Un rapido movimento degli occhi

di
genere
etero

Seni, mammelle, bocce, ciucce, sboze, sise, sizze, sberge, poppe, pocce, pupe, zinne, zizze, zampogne, pompelmi, cocomeri, zucche, minne, mele, meloni, palloni, palloncini, bioghe, bombe, brocche, borracce, balcone, balconcino, davanzale, latteria, mercanzia, airbag, il petto, i pettorali, le sorelle, le gemelle, le tonsille, le perle, le sberle.. sì, per farla breve, questa storia parla di tette.

È interessante constatare come la nostra società abbia sentito il bisogno di coniare così tanti sinonimi per definire la stessa identica cosa. E per quanto alcune di queste parole rievochino una certa ironia anche il solo pronunciarle sottintende una sana dose di gioioso e entusiastico stupore. Il seno provoca sorpresa, incanto e ammirazione, ovviamente non solo fra gli uomini, questo è ovvio ma forse non così scontato.
Un paio di belle tette, che siano aggraziate, sode o anche solo prosperose riempie la scena con prepotenza, attirando sguardi ipnotizzati e mescolando i pensieri, provocando onomatopeiche espressioni di gioia.

In questo elenco, sicuramente parziale, è volutamente stato omesso un termine, fra i più popolari e bonari, che rappresenta di fatto uno degli snodi fondamentali di questo racconto.
Chissà se qualcuno riesce a indovinarlo prima di proseguire la lettura.

Le immagini riemergono dai ricordi, indorate dalla luce tenue del passato, infuocandosi nei dettagli vibrati di una mattina di tanti anni fa. Le risate e gli schiamazzi eccitati riecheggiano nell’atmosfera febbricitante di una partenza: due settimane di vacanza, di avventure e momenti che il tempo avrebbe poi reso indimenticabili. Tutte cose che appartengono ovviamente ai giovani, una mezza dozzina in tutto, assembrati in una piccola piazza di paese, fra i bagagli da sistemare e le raccomandazioni di genitori, amici e semplici passanti. Uno scenario che, in località tanto remote, assume le sembianze di una vera e propria festa.
Avevamo ventitré anni e li avevamo tutti; questi sono i luoghi in cui ancora persiste l’antica tradizione dei “coscritti”, compaesani uniti dalla sorte di essere nati nello stesso anno e destinati quindi a crescere insieme, condividendo le tappe più importanti della vita, come e forse anche più che fratelli e sorelle.

Fu in quel trambusto di baci e abbracci che a un certo punto Simona, una dei giovani partenti, si ritrovò di fronte il signor Claudio, padre di Davide.
Come accaduto mille altre volte e come consuetudine, fra membri della stessa famiglia allargata, i due si avvicinarono, sfiorandosi le guance con un bacio, con tanto di “Fate buon viaggio!” e sorrisi ricolmi di affetto.
Subito dopo però, il signor Claudio si mosse appena dall’ ingorgo dei saluti, raggiungendo un suo amico con cui era evidentemente in confidenza e ciò che fece fu sussurrare una frase, una sorta di apprezzamento sul cui giudizio non riesco a esprimermi ma che, di certo, può essere considerata un’autentica gaffe.
Non si accorse evidentemente di aver utilizzato un tono di voce più alto di quello che avrebbe voluto e, soprattutto, non si avvide della presenza di Simona, proprio lì dietro di lui, che lo aveva seguito in quel suo movimento per far spazio ad altri abbracci, ascoltando per puro caso quella sorta di battuta e capendo in un istante che era rivolta proprio a lei.
La frase in questione è la seguente: “Madonna, che pere, che ha!”.
Fine.
La storia, per quanto mi riguarda, potrebbe benissimo concludersi qui, per me che conosco i soggetti coinvolti è infatti piuttosto lampante cogliere la sorprendente potenza di un così piccolo e fortuito incidente.
Intendiamoci, il fatto che Simona fosse una ragazza “decisamente” prosperosa era cosa ovviamente risaputa, era francamente impossibile non notarlo.
E anche lei ne aveva ormai assunto consapevolezza, non tendeva mai a ostentare le sue forme ma gli abiti leggeri di quella mattina d’estate bastarono evidentemente a provocare quella insolita reazione.
Da tempo aveva imparato a riconoscere, nello sguardo degli uomini con cui si ritrovava a parlare, quel barlume di distrazione che per un solo istante si intrometteva in qualsiasi discorso. Un rapido movimento degli occhi, una minuscola frazione di tempo in cui si abbassano, inquadrano quel poderoso ben di dio e poi tornano su, buffamente illusi di essere passati inosservati.
La verità è che ogni donna se ne accorge, reagendo ogni volta in modo diverso, magari in base all’umore del momento o alla goffaggine con cui il tutto avviene.
A volte provoca imbarazzo, fastidio o anche solo divertimento, per l’aver indirettamente ricevuto una sorta di apprezzamento di cui si può anche andare orgogliose.
Non era sempre stato così, questo è certo. Quando durante le scuole medie il petto di Simona aveva preso a gonfiarsi, di colpo, raggiungendo la stessa benedetta quarta misura che porta ancora adesso lei aveva reagito in un modo tutto suo. Le venne istintivo coprirsi, impreparata a una simile trasformazione, con certe grosse felpe che le conferivano un’aria piuttosto goffa e per nulla sensuale. Divenne insolitamente aggressiva, quasi mascolina, pronta a insultare o addirittura a picchiare qualsiasi ragazzino si permettesse anche solo di alludere a quelle sue forme ingestibili e inopportune. Il muso serio nascosto dagli occhiali da vista, il carattere sempre spinoso che prese poi a sciogliersi, anno dopo anno, fino a tramutarsi nella ragazza splendida e sorridente che quella mattina si apprestava a vivere la sua avventura. Era diventata più alta e più snella, fiorendo davanti ai nostri occhi, perdendo gradualmente qualsiasi esigenza di nascondersi.
E se aveva ormai accettato il fatto che le persone non riuscissero a non perdersi nel suo florido décolleté davvero mai si sarebbe aspettata di ricevere un apprezzamento simile da uno come il signor Claudio.
Un uomo buono, gentile, lontano anni luce da quegli atteggiamenti goliardici che hanno i maschi, sovente quando si ritrovano in branco, nel commentare le donne del paese. Il modo in cui quella scena avvenne fu la chiara dimostrazione di tutto questo.
Simona non lo vide di certo sghignazzare, con movenze da porco navigato, sembrò piuttosto preda di una sorta di disperazione. Scosse la testa, come per scacciare via quel pensiero che lui stesso riteneva evidentemente fuori luogo ma che infine scappò via dalle sua labbra, in un sospiro che non fu in grado di contenere e a cui in quel momento sì ritrovo a soccombere:
“Madonna, che pere, che ha!”.

