Il Boiardo

di
genere
etero

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Nota dell'autore: Questa è un'opera di fantasia, qualsiasi somiglianza con nomi, persone, fatti o situazioni della vita reale è puramente casuale.
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Marzo 1990
Papà mi ha chiamato ed eccomi qua!
Il giorno del mio trentesimo compleanno mi ritrovo al suo cospetto nella biblioteca della villa di famiglia, a Bornico, sul lago di Garda.
- Allora, ti ho richiamato in tutta fretta dal Brasile perché è sorta un'opportunità unica per te.- mi dice, raggiante.
- Sono riuscito a piazzarti come AD nella...- e mi cita una prestigiosa società parastatale italiana - Ed è "prendere o lasciare", sennò il Catalani se lo cucca per il suo affiliato.-
Mi guarda trionfante, e mi chiede:
- Allora che te ne pare?-
Tentando fare la mia faccia più convinta possibile, rispondo:
- Bellissimo!-
In realtà io me ne rimarrei volentieri a Rio de Janeiro, dove ho un incarico di rappresentante locale di un'altra parastatale, che è una vera e propria sinecura.
Per il momento, sono stati i due anni più belli della mia vita: sole, spiaggia e belle ragazze che non chiedono niente di meglio che cadere nel mio letto.
- Benissimo, allora domani, venerdì, il CdA ratifica la tua nomina e lunedì cominci.-
- Accidenti: che tempi brevi!-
- Oggigiorno è così: il tempo è denaro, e non si può buttare via.-
- Bon allora, immagino che Patrizia abbia preparato un dossier sulla società, da passarmi.-
- Così mi piace il mio Carlo: sempre un passo avanti! Sì c'è l'ha già pronto per te, mettiti in contatto con lei.-
In questo papà ha ragione: sono parecchio sveglio ed anche ben preparato.
Laureato a ventun anni in ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Milano, coi massimi voti, Master ed MBA a Parigi ed a Londra.
Grazie a papà ero riuscito ad ottenere, come secondo incarico, il mio attuale lavoro a Rio de Janeiro.
Lì non avevo voce in capitolo nella conduzione della società, che andava a rotoli, per cui mi sono limitato a vivere la bella vita di Carioca spensierato.
Appena finiamo la riunione, in cui papà si dimentica di farmi gli auguri di compleanno, telefono a Patrizia.
Lei, che mi conosce fin da bambino, gli auguri me li fa:
- Auguri, Carlo, Tanti di questi anni: sono trenta né! Allora il dott. Erminio ti ha già dato le buone nuove?-
- Grazie, Patrizia! Sì mi ha già detto tutto. Mi ha detto anche che hai un fascicolo per me.-
- Certamente! Dove vuoi che te lo consegni?-
- Vengo a prenderlo io in ufficio. Parto adesso da Bornico e, prima di mezzogiorno, sono lì.-
- Mi raccomando, non correre troppo, che tanto io ti aspetto.-
Patrizia è un concentrato di efficienza, la vera donna dietro ad un grande uomo, cosa che purtroppo non è mai potuto essere mia madre, che lo ha lasciato vedovo quando io ero ancora giovanissimo.
Quanto a mio padre, beh, io non glielo direi mai, ma più che brillante lo definirei un opportunista sopraffino.
Venuto su dal nulla, ha sposato mia madre, figlia unica di una famiglia blasonata e con forti agganci politici.
Per vari anni, papà ha fatto il galoppino a suo suocero, eletto deputato ad ogni elezione.
Con la morte dei suoceri in un incidente stradale, si è trovato un attimo spaesato, ma subito ha trovato rifugio sotto l'ala protettrice di B. potentissimo politico di un partito che, pur piccolo, fungeva d'ago della bilancia nei delicati equilibri della politica italiana.
Ereditando i voti dal suocero, riuscì ad eleggersi come deputato, ma in realtà continuò a fare il galoppino, questa volta di B.
Papà stravedeva per me.
Sapeva che ero molto capace, ma quello che mi frenava era la mia indole pigra e restia dallo sporcarmi le mani.
Tutte le volte che mi aveva proposto di entrare in politica mi ero rifiutato veementemente.
Avevo però aperto uno spiraglio per un eventuale incarico in una parastatale.
Cosicché, una volta tornato da Londra, andai a lavorare, a Roma, in una società della galassia parastatale, giusto il tempo per raggiungere la dirigenza in tempo record.
Papà, poi, mi ottenne il primo incarico titolato, a Rio, ed ora, ad appena trent'anni, mi trovavo AD di una stella di prima grandezza.
Inforco la Laverda 750, con la quale sono arrivato ieri sera da Milano, e prendo la strada a ritroso.
Arrivo in tempo record e vado direttamente nell'ufficio di rappresentanza che papà ha ereditato dallo suocero, in centro a Milano.
- Buongiorno Patrizia.-
- Buongiorno, Carlo. Ma tu sei volato! Dovrei tirarti le orecchie! Comunque, buon compleanno.-
Si alza e viene a darmi un abbraccio.
- Ecco qua il dossier!- dice, porgendomi un plico di carte.
- Se vuoi, ti apro spazio in una scrivania, nell'ufficio accanto, così puoi studiare le carte.-
- Ti ringrazio tanto, ma preferisco studiarle nella mia stanza. Ieri il mio volo è arrivato tardissimo ed ho avuto giusto il tempo di lasciare giù i bagagli a casa, prima di correre, in moto, a Bornico.-
Metto nello zaino il plico, la saluto, vado a riprendere la moto e faccio rotta verso l'appartamento di San Siro.
L'appartamento, in una signorile palazzina, eretta negli anni cinquanta e ristrutturata negli anni ottanta, era stato il regalo di nozze di mio nonno materno, ed è quello che io ancora considero come "casa".
Arrivato all'ultimo piano, ed entrato in casa, sono ricevuto da Rosa:
- Buongiorno, signorino Carlo.-
- Buongiorno Rosa.- le rispondo, dandole un bacio sulla fronte.
Piccola, magra, e con il volto senz'età, tipico delle filippine, Rosa è la Colf di casa da prima che io nascessi, e l'unica che mi chiami "signorino".
Ha cinquantun anni, e venne fatta venire dalle Filippine giovanissima da mio nonno, per assistere la figlia durante la sua difficile gravidanza.
Estremamente timida e riservata, tuttora parla male l'italiano, e per lei l'Italia, ed il mondo, è poco più del nostro appartamento, i negozi nei dintorni, la messa della domenica, e qualcosa visto alla televisione.
Devotissima, nonostante la deferenza con la quale mi tratta, mi considera come se fossi suo figlio e darebbe un braccio per me.
