Intrigo per lavoro e per gloria

di
genere
gay

Un ufficio. Un open space asettico e vuoto. Un orologio, digitale, appeso al muro. I numeri bluastri segnano le 19 e 28. Due uomini. Uno, più vecchio, siede alla scrivania in fondo alla stanza, nell'unico angolo protetto. L'altro è appena entrato e si dirige verso un'altra scrivania.
L'uomo di mezza età ha il capo tra le mani, i gomiti appoggiati sul piano. Indossa un abito chiaro e si tormenta i capelli brizzolati.
Il giovane ha il viso allungato ed attento. Porta un completo scuro,molto elegante.

«Cazzo», borbotta quello seduto.
«Cosa?».
«Io li odio i froci. Cazzo!».
Il giovane rimane in silenzio. Muove la sedia. Il rumore scuote l'altro che alza lo sguardo.
«Ah. Sei tu. Pensavo di essere solo».
«Ho ancora qualche cosa da fare. Colgo l'occasione che c'è calma in ufficio».
«Ma tu non ce l'hai una famiglia? Una donna?».
Il giovane rimane interdetto.
«Scusa - prosegue il vecchio - oggi non ci sono con la testa».
«Non si preoccupi».

Passano pochi minuti. Il giovane scruta il monitor che ha di fronte.
Si sente il clic isterico del mouse ed, ogni tanto, una raffica di lettere sulla tastiera.

«Ti va una sigaretta?». Irrompe il vecchio dal suo angolo.
«Non fumo».
«Ed un caffè? Offro io».
Il giovane indugia. «Ok».

Esterno. Buio ed umido. Zona fumatori del palazzo di un'azienda.
Hinterland di una grande città del nord Italia. Probabilmente Milano.

«Sta per crollare tutto», dice il vecchio.
«Mi sembra nuovo, l'edificio».
«Non parlo di quello».
«Ah».
«Parlo della mia vita». Il vecchio tira una boccata. Il giovane ha in mano un bicchierino di plastica. Dentro, i fondi del caffè.
«Penso di essere al capolinea».
«Ma». Il giovane, per la prima volta, sembra sorpreso.
«Mia moglie».
«Sua moglie?».
«Mia moglie ha chiesto il divorzio. Mi ha telefonato un'ora fa. Me l'ha detto così. Per telefono».
«Mi spiace».
«Lo sapevo - continua il vecchio - sapevo che sarebbe successo. Solo che speravo di no».
Il giovane è in silenzio. Conosce da abbastanza tempo l'altro uomo, ma non da tanto per provare confidenza.

«Cazzo. È iniziato tutto due mesi fa. Una mail. Di una donna. Diceva di avermi conosciuto alla fiera di Francoforte. Lavorava per un'azienda concorrente. Così mi ha detto».
Il giovane ha freddo. È uscito in maniche di camicia. È novembre. Saltella da un piede all'altro, ma il vecchio non sembra accorgersene.
«Diceva di essere rimasta colpita. Di avermi visto e di essere rimasta abbagliata. Avrei dovuto capirlo. Che cretino!».
Una boccata. «Diceva che aveva fatto di tutto per sapere chi ero. Dove vivevo, dove lavoravo. Ha rivoltato la fiera. Ha chiesto a colleghi, a clienti. Voleva conoscermi. Puoi immaginare cosa prova un uomo della mia età, quando riceve certe attenzioni?».
«Mmm...no. Non credo».
«No che non puoi. Sei giovane, tu».
«E poi? Che è successo?».
«Ha continuato a scrivermi. Abbiamo iniziato a parlare. Era interessata alla mia vita. Ci siamo scritti per un lungo mese. Mi sentivo bene, come da tempo non capitava. Certo, con mia moglie non si parlava quasi più. È bello suscitare interesse». Il vecchio sembra trattenere il rimpianto.
«Non vi siete mai visti?».
«Magari! Avrei dovuto sentire la puzza».
«Che puzza?».
«Di pericolo».
«Pericolo?». Per la prima volta la voce del giovane cessa di essere atona. Esprime curiosità, incredulità, tensione.
«Ha chiesto di vedermi. Diceva di essere italiana, ma di lavorare per un'azienda francese».
«Lione!», esclama il giovane.
«Esatto. Al meeting di Lione mi ha chiesto di incontrarci. In albergo».