Nessuno tra i presenti si accorse di niente, la cerimonia della partenza proseguì fino al fatidico momento in cui salimmo tutti nelle due macchine attrezzate per il viaggio, strombazzando clacson come dopo la vittoria dei mondiali. Ricordi autentici si mescolano a quelli artefatti dagli eventi perché, non so, ma ho come l’impressione di rivederla, Simona, un tantino assorta da chissà quali pensieri, fissare la strada oltre il finestrino con un’espressione indecifrabile.
Il signor Claudio? Proprio lui? Si era sbottonato in quel modo, lasciando intendere che non solo le aveva guardato il seno ma ne era rimasto in qualche modo folgorato, così come lei lo era stata da quella battuta. Per carità, lo sapeva che gli uomini facevano commenti simili, non eravamo di certo una comitiva di chierichetti, ma il fatto che fosse stato proprio lui, e in quel modo poi, con quella sorta di dannazione addosso, fragile come solo certi uomini sanno essere. Da quanto tempo era che la guardava in quel modo? Mesi? Anni? Momenti di vita di paese che presero a scorrerle davanti agli occhi, al ritmo della strada del viaggio, quante altre volte lui aveva fatto un pensiero simile? E quelle parole poi, cinque in tutto che continuarono a rimbalzarle in testa provocandole stupore e divertimento. La Madonna, sì, il buon Claudio aveva sentito il bisogno di appellarsi a lei per dichiarare quanto gli piacessero le “pere” di Simona. Rideva da sola, in macchina, e nessuno poteva immaginarne il perché. Una scintilla di soddisfazione proibita le illuminava il volto, nella consapevolezza di essere a conoscenza di un segreto, di aver scorto il miraggio di un maschio dietro la maschera dell’uomo.

Il viaggio fu assolutamente meraviglioso, una di quelle esperienze che ancora oggi mi riporta una sana dose di gioia, accompagnata dall’immancabile sferzata di malinconia. Notti infinite e giornate memorabili, attimi di assoluta libertà in cui sentirsi ridicoli ed eterni, come solo in quegli anni poteva succedere.
I bagni al chiaro di luna, il barbecue sulla spiaggia, cantare a squarciagola “se l’amore è un gioco quali regole ti dai?”, alle prese con certi flirt assolutamente trascurabili di cui non avremmo più smesso di ridere.
Chissà, mi chiedo ora, se in quei giorni Simona continuò a pensare a quel piccolo incidente della partenza. Chissà se le venne in mente quando sparì per un pomeriggio intero in compagnia di un ragazzo conosciuto in discoteca, se in mezzo a quei baci clandestini e alle inevitabili carezze gli occhi divennero altri occhi e le mani si presero ciò che per altre mani lontane sarebbe stato impossibile.

Sfumò via la nostra avventura estiva e subito dopo altri granelli di esistenza, uno dopo l’altro, proiettandoci verso un futuro che nessuno avrebbe mai potuto immaginare.
La cosa certa è che non passò molto tempo prima che Simona si ritrovò davanti al signor Claudio, per una qualsiasi delle immancabili coincidenze della vita nel nostro piccolo paese. Una cena, una festa di piazza o anche solo un incontro per strada che silenziosamente custodivano un piccolo, minuscolo segreto.
Nelle chiacchiere e le risate, assolutamente innocue, lei aveva l’impressione di percepire un nuovo dialogo, segreto, che fece sì che Claudio ai suoi occhi non fu più lo stesso di prima.
Simona dovette ammettere a se stessa ad esempio che, ogni volta che lui la osservava, lei si ritrovava a drizzare istintivamente la schiena, come per farsi meglio guardare.
Un atteggiamento un tantino civettuolo, probabilmente, ma anche altrettanto innocuo perché mai le passò per la testa di spingersi oltre. Chissà, forse era solo un modo per affidare a una sorta di comunicazione non verbale il fatto che non aveva più dimenticato quell’episodio, che le aveva fatto indubbiamente piacere e addirittura l’aveva aiutata a trovare una maggiore fiducia in se stessa, nel lungo cammino che la stava conducendo a essere una donna.

Crescere, dannazione, quella sì che è una splendida avventura, un percorso tortuoso che alterna gioie e sofferenze, facendo sì che le une alimentino le altre.
Tempo dopo infatti la bella Simona incappò in una grande storia d’amore, di quelle che ti risucchiano il tempo per tutto, col risultato che per un po’ non la vedemmo più in giro.
Aveva conosciuto un ragazzo di città e dopo pochi mesi si sussurrava in giro che fossero già in ballo grandi progetti: una convivenza, un matrimonio e qualsiasi altra cosa prevedesse lo spettro imminente della maturità.
Nelle poche volte in cui la incontravamo appariva stanca, frastornata dai continui spostamenti tra la casa dei suoi e quella del suo ragazzo, che per giunta lavorava in una ditta lontana, rendendo di fatto assai complicata quella fase del loro rapporto.
Bella come sempre, certo, desiderosa di fare un grande salto che tardava ad arrivare, per non si sa bene quali complicazioni.
Sta di fatto che, nell’immancabile saliscendi della vita arrivò ben presto la notizia della fine della sua storia. Qualcuno disse che c’era un tradimento di mezzo, che in quel continuo trantran di spostamenti il ragazzo di città avesse confuso giorni e orari, ritrovandosi con due donne in casa, senza ovviamente una spiegazione buona da fornire.

Simona ne uscì ovviamente cambiata, cresciuta, certo, in qualche modo indurita e anche nuovamente fragile, come quando era ragazzina e passava il tempo a nascondersi.
Tornò a passare il tempo con noi anche se niente era più uguale, erano passati sette anni da quello splendido viaggio che ormai sembrava essere diventato una semplice occasione per rimestare fra i ricordi. Chissà, magari diventare grandi è proprio questo, succede tutto nel giorno in cui ti rendi conto che c’è qualcosa che hai perso e non tornerà mai più.

