante.

Alessandra mi raccomandò di mandarle il progetto ed io fui di parola: dopo una serata come quella, come avrei potuto non mandarglielo? Se l'era meritato, decisamente; anzi, se fosse stato possibile farlo, avrei detto che si sarebbe meritata che facessi l'esame direttamente al posto suo.

Ci salutammo, dopodichè m'avviai verso casa. Avevo parcheggiato da poco, quando aprii la portiera del passeggero posteriore per recuperare il mio zaino e notai, arrotolate sotto al sedile, le calze autoreggenti di Alessandra. Le infilai in tasca, avendo cura di avvolgerle nel sacchetto di plastica in cui portavo solitamente la scatoletta con il pranzo per l'Accademia.

Che bello essere feticisti.
di
scritto il
2022-11-04
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