Coraggio, fatti scopare
di
sombra_silenciosa
genere
saffico
[Sei una tipa tosta ragazzina, sei anche piuttosto sveglia ma tutto questo, credimi, non basta.
Se davvero vuoi fare questo mestiere allora senti qua, trovati uno bravo e attaccati al suo culo, seguilo come un’ombra silenziosa e impara tutto ciò che puoi.
Sai come si riconosce un bravo detective?
È semplice.
Sulla scena del crimine è l’unico che non guarda il cadavere.
Tenente Ted Sheridan]
Ore 22:10
Cleveland/Asiatown
Radisson Hotel
Disteso sull’orrenda moquette beige della stanza 301 c’è Simon Jóźwiak, 43 anni, titolare di una piccola agenzia immobiliare dalle parti di Old Brooklyn.
Può sembrare stia dormendo ma l’enorme chiazza di sangue che si irradia dal suo corpo rende chiaro che, il suo riposo, è decisamente eterno.
Tutto intorno flash fotografici, vociare soffuso e paia d’occhi a scrutare il poveretto, forse incuriositi dal macabro spettacolo o semplicemente intenti a esorcizzare il demone oscuro della morte.
Ci sono i ragazzi della scientifica, gli impiegati del Coroner e c’è ovviamente il Dottor Grass, medico legale, che parla sommessamente con Eric Finch, capo del quinto distretto.
Sulla porta aperta due agenti in divisa a cui è stato affidato il compito di proibire l’ingresso a chiunque e non riescono tuttavia a smetterla di voltarsi, di tanto in tanto, anche loro morbosamente calamitati dalla chiazza di sangue e dalla sua sorgente ancora tiepida.
A giudicare dalla loro espressione pare evidente che sia per entrambi la prima volta che si ritrovano in una situazione simile.
Vicino a delle improbabili tende color crema c’è una donna, in piedi, con le braccia conserte e gli auricolari alle orecchie. La testa si muove appena, seguendo evidentemente il ritmo di una qualche canzone che solo lei può ascoltare.
Grandi occhi scuri a planare in giro per la stanza, verso qualsiasi cosa non sia quell’uomo che dorme per sempre.
Attratta più dall’arredamento formale, il grande letto disfatto, la finestra aperta, la sedia rovesciata a terra; istantanee di vita congelata che raccontano di come, e forse anche perché, Simon Jóźwiak abbia smesso di respirare.
L’Ispettore Sofía Sánchez, capo della squadra omicidi sa fin troppo bene che ogni delitto ha una sua storia e che, la vittima, ne rappresenta solo il finale.
Così sta lì, in disparte, la musica nelle orecchie per spegnere le distrazioni e accendere i propri sensi, provando a decifrare la trama di quello strano racconto.
A giudicare dalla sua espressione risulta chiaro che, tutto questo, è ciò che sa fare meglio di qualsiasi altra cosa.
Intrecciare i fili di una storia criminale, montarli e smontarli a ripetizione fino a che tutta la matassa non sarà sbrigliata e per ogni nodo che non si scioglie ricominciare da capo, ancora una volta, fin quasi a sfinirsi.
È un lavoro di pazienza e tenacia, ricomporre il destino e dargli un senso, è un lavoro per pazzi, una lenta ossessione per cui due occhi, spesso, non bastano. Meglio è, averne un’intera squadra a disposizione.
L’Agente Andy Coleman se ne va a zonzo per l’albergo, armato di telefono cellulare e tutto ciò che fa è scattare fotografie. Quasi a raffica, immortalando piccole stranezze, cose solo apparentemente inutili: un quadro appena storto, una macchia sul tappeto, un paio di scarpe abbandonate fuori da una porta chiusa. Frammenti sparsi di mille altre storie che, in qualche modo, possono aver incrociato la via della trama principale e magari svelarne le dinamiche da angolazioni diverse e inaspettate.
Nessuno fa troppo caso a lui, con quella faccia paffuta e gli occhiali da vista sembra un impiegato del catasto a cui è stata affidata la ristrutturazione dello stabile, chi potrebbe mai immaginare che sia invece uno dei più grandi esperti informatici della polizia dell’Ohio.
Nel piano interrato del Radisson Hotel ci sono i locali di servizio; la lavanderia, il magazzino, gli spogliatoi, una piccola stanza coi distributori automatici dove i dipendenti si rilassano, tra un turno e l’altro.
Proprio lì, c’è il Sergente Nick Fabretti, armato di un pacchetto di Red & White, continua a offrirne, a ripetizione, intercettando di volta in volta la giusta conversazione da intraprendere.
Se vede un ragazzo col tatuaggio dei Cavaliers parte con la disamina degli ultimi risultati, sciorina critiche al Coach accusandolo di avergli fatto perdere un sacco di dollari in scommesse.
Ad una donna di mezza età con la fede al dito racconta invece di sua moglie, dei mille lavori che è costretta a fare per mandare avanti la famiglia.
Mente ovviamente, perché della sua ex moglie no, davvero non parla mai.
A nessuno comunque chiede informazioni su ciò che è successo al terzo piano, li lascia sciogliere in confidenze, li mette a loro agio così che siano loro, a un certo punto, a dire una cosa come: “Ho sentito qualcosa, delle urla, di gente che stava litigando”.
Sul tavolino della stanza 301 ci sono due lattine di Bud Light aperte, forse Simon Jóźwiak aveva compagnia o forse, era solo molto assetato.
L’Ispettore Sánchez le guarda e pensa che deve assolutamente sapere quanta birra ancora contengono, un’informazione che potrebbe far prendere alla storia strade del tutto diverse fra loro.
Sono ancora entrambe piene? Una festa interrotta? Una delle due è vuota e Simon ha fatto appena in tempo a stappare la seconda?
In quel momento però, qualcosa turba la meccanica investigativa dei suoi pensieri, una di quelle cose che di solito la fanno incazzare da morire.
Gli agenti sulla porta si separano fra loro, lasciando entrare nella stanza due individui vestiti di scuro.
Sofía li osserva, immersa nella sua bolla musicale, vede il più giovane dei due andare verso Eric Finch, presentarsi, stringergli la mano e iniziare a parlare, esponendo evidentemente le motivazioni per cui lui e il suo collega sono qui.
Per l’Ispettore Sánchez è fin troppo facile capire cosa stia succedendo, così come semplice risulta scalare le deduzioni relative al secondo soggetto.
La prima, immediata: è una donna.
La seconda, lampante nella sua scia di luce dorata: quella donna è uno schianto.
Rigida e impettita, così come il suo ruolo le impone, i capelli biondi raccolti alti sulla testa tenuti su da un fermaglio di foggia preziosa, gli occhi azzurri, sfuggevoli e intensi allo stesso momento, di animale inquisitore addestrato a infondere soggezione in chiunque la guardi. Così elegante da risultare in qualche modo antipatica, algida, e irraggiungibile.
La terza deduzione è la più fastidiosa, osservandola aggirarsi per la stanza, attratta da qualsiasi cosa non sia l’uomo disteso a terra sì, quella stronza, è una che ci sa fare.
Ora il Capo Finch si avvicina a Sofía, col volto stirato da un timore inevitabile, sa bene che il suo sbirro migliore non sarà contento di ciò che sta per dirle.
Lei si sfila le cuffie, bruciandolo con gli occhi, lo ascolta balbettare ciò che già sa.
Quel coglione del Procuratore distrettuale ha deciso di associare l’omicidio di Simon Jóźwiak ad altri due delitti avvenuti nel quartiere più di tre mesi fa, una pista che pare in qualche modo collegata alla mafia cinese e al traffico di clandestini, un caso delicato, dalla risonanza così alta da richiedere evidentemente l’intervento dell’F.B.I..