Di colpo era di nuovo estate, una tra le più torride che io possa ricordare. Lavoravo, avevo mille impegni e seguivo poco la vita del paese.
Quello che so è che, un bel giorno, Simona, passeggiando per le vie del centro, incappò in una persona che non vedeva da un sacco di tempo, che subito la abbracciò con affetto, preso dalla sincera gioia di poter rivedere una cara amica di suo figlio, una di quei cari ragazzi cresciuti insieme, come e forse più che fratelli e sorelle.
E giù con le domande, i “come stai”, i “cosa fai adesso” usando la delicatezza di non fare mai riferimento a quanto le era accaduto, una storia che ovviamente era ormai di dominio pubblico.
Simona si sentì frastornata, come se il passato le piombasse addosso, riportandole alla mente quel giorno di tanti anni prima.
Poi avvenne, rapido e innegabile, un guizzo negli occhi di Claudio che si abbassarono, per un istante, tornando a dimostrarle di essere ancora in qualche modo preda di quella passione, segreta e inopportuna.
Stavano ormai per salutarsi quando lui buttò lì una frase, che in nessun modo può avere un senso diverso da quello che ha:
“Passa a trovarci, quando vuoi”.
Cinque parole in tutto, pronunciate in un unico respiro.
Lo so che potrebbe far pensare a chissà cosa un invito come questo ma c’è quel plurale a scacciare via qualsiasi sospetto, passa a trovarci, le aveva detto. Il signor Claudio era un uomo buono e quando eravamo piccoli avevamo tutti trascorso un’infinità di tempo in quella casa, una piccola villa in realtà, il cui giardino aveva fatto spesso da ritrovo per le nostre rimpatriate, invitare lì quella ragazza era una cortesia assolutamente comprensibile.

Molto più complicato è riuscire a capire cosa passò nella testa di Simona, quel giorno e negli altri che lo seguirono. Perché la verità è che per definire le “cose” abbiamo inventato un sacco di sinonimi ma quando si tratta di dare un nome alle “emozioni”, beh, le parole vengono irrimediabilmente a mancare.

Domande, non restano che quelle.
Sarebbe andata a trovare il signor Claudio? Perché no? Ci sarebbe andata proprio in un momento in cui sapeva che la moglie sarebbe stata fuori casa? E perché mai? Per lasciarsi guardare di nuovo, stavolta senza nessuno attorno e riprovare così l’emozione di quel giorno lontano? Quella sensazione di orgoglio e potere di cui ora aveva un gran bisogno?
Cos’è che cercava veramente? Vendetta? E nei confronti di chi? Del genere maschile? Ritrovarsi da sola con un uomo che avrebbe potuto essere suo padre, un uomo buono, che l’aveva vista quando era ragazzina e, forse per primo, le aveva fatto capire quanto fosse donna.
Chiudere quel cerchio aperto in una mattina di tanti anni prima, quella in cui aveva carpito a quell’uomo un segreto e dimostrargli ora, e finalmente, quanto la cosa le avesse fatto piacere.
Provocarlo? Giocare? Era giusto? E, soprattutto, ne era capace?

Lei stessa faticò a comprendersi, dandosi più volte della sciocca, ritrovandosi però, attimo dopo attimo, schiava di un nuovo istinto e una insolita follia. C’era una cosa in realtà che sapeva solo lei e cioè che quella mattina, ascoltando quella frase inopportuna aveva provato dapprima imbarazzo, poi si era scoperta divertita, potente e infine perdutamente eccitata.
La donna oltre la ragazza e più in là ecco la femmina, che si riflette nuda nello specchio, accarezzandosi i grossi seni, pensando agli occhi del più improbabile degli uomini, il più buono, di certo e forse proprio per questo il più proibito.
Niente, fa battere il cuore più forte delle emozioni che arrivano dalle cosce.

A questo pensava ancora, quel giorno, giunta ormai alla porta del signor Claudio. Nervosa e bellissima, inquieta e letale, sopratutto per se stessa.
Suonò il campanello con un fremito nelle mani e poi si guardò, un’ultima volta, prima di farsi guardare.
Le infradito ai piedi, un paio di pantaloncini sportivi e più su la piccola canottiera, bianca, issata sull’architettura del reggiseno.
Trasandata, come qualsiasi femmina alle prese con l’estate, incurante, come una bambina che non è lì per sedurre nessuno.
Il rumore del cancello che si apre e un’ultima scossa lungo la schiena, le mani che scattano sotto la canottiera e decidono ciò che la testa ancora si domanda, afferrano il gancio del reggiseno e lo fanno saltare, lo sfilano via per poi riporlo nella borsa, come una costrizione che adesso, davvero, non serve più.

Claudio e Patrizia, sua moglie, vivevano in quella casa praticamente da sempre, non ricordo di averli mai saputi da un’altra parte.
Francesca, la loro figlia più grande, aveva qualche anno più di noi e già da tempo si era trasferita in un paese vicino con suo marito e i suoi figli. Davide, il nostro coscritto, viveva da solo in una casa in centro, passando da una storia all’altra senza mai riuscire a fermarsi.
Accanto alla grande casa di famiglia c’era un piccolo locale che fungeva da laboratorio per Claudio, che si guadagnava da vivere facendo piccole riparazioni. Una figura professionale che probabilmente non esiste ma che, in un posto come questo, non smette mai di essere utile.
Ricordo bene gli anni passati in quei giardino, con quell’uomo sempre chiuso lì dentro a trafficare, tra lavatrici, impianti stereo e un numero imprecisato di incomprensibili attrezzi.
Lavorava tutto il giorno e ogni tanto si concedeva una pausa per venire a salutarci, spingendo altalene e scalciando palloni, come il più amorevole degli zii.