- Il signorino si ferma a mangiare?-
- Sì, Rosa, ho delle carte da studiare, e rimarrò nella mia stanza tutto il fine settimana. Per cui preparami qualcosa di buono.-
Per un istante, il suo volto s'illumina d'allegria, poi riassume l'espressione seria, e mi risponde:
- Certamente, signorino.-
Nella pur breve convivenza con mamma, Rosa ha assorbito da lei tutti i segreti della culinaria italiana, e nonostante il suo aspetto umile, si fa rispettare dai bottegai delle vicinanze, che la forniscono solo delle migliori merci, pena soffrire l'ira funesta del dott. Erminio.
Vado nella stanza, che è mia da quando sono nato, mi siedo alla scrivania dove ho studiato per tanti anni, e mi metto a guardare le carte.
Sono concentratissimo, quando sento Rosa bussare.
- Prego, Rosa, puoi entrare.-
- Solo per avvisarla che sto per buttare la pasta, per cui può andare a lavarsi le mani e venire a tavola.-
- Certamente! Grazie, Rosa.-
Mi sgranchisco un attimo, vado in bagno e poi mi siedo alla tavola di cucina.
Le mie narici si riempiono di odori ed aromi che mi rimandano ad altre epoche della mia vita, quando ero ancora studente.
Subito Rosa mi serve degli spaghetti semplici, ma deliziosi, che io mangio facendo scarpetta con la michetta, come piace a me, mentre a mio fianco Rosa mangia come un uccellino, come suo solito.
Nella breve pausa tra il primo e secondo, comincio a parlarle in tagalog.
Il tagalog me lo ha insegnato lei, come specie di terapia per superare la morte della mia mamma.
All'epoca avevo cinque anni, e l'immersione in questo aspetto di una cultura tanto distante, mi faceva temporaneamente smettere di piangere.
Questo dettaglio fece dare l'approvazione di papà, nonostante lui s'infastidisse per il fatto di non capire niente di quello che dicevamo.
Il tagalog è anche diventata la lingua franca tra me e Rosa, in cui venivano abbattute la barriere sociali, io diventavo Carlo o figlio e non signorino, e lei, semplicemente, mamma.
In tagalog potevo farle le confidenze più intime e delicate, che poi venivano dimenticate, quando si passava all'italiano.
- Sai, mamma, sono quasi dieci anni, fra quelli passati a Parigi, Londra, Roma e Rio, ma l'aroma delle pietanze che mi prepari me lo porto sempre con me.-
- Mi fa piacere sentire questo, Carlo. Dimmi: rimarrai molto?-
- Credo proprio di sì. Da lunedì comincio a lavorare qui a Milano.-
- Che bello! Avere qui il mio figliolo tutte le sere.- mi accarezza la mano e mi regala un sorriso radiante.
- Dimmi come è stato a Rio? Ogni tanto vedo il carnevale alla televisione.-
- Beh, non è carnevale tutto l'anno, ma mi sono divertito parecchio.-
- Ti sei fatto la morosa?-
- No, ma ho avuto parecchie donne.-
Lei arrossisce, e mi dice:
- Figliolo, invece di andare con tante, dovresti cercarne una giusta.-
- Rosa, per favore, mi passeresti un po' più d'insalata?- le chiedo in italiano.
Questo è il segnale che la parentesi di confidenze è finita.
Dopo pranzo, torno nella mia stanza, e continuo a studiare le carte.
Presto comincio a tracciarmi uno schema mentale sulla situazione dell'impresa.
Ed è tragica!
Se fosse una ditta privata, lunedì stesso, dopo la mia nomina, dovrei portare i libri contabili in tribunale.
Ma non lo è!
Per cui ci metteremo una pezza e tireremo avanti.
Dopo una leggera cena, consumata assieme a Rosa, questa volta senza confidenze in tagalog, vado in stanza, mi metto a letto e dormo subito, per smaltire il lungo volo del giovedì.
Il sabato mi alzo presto faccio una corsettina, fino alla montagnetta, poi torno.
Dopo doccia e colazione, riprendo a lavorare cominciando a tracciare possibili scenari futuri dell'impresa.
Il giorno vola e domenica, sono sorpreso dall'ingresso di papà in stanza, mentre sono concentratissimo, scrivendo in un appunto in un taccuino.
Sono lì e lì per protestare perché non ha bussato, quando desisto: questo sarebbe totalmente inutile con papà.
- Ciao papà. Qual buon vento ti porta a Milano? Pensavo che, se non sei a Bornico, sei a Roma.-
- Rimarrò qui per la tua nomina. Dopo il CdA prendo subito l'aereo per Roma. A proposito, non ho trovato Rosa. Sai dov'è?-
- Ma è a messa, ovviamente! Oggi è domenica.-
- Ah, già. È vero! Per questo Giovanni mi accennava a degli straordinari.-
Giovanni è l'autista, ormai sessantenne, di papà. Non lavora molto, ma è molto attento al soldo.
- Siete venuti con la Thema?- chiedo, riferendomi all'ultimo acquisto di papà in fatto di auto.
- Si, certo! Anzi, te la lascio qua e, dopo pranzo, spedisco Giovanni in treno a Bornico. Non penserai mica di andare al lavoro in moto?-
- Certamente! Puoi pure rimandare Giovanni a Bornico con la Thema.-
Papà fa per replicare, ma scuote la testa: sa bene che sarebbe fiato sprecato.
In questo momento arriva Rosa, col tradizionale cabaret di paste in mano che compra tutte le domeniche all'uscita della messa.
Ci saluta cerimoniosamente, e domanda:
- Dottore, lei rimane a pranzo?-
- Certamente, Rosa.-
Rapidamente Rosa prepara il pranzo e ci sediamo a tavola.
Come sempre, durante il pranzo, papà mi fa domande di carattere legale e io gli do consigli su come procedere. Nonostante lui abbia la laurea da avvocato, i tanti anni da galoppino gli hanno tolto la sensibilità su cosa sia legale o meno.
Io sono, perciò, una specie di grillo parlante che gli dice come fare per sporcarsi, il meno possibile, le mani.
Quando siamo al caffè, gli dico:
- Papà, vieni di là, che voglio parlarti una mezzoretta, per dirti come puoi aiutarmi da Roma, nel mio nuovo lavoro.-
Gli espongo così, come ho intenzione di procedere nel lavoro, e come può darmi una mano da dietro il sipario.
Ci ritroviamo, poi a cena, che passiamo in silenzio, guardando il telegiornale, come se fossimo una normale famiglia.
Il lunedì mattina, io vado, in moto, alla sede della impresa, nella periferia sud della città, mentre papà si fa accompagnare da Giovanni, con la Lancia.