Adesso sì, la bionda si intromette nella discussione e allunga una mano, presentandosi:
«Agente Speciale Zimmer e lei dovrebbe essere.. Sánchez.. se non sbaglio».
Eric Finch vorrebbe sparire, lasciarsi inghiottire dal pavimento o distendersi a terra a far compagnia a quel corpo che ormai nessuno guarda più. Sa che ora Sofía potrebbe esplodere, sa che la Zimmer ha omesso di rivolgersi a lei chiamandola “Ispettore” e soprattutto sa quanto quella belva non sopporti che qualcuno invada il suo territorio.
Ma ciò che accade è una vera sorpresa, Sofía Sánchez schiude le labbra in uno splendido sorriso, stringe la mano di quella bionda in abito scuro e pronuncia parole che nessuno avrebbe mai potuto immaginare:
«Puoi chiamarmi Sofía».
«Allora io sono Angelica!».
Restano così, a guardarsi, mano nella mano, curiose di verificare le leggende che girano sul valore professionale di entrambe, avendo già constatato quanto, quelle sul reciproco fascino, siano spietatamente vere.
Il Capo Finch ha la bella idea di intromettersi in quel dialogo silenzioso, ricordando a entrambe che l’indagine è ora passata nelle mani del Bureau e che quindi, l’Agente Speciale Zimmer, ne è divenuta coordinatore responsabile.
Stringe i denti Sofía, scorrendo mentalmente gli insulti con cui vorrebbe folgorarlo e che rimanda a più tardi, tornando a stupire chiunque la conosca:
«Agli ordini “capo”.. se il nuovo “coordinatore” è d’accordo vorrei fare con lei il punto della situazione e passarle tutte le informazioni che abbiamo sul caso.. magari davanti a una birra?».
«Volentieri, “Ispettore”» risponde Angelica scambiando un sorriso d’intesa, desiderosa di mettersi a lavorare al più presto insieme alla leggenda di Cleveland.
Ore 23:28
5393 St Clair Avenue
Erie Tavern Inc
Danny Tesillo, tutti lo sanno, racconta sempre un sacco di cazzate.
È fin troppo facile immaginare quindi che, quando un giorno insisterà a descrivere quello che solo poco fa è successo nel suo bar, nessuno gli crederà.
“Vattene a fanculo Danny!” gli diranno, ridendo, mentre con occhi spiritati racconterà a tutti del momento in cui le porte del locale si sono aperte, lasciando entrare quelle che lui stesso definirà due “puledre spaziali”.
E sarà forse solo questa, l’inesattezza del suo racconto, perché quelle due donne sedute al tavolino non solo sono estremamente terrene ma di certo non appartengono alla razza equina, ogni cosa nel loro atteggiamento richiama la stessa danza felina, seppur così diverse, l’una dall’altra.
La bionda se ne sta seduta composta, fiera come una leonessa artica, distante da tutto e tutti, che a guardarla ti viene subito la voglia di inginocchiarti.
L’altra ha i tratti caldi del sudamerica, una femmina di giaguaro avviluppata allo sgabello come fosse un ramo da cui si prepara a sferrare un attacco, che se per caso sei ancora lì in ginocchio potrebbe benissimo prenderti a calci nel culo.
Non c’è uomo, nel locale, che non le stia guardando, continuando a chiedersi chi siano e che diamine si stiano dicendo, in questo momento.
Angelica Zimmer tira fuori dalla giacca il suo pacchetto di Parliament e lo porge a Sofía che sembra distratta e continua a far saltare le dita sullo schermo del suo cellulare.
«Sigaretta?».
«Ti ringrazio.. ma ho smesso!».
«Ci ho provato anche io, un sacco di volte, ma ogni volta ci ricasco.. soprattutto quando lavoro!».
«Devi solo trovarti qualcos’altro da fare..».
«Beh, dimmi il tuo segreto allora, tu cosa fai quando ti viene voglia?».
«Di solito.. mi faccio una scopata!».
Un attimo di sospensione, un sorriso ricolmo di imbarazzo, magari, pensa Angelica, gli sbirri di Cleveland sono abituati a confidenze del genere, magari è proprio ciò che sta facendo quella donna col suo telefono, organizzarsi la nottata con qualcosa “da fare”.
La verità è che l’Ispettore Sánchez, come sempre, vive divisa a metà fra il piacere e il dovere: una storia criminale ancora da risolvere. Perché con le dita puoi fare un sacco di cose, anche scambiare informazioni con gli uomini della tua squadra e provare a risolvere un caso d’omicidio. È convinta che il povero Jóźwiak non centri un cazzo con gli altri delitti di Asiatown e quando sente insistere su di sé la luce azzurra di quello sguardo decide di giocare le sue carte:
«Che idea ti sei fatta di questa storia?».
«Beh.. è ancora presto per dirlo..».
«I cinesi non c’entrano un cazzo!».
«Ne sei certa?».
«Quella è gente che non lavora così.. non lascerebbero mai tutto quel casino in una stanza d’albergo..».
«Il procuratore non la pensa così..».
«Il procuratore è un coglione!».
Ora ridono insieme, senza smetterla di rubarsi gli occhi, continuando a studiarsi, così simili, nella loro efficacia investigativa tanto quanto differenti, nel modo di applicarla.
C’è chi si muove costantemente sulla linea tratteggiata delle regole da seguire, sfumandola in nome del risultato da ottenere e chi, invece, si prodiga a percorrere sempre la retta via, con la convinzione che non ne esistano altre possibili.
«Avevi detto di avere delle.. informazioni..» dice Angelica, spegnendo in un istante quel momento di leggerezza.
«Sì, ho i documenti a casa, magari dopo facciamo un salto a prenderli».
«È che.. non vorrei fare tardi.. ho ancora così tante cose da fare..».
«Tranquilla.. io abito proprio qui vicino! Prendiamo altro da bere?».
«Ma non abbiamo ancora finito la birra!».
«Hai ragione, questa birra è una merda.. DANNY.. PORTACI DUE SCOTCH!».
Entrare in casa di una persona vuol dire in qualche modo penetrare la sua intimità.
Rintracciarne gli odori, riconoscere le luci che brillano su un corpo pigramente svestito in un giorno qualsiasi, i mille piccoli gesti che formano lo schema dell’abitudine.
È un’operazione che ad esempio risulta particolarmente efficace per redarre il “profile” di un Serial killer.
A questo pensa Angelica Zimmer mentre varca la soglia dell’appartamento di Sofía Sánchez, alla curiosità di poterla osservare meglio, di poterla scorgere da dentro.
La prima sorpresa arriva proprio adesso, nel percepire un tono inaspettato nella voce della padrona di casa, così dolce e sensuale mentre pronuncia la seguente frase:
«Hola.. pequeño, mamá está aquí!».
Un piccolo gatto dal manto tigrato le si fa incontro, andando a strusciarsi sui suoi stivali, iniziando a emettere quelle vibrazioni di pura gioia a cui gli esseri umani hanno dato il nome di “fusa”.
Sofía lo prende in braccio e coccolandogli la testa procede a fare le dovute presentazioni:
«Lui è Callaghan!».
«Callaghan?» chiede Angelica ridendo.
«Hai qualcosa contro l’Ispettore Harry Callaghan?».
L’Agente speciale Zimmer allunga una mano iniziando ad accarezzare il musetto del piccolo felino che chiude gli occhi, dimostrando di gradire il doppio trattamento.
«”Ecco perché mi chiamano Harry la carogna, perché frego sempre tutti quanti!”» dice poi, dimostrando di aver trascorso un’adolescenza molto simile, imparando dallo schermo il mestiere che poi le avrebbe segnato tutta la vita.