Anche quel giorno se ne stava chiuso lì dentro finché sentì il cicalino del citofono. Uscì dalla sua tana e si diresse al cancello, lo aprì, e i suoi occhi si accesero.
La gioia di rivedere l’amica di suo figlio, certo, ma anche l’accecante emozione di scoprirla in qualche modo più bella che mai.
Lei mentì, dicendo che era in giro per delle commissioni e aveva pensato di passare per un saluto, così come detto solo pochi giorni prima.
Lui rispose che sì, certo, era la benvenuta in quella casa ma, si affrettò a precisare, Patrizia era in ufficio in quel momento e non sarebbe tornata prima dell’ora di pranzo.
Simona cedette a delle scuse, non aveva avvertito e non aveva intenzione di disturbarlo. L’uomo più buono del mondo però riuscì a essere semplicemente se stesso, invitandola a entrare, con un certo imbarazzo addosso che, a ben pensarci, non aveva motivo di esistere. Sarebbe bastato guardarla negli occhi, sì, aveva solo quello da fare, offrirle magari un caffè e ricordare qualcuno dei giorni andati.
Lei prese a muoversi per il giardino, esclamando un immancabile “me lo ricordavo più piccolo” così come anche Claudio, in un posto lontanissimo della sua mente, osservandola camminare pensò che, quella splendida ragazza, non era più così piccola.
Quante cose avvengono nello stesso identico istante, quanti pensieri viaggiano nel traffico elettrico del cuore, gli amici di suo figlio, le feste in casa, le gambe lisce di Simona, i piedi nudi, quella canottiera leggera poi sì, certo, un caffè e due chiacchiere, guardarla negli occhi e godere di quella bellissima sorpresa.
Fu lei ad avvicinarsi alla porta del laboratorio, “stavi lavorando?”, “come sempre” disse lui, “vieni, entra, ti faccio vedere”.

Il laboratorio di Claudio era una vera e propria piccola tana, il rifugio di un uomo che, evidentemente, amava trascorrere lì molto del suo tempo.
Oltre la zona di lavoro, piena di elettrodomestici e ferraglia c’era infatti un ambiente piuttosto confortevole: una scrivania, un piccolo divano e addirittura una specie di minuscola cucina.
Simona iniziò a sentirsi a disagio, sembrava aver smarrito qualsiasi sciocca motivazione alla sua presenza lì dentro. Quale capriccio? Quale assurda marachella da ragazzina aveva davvero senso di compiere con quell’uomo?
Quando però, ancora in totale silenzio, i due si ritrovarono l’uno di fronte all’altra successe di nuovo, ancora una volta, quella riverenza distratta dello sguardo che smarrisce qualsiasi proposito e va a posarsi lì dove non deve, per un istante che sembrò più lungo di sempre.
Perché solo allora forse Claudio si accorse che c’era qualcosa di insolito in quel consueto conturbante spettacolo di curve fresche e prorompenti. Una morbidezza nuova, libera e impossibile da non notare. Forse il caldo feroce di quei giorni, forse il fatto che quella non era più una ragazzina, chissà, chissà quando e perché aveva iniziato ad andarsene in giro senza il reggiseno. Non ne provava imbarazzo, evidentemente, perché la splendida ragazza continuava a guardarsi attorno, come se nulla fosse, con una naturalezza che sembrava ribadire la disinvoltura che forse appartiene solo ai giovani, che affrontano il caldo mezzi nudi, incuranti di tutto e tutti.
Claudio si sentì improvvisamente un vecchio ragazzino, inesperto a un simile atteggiamento e incapace, in ogni modo, di resistergli.
Simona si scoprì impaziente, quella stasi silenziosa andava spezzata ed era tempo di mettersi a danzare.
Prese a parlare, praticamente da sola, sciorinando luoghi assolutamente comuni. Si lamentò per il caldo insopportabile, delle previsioni che non promettevano niente di buono. Si sedette sul piccolo divano, in posizione scomposta, con le gambe accavallate in modo mascolino, disse almeno tre volte che aveva una gran voglia di andarsene al mare e chiese, senza un vero interesse, se loro avessero già organizzato le vacanze.

Eppure che bella doveva essere, così libera e discinta, accaldata dall’estate e dalle proprie inconfessabili voglie, cresciuta nel corpo ed esplosa nell’anima, infinitamente divertita dallo scoprirsi capace di giocare a fare la porca.
Claudio, il brav’uomo, non smise per un istante di dare a quella femmina tutto ciò che voleva, e vale a dire una costante e impacciata attenzione. Rispondeva con pochi monosillabi e il resto del dialogo lo affidava agli occhi. Quel piede inquieto, sospeso a mezz’aria, lucido e affusolato, impreziosito dal nero brillante dello smalto, incapace di resistere al vezzo di muoversi e far risuonare la suola di cuoio sulla pelle. Le cosce, burrose e rosate, divaricate dalla posa insolita, quasi volgare senza per questo smettere di essere aggraziata.
Le mani poi, perennemente in movimento, le usava per sventolarsi il viso e poi subito le portava ai capelli, li raccoglieva, li sollevava e provava a darsi sollievo al collo, in una sorta di irresistibile massaggio. Rideva, forte, sussultando quello straccio di canottiera, deformata da quelle sue immense deliziose pere della madonna. Chissà, se chiamarla in causa per un miracolo del genere non fosse in realtà la più alta forma di blasfemia possibile.

“Che belle!” esclamò Simona all’improvviso e per un solo istante sembrò si stesse facendo un complimento da sola. Poi si alzò in piedi e si diresse verso la parete lì di fronte, dove vecchie cornici appese raccontavano il passato di una famiglia come tante.
Claudio, sua moglie, i loro figli ancora ragazzini, tutti sorridenti, immortalati per sempre sulla carta fotografica e ignari di qualsiasi possibile futuro. Il valzer delle frasi fatte tornò a risuonare, tra i “dove eravate qui?” o i “me lo ricordo Davide con quella tuta” e giù a ridere, con nuove fulminanti turbolenze.
Forse che il tempo avesse iniziato a correre in un modo diverso, scalciando via le stagioni? Che il caldo fosse diventato insolitamente polare, soffiando venti dolci che in qualche modo erano andati a solleticare la femmina lì dove è più sensibile?
Perché una nuova evidenza si palesò agli occhi del signor Claudio, distratto da qualsiasi discorso, forse anche da se stesso. Quella dei capezzoli turgidi e insolenti, tesi sotto la stoffa bianca con una certa prepotenza.