Il giovane non sente più il freddo. Il vecchio ha acceso un'altra sigaretta con la cicca della prima.
«Mi ha detto il numero della sua stanza. Mi ha fatto arrivare la tessera per aprire la porta ed un messaggio in cui mi chiedeva di raggiungerla».
«E?».
«Ed è successo. Abbiamo scopato tutta la notte».
Il giovane fa un cenno di intesa.
«Non è come credi».
«No?».
«No».
«Perché?».

Il vecchio aspira lungamente. Poi fissa il giovane. Si guarda i piedi. Poi alza il viso e parla.
«Non so perché te ne sto parlando. Perché ne sto parlando proprio a te. Ti conosco appena. Sei solo un mio collaboratore. Sei il migliore, forse. Ma non mi sei particolarmente simpatico. E non mi ispiri neanche fiducia».
L'espressione del giovane si rabbuia.
Il vecchio prosegue. «Forse sei solo capitato al posto giusto nel momento adatto».

I due rimangono in silenzio. Un orologio, anch'esso digitale, appeso nella guardiola segna le 20.
«Era un uomo».
«Come?».
«La donna. La donna che mi aveva scritto era un uomo».
«Cosa?!».
«Stai calmo. Ascoltami. Ha detto che non poteva dirmelo subito, altrimenti non avrei acconsentito ad incontrarlo. Aveva ragione».
Al giovane cade il bicchierino dalle mani. Lo lascia per terra.
Il vecchio continua. «Ci siamo frequentati per un altro mese. Un altro lungo mese. Aveva acceso un fuoco che non potevo spegnere. Non so cosa stessi facendo. Non riuscivo a fermarmi. Ci vedevamo in albergo. In aeroporto. In autogrill».
«Non so che dire...», biascica il giovane.
«Non so neanch'io. Non so cosa sperassi di cavarne. Fino a ieri».
«Cosa è successo?», il giovane sembra tornare in se. Il suo sguardo si allunga e diventa cattivo.
«Ha mandato delle foto a mia moglie».
«Delle foto?».
«Si. Io e lui. Noi che facciamo sesso. Lui che mi incula. Io che glielo succhio. La mia faccia piena di sborra», singhiozza. «Tutto. Tutto. Mi aveva detto che quelle foto le voleva solo per pensare a noi quando eravamo lontani. Per masturbarsi». Ha alzato la voce.
Il giovane raccoglie il bicchiere e lo butta nel cestino.
«Invece ha mandato tutto a mia moglie. Quel bastardo».
«E lui?».
«Di lui nessuna traccia. Non so chi sia, in realtà. Non conosco il suo vero nome, non ho foto. Il suo volto non appariva in quelle che ha inviato. È solo un'immagine nella mia memoria».
Il vecchio guarda il giovane. Il suo sguardo invoca pietà. "Cosa devo fare" sembra chiedere. Invece gonfia il petto, come per farsi forza.
«Scusa se ti ho coinvolto in questi problemi. Scusa se ti ho messo in imbarazzo. Ti chiedo solo di non parlarne in giro. Sarebbe la fine».
Il giovane non risponde.
I due si dirigono verso la porta a vetri ed entrano nel palazzo.
L'orologio segna le 20 e 15.