Due donne così simili eppure così distanti, due mani che accarezzano e per qualche istante si ritrovano, toccandosi, fra i peli del gatto più fortunato del mondo.
«Io ho un gran bisogno di una doccia, vuoi farla anche tu?».
Angelica si blocca, provando a concentrarsi sull’unico senso che può avere quella domanda, una gentilezza, un puro atto di cortesia a cui tuttavia non trova parole per rispondere.
«Va beh – continua Sofía – faccio in un attimo, tu mettiti comoda.. da qualche parte dovrebbe esserci una bottiglia di Tequila».
Così, Angelica Zimmer, la bionda, resta da sola in quella casa sconosciuta, che da subito, guardandosi attorno, le appare come una vera e propria tana.
Un luogo adibito al riposo di un predatore, che solo qui dentro, forse, riesce a spogliarsi dalla leggenda ed essere solo sé stesso.
Un ampio open space, arredato in modo essenziale, il letto, un piccolo tavolo che sembra venga utilizzato ben poco, un paio di manubri a terra, una borsa sportiva, la scrivania ricoperta di documenti, identikit appesi alla parete, la stessa su cui campeggia una grande mappa di Cleveland tutta scarabocchiata a pennarello.
Chi sei, tu, sbirro femmina, dove ti nascondi? Chi o cosa ti hanno resa quello che sei adesso?
È un caso strano, pensa l’Agente Speciale del Bureau, un mistero che pare impossibile da decifrare.
Sofía Sánchez è chiusa nel suo bagno, l’acqua scroscia dalla doccia in attesa di godersi il suo corpo.
Seduta sul suo water, di nuovo alle prese col suo smartphone a verificare il lavoro dei suoi uomini.
Coleman ha scandagliato tutti i dati informatici relativi agli affari di Simon Jóźwiak, trovando debiti per migliaia di dollari.
Fabretti ha passato la serata in un bar, in compagnia della segretaria dell’agenzia immobiliare, gli ci sono voluti tre Martini e la promessa di un nuovo incontro prima di scoprire che la vittima, per risolvere i suoi problemi economici, ha chiesto aiuto a certa gente davvero poco raccomandabile.
“Bingo!” sorride il capo della Squadra Omicidi, prima di lasciarsi avvolgere dal vapore.
Il cassetto della scrivania, chiuso, basterebbe allungare la mano, cedere alla curiosità, dare giusto un’occhiata veloce, alla ricerca di qualsiasi cosa possa rendere umana quella donna che canticchia sotto la doccia.
Angelica guarda la porta del bagno, poi guarda il piccolo Callaghan, che la fissa, quasi per rimproverarla.
Le viene addirittura l’istinto di mettersi un dito sulle labbra per chiedergli di non tradirla ma poi, con un sospiro, apre il cassetto.
Quante sono? Decine, forse di più, un numero davvero impressionante di pergamene, encomi, riconoscimenti ufficiali, un mazzetto colorato di medaglie che farebbero invidia a un veterano di guerra e che, quella donna assurda, tiene buttate come fossero cianfrusaglie di poco conto.
L’Agente Zimmer infila la mano e inizia a frugarci in mezzo, fino a toccare qualcosa di diverso, il piccolo telaio di legno di una cornice.
Non resiste alla tentazione di estrarla, c’è una fotografia, ingiallita dal tempo, di un mondo che è esistito tanti anni fa e ora resta impresso in un lucido ricordo.
Una famiglia, in posa sorridente, in un’istantanea ricolma di solo amore.
Un uomo e una donna, seduti su un divano a fiori, dettagli di una casa che ha a che fare con il calore del Sudamerica.
La donna, lei, è.. bellissima! Tratti somatici che da subito Angelica riconosce e che le aprono il sorriso.
Ai piedi del divano c’è un bambino, che tiene le gambe raccolte e mostra grandi, immensi occhi verdi, gli stessi identici di sua madre.
L’uomo ha grandi baffi scuri e una faccia infinitamente buona, di padre da cui non vorresti staccarti mai.
Sulle sue spalle, infine, una ragazzina con aria da guerriera, la bocca spalancata in un urlo sdentato che riempie il cuore di tenerezza.
“Eccoti qui..” pensa Angelica, accarezzando il vetro, con la delicatezza di chi ha fra le mani un vero tesoro.
È così presa dalla sua scoperta da accorgersi solo adesso della doccia che ha smesso di cantare, fa appena in tempo a rimettere a posto la cornice, col cuore che le batte forte, chiudere il cassetto e voltarsi, scorgendo la porta del bagno che si apre, ritrovandosi davanti agli occhi un’immagine che il cuore glielo ferma, per un solo brevissimo istante.
«Eccomi qui..» esclama Sofía, asciugandosi i capelli con un piccolo telo bianco. Niente altro addosso, a coprire la prepotente sensualità del suo corpo, come un predatore che all’interno della propria tana si arroga il diritto di fare tutto il cazzo che vuole.
Una statua viva, nel fremito dei grossi seni che oscillano, ancora umidi di doccia, di ventre delicato e fianchi rotondi, al cui centro spicca il ciuffo scuro e riccioluto della sua selvatica femminilità.
Le gambe che si muovono, un passo dopo l’altro, fino a raggiungere la sua ospite, che mai si era specchiata in una donna tanto simile e tanto diversa da sé.
«Tutto bene?» chiede la padrona di casa a una distanza tale da annebbiarla con il dolce odore del bagnoschiuma.
«Sì – risponde Angelica tradendo un’ombra di imbarazzo – direi che per me è decisamente tardi..».
Sguardi oltre gli occhi, azzurro che sfuma in blu prima di arrendersi al nero, è sempre lì dentro che si scorge il desiderio.
«Va bene» dice Sofía, che in una scena simile pare essere completamente a suo agio, magari gli sbirri di Cleveland sono abituati anche a stranezze simili. O forse è semplicemente a casa sua, in compagnia di una donna, con confidenza da caserma che davvero non può, o non dovrebbe, risultare inopportuna.
«I documenti?» chiede ora il coordinatore delle indagini, aprendo la mano sui fogli sparsi sulla scrivania.
«Hai ragione – risponde la donna nuda, sfilando via da una pila di carte il verbale di un interrogatorio avvenuto circa tre mesi fa – in casa non ho altro, domani cerco meglio in ufficio!».
Angelica Zimmer prende il foglio, si guarda un’ultima volta attorno, come sentisse qualcosa, un richiamo che arriva da quella casa ma che, davvero, non riesce a capire.
«Allora a domani».
«Dai, ti accompagno alla porta».
Quell’ombra dietro, che cammina e la segue senza ancora essersi ricoperta, afferrare la maniglia e pensare: se adesso apro e qualcuno si ritrova a scendere le scale, che succederà? Si lascerà guardare da uno sconosciuto? È così che funziona da queste parti? La leggenda di Cleveland, così sfrontata, così libera, così.. dannatamente.. così.. così..
La meccanica dei suoi pensieri sembra smarrire la via delle parole, la mano che stringe la maniglia non si muove, forse davvero per la paura di dare spettacolo ai vicini o forse stregata da una domanda, che non ha davvero alcun senso: che ci faccio, io, qui?
Forse è per questo che alla fine la leonessa artica si volta su se stessa, ritrovandosi a pochi, pochissimi centimetri dal muso della giaguara.
Vai a capire come e perché, le escono dalla bocca le seguenti parole:
«Io.. non sono.. lesbica..».
Sofía allunga una mano e va ad aprire il fermaglio prezioso, liberando capelli d’oro pressati da troppo tempo.
«Non preoccuparti – dice sorridendo – neanche io lo sono».
E poi è un assalto, rapido, sferrato a coppie di due.
Le labbra, le mani, le gambe.