Schiamazzi nelle orecchie, lontani, troppo lontani. Bambini che si rincorrono e ad ogni passo diventano più grandi. Il giardino pieno di sole in un tempo che sembrava sempre estate, guardarli giocare, sorridendo, e accorgersi di quella ragazza, ormai adolescente, che sembrava avere più fretta di tutti. Quando era successo? Qual era il momento esatto in cui Claudio, osservandola, aveva sentito il proprio sorriso incresparsi di una luce diversa? Quegli occhiali grandi, l’espressione sempre troppo seria, il corpo che si accende e cresce sempre di più, fino a tramutarsi in quella donna, lì, così vicina da riuscire a indovinarne l’odore. Innocuo eppure inopportuno era stato il suo cuore di tanti anni fa, così come lo era ancora adesso, che accelerava il suo battito al cospetto di cotanta meraviglia.
Se solo fosse stato più giovane, ma giovane quanto? In quale assurdo universo sarebbe stato possibile anche solo dirle “quanto sei bella, Simona, quanto sei tanta.. quanto sei..”.
“Beviamo qualcosa?” disse lei ridestandolo dai suoi deliri, “sì, ma certo, vuoi, un caffè?” rispose lui, alzandosi in piedi con uno scatto.

Lei si guardò attorno, curiosa e sbarazzina, vide il piccolo frigo, ci si avvicinò e lo aprì con un sorriso, lasciandosi rinfrescare dalla luce elettrica.
“Sai che un paio di volte siamo venuti qui a bere di nascosto?” disse, ondeggiando incerta sui fianchi.
Claudio lo sapeva benissimo ma, chissà perché, forse per tenerezza, negò, mostrandosi addirittura sorpreso.
La vide poi rialzarsi con due birre tra le mani pensando che adesso era grande e non aveva più alcun motivo per nascondersi.

“Hai qualcosa per..” chiese lei porgendogli le bottiglie, come qualsiasi donna che chiede a un uomo di fare un po’ il maschio.
Lui le si avvicinò, così che per un attimo furono uno di fronte all’altra, così che gli occhi si riempirono ancora una volta di desiderio.
Tirò fuori dalla tasca un grosso mazzo di chiavi e ne usò una per fare il proprio dovere, il tintinnio dei vetri appannati nel più classico dei cin cin, come amici che si ritrovano dopo tanto tempo.
Simona diede una bella sorsata e poi decise, chissà perché, di andare a sedersi sulla scrivania, iniziando a ciondolare le gambe, senza sapere più di cosa parlare.
Che argomenti potevano poi avere quei due? Che mai si erano ritrovati in una situazione come quella.
Il mare, le vacanze, ecco, sì, tornò buona quell’inutilità di parole, lei riprese a dire che aveva voglia di andarsene in vacanza e fuggire via da quel caldo insopportabile.
Si concesse un gesto poi, un gesto piccolo, assolutamente naturale, la mano afferrò il bordo superiore della canottiera, lo tirò appena e le labbra si chiusero per soffiarci dentro.
Un gesto piccolo e insignificante, che in qualche modo costrinse Claudio a sedersi sul divano, schiarirsi la gola con un po’ di birra ghiacciata e distogliere finalmente gli occhi da tutto ciò che stava accadendo.
La voce di Simona continuò a riempire il silenzio, forse aveva necessità di mostrarsi grande, parlava, raccontava di un episodio di molti anni prima in cui si era ubriacata in vacanza e Davide aveva dovuto riaccompagnarla in albergo. Rideva forte e da sola, poi sorseggiava e aggiungeva dettagli a casaccio.
Claudio annuiva divertito, commentava di tanto in tanto, distratto da tutto e da niente, vide quelle gambe ondeggiare spensierate finché, una delle infradito cadde a terra, con suono di schiaffo sul pavimento, senza che lei la smettesse di raccontare e darsi della sciocca, per quanto aveva esagerato quella volta, che non era ancora abituata a bere e per fortuna non doveva guidare e poi anche l’altra calzatura si sfilò, liberando i piedi che non la smettevano di muoversi, perché ad esempio il vino quando era più giovane non le piaceva e aveva imparato ad apprezzarlo solo più tardi e via a ridere con le labbra umide di birra, la mano fra i capelli a tirarli su e la spallina, che invece cadde giù.
Simona trovò il coraggio di pronunciare addirittura un “ops” prima di raccoglierla e riportarla al suo posto, che se solo avesse riso più forte si sarebbe ritrovata a mostrare un capezzolo al padre del suo amico e invece disse solo “ops”, prima che tutto diventasse davvero troppo.
Perché non è che avesse poi davvero chiaro in mente cosa volesse ottenere da quello strano gioco, forse era già più che sufficiente, si era fatta guardare e aveva fatto un po’ la scema, probabilmente poteva anche bastare che, davvero, mai aveva pensato di spingersi oltre.

“Era quella famosa vacanza.. quella dell’anno dopo i mondiali?” chiese lui, forse per scacciare via quel momento di reciproco imbarazzo.
“La vacanza?” disse lei, che in realtà aveva capito benissimo a cosa si stesse riferendo e in un istante si sentì avvolgere dalla stessa identica sensazione che aveva provato quel giorno, rivide la scena, il bacio sulle guance e quella frase, quel sussurro di apprezzamento che non aveva mai più dimenticato.
“Quella in cui ti sei ubriacata..” chiarì Claudio, senza neanche immaginare cosa stesse scatenando. Il bagliore dei ricordi, sempre più belli e più potenti quando vengono a trovarti nel presente.
“Te lo ricordi il giorno in cui siamo partiti?”.
Ecco, in quel preciso istante il cuore di Simona iniziò a incepparsi, sfinendole il respiro, il gioco stava prendendo una piega che non aveva previsto ma forse, senza ammetterlo a se stessa, aveva sempre desiderato.
“Ti ricordi quando ci siamo salutati.. quel giorno”.
Claudio strinse gli occhi, senza capire bene cosa lei gli stesse chiedendo, aveva ricordi sfocati di quel giorno “sì, credo di sì, Davide aveva quella vecchia Peugeot e..”.
“Quel giorno ti ho sentito”.
La bocca semiaperta, lo sguardo incerto, a cosa si stava riferendo? Cosa aveva sentito? Per quanto si sforzasse, Claudio, non riusciva a mettere a fuoco il centro del discorso.
“Ci siamo salutati e poi ti ho sentito che dicevi una cosa..” disse lei, scoppiando a ridere che quasi la birra le andò di traverso.
“Ho detto qualcosa? Io? Non ricordo.. non so.. l’ho detta a te?”.
“Non l’hai detta a me ma, come dire, ho capito che parlavi di me”.
Da qualche parte, in un posto lontanissimo e ancora inafferrabile sopraggiunse un’idea confusa, nella mente di Claudio, un sospetto che no, non poteva essere, non ricordava, non aveva detto niente, non avrebbe potuto, non quel giorno, anzi mai e poi mai si era permesso di dire qualcosa su di lei.
“Dai, era una battuta, niente di grave, magari non ti sei accorto che ero lì dietro di te”.
Un sorso di birra a testa, l’espressione divertita dell’una e lo sguardo ingessato dell’altro.
“Non, non ricordo proprio, ho detto qualcosa di sconveniente?”.
“Diciamo che in qualche modo mi hai fatto un complimento” e di nuovo a ridere, con un certo nervosismo addosso.
“Beh, io..” sospirò lui, ora ancora più confuso, scavando nella mente frasi che avrebbe potuto dire senza mai trovarne una che fosse giusto lasciarle ascoltare.
“Ti sei voltato verso qualcuno, non ricordo chi era e..” per quanti dannati motivi si ride, quanti? Per nascondersi e non dovere più parlare, per la birra troppo fredda che scende giù nella gola e alleggerisce la testa per la pancia, contratta dai crampi dell’imbarazzo per le cosce, che tremano di una incredibile trasgressione.
Simona attese il respiro buono e tirò fuori una voce buffa, con cui provava ad imitarlo, crucciando anche gli occhi:
“Madonna, che pere, che ha!”.
Cinque parole, solo quelle, poi fu solo un gran silenzio.