Dato che nel CdA nessuno mi conosce, e mi considerano un'imposizione politica, sono tutti abbastanza curiosi di sentire il mio discorso iniziale.
Se da un lato io prometto mantenere la continuità rispetto la gestione anteriore, riesco anche a passare l'impressione di essere preparato e ben conscio della rotta di collisione che si sta preparando.
Nell'applauso finale, sento una certa dose di sincerità, che in un qualche senso mi riconforta.
Salutando papà che sta per salpare verso l'aeroporto, gli sussurro all'orecchio:
- Mi raccomando! Conto su di te!-

Giugno 1990
Da quando sono arrivato a Milano ho visto papà solo ogni tanto, quando viene a trovarmi in ufficio, nei suoi viaggi tra Roma e Bornico.
Oggi è a Milano, ma non ci siamo visti, poiché sta accompagnando una delegazione estera, qui allo stadio, per la partita inaugurale di Italia '90.
Lui è tribuna d'onore, mentre io mi sono piazzato nei posti più popolari.
Non so neanche perché sono venuto, poiché non sono un gran tifoso del calcio.
Ma, avendo avuto l'occasione di comprare un biglietto e con lo stadio che posso raggiungere con una passeggiata da casa, mi sono detto: perché no!
Una bella ragazza si siede a fianco a me.
La guardo con la coda dell'occhio e posso apprezzare le sue gambe color caffelatte lasciate in bella mostra dalla sua minigonna in jeans.
Ad un certo punto mi sento osservato.
Mi giro e vedo che mi sta fissando, per nulla discretamente.
- Mi scusi, noi ci conosciamo?- le chiedo, con qualche sospetto.
- Certo! Io sono Jessica, e tu sei Carlo.- mi risponde, in portoghese.
- Fammi ricordare... Jessica, hm...-
- Sono sorella di Monica. Avete filato assieme per qualche settimana l'anno scorso.-
- Ah, già Monica! E tu sei Jessica. Sei venuta ad una festa, nel mio appartamento di Ipanema, l'anno scorso.-
- Ecco, giusto! Mi hai anche chiavata in quell'occasione.-
- È vero! È stata una mascalzonata bella e buona da parte mia, lo devo ammettere. Ma avevamo bevuto un po' tutti.-
- Questo è discutibile. In realtà Monica era totalmente sbronza, io un po' brilla, ma tu sei astemio.-
- È vero. In realtà lo sono ancora.-
- A tua discolpa devo dire che sono stata io ad attaccare. Era il mio ventunesimo compleanno, sono sempre stata la sorella secchiona e semi-vergine della vamp e volevo scoprire se il tuo cazzo era come lo pubblicizzava mia sorella. E devo dire che era ancora meglio.-
- Meno male!-
- Ma la grande mascalzonata l'hai fatta due giorni dopo, quando nostra madre è venuta a trovarti, per perorare una possibile pace tra te e Monica, e tu hai finito per chiavarla.-
- Per la precisione l'ho solo inculata. Anzi è stata la miglior sodomia che io abbia mai fatto. Il culo di vostra madre è qualcosa dell'altro mondo.-
- Ti ringrazio da parte sua, visto che lei è rimasta in Brasile.-
- A proposito, sei sola qui?-
- Sono venuta in Italia con mio padre, Marta, la mia matrigna e sua figlia Flor. Loro, però, loro sono rimasti a Torino. A me hanno regalato un biglietto per oggi, ho preso il treno e sono venuta qui a Milano da sola. Quando finisce la partita, torno in stazione e vedo di tornare a Torino. E tu? Che ci fai qui?-
- Io abito qui, letteralmente a due passi. Sono tornato in Italia a marzo, ho cominciato a lavorare qui a Milano, e l'appartamento dove abito, dalla nascita, è qui a San Siro.-
- Sarai un gran tifoso di calcio, allora.-
Io rido e rispondo:
- Macché! È la seconda volta che metto il piede nello stadio. Non so ancora se seguire il gruppo degli interisti o dei milanisti che c'era nell'asilo dove andavo da piccolo. Oggi sono qui solo per curiosità. E tu?-
- Adoro il calcio: sono Flamengo dal profondo del cuore. Davanti al Flamengo solo la Seleção, che quest'anno vincerà la coppa.-
- Visto questo tuo entusiasmo, non posso che augurartelo. Comunque, per tagliare la testa al toro: vinca il migliore.-
Parliamo senza sosta durante tutto il periodo pre-partita, vengo a sapere che sta studiando ingegneria nella UFRJ di Rio de Janeiro, e questo viaggio in Italia glielo sta regalando suo padre, come regalo per l'ottima performance all'università.
Oltre a lei, stanno viaggiando in tre: suo padre, la sua matrigna, e Flor, la sua sorellastra.
- Flor è anche una cara ragazza, ma è in quell'età impossibile dei dodici anni: solo perché le sono arrivate le sue cose, adesso è al centro dell'universo!-
Si parla anche di me e delle mie dissolutezze a Rio de Janeiro.
In tutta onestà, le dico:
- Non negherò che mi sono divertito moltissimo nella mia fase di vita a Rio. Però quello che è successo tra me, te, tua sorella e tua madre, è l'apice di un periodo che non si ripeterà. Rimarrà nel ricordo, e punto. Anche se tornassi a Rio, io sono cambiato, la città è cambiata, ed il mondo è cambiato. Figurati che, da quando sono tornato in Italia, non sono stato con nessuna ragazza.-
Lei ride, e chiede:
- Nessuna ragazza? Nessuna, nessuna?-
- Sì! Proprio così!-
Coll'inizio del gioco il nostro discorso langue.
Ci lasciamo trascinare dall'umore della folla, e cominciamo a tifare per il Camerun.
Terminata la partita usciamo dallo stadio assieme a tutti.
Quando sento che Jessica sta per salutarmi le dico:
- Senti Jessica, invece di tentare la sorte in Stazione Centrale, perché non dormi qui da me. Senza seconde intenzioni, ti assicuro. Telefona all'albergo di tuo padre a Torino e lo avvisi. In salotto c'è un divano che è più comodo di molti letti. Domani ti porto a visitare Milano e Domenica mattina ti accompagno a Torino in moto, in tempo per la partita.-
Dal sorriso che si apre nella sua faccia, capisco che era quello che voleva sentirsi dire.
- Accetto di buon grado.-
Facciamo la passeggiata fino a casa.
Quando apro la porta, subito appare Rosa.
Anche nel suo volto impassibile, si nota la sorpresa di vedermi accompagnato da una ragazza.