Le labbra, che si avventano su quelle della bionda, succhiandole via il respiro, cercandole la lingua con la lingua, baciando e mordendo ogni cosa di quella splendida bocca.
Le labbra, le mani, che artigliano vestiti che quasi è strapparli, schiudendo la camicia, andandosi a cercare seni da stringere, bianchi e morbidi, le mani lungo i fianchi e poi più giù, sciogliendo la cintura, aggrappando forte i pantaloni e con essi le mutande, che non è più tempo per l’eleganza.
Le labbra, le mani, le gambe, che marciano all’indietro per trascinare la preda lì dove deve essere, al centro esatto di tutto, nel cuore caldo di una tana da cui nessuno vorrebbe scappare, mentre le mani afferrano i glutei e le labbra mordono il collo.
Così, scopa, la leggenda di Cleveland.
Angelica si stacca dalla morsa, non può e non vuole dimostrarsi intimorita, una mano fra i capelli a ravvivarli, diventando leonessa, poi giù a sfilarsi il resto dei vestiti, fino a essere entrambe nude, una di fronte all’altra, come a dichiararsi pari in quella danza di femmine.
Sofía sorride, che davvero non aspettava altro, si avvicina lentamente mentre la bionda si volta, esibendo un culo che è desiderio per tutti gli uomini del Bureau.
Abbracciarla da dietro, leccarle il collo, spingerle sulla schiena quei seni che a Cleveland fanno sempre venire una gran voglia di ululare.
Le mani ora sui fianchi, muovere il bacino a colpirla, come per fottersela, prima piano e poi più forte, un colpo e poi un altro, spingendola contro la parete, per braccarla, il viso contro il muro, le tette schiacciate, le labbra strette fra i denti di chi gode nell’essere pasto da giaguaro.
Altri colpi di bacino, coi peli che solleticano le natiche, le mani ora sul culo, a riempirsi di carne bianca, come fuoco che affonda nel ghiaccio e lo scioglie, iniziando a farlo gocciolare.
Quando Angelica di nuovo si volta all’Ispettore Sánchez non resta che inginocchiarsi, guardarla fra le cosce e tornare solo adesso a parlare:
«È l’F.B.I. che vi obbliga a depilarla così?».
Ride, l’Agente Speciale Zimmer, si porta una mano fra le gambe e inizia ad accarezzarsi, proprio di fronte al viso di Sofía. Le dita fra le labbra, a sguazzarci dentro, per ingolosire il predatore, la gamba si apre, andando a poggiare il piede nudo sulla scrivania, proprio sotto agli occhi dei peggiori assassini dell’Ohio:
«Vuoi ancora chiacchierare o pensi di farci altro, con quella lingua?».
Ora sì, ora tutto succede, la lingua smette di blaterare e inizia a danzare, gustando dita e labbra umide di passera federale, infilandosi poi dentro a penetrare, sempre più a fondo.
Angelica Zimmer spalanca gli occhi ed emette un urlo, come le avessero appena leccato il cuore, pensando che, sì, quella stronza ci sa proprio fare.
A passo lento e poi vorticoso, a gustare quella femmina di cui tutti parlano, bevendone il piacere sapido e screziato, dimostrando di poter essere anche infinitamente libera.
Gode la bionda glaciale, si afferra i seni, mostrando i denti, che di uomini pronti a inginocchiarsi ne ha conosciuti tanti ma forse mai si era sentita così braccata.
«Ho voglia di scoparti, adesso» dice Sofía alzandosi in piedi, come avesse di colpo fretta.
Un altro bacio a scambiarsi il gusto del piacere, tornando a camminare alla cieca per la stanza, fino a ritrovarsi accanto al letto, spingendo la bionda a stendersi sulla schiena, afferrandole i piedi per spalancarle le cosce e lì, guardarla negli occhi, cedere all’istinto e alla sua inventiva meravigliosa, aprire le gambe e trovare un modo per toccare la fica con la fica, i peli scuri sulla pelle liscia, iniziando a muoversi come gatte selvatiche.
Le labbra calde che si ritrovano a baciarsi, scivolandosi addosso, mescolando gli umori del fuoco e del ghiaccio, che roba è mai questa? Come fanno due donne a scoparsi così? A sbattersi, strusciandosi alla folle ricerca del godimento, ballano, i grossi seni di Sofía Sánchez, già umidi di sudore, mentre il bacino si ostina a picchiare, a sciogliersi di movenze sudamericane e ancora su e poi giù, di labbra fradice e clitoridi gonfi, dio, pensa Angelica Zimmer, dio che assoluta meraviglia.
Sentirsi esplodere e non volerlo fare mai, in bilico sulla vertigine del piacere, eccoti qui, leggenda di Cleveland, ecco la vera te stessa, scopami adesso, sbattimi forte, scambiati la fica con la mia senza più chiedermi chi sono e che diamine ci faccio, qui, adesso.
Forse, chissà, anche il sesso è un modo per raccontare una storia, proprio come un crimine e la dolce morte dell’orgasmo, ne rappresenta solo il finale.
Così Sofía sale sul letto, iniziando a gattonare minacciosa, fino a ritrovarsi sul corpo di Angelica, alla ricerca di un nuovo modo per sfinirsi le labbra di baci.
Ogni testa finisce preda di un paio di cosce, ogni bocca a respirare fica e calore, odore di gatta ancora insoddisfatta.
La bionda si ritrova davanti agli occhi un ruggito colante di carni bagnate, centro di ogni leggenda e ogni desiderio che gira attorno a quella donna, un vortice che ti invita a caderci dentro, che annebbia la vista e implora saliva.
La bocca aperta in modo lascivo, così come mai l’hanno vista i suoi colleghi del Bureau, la lingua golosa che brucia distanze, finendo con lo sciogliersi in quel groviglio di carni, con in testa un unico pensiero: la tua fica è buonissima, Ispettore Sánchez.
Ecco, ora sì, gli opposti raggiungono il loro magico equilibrio, a leccarsi via il piacere, gemendo, bevendosi l’un l’altra, come a volersi entrare dentro per sempre.
La giaguara del sudamerica e la leonessa artica, braccandosi il culo e spingendoselo in faccia, così che non esista più altro che fica, così che le esplosioni trovano il loro unico respiro, con versi sempre più veloci e gemiti da fusa, finché, entrambe, si urlano fra le cosce il loro meraviglioso sfinimento.
Restano così per un po’, intrecciate che quasi sono un corpo solo, continuando ad annusarsi e ad accarezzarsi.
Forse, in realtà, tra un delitto e una scopata la differenza sta tutta nel numero delle volte in cui puoi tornare a morire.
Ore 9:16
Cleveland/The Shoreline
Appartamento 7B
Dolce, è il riposo di Angelica Zimmer, come forse non le capitava da un bel po’. Distesa su quel letto che non è il suo, avviluppata in un lenzuolo ancora caldo di desiderio.
Il sole che entra dalle finestre dà al candore del suo corpo una luce nuova, di rosea beatitudine.
Forse sogna, chissà, con gli occhi chiusi e un sorriso beato disegnato sul volto, le labbra appena aperte di chi ha parlato per ore la sola lingua dei baci.
Sfumando via il sonno, lentamente, percependo un rumore soffuso e continuo, una sorta di vibrazione che piano la riporta al mondo dei vivi, con mille domande da formulare e nessuna voglia di farlo, con gli occhi che sbattono regalando azzurro e quel suono, costante, che ha a che fare coi doveri e di certo non con i piaceri.
“Il telefono!” pensa l’Agente Speciale Zimmer, alzandosi sul letto, verificando che, lì con lei, non c’è più nessuno.
Le lenzuola sfatte, vuote di donna che ieri sera è stata sua, sua e di nessun altro.