Claudio non ricordava minimamente di aver detto una cosa del genere, di certo sapeva che quella frase, quel modo di dire gli era familiare, che certo, sì, quante volte lo aveva pensato ma, lasciarselo scappare in quel modo, farsi sentire, da lei, come aveva potuto?
Si sentì di colpo inopportuno e impacciato, balbettò qualcosa dicendo solo “io..”, abbassando di nuovo gli occhi su quel seno meraviglioso e maledicendosi, in che razza di situazione era andato a cacciarsi?

Fu in quel momento che lei saltò giù dal tavolo, camminò scalza fino al divano e si sedette, proprio accanto a lui.
Altro silenzio indecifrabile e vuoti da riempire, la voce poi, incrinata da un’emozione tutta nuova:
“Guarda che non me la sono presa, davvero, e poi non è la prima volta che mi sento dire una cosa simile”.
Sorrise, cadenzando certi pensieri che non avevano senso, sussurrando parole che forse ne avevano ancora meno:
“Magari, ecco, non me lo sarei aspettato da te..”.
Claudio disse “scusa” e nient’altro, chissà da quanto tempo non viveva una situazione come quella.
“L’ho preso come un complimento e mi ha fatto anche piacere, tutto qua” disse lei, poi abbassò gli occhi, su se stessa, prese a fissarsi il seno con un certo innegabile orgoglio, afferrò di nuovo lo scollo della canottiera e ci sbirciò dentro, tornando a fare quella buffa voce da maschio:
“Che pere!” lo canzonò, provando a sciogliere tutta quella tensione.
Lui si mise una mano sugli occhi, poi fece un verso, come per ridere o schiarirsi la voce, come per scacciare via un po’ di nervosismo “ho fatto una figuraccia!” disse, con voce da ragazzino.
Tornò a fissarla, proprio lì, non aveva più modo o motivo per evitarlo, la vide assorta a guardarsi, stringersi i seni col braccio come per aumentarne il volume, quel solco, lì in mezzo, così invitante e accogliente, la pelle tesa, lucida, eppure così infinitamente morbida.
“Sono molto belle” sibilò, sentendosi in qualche modo liberato e in un certo senso quasi commosso.
“Grazie” rispose lei, aggiungendo poi con naturalezza “sono molto contenta, che ti piacciano”.
Claudio non trovò di meglio da fare che attaccarsi alla bottiglia, illudendosi forse che nel suo laboratorio non stesse succedendo niente di strano, che non ci fossero un uomo e una donna a parlare di tette, di quelle splendide di lei, tanto per essere precisi.

Poi, non so come, davvero, non so perché, ma a Simona venne in mente che poteva spingersi ancora un po’ più in là.
Con la mano si abbassò le spalline, prima l’una e poi l’altra, continuando ad abbracciarsi la canotta sul petto.
“Sono così bianche, dovrei proprio prenderci un po’ di sole”.
La vacanza, ecco, perché non riprese a parlare di quello? Perché non tornare a essere sciocca, invece di continuare a essere così pazza?
Gli occhi fissi sul proprio seno, quasi a studiarselo, per capire se davvero fosse possibile, in qualche modo, renderlo ancora più bello e desiderabile.
“Vorrei tanto provare il topless, ma non ne ho mai avuto il coraggio”.
A Claudio sembrava essersi interrotto l’apparato respiratorio, gocce di sudore a rigargli le tempie, dio, che estate rovente che fu quella.
“Simona..” disse solo, incapace lui stesso di capire come continuare la frase.
“Che c’è?” rispose lei stizzita, alzando di colpo le braccia e tornando a sollevarsi i capelli dal collo, dimostrando di aver trovato evidentemente tutto il coraggio necessario.
La canotta esausta se ne stava lì, aggrappata con l’ultimo brandello di forza a uno dei seni, mentre l’altro, candido e rigoglioso, esibiva se stesso senza più alcuna vergogna.
Il capezzolo, increspato, indurito ormai chissà da quanto, puntava dritto contro quell’uomo, che aveva venticinque anni più di lei, che poteva essere suo padre, suo zio, un membro della stessa famiglia allargata ma che, a ben vedere, non era nemmeno un suo parente.