Un ufficio. Una scrivania, molto grande. Delle foto ed un computer.
Una pianta, vicino alla finestra. Due uomini. Uno, più vecchio, abbronzato. Indossa un elegante completo gessato. L'altro, giovane, il viso allungato in una smorfia cattiva. Il giovane cammina intorno alla scrivania. L'altro è seduto. Le mani giunte sotto il mento. Pensa.
Il giovane prende in mano una foto. Ritrae l'altro uomo con una donna e tre bambini. La sua famiglia, pensa il giovane.
«...quindi, come pensi di agire?», chiede l'uomo seduto.
«Non saprei signore. Mi premeva soltanto poterglielo riferire».
«Sei consapevole del fatto che questa denuncia ti aprirà le porte della dirigenza». Sembra compiaciuto.
«Si. Lo so».
«E questo non ti preoccupa? In fondo lui ti ha insegnato molto».
«È vero. Non posso negarlo. Però. Però credo che per una persona come lui sia dannosa per l'azienda».
«Spiegati meglio».
«Una persona immorale. Senza valori. Capace di mentire alla donna che ha sposato. E tutto per fare 'sesso' con un altro uomo. Non crede anche lei che sia sconveniente?».
«Quello che credo io ha poca importanza. Quello che mi chiedo è come farlo fuori. Sarebbe inopportuno cacciarlo via adducendo come motivo i suoi 'gusti' sessuali. Sarebbe uno scandalo. E noi non possiamo permettercelo».
«I piani di razionalizzazione».
«Come?», il vecchio è attento.
«I piani approvati dalla Company. Bisogna tagliare i rami improduttivi. Gli offra un lavoro in qualche filiale in Asia.
Accetterà, non può fare altro».
«Dici?».
«Qua non ha più nulla. Anzi, preferirà allontanarsi dal luogo del misfatto. Accoglierà qualsiasi proposta. Al limite, Signore, potrà utilizzare alcune mezzi persuasivi».
«Cosa intendi».
«Frughi il suo pc. Analizzi gli estratti della carta di credito aziendale. I viaggi che ha fatto. Gli alberghi che ha visitato. Tutte risorse della società, utilizzate per il proprio comodo. Un comodo immorale. Immagino che sul suo hard disk ci siano ancora delle tracce, tracce sconvenienti. Accetterà. Senza ricorrere a manovre drastiche».
Il vecchio riflette.
«Accetterà. Si fidi di me».
Il vecchio si alza. Di scatto, come chi abbia preso una decisione.
«La tua nomina sarà effettiva da lunedì mattina. Responsabile Vendite e Marketing Italia. È quello che volevi, o no?».
«Certo signore. È quello che volevo».
«Ma dimmi - chiede il vecchio - lo fai solo per la carriera?».
«No. Non solo».
«E per cosa, allora?».
«Io li odio i froci». Ride ed esce dalla stanza.


Una strada. Un marciapiede. Macchine parcheggiate nel buio della sera.
L'asfalto bagnato dall'umidità. Un uomo cammina radente ai palazzi. Sta tornando a casa. Si sente il rumore delle scarpe sul selciato. Poi una musichetta. È un cellulare. Il giovane, vestito in un elegante completo scuro, mette una mano nella tasca della giacca. Risponde.
«Si?»
«Ah. Sei tu amore».
«Si. Sono contento anche io di sentirti».
«Un'ottima giornata. Davvero un'ottima giornata».
«Uh. Vorresti saperlo?».
«Ok te lo dico. Ma calmati».
«É andato tutto bene. Come dicevi tu».
«Certo che ho avuto la promozione. Responsabile Vendite e Marketing Italia».
«Ovvio che lo stipendio sarà adeguato alle mie nuove responsabilità».
«Il vecchio? Perché ti interessa? Non ti sarai affezionato».
«Dicevo così per dire. Lo so che è stata tutta una tua idea e che ti sei sacrificato per me. Per noi».
«Però un po' sono geloso. Quel lurido porco ti ha messo le mani addosso».
«No. Preferisco non vederle le foto. Mi piacciono di più le nostre». Ride.
«All'AD? Che gli ho detto? Che odio i froci. Pensa un po'».
«Si, si. Gli ho detto così. Dobbiamo essere prudenti. E comunque adesso ho il potere per farti assumere qui da noi. Mi serve giusto un assistente».
«Uh. Porcellino! Non mi serve quel genere di assistente». Ride.
«Senti. Possiamo vederci stasera? Avrei voglia di festeggiare. Come dico io?».
«Dai non chiedermi questo».
«Sono per strada».
«Da solo»
«Giuro».
«Te lo giuro».
«Va bene. Vorrei fami scopare da te. Vorrei succhiartelo fino a farti godere. Adesso sei contento?».
«Sei proprio un porco. Mi fai impazzire»
«Adesso basta. Mi sto eccitando e stasera non ci possiamo vedere. Dovrò farmi una sega. Solo, soletto».
«Si. Ti penserò. È ovvio. Ma, a proposito. Tu con chi sei?».
«Con tua mamma?».
«Ho capito che aveva voglia di vederti, però...».
«Va bene. La mamma è sempre la mamma. Non gli avrai parlato di noi».
«Scusa, scusa. Non essere permaloso».
«Ok, ok. Ci sentiamo domani».
«Ciao amore».
«Ciao».