Poi ancora quel suono, alzarsi nuda dal letto e iniziare a cercarlo, indagando l’aria, lanciando via coperte e cuscini che qualcuno ha messo proprio lì, impilati ad attutire la vibrazione dei doveri.
Ora la bionda inizia a preoccuparsi, riconosce il nome sul display e risponde con voce ancora impastata dalla sbronza sessuale:
«Pronto? Capo..
sì..
non..
non ho sentito la sveglia..
sì.. io..
cosa?
Quando è successo?
No, io non..
sì..
controllo subito..
va bene..».
Ora il cuore le batte forte, di quei risvegli che nessuno vorrebbe mai avere, ecco lì il telecomando, accendere il televisore e incrociare il notiziario, trovando in un istante tutte le risposte alle sue domande.
È in corso una conferenza stampa, Eric Finch, capo del quinto distretto sta annunciando ai giornalisti la risoluzione del caso del Radisson Hotel, avvenuta stamattina all’alba.
Accanto a lui c’è l’autrice dell’arresto, il suo sbirro migliore, la faccia stanca, le labbra che sembra cedano a uno sbadiglio, grandi lenti scure nascondono occhi assonnati, di chi ha evidentemente passato la notte a dibattersi nell’inferno del crimine.
Ora la bionda ride, di chi gode nell’accorgersi di essere stata fottuta. La leggenda di Cleveland, che pensa ai casi da risolvere anche mentre scopa, ci sa proprio fare, la stronza.
Poi un dettaglio, piccolo e prezioso, quella donna sullo schermo, la sua giacca di pelle e lì, nel taschino, un fermaglio di foggia preziosa, a mo’ di trofeo che dichiara vittoria o forse, chissà, un modo per dire: ti ho portata con me.
Angelica Zimmer si lascia cadere sul letto, scuote la testa, senza più fretta di alzarsi e casi da risolvere. La lingua percorre le labbra di un sapido ricordo ancora vivo.
Poi si volta appena e sul comodino vede un vecchio lettore mp3, di quelli che nessuno usa più da un sacco di anni.
C’è anche un foglio, vergato a fretta da un’ombra femmina scappata via nel cuore della notte:
“In casa non c’è un cazzo di colazione..
se vuoi un caffè puoi scendere in strada e andare da Amir..
se invece hai fame non muoverti da quel letto..
appena torno ti porto una cosa buonissima!
Sofía”
In quel momento il piccolo Callaghan salta sul letto e va ad accoccolarsi sulla pancia di quella bionda sconosciuta, come a ribadire che non è ancora il momento di andarsene.
Tanto vale dichiararsi arresa, percorrere con gli occhi un’altra vita, un gatto affettuoso, il soffitto ricolmo di sogni, i rumori che arrivano dalla strada in un giorno qualunque.
Le mani raggiungono gli auricolari e li portano alle orecchie.
Perché ascoltare la musica di qualcuno è un modo per spiargli il cuore, percepirne il ritmo e le invisibili vibrazioni, scorgerne i segreti e il luccichio delle più intime emozioni.
Chi sei tu, sbirro femmina, che maneggi l’amore e l’orrore con la stessa identica forza. Tanto bella e tanto letale, come si può, non impazzire, nella folle ossessione di cercarti, ancora e ancora.
Angelica chiude gli occhi, la sua testa disegna un pensiero, talmente assurdo che le labbra si ritrovano a sussurrare l’esatto opposto:
«Vaffanculo, Ispettore Sánchez».
Poi preme play.
https://youtu.be/yo1rH7TV4Fw?si=ZJcF9-oDAA6G6oNp
Se davvero vuoi fare questo mestiere allora senti qua, trovati uno bravo e attaccati al suo culo, seguilo come un’ombra silenziosa e impara tutto ciò che puoi.
Sai come si riconosce un bravo detective?
È semplice.
Sulla scena del crimine è l’unico che non guarda il cadavere.
Tenente Ted Sheridan]
Ore 22:10
Cleveland/Asiatown
Radisson Hotel
Disteso sull’orrenda moquette beige della stanza 301 c’è Simon Jóźwiak, 43 anni, titolare di una piccola agenzia immobiliare dalle parti di Old Brooklyn.
Può sembrare stia dormendo ma l’enorme chiazza di sangue che si irradia dal suo corpo rende chiaro che, il suo riposo, è decisamente eterno.
Tutto intorno flash fotografici, vociare soffuso e paia d’occhi a scrutare il poveretto, forse incuriositi dal macabro spettacolo o semplicemente intenti a esorcizzare il demone oscuro della morte.
Ci sono i ragazzi della scientifica, gli impiegati del Coroner e c’è ovviamente il Dottor Grass, medico legale, che parla sommessamente con Eric Finch, capo del quinto distretto.
Sulla porta aperta due agenti in divisa a cui è stato affidato il compito di proibire l’ingresso a chiunque e non riescono tuttavia a smetterla di voltarsi, di tanto in tanto, anche loro morbosamente calamitati dalla chiazza di sangue e dalla sua sorgente ancora tiepida.
A giudicare dalla loro espressione pare evidente che sia per entrambi la prima volta che si ritrovano in una situazione simile.
Vicino a delle improbabili tende color crema c’è una donna, in piedi, con le braccia conserte e gli auricolari alle orecchie. La testa si muove appena, seguendo evidentemente il ritmo di una qualche canzone che solo lei può ascoltare.
Grandi occhi scuri a planare in giro per la stanza, verso qualsiasi cosa non sia quell’uomo che dorme per sempre.
Attratta più dall’arredamento formale, il grande letto disfatto, la finestra aperta, la sedia rovesciata a terra; istantanee di vita congelata che raccontano di come, e forse anche perché, Simon Jóźwiak abbia smesso di respirare.
L’Ispettore Sofía Sánchez, capo della squadra omicidi sa fin troppo bene che ogni delitto ha una sua storia e che, la vittima, ne rappresenta solo il finale.
Così sta lì, in disparte, la musica nelle orecchie per spegnere le distrazioni e accendere i propri sensi, provando a decifrare la trama di quello strano racconto.
A giudicare dalla sua espressione risulta chiaro che, tutto questo, è ciò che sa fare meglio di qualsiasi altra cosa.
Intrecciare i fili di una storia criminale, montarli e smontarli a ripetizione fino a che tutta la matassa non sarà sbrigliata e per ogni nodo che non si scioglie ricominciare da capo, ancora una volta, fin quasi a sfinirsi.
È un lavoro di pazienza e tenacia, ricomporre il destino e dargli un senso, è un lavoro per pazzi, una lenta ossessione per cui due occhi, spesso, non bastano. Meglio è, averne un’intera squadra a disposizione.
L’Agente Andy Coleman se ne va a zonzo per l’albergo, armato di telefono cellulare e tutto ciò che fa è scattare fotografie. Quasi a raffica, immortalando piccole stranezze, cose solo apparentemente inutili: un quadro appena storto, una macchia sul tappeto, un paio di scarpe abbandonate fuori da una porta chiusa. Frammenti sparsi di mille altre storie che, in qualche modo, possono aver incrociato la via della trama principale e magari svelarne le dinamiche da angolazioni diverse e inaspettate.
Nessuno fa troppo caso a lui, con quella faccia paffuta e gli occhiali da vista sembra un impiegato del catasto a cui è stata affidata la ristrutturazione dello stabile, chi potrebbe mai immaginare che sia invece uno dei più grandi esperti informatici della polizia dell’Ohio.
Nel piano interrato del Radisson Hotel ci sono i locali di servizio; la lavanderia, il magazzino, gli spogliatoi, una piccola stanza coi distributori automatici dove i dipendenti si rilassano, tra un turno e l’altro.