Simona avrebbe potuto dire di nuovo “ops” e sistemarsi, ma non lo fece, piuttosto le venne in mente che c’era una cosa che voleva.
Guardò quell’uomo lì davanti che le fissava il seno scoperto, totalmente in balia dei suoi giochi impertinenti, stette un po’ lì a pensarci e poi disse:
“Me lo ridici?”.
“Cosa?” chiese lui.
“Quello che hai detto quel giorno, il giorno della partenza”.
Claudio respirava piano e profondamente, non si faceva domande, non pensava a niente, di certo smarrì per un attimo anche la consapevolezza di avere una moglie, disse solo:
“Perché?”.
Simona aveva passato tutta l’infanzia a nascondersi, poi lentamente aveva imparato ad accettarsi, acquistando gradualmente una sicurezza che l’aveva infine condotta a quel momento, a sentirsi libera e compiaciuta del proprio corpo, desiderosa di mostrarlo come e quando avrebbe voluto.
Con un gesto rapido si scoprì anche l’altro seno, così che l’uomo non avrebbe più avuto scampo, così che, quelle grosse tette, lo avrebbero ipnotizzato, tornando a farlo sentire libero di dire tutto ciò che voleva.
“Perché mi piace” rispose infine lei, iniziando ad accarezzarsi lievemente le areole.
Non c’era poi chissà quale pensiero da formulare, la frase era quella. C’era solo da arrendersi all’evidenza di quella incantevole visione, all’armonia dolce di quelle forme giunoniche e irresistibili. Fare un sospiro e lasciare infine che le parole si allineassero, ordinate, definendo le cose per quello che sono:
“Madonna, che pere, che hai”.

Lei fece un sorriso enorme, mordendosi le labbra coi denti, poi tirò indietro la testa e si fece risuonare in bocca quella buffa parola:
“Le pere!” e prese ad accarezzarsele, con maggior vigore.
“Le hanno chiamate in così tanti modi che quasi potrei farne un elenco, ma mai nessuno ha usato questa parola, sai?”.
“Le pere” ripetè anche lui, che a pronunciarla sembrava di saggiarne la consistenza, la stessa che quelle dita affusolate stavano richiamando ai sensi, stringendole e impastandole, sempre di più.
Un’ultima decisiva palpata e poi le braccia si issarono verso l’alto, come per stiracchiarsi, drizzare la schiena ed esporsi ancora, sbuffando noia e sensualità.
“Dovrei davvero provarci, ad andare al mare e fare un po’ di topless”.
Claudio non sentì il bisogno di rispondere, gli sembrò piuttosto di udire un richiamo di gabbiani e il profumo dell’olio abbronzante, il solo pensiero di quella ragazza, distesa al sole con i seni al vento, gli apparve come la cosa più bella del mondo. Passeggiare sulla sabbia e ritrovarsela davanti, fermarsi a chiacchierare, in un paradiso lontano e forse impossibile.
Eppure era proprio lì, vera, reale, autentica e gonfia, più di qualsiasi sogno, con praticamente solo quegli insulsi pantaloncini addosso.

Simona aveva caldo, sentiva la pelle bruciare, se ne stava mezza nuda di fronte al signor Claudio, strofinando i piedi scalzi uno contro l’altro, inquieta, come chi ha bisogno di qualcosa e non sa se può averlo.
La birra, pensò a quella, avrebbe voluto rovesciarsela addosso e farsela colare sulle tette, qualsiasi cosa pur di placare quella strana frenesia che le stava ora mordendo la pancia, sciogliendosi nel centro esatto delle cosce.
Aveva lasciato la bottiglia sulla scrivania, vide Claudio e pensò di farsi dare la sua, allungò il braccio e lui, in uno stato di incanto assoluto, o per meglio dire rincoglionito più che mai, confuse quel movimento con la proposta di stringersi formalmente la mano. Non so davvero che gli passò per la testa, voleva presentarsi? O congedarsi dopo la piacevole visita? Sta di fatto che rispose alle stretta, in modo piuttosto goffo.
Lei rise, disse anche “piacere”, per prenderlo in giro o per dichiarare cosa stesse provando, a conoscersi, per la prima volta, in quel contatto assolutamente fortuito.
Claudio aveva mani grandi, forti, segnate dal lavoro che per anni aveva fatto, in quello stesso posto, ore infinite a riparare esistenze, smontando e rimontando le vite di tutti, Claudio, aveva mani dure ed esperte, a cui avresti affidato qualsiasi cosa.
Forse è per quello, per quello scarto benedetto tra forza e delicatezza, che Simona sentì una fitta ancora più grande, e senza neanche pensarci trascinò quella grossa mano sul proprio petto e se la strinse sul cuore, per poi abbandonarla al suo unico destino.

È estenuante, immaginare, raccontare, scrivere, dilatare all’infinito un tempo così piccolo e così incredibile. Erano lì, insieme, da poco più di mezz’ora ed era successo di tutto, gli occhi avevano guardato, così come il capriccio della femmina aveva desiderato. La mano del maschio prese a muoversi, così come natura, da sempre, comanda.
Quelle immense tette, quelle grosse pere, quelle immani bocce, così fresche e morbide, così sode, che nessun sinonimo sarebbe bastato a raccontarle. Madonna, pensò Claudio, Madonna e non lo disse, non aveva più fiato per parlare o pensieri da raccogliere, godeva di quel contatto assurdo e meraviglioso, sempre meno incerto e sempre più deciso, massaggiava, strizzava, con una calma esasperante, possedeva, ogni centimetro di quella carne di donna, lei gliele aveva offerte, lei lo voleva, lei aveva giocato e infine trionfato, chiudendo il cerchio della trasgressione più folle che entrambi avessero mai vissuto.

Non correva, Claudio, non si lasciava possedere dalla frenesia e questo nonostante il suo cuore stesse impazzendo. Aveva imparato come usarle quelle mani, aveva appreso quanto fosse importante muoversi piano, con le cose delicate e preziose.
Simona piuttosto, ne sembrava straziata, si guardava il seno, stretto in quella morsa continua, vide il capezzolo spuntare fra le dita forti e sulle dita vide la fede nuziale. Chiuse gli occhi, ansimando, scuotendo via i pensieri, tremando dentro e vibrando fuori finché, quando sentì che un’altra mano era arrivata a prendersi cura dell’altro seno, iniziò a gemere.

Era fradicia, certo che lo era, aveva iniziato a inumidirsi già dalla mattina, quando uscendo di casa aveva realizzato che lo stava facendo davvero, che i suoi capricci e le sue fantasie erano a sua libera disposizione.
Poi quando lo vide venirle incontro, quando sentì di nuovo quello sguardo sul petto, una nuova scossa di brividi fra le gambe; tutte le chiacchiere e lo stronzate, sciorinate con la testa perennemente altrove, impegnata in una coreografia di movimenti innaturali e provocanti. La canottiera aveva preso a deformarsi sempre di più, che quasi sentì di poterla bucare, quasi le dava fastidio e per ogni volta in cui lui la guardava non riusciva a smettere di colare, fra le labbra, ancora e ancora.