- Jessica, lei è Rosa, di cui ti ho parlato. Rosa, lei è Jessica, una mia amica di Rio de Janeiro.- dico in italiano.
- Jessica, ecco qui il telefono. Ti consiglierei di telefonare subito a tuo padre, così non sta in pensiero.-
Mentre lei telefona, do le istruzioni a Rosa:
- Rosa, Jessica rimarrà qui fino a domenica mattina. Dormirà qui in salotto. Per favore preparale il divano, ed anche degli asciugamani, che se i brasiliani non fanno il bagno per lo meno due volte al giorno, non sono contenti.-
Dopo la telefonata e la doccia, facciamo uno spuntino in cucina, sotto gli occhi attenti di Rosa.
- Rosa, puoi andare a riposare tranquilla, che Jessica non si perderà nel percorso da qui al salotto. Domani possiamo fare colazione alle otto, dopo Jessica ed io usciamo.-
A malincuore, Rosa ci lascia da soli.
Quando finiamo in cucina, c'è un attimo d'imbarazzo fra di noi.
- Allora Jessica, ti accompagno in salotto, così non ti perdi.- le dico, ridendo.
Arrivati in salotto, aggiungo:
- Beh, buonanotte Jessica.-
- Buonanotte, Carlo.-
Sento che lei rimane delusa che non le ho dato il bacio della buonanotte, o qualcosa di più.
Deluso sono rimasto anch'io, ma qualcosa mi ha trattenuto dal fare quello che, fino a qualche mese fa, a Rio, sarebbe stato la cosa più normale di questo mondo.
Me ne vado a letto e rimango un buon tempo rigirando tra le lenzuola pensando alla pelle color caffellatte che ho rinunciato ad accarezzare, la fica delle labbra marrone scuro e dall'aroma afrodisiaco, che non sto leccando e, soprattutto, l'intimità serica della sua vagina, che non sto possedendo.
Mi sveglio presto, e mi metto i pantaloncini, per fare la mia corsa mattutina.
Passo in punta dei piedi per il salotto e poi, in strada, mi sfogo correndo ad un ritmo superiore del solito.
Al ritorno vado fare la doccia e trovo le mutandine di Jessica stese ad asciugare in bagno.
Ciò mi fa tornare in mente il mio bagno di Rio, dove ciò era comunissimo, ed a volte di più di una proprietaria.
Torno in stanza ad attendere.
Alle sette e mezza, comincio a sentire rumori provenienti dal salotto, e, alle otto precise, ci troviamo tutti in cucina.
Dopo colazione, vedo una leggera smorfia di delusione sul volto di Rosa, quando l'avviso che non torneremo a pranzo.
La compenso, dicendo:
- Conto su di te, Rosa, per una cena che faccia ricordare, alla nostra ospite, Milano. Nel buon senso, è chiaro!-
Una passeggiata fino alla montagnetta, poi in centro con la Metropolitana.
Saliamo sul Duomo, visitiamo la Galleria, il Castello e le vetrine del centro, insomma, un giro proprio da turista.
Un panino ed, il pomeriggio, la porto a vedere qualche angolo meno conosciuto.
La sera ceniamo a casa, dove Rosa si è superata con dei manicaretti leggeri e saporiti.
È apparsa sulla tavola, anche una bottiglia d'eccellente vino bianco, cosa rarissima a casa nostra, ma molto apprezzata da Jessica.
Appena finita la cena, Rosa si anticipa, dicendo:
- Per favore, lasciate tutto lì, che domani, prima di andare a messa sparecchio tutto io. Buonanotte.-
Ciò non è da lei, che è solita essere l'ultima ad andare a letto, dopo aver sparecchiato e lavato tutte le stoviglie.
Mi sta mandando un chiaro segnale: datti una mossa, che questa ragazza ha la mia approvazione.
Nonostante ciò, poco dopo si ripete la scena dalla sera anteriore, con una faccia ancora più delusa da parte di Jessica.
Domenica usciamo subito dopo colazione, prima che Rosa vada a messa.
Vedo che poco manca che Rosa si lasci scappare una lacrima, nel salutare Jessica, come sentendosi sfuggire dalle mani una nuora come lei desiderava.
Il viaggio a Torino con la Laverda, dura un attimo.
Gustavo, il padre di Jessica, che a quanto pare è ignaro della tresca che c'è stata tra me e la sua ex-moglie, e poco sa dell'affaire che ho avuto con le sue figlie, mi tratta benissimo, lo stesso succede con la sua attuale moglie.
Un po' più complicata è la situazione con Flor, che è gelosa della sorellastra e vorrebbe avere tutte le attenzioni.
Offro il pranzo in un buon ristorante che conosco, non distante dall'albergo dove sono ospitati.
Durante il pranzo, coll'aiuto di Jessica, evito di parlare del mio periodo a Rio de Janeiro.
Siamo seduti a tavola, quando Gustavo tira fuori un biglietto, dicendo:
- Ecco la grande sorpresa che avevo accennato a Jessica: sono riuscito ad avere un biglietto extra per stasera. È per te Carlo.- e me lo porge.
- Ti ringrazio tantissimo, Gustavo, ma dopo pranzo torno a Milano, domani è lunedì e lavoro.-
- Ma non se ne parla neanche.-
Dopo qualche discussione, decidiamo, che partirò, in moto, alla fine dalla partita.
All'uscita del ristorante vedo che Jessica riunisce la famiglia per una breve chiacchierata, lontano da me.
Poi lei mi si avvicina, e dice:
- Andiamo qui al bar dell'albergo ed offrimi un gelato.-
Ci sediamo al tavolino e, senza che io capisca bene quello che sta succedendo, Jessica comincia a parlare di cose banalissime.
Dopo un quarto d'ora circa, vedo arrivare la sua famiglia al completo.
Ci dice Gustavo:
- Allora vi aspettiamo davanti al portone d'ingresso dello stadio.- e specifica, esattamente, il posto e l'ora.
Ci strizza l'occhio ed aggiunge:
- Divertitevi!-
Devo essere un grande ingenuo, poiché solo adesso capisco quello che sta per succedere.
- Su, vieni! Carlo!- mi dice Jessica, alzandosi e tendendomi la mano.
Entriamo nella suite, nella quale il personale dell'albergo ha chiaramente aggiunto un secondo letto matrimoniale, per aumentare la capienza per sfruttare il periodo del mondiale.
Ma non è questo che m'interessa in questo momento.
Jessica s'è spogliata, rivelando un bellissimo corpo color caramello.
Seno medio, con capezzoli bruni e una curva delle anche spettacolare fanno un pendant perfetto con le gambe dalle cosce tornite e il suo bel visino col naso a patata.