Proprio lì, c’è il Sergente Nick Fabretti, armato di un pacchetto di Red & White, continua a offrirne, a ripetizione, intercettando di volta in volta la giusta conversazione da intraprendere.
Se vede un ragazzo col tatuaggio dei Cavaliers parte con la disamina degli ultimi risultati, sciorina critiche al Coach accusandolo di avergli fatto perdere un sacco di dollari in scommesse.
Ad una donna di mezza età con la fede al dito racconta invece di sua moglie, dei mille lavori che è costretta a fare per mandare avanti la famiglia.
Mente ovviamente, perché della sua ex moglie no, davvero non parla mai.
A nessuno comunque chiede informazioni su ciò che è successo al terzo piano, li lascia sciogliere in confidenze, li mette a loro agio così che siano loro, a un certo punto, a dire una cosa come: “Ho sentito qualcosa, delle urla, di gente che stava litigando”.
Sul tavolino della stanza 301 ci sono due lattine di Bud Light aperte, forse Simon Jóźwiak aveva compagnia o forse, era solo molto assetato.
L’Ispettore Sánchez le guarda e pensa che deve assolutamente sapere quanta birra ancora contengono, un’informazione che potrebbe far prendere alla storia strade del tutto diverse fra loro.
Sono ancora entrambe piene? Una festa interrotta? Una delle due è vuota e Simon ha fatto appena in tempo a stappare la seconda?
In quel momento però, qualcosa turba la meccanica investigativa dei suoi pensieri, una di quelle cose che di solito la fanno incazzare da morire.
Gli agenti sulla porta si separano fra loro, lasciando entrare nella stanza due individui vestiti di scuro.
Sofía li osserva, immersa nella sua bolla musicale, vede il più giovane dei due andare verso Eric Finch, presentarsi, stringergli la mano e iniziare a parlare, esponendo evidentemente le motivazioni per cui lui e il suo collega sono qui.
Per l’Ispettore Sánchez è fin troppo facile capire cosa stia succedendo, così come semplice risulta scalare le deduzioni relative al secondo soggetto.
La prima, immediata: è una donna.
La seconda, lampante nella sua scia di luce dorata: quella donna è uno schianto.
Rigida e impettita, così come il suo ruolo le impone, i capelli biondi raccolti alti sulla testa tenuti su da un fermaglio di foggia preziosa, gli occhi azzurri, sfuggevoli e intensi allo stesso momento, di animale inquisitore addestrato a infondere soggezione in chiunque la guardi. Così elegante da risultare in qualche modo antipatica, algida, e irraggiungibile.
La terza deduzione è la più fastidiosa, osservandola aggirarsi per la stanza, attratta da qualsiasi cosa non sia l’uomo disteso a terra sì, quella stronza, è una che ci sa fare.
Ora il Capo Finch si avvicina a Sofía, col volto stirato da un timore inevitabile, sa bene che il suo sbirro migliore non sarà contento di ciò che sta per dirle.
Lei si sfila le cuffie, bruciandolo con gli occhi, lo ascolta balbettare ciò che già sa.
Quel coglione del Procuratore distrettuale ha deciso di associare l’omicidio di Simon Jóźwiak ad altri due delitti avvenuti nel quartiere più di tre mesi fa, una pista che pare in qualche modo collegata alla mafia cinese e al traffico di clandestini, un caso delicato, dalla risonanza così alta da richiedere evidentemente l’intervento dell’F.B.I..
Adesso sì, la bionda si intromette nella discussione e allunga una mano, presentandosi:
«Agente Speciale Zimmer e lei dovrebbe essere.. Sánchez.. se non sbaglio».
Eric Finch vorrebbe sparire, lasciarsi inghiottire dal pavimento o distendersi a terra a far compagnia a quel corpo che ormai nessuno guarda più. Sa che ora Sofía potrebbe esplodere, sa che la Zimmer ha omesso di rivolgersi a lei chiamandola “Ispettore” e soprattutto sa quanto quella belva non sopporti che qualcuno invada il suo territorio.
Ma ciò che accade è una vera sorpresa, Sofía Sánchez schiude le labbra in uno splendido sorriso, stringe la mano di quella bionda in abito scuro e pronuncia parole che nessuno avrebbe mai potuto immaginare:
«Puoi chiamarmi Sofía».
«Allora io sono Angelica!».
Restano così, a guardarsi, mano nella mano, curiose di verificare le leggende che girano sul valore professionale di entrambe, avendo già constatato quanto, quelle sul reciproco fascino, siano spietatamente vere.
Il Capo Finch ha la bella idea di intromettersi in quel dialogo silenzioso, ricordando a entrambe che l’indagine è ora passata nelle mani del Bureau e che quindi, l’Agente Speciale Zimmer, ne è divenuta coordinatore responsabile.
Stringe i denti Sofía, scorrendo mentalmente gli insulti con cui vorrebbe folgorarlo e che rimanda a più tardi, tornando a stupire chiunque la conosca:
«Agli ordini “capo”.. se il nuovo “coordinatore” è d’accordo vorrei fare con lei il punto della situazione e passarle tutte le informazioni che abbiamo sul caso.. magari davanti a una birra?».
«Volentieri, “Ispettore”» risponde Angelica scambiando un sorriso d’intesa, desiderosa di mettersi a lavorare al più presto insieme alla leggenda di Cleveland.
Ore 23:28
5393 St Clair Avenue
Erie Tavern Inc
Danny Tesillo, tutti lo sanno, racconta sempre un sacco di cazzate.
È fin troppo facile immaginare quindi che, quando un giorno insisterà a descrivere quello che solo poco fa è successo nel suo bar, nessuno gli crederà.
“Vattene a fanculo Danny!” gli diranno, ridendo, mentre con occhi spiritati racconterà a tutti del momento in cui le porte del locale si sono aperte, lasciando entrare quelle che lui stesso definirà due “puledre spaziali”.
E sarà forse solo questa, l’inesattezza del suo racconto, perché quelle due donne sedute al tavolino non solo sono estremamente terrene ma di certo non appartengono alla razza equina, ogni cosa nel loro atteggiamento richiama la stessa danza felina, seppur così diverse, l’una dall’altra.
La bionda se ne sta seduta composta, fiera come una leonessa artica, distante da tutto e tutti, che a guardarla ti viene subito la voglia di inginocchiarti.
L’altra ha i tratti caldi del sudamerica, una femmina di giaguaro avviluppata allo sgabello come fosse un ramo da cui si prepara a sferrare un attacco, che se per caso sei ancora lì in ginocchio potrebbe benissimo prenderti a calci nel culo.
Non c’è uomo, nel locale, che non le stia guardando, continuando a chiedersi chi siano e che diamine si stiano dicendo, in questo momento.
Angelica Zimmer tira fuori dalla giacca il suo pacchetto di Parliament e lo porge a Sofía che sembra distratta e continua a far saltare le dita sullo schermo del suo cellulare.
«Sigaretta?».
«Ti ringrazio.. ma ho smesso!».
«Ci ho provato anche io, un sacco di volte, ma ogni volta ci ricasco.. soprattutto quando lavoro!».
«Devi solo trovarti qualcos’altro da fare..».
«Beh, dimmi il tuo segreto allora, tu cosa fai quando ti viene voglia?».
«Di solito.. mi faccio una scopata!».
Un attimo di sospensione, un sorriso ricolmo di imbarazzo, magari, pensa Angelica, gli sbirri di Cleveland sono abituati a confidenze del genere, magari è proprio ciò che sta facendo quella donna col suo telefono, organizzarsi la nottata con qualcosa “da fare”.