Ora era lì, ora tutto stava accadendo. Simona aprì gli occhi e trovò quelli di Claudio, così seri, così pieni di una luce sconosciuta, che quasi la sorprese. Le bocche dischiuse a respirarsi addosso, mai erano state così vicine, avrebbero potuto dirsi qualcosa ma non l’avevano mai parlata la lingua del piacere, si conoscevano da una vita ed erano stati di tutto, fuorché amanti.
Le mani del maschio non smettevano di muoversi, accoglievano le forme, le soppesavano, poi le dita ci scorrevano sopra fino a pizzicarle i capezzoli, piano e ripetutamente, quasi a sfinirli, così che Simona tornò a parlare e disse solo “sì”, con voce piccola e disperata “sì”, che mai aveva goduto così tanto per una cosa del genere mai, aveva formulato l’assurdo pensiero che un uomo potesse “masturbarle le tette”.
Perché non erano quelli i movimenti affannati di un semplice preliminare, erano tutto, erano un piacere nuovo, lasciare che un maschio si impossessasse dei suoi seni, martoriandoli, coccolandoli, celebrandone la magnificenza, in un modo così bello che divenne inevitabile stringere le cosce e iniziare a sentire quelle scosse, quelle pulsazioni disperate con cui la fica, a suo modo, dichiara il proprio godimento.

Forse Claudio se ne accorse, forse gli venne solo una gran voglia di obbedire al proprio istinto e prendersi tutto. Si piegò sul corpo splendente di Simona fino a portarle le labbra sui seni, un bacio, poi un altro e un altro ancora, delicato e irresistibile. Il capezzolo finì preda delle labbra e da esse fiorì la lingua, avida e incredibilmente esperta che iniziò a stimolarla, nello stesso identico modo in cui una donna vorrebbe essere leccata fra le cosce.
Dove diamine avesse imparato a farlo così, a muoverla con quella sapienza, disegnando le areole, saggiandone la porosità, aprendo poi la bocca per ciucciarle, finalmente, quelle sue grosse meraviglie. Sapeva perfettamente cosa fare, quanto insistere, quanto torturarla e portarla verso il limite senza mai oltrepassarlo. Ci ansimava sopra, godendo lui stesso, leccandole via il sudore copioso di quell’estate rovente e indimenticabile.
È assurdo, è fuori da ogni logica, immaginare il corpo di Simona percosso da spasmi così forti, stringere le gambe e iniziare a tremare dicendo ancora “sì, sì, sì”, incredula di se stessa e di cosa le stesse accadendo. Le mani a rovistarsi i capelli, le guance rosse e i seni in fiamme, si figurò che lui li mangiasse e lui lo fece, ingoiandoli a bocca piena, come mai nessuno aveva fatto prima di allora.
Le mani forti strinsero la mammella, la lingua tornò a vibrarci sopra, la punta a sfiorare il capezzolo, inarrestabile e determinata, fino a sfinirla, fino a innalzarla nell’apnea di un solo, piccolissimo istante, l’ultimo prima della deflagrazione.
Simona urlò, così forte che la sua voce arrivò fino in giardino, prese fra le mani la testa di Claudio e se la strinse sul petto, a soffocarlo. Il corpo dapprima si tese, inarcando i piedi nel vuoto, poi sembrò precipitare, dimenandosi, fuori da ogni controllo, con certi versi graffiati e incomprensibili e infine, prese come a danzare, sinuosa, recuperando piano battiti e respiri, con gli occhi lucidi e le labbra aperte, più bella di sempre, disfatta dall’orgasmo più incredibile che avesse provato nella sua vita.



















A volte mi capita di chiedermi dove fossi, quel giorno. Ero a casa? Al lavoro? Passeggiavo tranquillamente per il corso?
E la vita del piccolo paese? Scorreva via come sempre, ignara di quanto stesse accadendo in quella villetta. Una scena talmente assurda e impensabile, che avrebbe fatto infiammare qualsiasi malalingua.
Claudio lo conoscevano tutti, era un uomo buono, da sempre chiuso nel suo piccolo laboratorio a riparare la vita di chiunque.
Simona, poi, crescendo era diventata sempre più bella e non c’era uomo che, almeno una volta, osservandola, non avesse bisbigliato chissà quale apprezzamento inconfessabile.
Faceva un gran caldo, questa è l’unica cosa che sapevamo tutti, ci si lamentava del sole e si sognavano vacanze impossibili, in quel moto perpetuo di serena e ostinata insoddisfazione.
































Sono passati quindici anni da quella splendida vacanza coi coscritti. Alcuni di loro hanno ormai da tempo preso il volo, vivono in città lontane e di rado tornano a trovarci.
Simona la vedo spesso, anche tra mille impegni troviamo sempre il tempo di incontrarci per aggiornarci sulla nostra vita, i figli, la famiglia, il lavoro e gli immancabili vecchi ricordi, per sempre più forti e più belli quando vengono a trovarti nel presente.
Tempo fa eravamo in un bar, davanti a uno spritz, quando a un certo punto ho visto entrare un uomo che non vedevo da un sacco di tempo.
Invecchiato come chiunque, sorridente e affettuoso come qualsiasi membro della nostra famiglia allargata.
Ci siamo salutati tutti e tre, era bello rivederlo, abbracciarlo nel tepore condiviso dei momenti vissuti insieme.
Sembrarono entrambi piuttosto intimiditi e a malapena si rivolsero la parola.
Quando lui ci salutò, lasciandoci al nostro aperitivo, mi scappò da ridere, guardai Simona e le dissi “Hai per caso notato che Claudio ti ha fatto la radiografia alle tette?”.
Lei strabuzzò gli occhi, aveva le guance rosse, mi sembrò assurdo pensare che si fosse imbarazzata per una considerazione simile, non era la prima volta che scherzavamo insieme su cose come quella e avevamo sviluppato la confidenza necessaria a dirsi davvero di tutto.
Le chiesi solo: “Tutto bene?”.
Stette lì a guardare il bicchiere, sembrava essere alla ricerca delle parole giuste per fare chissà quale rivelazione.
Poi fece un sorriso da ragazzina, sbuffò e disse:
“Devo raccontarti una cosa…”.












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2023-02-01
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