Mi ricordo allora che, quando l'ho avuta tra le mie braccia un anno e passa fa, ero rimasto impressionato dalla sua bellezza.
- Non ti spogli, amore mio?-
Il fatto di chiamarmi "amore", mi fa suonare un campanello d'allarme.
Più di una volta, nel mio soggiorno a Rio, ho avuto a che fare con ragazze troppo invadenti, che mi chiamavano così.
In ogni caso soprassiedo, e mi spoglio.
Il mio cazzo è già duro, pregustando tutto questo bendidio.
Jessica si inginocchia davanti a me e comincia a farmi un pompino.
Non è chiaramente un'esperta, ma si vede che ci sta mettendo tutta l'anima.
- Voglio succhiarti anch'io. Su alzati!-
La metto sdraiata sul bordo del letto, le scosto l'abbondante vello, riccio e corvino, e comincio a baciarle la magnifica fica dalle labbra marrone scuro.
Il suo sapore è inebriante ed per me è duro separare la mia bocca dalla sua fica, quando lei mi tira su:
- Dai, amore mio: ti voglio dentro di me.-
Mi sdraio su di lei ed il mio cazzo entra nella sua fica, come attratto da una calamita invisibile.
La penetrazione è sottolineata da un sibilo che emette Jessica.
- Dai, chiavami!- m'incita.
Sono mesi che non chiavo una donna, e solo adesso mi rendo conto quanta mancanza sento di questo.
Comincio sentire ribollire l'orgasmo dentro di me e di colpo mi accorgo che non abbiamo preso nessuna precauzione.
- Sto per venire!- l'avverto.
- Vieni, vieni, dentro di me!-
Non me lo faccio ripetere due volte.
Godo riempendole la fica di sborra.
Rimango su di lei, mentre ci baciamo.
Decido respingere, per il momento, la mia curiosità rispetto il suo metodo contraccettivo.
Quando mi sono riposato un po' le chiedo:
- Mi daresti il culetto? Mi pare che l'ultima volta non me lo hai voluto dare.-
Lei ride, e risponde:
- Non te l'ho dato quella volta, non te lo do adesso, ed è mia intenzione non darlo mai. Come dite voi uomini: il mio culo è solo per uscita. Se vale per voi non vedo perché non deve valere per noi donne.-
- Bon, per mia esperienza la a Rio non è esattamente così. Chi più, chi meno, tutte le ragazze si lasciavano inculare, prima fra tutte tua sorella. C'è poi tua madre che è un altro livello.-
Noto che le mie parole la infastidiscono un po'.
- Preferirei che non mettessi mia madre nel mezzo. Diciamo che ho con lei una relazione un po' conflittuale. Non per niente attualmente abito con mio padre e Marta.-
Ricominciamo a baciarci e, in men che non si dica, stiamo chiavando di nuovo.
Il nostro secondo amplesso è lungo e molto soddisfacente.
Varie volte mi devo calmare per evitare di godere riuscendo, così, a prolungare il nostro piacere.
Finalmente ho un orgasmo che riesce a superare l'intensità del primo.
Sotto di me, Jessica comincia a piangere sommessamente.
- Che ti succede, Jessica.-
- Niente! È che sono felice.-
- Per questo piangi?-
- Sì!-
- Io rimarrei tra le tue braccia per sempre.- mi dice, abbracciandomi forte.
- Calma, Jessica, tra un po' andiamo allo stadio, poi io tornerò a Milano.-
- Voglio stare con te! Ti amo.-
Raggelo e mi ricordo una delle ragioni per la quale avevo chiuso con sua sorella.
- Ma Jessica! È solo la seconda volta che stiamo assieme, e qui in Italia ci siamo incontrati solo per caso.- tento ragionare io.
- Difatti è il destino che così ha voluto.-
- Ma tu sei matta.- dico, tirandomi su e cominciando a rivestirmi.
Jessica ricomincia a piangere.
Colto da un improvviso dubbio, le chiedo:
- Tu prendi la pillola?-
- No!-
- Ma allora...-
Vedo la sua faccia cambiare d'espressione, colta da un'improvvisa collera:
- La verità è che non avevo niente incontrario ad avere un figlio da te. Comunque il tuo egoismo può dormire tranquillo: non sono in periodo fertile.-
- Meno male!- dico finendo di vestimi.
- Tieni il biglietto! Dì a Gustavo di regalarlo a qualcun altro. Io torno a Milano.-
- Vai! Vai a Milano! E, per favore, una volta che esci de quella porta, per favore non tornare più.-
- Di questo puoi esserne certa.- dico, uscendo e sbattendo la porta.
Sono furibondo, e in realtà non dovrei esserlo: in fondo la mia chiavata, più che soddisfacente l'ho data.
Ma allora, che mi succede?
Dov'è andato il cinismo che sfoggiavo a Rio, col quale davo addio alle ragazze quando accennavano a diventare un po' attaccaticce?
Sarà possibile che Jessica sia diversa dalle altre ragazze?
In realtà, l'intervento disastroso della madre a Rio, mi aveva allontanato da lei, prima che potessi conoscerla meglio.
In questi due giorni però avevo sentito tra noi un feeling incredibile.
Inforco la moto e comincio a correre per l'autostrada, al limite delle possibilità della Laverda.
Quando arrivo mi butto sul letto, senza neanche incrociare Rosa.
Continuo furibondo, e furibondo rimango per vari giorni.

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Giugno 1999
Sono arrivato da pochi minuti da Milano e ho avuto appena il tempo di sfilarmi il casco, quando vengo convocato da Fatima ad andare nella grande cucina della villa di Bornico.
Hanno deciso di sovvertire la tradizione e festeggiare il compleanno di papà prima del tradizionale pranzo del sabato.
Quando arrivo in cucina trovo tutti lì: Marun, la moglie Fatima, la loro bimba Angela di quattro anni, in braccio a Rosa.
E ovviamente, a capotavola, papà, che oggi compie settanta anni.
Cantiamo la tradizionale canzone, papà spegne una candela augurale, e la saint honorè torna in frigo, per essere servita, più tardi, come dessert, prima che venga attaccata da Angela.
Si pranza, allora con dei tradizionali agnolotti, preparati da Fatima, sotto l'attenta supervisione di Rosa che, poco alla volta, sta passando alla giovane Colf di papà tutta la sua conoscenza culinaria.
Papà, ormai, non viene più a Milano e a Roma neanche a pensare.
In compenso io sono a Bornico tutti i fine settimana.
È bastato un avviso di garanzia, ricevuto agli inizi del '93, che il castello di carte della sua vita politica è crollato in un solo colpo.