La verità è che l’Ispettore Sánchez, come sempre, vive divisa a metà fra il piacere e il dovere: una storia criminale ancora da risolvere. Perché con le dita puoi fare un sacco di cose, anche scambiare informazioni con gli uomini della tua squadra e provare a risolvere un caso d’omicidio. È convinta che il povero Jóźwiak non centri un cazzo con gli altri delitti di Asiatown e quando sente insistere su di sé la luce azzurra di quello sguardo decide di giocare le sue carte:
«Che idea ti sei fatta di questa storia?».
«Beh.. è ancora presto per dirlo..».
«I cinesi non c’entrano un cazzo!».
«Ne sei certa?».
«Quella è gente che non lavora così.. non lascerebbero mai tutto quel casino in una stanza d’albergo..».
«Il procuratore non la pensa così..».
«Il procuratore è un coglione!».
Ora ridono insieme, senza smetterla di rubarsi gli occhi, continuando a studiarsi, così simili, nella loro efficacia investigativa tanto quanto differenti, nel modo di applicarla.
C’è chi si muove costantemente sulla linea tratteggiata delle regole da seguire, sfumandola in nome del risultato da ottenere e chi, invece, si prodiga a percorrere sempre la retta via, con la convinzione che non ne esistano altre possibili.
«Avevi detto di avere delle.. informazioni..» dice Angelica, spegnendo in un istante quel momento di leggerezza.
«Sì, ho i documenti a casa, magari dopo facciamo un salto a prenderli».
«È che.. non vorrei fare tardi.. ho ancora così tante cose da fare..».
«Tranquilla.. io abito proprio qui vicino! Prendiamo altro da bere?».
«Ma non abbiamo ancora finito la birra!».
«Hai ragione, questa birra è una merda.. DANNY.. PORTACI DUE SCOTCH!».
Entrare in casa di una persona vuol dire in qualche modo penetrare la sua intimità.
Rintracciarne gli odori, riconoscere le luci che brillano su un corpo pigramente svestito in un giorno qualsiasi, i mille piccoli gesti che formano lo schema dell’abitudine.
È un’operazione che ad esempio risulta particolarmente efficace per redarre il “profile” di un Serial killer.
A questo pensa Angelica Zimmer mentre varca la soglia dell’appartamento di Sofía Sánchez, alla curiosità di poterla osservare meglio, di poterla scorgere da dentro.
La prima sorpresa arriva proprio adesso, nel percepire un tono inaspettato nella voce della padrona di casa, così dolce e sensuale mentre pronuncia la seguente frase:
«Hola.. pequeño, mamá está aquí!».
Un piccolo gatto dal manto tigrato le si fa incontro, andando a strusciarsi sui suoi stivali, iniziando a emettere quelle vibrazioni di pura gioia a cui gli esseri umani hanno dato il nome di “fusa”.
Sofía lo prende in braccio e coccolandogli la testa procede a fare le dovute presentazioni:
«Lui è Callaghan!».
«Callaghan?» chiede Angelica ridendo.
«Hai qualcosa contro l’Ispettore Harry Callaghan?».
L’Agente speciale Zimmer allunga una mano iniziando ad accarezzare il musetto del piccolo felino che chiude gli occhi, dimostrando di gradire il doppio trattamento.
«”Ecco perché mi chiamano Harry la carogna, perché frego sempre tutti quanti!”» dice poi, dimostrando di aver trascorso un’adolescenza molto simile, imparando dallo schermo il mestiere che poi le avrebbe segnato tutta la vita.
Due donne così simili eppure così distanti, due mani che accarezzano e per qualche istante si ritrovano, toccandosi, fra i peli del gatto più fortunato del mondo.
«Io ho un gran bisogno di una doccia, vuoi farla anche tu?».
Angelica si blocca, provando a concentrarsi sull’unico senso che può avere quella domanda, una gentilezza, un puro atto di cortesia a cui tuttavia non trova parole per rispondere.
«Va beh – continua Sofía – faccio in un attimo, tu mettiti comoda.. da qualche parte dovrebbe esserci una bottiglia di Tequila».
Così, Angelica Zimmer, la bionda, resta da sola in quella casa sconosciuta, che da subito, guardandosi attorno, le appare come una vera e propria tana.
Un luogo adibito al riposo di un predatore, che solo qui dentro, forse, riesce a spogliarsi dalla leggenda ed essere solo sé stesso.
Un ampio open space, arredato in modo essenziale, il letto, un piccolo tavolo che sembra venga utilizzato ben poco, un paio di manubri a terra, una borsa sportiva, la scrivania ricoperta di documenti, identikit appesi alla parete, la stessa su cui campeggia una grande mappa di Cleveland tutta scarabocchiata a pennarello.
Chi sei, tu, sbirro femmina, dove ti nascondi? Chi o cosa ti hanno resa quello che sei adesso?
È un caso strano, pensa l’Agente Speciale del Bureau, un mistero che pare impossibile da decifrare.
Sofía Sánchez è chiusa nel suo bagno, l’acqua scroscia dalla doccia in attesa di godersi il suo corpo.
Seduta sul suo water, di nuovo alle prese col suo smartphone a verificare il lavoro dei suoi uomini.
Coleman ha scandagliato tutti i dati informatici relativi agli affari di Simon Jóźwiak, trovando debiti per migliaia di dollari.
Fabretti ha passato la serata in un bar, in compagnia della segretaria dell’agenzia immobiliare, gli ci sono voluti tre Martini e la promessa di un nuovo incontro prima di scoprire che la vittima, per risolvere i suoi problemi economici, ha chiesto aiuto a certa gente davvero poco raccomandabile.
“Bingo!” sorride il capo della Squadra Omicidi, prima di lasciarsi avvolgere dal vapore.
Il cassetto della scrivania, chiuso, basterebbe allungare la mano, cedere alla curiosità, dare giusto un’occhiata veloce, alla ricerca di qualsiasi cosa possa rendere umana quella donna che canticchia sotto la doccia.
Angelica guarda la porta del bagno, poi guarda il piccolo Callaghan, che la fissa, quasi per rimproverarla.
Le viene addirittura l’istinto di mettersi un dito sulle labbra per chiedergli di non tradirla ma poi, con un sospiro, apre il cassetto.
Quante sono? Decine, forse di più, un numero davvero impressionante di pergamene, encomi, riconoscimenti ufficiali, un mazzetto colorato di medaglie che farebbero invidia a un veterano di guerra e che, quella donna assurda, tiene buttate come fossero cianfrusaglie di poco conto.
L’Agente Zimmer infila la mano e inizia a frugarci in mezzo, fino a toccare qualcosa di diverso, il piccolo telaio di legno di una cornice.
Non resiste alla tentazione di estrarla, c’è una fotografia, ingiallita dal tempo, di un mondo che è esistito tanti anni fa e ora resta impresso in un lucido ricordo.
Una famiglia, in posa sorridente, in un’istantanea ricolma di solo amore.
Un uomo e una donna, seduti su un divano a fiori, dettagli di una casa che ha a che fare con il calore del Sudamerica.
La donna, lei, è.. bellissima! Tratti somatici che da subito Angelica riconosce e che le aprono il sorriso.
Ai piedi del divano c’è un bambino, che tiene le gambe raccolte e mostra grandi, immensi occhi verdi, gli stessi identici di sua madre.
L’uomo ha grandi baffi scuri e una faccia infinitamente buona, di padre da cui non vorresti staccarti mai.
Sulle sue spalle, infine, una ragazzina con aria da guerriera, la bocca spalancata in un urlo sdentato che riempie il cuore di tenerezza.
“Eccoti qui..” pensa Angelica, accarezzando il vetro, con la delicatezza di chi ha fra le mani un vero tesoro.
È così presa dalla sua scoperta da accorgersi solo adesso della doccia che ha smesso di cantare, fa appena in tempo a rimettere a posto la cornice, col cuore che le batte forte, chiudere il cassetto e voltarsi, scorgendo la porta del bagno che si apre, ritrovandosi davanti agli occhi un’immagine che il cuore glielo ferma, per un solo brevissimo istante.