L'uomo prosegue sino ad un portone. Tira fuori le chiavi dalla tasca dei pantaloni. Entra nell'edificio.
Una macchina. Parcheggiata. Vicino ad un ristorante di lusso. Al posto di guida un ragazzo. Un bel ragazzo. Venticinque anni, più o meno. Al fianco una donna. Bionda. Di mezza età. Ingioiellata. Il ragazzo ha appena terminato di parlare al telefono.
«Era il tuo ragazzo?», chiede la donna.
«Si mamma».
«Non ti capirò mai».
«Mamma. Anche a te piacciono gli uomini».
Sorride. «Hai ragione, tesoro. Hai ragione». Prosegue. «Che dice?».
«Ha ottenuto la promozione».
«Wow, esci con un pezzo grosso adesso».
«Pare di si».
La donna accenda una sigaretta. Sottile. Ci lascia sopra un'impronta di rossetto.
«Il nostro piano sembra funzionare, quindi».
«Il tuo piano, mamma. Si, pare proprio di si».
«Se ne accorgerà quel pallone gonfiato».
La donna stringe i denti.
«Non ti arrabbiare, Mamma».
«No. Hai ragione. Bisogna essere pazienti».
«Vai. Sta venendo tardi. Lui ti aspetta».
«Quel bastardo. Mi ha sedotto che avevo più o meno la tua età».
«Dove l'hai conosciuto, mamma».
«Ad una fiera. Lui lavorava come rappresentante. Ed io ero una hostess».
La donna aspira una poderosa boccata. «Sono rimasta incinta. E lui non ha voluto riconoscerti».
«Sai cosa?».
«Cosa?».
«Mi sembra strano che non ti abbia riconosciuto quando sei andata da lui».
«Sono passati venticinque anni. Sono invecchiata. E mi sono presentata con un nome diverso. Ma sono riuscito ad essere di nuovo la sua amante. Però...».
«Però...».
«Con un asso nella manica, stavolta».
«Quale?».
«Tu. Mio caro».
«Quando minaccerò di svelare che ha allontanato due collaboratori gay, farà di tutto per non farsi coinvolgere nello scandalo».
«Quindi, mamma, vuoi coinvolgere anche lui».
«Perché, lo ami?».
«Non lo so».
«Da retta a me. Gli uomini non sono fatti per amarli. Sono solo dei bastardi infedeli. Lo tradirai come hai fatto con il suo capo. Anche lui verrà allontanato ed il gioco sarà fatto».
Il ragazzo è assorto. Forse pensa a qualcosa. A qualcuno. Poi si scuote.
«E come mai hai ripreso a frequentare papà?».
«Non chiamarlo così. Lui è solo un bastardo. Non è tuo padre. Comunque, voglio vedere il suo volto quando crollerà tutto».
La donna da un bacio sulla guancia del figlio. Pulisce la traccia di rossetto che gli ha lasciato sul volto. Apre la porta e fa per scendere.
«Uh, mamma».
«Si».
«Sai che mi ha detto Marco?».
«Il tuo ragazzo? No. Dimmi».
«Che papà ha una foto sulla scrivania con una donna bionda e tre bambini».
«Non ti preoccupare, caro. Un giorno, su quella scrivania ci sarà la nostra foto».
scritto il
2009-07-09
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