Ma, più di questo, tutta la boria che lo teneva su è scomparsa, lasciando a mostra il suo vero essere: una persona debole che aveva sempre bisogno di qualcuno più forte su cui appoggiarsi.
I suoi amici politici erano scomparsi o fuggiti, lasciandolo solo.
Beh, non proprio solo: aveva me.
Tutto quello che era successo non mi aveva colto impreparato, tutti i consigli che gli avevo dato, e che, fortunatamente, lui aveva seguito erano sempre in preparazione per il peggio.
Quando arrivò l'avviso di garanzia contrattai un avvocato ed, assieme a lui controllai tutte le possibili prove, arrivando alla conclusione che non c'era un granché contro papà.
Una cosa certa è che non si era sicuramente arricchito con la politica: il patrimonio ereditato dagli suoceri, e da me gestito fin dai tempi dell'università, non era ne' aumentato e ne' diminuito.
Difatti i magistrati non arrivarono neanche ad interrogare papà, archiviando il suo caso dopo qualche mese di indagini infruttuose.
Le cicatrici nella sua anima, però, non si sono mai rimarginate ed ora evita di uscire dai sicuri confini della sua villa.
Ho cercato di miglioragli la vita, sostituendo tutti gli impiegati della anteriore gestione, ormai tutti in età pensionabile, con gente giovane.
In questo senso trovare Marun era stato un colpo di fortuna.
Sia lui che Fatima erano delle ottime persone, e la loro deliziosa figlia, dava un nuovo animo alla villa.
A Milano, avevo ovviamente chiuso l'ufficio di rappresentanza, e venduto l'immobile.
Patrizia, amareggiata come il principale, è andata anche lei in pensione e si ritirata in Irpinia, sua terra d'origine.
Io avevo cominciato a preparare Rosa a rimanere sempre di più a Bornico.
Sessantenne, ormai senza più agganci, ne' in patria, ne' a Milano, Rosa aveva in me il suo unico faro, e questo non era giusto.
Che insegnasse a Fatima i segreti della culinaria che lei conosceva, e la aiutasse a tenere a bada la bimba.
Cosicché Marun veniva i giovedì a Milano con la Subaru, che avevo comprato per sostituire la Thema, prelevava Rosa e la riportava a Milano la domenica sera.
Ormai Rosa si era abituata ad andare a messa la domenica, assieme a Fatima e Angela, senza avere la sensazione di star tradendo la sua parrocchia.
Finito il pranzo papà ed io andiamo in biblioteca a chiacchierare un po'.
- Allora, come vanno le cose all'università?- mi chiede.
- Bene, però figurati che ho dovuto fare una capatina là, questa mattina, in pieno sabato, per preparare una cosa per lunedì. Avrò una riunione del gruppo Y2K subito di mattina. -
- E, sì, cose che succedono.- mi dice scuotendo la testa.
La mia carriera come boiardo di stato è durata poco.
Proprio nei concitati giorni dell'avviso di garanzia di papà, io avevo presentato le mie dimissioni da AD e stavo iniziando una nuova carriera, nel corpo amministrativo del Politecnico.
Ero entrato lì grazie ad un concorso cui avevo partecipato nella seconda metà del 1990.
Tutto sommato credo di aver fatto del mio meglio nei ventisei mesi un cui ero stato AD.
Grazie alle influenze di papà, ero riuscito a chiudere con i nostri clienti un sacco di opzioni future di addenda a contratti, che avrebbero permesso i miei successori di bypassare delle regole future, sicuramente più stringenti.
Fatto sta, che la parastatale è ancora là, più o meno in piedi.
- Senti, Carlo, ho intenzione di comprare questo francobollo.- mi dice, passandomi un foglio stampato a colori - Che ne dici?-
Studio un attimo il foglio: sembra tutto ragionevole, in ogni caso dico:
- Ci darò un'occhiata e lunedì ti darò il mio parere.- rispondo, riponendo il foglio in tasca.
Quando papà si ritirò dalla vita pubblica, cercai qualche cosa che potesse sostituire la politica nella vita di papà.
Pensai bene, allora, di rispolverare la collezione filatelica di mio nonno, che da anni giaceva nel dimenticatoio.
Cosicché adesso lui ha qualche cosa con cui dedicarsi nei momenti di ozio.
È comunque molto cauto nella compravendita, e non fa niente senza consultarmi.
Il pomeriggio papà va a riposare e Marun ed io andiamo al vecchio fienile dismesso, che funge da garage.
Lì ci sono le vecchie Lancia che per mio nonno erano le uniche automobili che valesse la pena collezionare.
La vettura principale è sicuramente l'Aprilia del 1947, ma ci sono altre pezzi pregiati, tra cui la Thema di papà.
Mia contribuzione è una Stratos stradale, che sono riuscito a comprare tre anni fa, in un colpo di fortuna incredibile.
Io, e soprattutto Marun, la stiamo restaurando ad una velocità che la vedrà, forse, terminata quando andrò in pensione.
Dopo la tradizionale ispezione alla Stratos, passo a verificare lo stato della Laverda.
Ho dovuto convincermi a mettere in pensione la Laverda quando, cinque anni, fa mi accorsi che non ce la faceva più, e presto mi avrebbe lasciato per strada.
Comprai allora una BMW R1100, che ho appena sostituito con una BMW K1200.
Nulla ad eccepire riguardo le moto tedesche, ma il mio cuore è rimasto alla Laverda che, a ventun anni, è stata la mia prima "vera" moto.
Passiamo così un fine settimana sereno, come tanti altri, in questo angolo di paradiso.
Domenica mattina, Marun accompagna Rosa, moglie e figlia alla messa.
La sera facciamo uno spuntino, poi partiamo contemporaneamente Marun e Rosa, con la Subaru ed io con la BMW.
È inutile dire che arrivo a San Siro molto prima io.
Lunedì, dopo il tradizionale footing mattutino, mi ritrovo a fare colazione con Rosa.
Lì chiacchieriamo in tagalog, ormai nostra lingua franca, da quando papà non frequenta più l'appartamento.
- Che ne è della farmacista? Da tempo non ne sento più parlare.- butta lì Rosa.
- Mirella? Ci siamo lasciati già da un bel po', se mai siamo stati assieme una volta.-
- Come mai?-
- E chi lo sa? Diciamo incompatibilità di caratteri.-
- Ci sei andato a letto?-
- No! Non volevo che pensasse chissà cosa. Un paio di bacetti e poi ho pensato bene tagliarla lì. In fondo ho già quasi quaranta anni, e anche lei non è giovanissima. Non è giusto perdere e farle perdere tempo.-
Dopo qualche momento di silenzio, Rosa torna alla carica:
- Sono preoccupato per te: sempre solo. Dovresti trovare qualcuna. Ecco: potresti fare una bella vacanza in Brasile. Se succede il 10% di quello che mi hai raccontato, sicuramente troverai una brava ragazza per te.-
Le metto una mano su braccio, e le dico:
- Stai tranquilla, mamma, io sto bene come sono. La mia vita carioca è una cosa morta e seppellita. Un periodo della vita irripetibile, di cui, fra l'altro, non posso esserne fiero.-
- E quella brasiliana, Jessica, mi pare? Che ne è di lei?-
Questo è un colpo basso, e la tentazione di risponderle in italiano è forte, ma proseguo in tagalog:
- Te l'ho già detto: abbiamo litigato quel fine settimana, ho promesso di non cercarla più... e punto!-
Il mio tono deciso la convince a smetterla qui.
Sparecchia, io vado a prendere il casco e vado all'università.
Come spesso succede, la riunione delle nove del mattino del lunedì è un flop.
Nessuno si è preparato bene, hanno tutti ancora la testa altrove e non si arriva a nessun punto concreto.
L'unica cosa chiara a tutti è che abbiamo, inesorabilmente, una settimana a meno nel programma.
Torno nel mio loculo e consulto il computer per mettere in ordine i miei impegni settimanali.
- È permesso?-
Questa frase, detta in inglese, che è la lingua franca nel nostro ambiente, mi fa sobbalzare.
Il motivo del mio stupore non è l'interruzione, cosa comunissima, ma è la persona che ha pronunciato queste parole: Jessica.
È una Jessica la cui maturità ha reso più bella, anche se la voce continua ugualmente melodiosa, nonostante l'inglese non perfetto.
- Jessica: che sorpresa! Siediti!- le dico, in portoghese, togliendo una catasta di fogli dalla sedia degli ospiti.
Lei si siede e mi risponde:
- Figurati la mia sorpresa! Sono arrivata il fine settimana da Rio. Ero addirittura tentata a cercarti, nel caso tu abitassi ancora a Sin Siro, ma trovarti qua! Non ci pensavo proprio. Poi guardando l'organigramma ho trovato il tuo nome e sono venuta a cercarti.-
Rapidamente lei mi riassume gli ultimi dieci anni.
Laureatasi in ingegneria, aveva deciso seguire la carriera accademica.
Conseguito il Master a Rio era riuscita ad ottenere una borsa di dottorato qui a Milano, dove era appena approdata.
- E tu?- mi chiede.
- Ho fatto un concorso e, nel 1993, sono entrato nel corpo amministrativo dell'università. Ed eccomi ancora qua!-
- Ti sei sposato?-
- No! Continuo single inveterato. Anzi, non ci crederai, ma, per un'incredibile coincidenza, Rosa mi ha parlato di te proprio stamattina.-
Ridiamo ed io le chiedo:
- E tu? Sei sposata?-
Proprio mentre le faccio la domanda, noto l'anello nel suo anulare sinistro.
Lei s'accorge che l'ho visto e mi risponde:
- Divorziata! L'anello lo uso per allontanare i mosconi, che qui in Italia non mancano.-
Mi spavento per il fatto che questa sua risposta mi ha lasciato profondamente felice.
- Comunque, guarda qua!-
Fruga nella sua borsa e tira fuori la foto di una bambina sorridente.
- È Martina: ha quattro anni ed la più bella bambina sulla faccia della terra. È la prima volta che la lascio per tanto tempo, non so come farò.-
- È rimasta col padre?-
- Che? Con Alfredo non lascerei neanche una pianta d'erbacce. È un'irresponsabile, come d'altronde mia madre. L'ho lasciata con papà e Marta.-
Sempre chiacchierando, ci facciamo il caffè alla macchinetta, poi ci lasciamo, richiamati dai nostri impegni.
Fine giornata, Jessica viene a ritrovarmi nel mio cubicolo.
- Beh, ciao Carlo, io torno all'albergo. Possiamo farci il primo caffè alla macchinetta, domattina, che dici?-
Prendo il coraggio con due mani e le dico:
- Che dici se facciamo una sorpresa a Rosa e vieni adesso a casa a cenare? Poi ti accompagno in hotel.-
Lei ci pensa un attimo e mi risponde:
- D'accordo!-
Apro l'armadietto e le passo il casco di riserva che sempre tengo lì.
- Sempre in moto, vedo!-
- Sempre in moto!-
Quando vede la BMW al parcheggio, mi dice:
- Vedo che non è la stessa!-
- Purtroppo ho dovuto mandare in pensione la mia Laverda.-
Rapidamente arriviamo a San Siro, posteggio la moto nel box e saliamo all'appartamento.
Quando entriamo sono sopreso dalla reazione compita di Rosa che, vista l'ospite, le porge la mano e le dice:
- Buonasera, Jessica, non t'immagini come sono contenta di rivederti! Per favore, entra.-
Come sempre la cena di Rosa è deliziosa.
Anche Rosa non scappa dal vedere la foto di Martina.
La sua reazione è sconcertante:
- Signorino: non sarebbe bello avere questo angioletto qui in casa a scombussolare tutto, ed il fine settimana in villa a giocare con Angela?-
Io arrossisco visibilmente, e Jessica, che ha colto il significato della frase, nonostante la barriera linguistica, scoppia in una risata.
Finita la cena, Rosa ci dice:
- Io mi ritiro, non preoccupatevi che domani lavo tutto. Jessica, credo che sia inutile che io prepari il divano: il letto di Carlo è molto più comodo. Buona notte.-
Cala un silenzio imbarazzato tra Jessica e me.
- Bon, allora è meglio che ti accompagni all'albergo.-
Mi sembra cogliere un attimo d'indecisione nel volto di Jessica.
- Io preferirei seguire il consiglio di Rosa, a non essere che tu voglia riprendere la litigata di dieci anni fa.-
Io rimango spiazzato un attimo, poi rispondo:
- Non ho mai capito quello che è successo quel pomeriggio, comunque è qualcosa che mi rode per dentro d'allora. Mettiamoci una pietra sopra.-
- Allora vieni: diamoci il bacio del perdono.- mi dice lei.
Ci diamo un bacio caldo ed appassionato.
- Vieni, che ti faccio conoscere la mia stanza.- le dico.
Lei entra e studia l'ambiente.
Prende un libro dagli scaffali, e lo sfoglia dicendo:
- Questo l'ho usato anch'io all'università. Comunque complimenti è un bell'ambiente.-
La tensione tra noi è palpabile.
Memori di quello che è successo dieci anni fa, nessuno vuole fare un passo in falso.
Finalmente sono io che faccio il primo passo: mi avvicino e la bacio.
Subito ci spogliamo e cadiamo sul letto.
Senza perdere alcun tempo in preliminari, il mio cazzo trova la sua fica e la penetra.
La trova già pronta, incredibilmente bagnata.
È un amplesso feroce e rapido, in cui i nostri corpi vogliono solo riguadagnare il territorio perso nei lunghi anni di lontananza.
Godo dentro di lei senza remore, senza chiedermi se potevo o no.
Più calmi, rimaniamo abbracciati sul letto, a riposare un attimo:
- Jessica, lo sai che sei più bella di prima?-
- Bontà tua, amore mio. Posso chiamarti così o litigherai con me?-
- Puoi chiamarmi come vuoi.-
- In realtà ho già trentun anni. Ma devo dire che mi sento in forma.-
- Beata te, io tra un po' ne farò quaranta e non sono più quello di una volta.-
- Che ti succede? Dov'è lo sciupafemmine di Rio de Janeiro?-
- Quello non esiste più. È morto ed è stato sepolto là.-
Ridiamo di gusto.
Lei mi fa gli occhi dolci e mi dice:
- Amore, ne ho ancora voglia.-
- Anch'io.-
Ricomincio a possederla, nella più classica delle posizioni, mentre le nostre bocche si fondono in un bacio senza fine.
Questa volta il nostro amplesso è più calmo, più lungo e più soddisfacente in tutti i sensi.
Dopo che abbiamo goduto di nuovo, rimaniamo sdraiati a riposarci, e Jessica mi dice:
- Devo andare a fare pipì.-
- Dovrai uscire e passare per la sala. Questo appartamento è un po' vecchio e non ci sono suites. Comunque sono sicuro che Rosa ha messo in bagno un set di asciugamani rosa per te.-
- Io vado allora. Non approfittarne per fuggire, che ho una sorpresina per te.-
Jessica si alza ed esce nuda dalla stanza, dandomi la possibilità di vedere il suo magnifico corpo.
Torna dopo pochi minuti, avvolta in un asciugamano rosa.
- Avevi ragione, Rosa ha preparato un set di asciugamani per me.-
- Non te l'avevo detto? Comunque tu accennavi ad una sorpresa, prima di uscire.-
- Hai ragione!- dice lei, frugando nello zainetto che lei usa come borsa.
Alza gli occhi e mi dice:
- Chiudi gli occhi e tienili ben chiusi, sennò mi rovini la sorpresa.-
Chiudo gli occhi e quando lei finisce di trafficare con lo zainetto, lei sale sul letto.
Si piazza tra le mie gambe e comincia a farmi un pompino molto bausciato.
Quando il mio cazzo è bello rigido lo accarezza un po', poi sale a carponi su di me.
Sento la punta del mio cazzo che la penetra.
Mette le mie mani sulle sue tette e comincia un movimento ondeggiante, accompagnato dai suoi gemiti.
Lei mi dice:
- Puoi aprire gli occhi, amore mio.-
Apro gli occhi e posso vedere il magnifico spettacolo di lei che mi cavalca.
- È meraviglioso!- dico, in piena sincerità.
- Amore mio, lo sai dov'è adesso il tuo cazzo?-
Un improvviso dubbio mi coglie.
Tolgo momentaneamente la mia mano da una delle sue tette, e le tasto la fica: vuota!
- Sì, amore mio, mi stai inculando.-
- Ma...-
Lei mi mette il dito sulle labbra, e mi dice:
- Sst! Non dire niente. Godi, che voglio solo sentire il tuo piacere!-
Non resisto molto a questa libidine e le godo nell'intestino.
Lei cade al mio lato mi bacia e mi dice:
- Amore mio, tu non hai idea di come sei bello quando godi.-
- Ma dimmi, dov'è andato a finire il discorso di "solo uscita", di una volta?-
Lei ride e mi dice:
- Devi ringraziare quel poco di buono di Alfredo, il mio ex-marito. Tanto ha insistito che ho ceduto. E ho anche scoperto che, in fondo mi piace.-
Ci baciamo ancora un po', poi mi dice:
- Comunque Alfredo è proprio un poco di buono: figurati che s'è inculato anche mamma.-
Ridiamo di gusto ed io ribatto:
- Comunque, tanto per spezzare una lancia a favore del tuo ex, devo dire che tua madre sa essere molto convincente.-
Lei mi mette un diti davanti alle labbra, e mi dice:
- Amore mio, basta di parlare di mamma! Su! Inculami di nuovo!-
------------------
Epilogo
Dicembre 1999
Quest'anno, per colpa del Y2K, le vacanze di Natale sono seriamente compromesse.
È il 24 e sto adesso arrivando, con la moto, a Bornico, e me ne ritornerò a Milano domani stesso, dove rimarrò di guardia all'università nella notte di Capodanno.
Subito alla porta d'ingresso trovo Jessica ad aspettarmi.
- Amore mio, come mai sei arrivato così tardi: manchi solo te a tavola.-
- Chiedo scusa. Mi lavo le mani e sono subito a tavola.-
Quando entro in cucina trovo tutti lì.
Papà è l'unico seduto, nel suo posto a capotavola.
Marun, Fatima e Rosa, sono sparpagliati qua e là nel grande ambiente, e Jessica sta cercando di ricondurre a tavola Angela e Martina che stanno inevitabilmente giocando.
Il pranzo, preparato da Fatima, sotto l'attenta supervisione di Rosa, è ottimo e l'ambiente è allegro.
Il pomeriggio lo passo con papà a parlare di francobolli, la sera Marun accompagna la moglie Rosa e le bimbe alla messa del gallo.
Dopo cena Jessica ed io ci ritiriamo nella nostra stanza dove facciamo l'amore appassionatamente.
Il mattino le bimbe aprono i regali che abbiamo lasciato vicino al presepe, e passiamo un giorno di Natale molto gradevole.
La sera torno, da solo, verso Milano.
Le cose sono evolute rapidamente tra me e Jessica.
Non siamo più dei giovanissimi e non abbiamo molto tempo da perdere.
Subito ha lasciato l'albergo ed è venuta a stare a San Siro, ad ottobre è andata a Rio de Janeiro, a prendere Martina, l'ha iscritta in un asilo, vicino a casa, e Rosa è ben contenta di portarla e andarla a prendere, tutti i giorni.
Ci sposeremo a Maggio, e per il momento non prevediamo particolari sconvolgimenti nella nostra routine tra l'università durante la settimana e il lago il fine settimana.
Spero solo che, tra qualche giorno, il grande bug del millennio non ingoi la nostra civiltà e le nostre vite.
Fine
scritto il
2023-04-14
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