«Eccomi qui..» esclama Sofía, asciugandosi i capelli con un piccolo telo bianco. Niente altro addosso, a coprire la prepotente sensualità del suo corpo, come un predatore che all’interno della propria tana si arroga il diritto di fare tutto il cazzo che vuole.
Una statua viva, nel fremito dei grossi seni che oscillano, ancora umidi di doccia, di ventre delicato e fianchi rotondi, al cui centro spicca il ciuffo scuro e riccioluto della sua selvatica femminilità.
Le gambe che si muovono, un passo dopo l’altro, fino a raggiungere la sua ospite, che mai si era specchiata in una donna tanto simile e tanto diversa da sé.
«Tutto bene?» chiede la padrona di casa a una distanza tale da annebbiarla con il dolce odore del bagnoschiuma.
«Sì – risponde Angelica tradendo un’ombra di imbarazzo – direi che per me è decisamente tardi..».
Sguardi oltre gli occhi, azzurro che sfuma in blu prima di arrendersi al nero, è sempre lì dentro che si scorge il desiderio.
«Va bene» dice Sofía, che in una scena simile pare essere completamente a suo agio, magari gli sbirri di Cleveland sono abituati anche a stranezze simili. O forse è semplicemente a casa sua, in compagnia di una donna, con confidenza da caserma che davvero non può, o non dovrebbe, risultare inopportuna.
«I documenti?» chiede ora il coordinatore delle indagini, aprendo la mano sui fogli sparsi sulla scrivania.
«Hai ragione – risponde la donna nuda, sfilando via da una pila di carte il verbale di un interrogatorio avvenuto circa tre mesi fa – in casa non ho altro, domani cerco meglio in ufficio!».
Angelica Zimmer prende il foglio, si guarda un’ultima volta attorno, come sentisse qualcosa, un richiamo che arriva da quella casa ma che, davvero, non riesce a capire.
«Allora a domani».
«Dai, ti accompagno alla porta».
Quell’ombra dietro, che cammina e la segue senza ancora essersi ricoperta, afferrare la maniglia e pensare: se adesso apro e qualcuno si ritrova a scendere le scale, che succederà? Si lascerà guardare da uno sconosciuto? È così che funziona da queste parti? La leggenda di Cleveland, così sfrontata, così libera, così.. dannatamente.. così.. così..
La meccanica dei suoi pensieri sembra smarrire la via delle parole, la mano che stringe la maniglia non si muove, forse davvero per la paura di dare spettacolo ai vicini o forse stregata da una domanda, che non ha davvero alcun senso: che ci faccio, io, qui?
Forse è per questo che alla fine la leonessa artica si volta su se stessa, ritrovandosi a pochi, pochissimi centimetri dal muso della giaguara.
Vai a capire come e perché, le escono dalla bocca le seguenti parole:
«Io.. non sono.. lesbica..».
Sofía allunga una mano e va ad aprire il fermaglio prezioso, liberando capelli d’oro pressati da troppo tempo.
«Non preoccuparti – dice sorridendo – neanche io lo sono».
E poi è un assalto, rapido, sferrato a coppie di due.
Le labbra, le mani, le gambe.
Le labbra, che si avventano su quelle della bionda, succhiandole via il respiro, cercandole la lingua con la lingua, baciando e mordendo ogni cosa di quella splendida bocca.
Le labbra, le mani, che artigliano vestiti che quasi è strapparli, schiudendo la camicia, andandosi a cercare seni da stringere, bianchi e morbidi, le mani lungo i fianchi e poi più giù, sciogliendo la cintura, aggrappando forte i pantaloni e con essi le mutande, che non è più tempo per l’eleganza.
Le labbra, le mani, le gambe, che marciano all’indietro per trascinare la preda lì dove deve essere, al centro esatto di tutto, nel cuore caldo di una tana da cui nessuno vorrebbe scappare, mentre le mani afferrano i glutei e le labbra mordono il collo.
Così, scopa, la leggenda di Cleveland.
Angelica si stacca dalla morsa, non può e non vuole dimostrarsi intimorita, una mano fra i capelli a ravvivarli, diventando leonessa, poi giù a sfilarsi il resto dei vestiti, fino a essere entrambe nude, una di fronte all’altra, come a dichiararsi pari in quella danza di femmine.
Sofía sorride, che davvero non aspettava altro, si avvicina lentamente mentre la bionda si volta, esibendo un culo che è desiderio per tutti gli uomini del Bureau.
Abbracciarla da dietro, leccarle il collo, spingerle sulla schiena quei seni che a Cleveland fanno sempre venire una gran voglia di ululare.
Le mani ora sui fianchi, muovere il bacino a colpirla, come per fottersela, prima piano e poi più forte, un colpo e poi un altro, spingendola contro la parete, per braccarla, il viso contro il muro, le tette schiacciate, le labbra strette fra i denti di chi gode nell’essere pasto da giaguaro.
Altri colpi di bacino, coi peli che solleticano le natiche, le mani ora sul culo, a riempirsi di carne bianca, come fuoco che affonda nel ghiaccio e lo scioglie, iniziando a farlo gocciolare.
Quando Angelica di nuovo si volta all’Ispettore Sánchez non resta che inginocchiarsi, guardarla fra le cosce e tornare solo adesso a parlare:
«È l’F.B.I. che vi obbliga a depilarla così?».
Ride, l’Agente Speciale Zimmer, si porta una mano fra le gambe e inizia ad accarezzarsi, proprio di fronte al viso di Sofía. Le dita fra le labbra, a sguazzarci dentro, per ingolosire il predatore, la gamba si apre, andando a poggiare il piede nudo sulla scrivania, proprio sotto agli occhi dei peggiori assassini dell’Ohio:
«Vuoi ancora chiacchierare o pensi di farci altro, con quella lingua?».
Ora sì, ora tutto succede, la lingua smette di blaterare e inizia a danzare, gustando dita e labbra umide di passera federale, infilandosi poi dentro a penetrare, sempre più a fondo.
Angelica Zimmer spalanca gli occhi ed emette un urlo, come le avessero appena leccato il cuore, pensando che, sì, quella stronza ci sa proprio fare.
A passo lento e poi vorticoso, a gustare quella femmina di cui tutti parlano, bevendone il piacere sapido e screziato, dimostrando di poter essere anche infinitamente libera.
Gode la bionda glaciale, si afferra i seni, mostrando i denti, che di uomini pronti a inginocchiarsi ne ha conosciuti tanti ma forse mai si era sentita così braccata.
«Ho voglia di scoparti, adesso» dice Sofía alzandosi in piedi, come avesse di colpo fretta.
Un altro bacio a scambiarsi il gusto del piacere, tornando a camminare alla cieca per la stanza, fino a ritrovarsi accanto al letto, spingendo la bionda a stendersi sulla schiena, afferrandole i piedi per spalancarle le cosce e lì, guardarla negli occhi, cedere all’istinto e alla sua inventiva meravigliosa, aprire le gambe e trovare un modo per toccare la fica con la fica, i peli scuri sulla pelle liscia, iniziando a muoversi come gatte selvatiche.
Le labbra calde che si ritrovano a baciarsi, scivolandosi addosso, mescolando gli umori del fuoco e del ghiaccio, che roba è mai questa? Come fanno due donne a scoparsi così? A sbattersi, strusciandosi alla folle ricerca del godimento, ballano, i grossi seni di Sofía Sánchez, già umidi di sudore, mentre il bacino si ostina a picchiare, a sciogliersi di movenze sudamericane e ancora su e poi giù, di labbra fradice e clitoridi gonfi, dio, pensa Angelica Zimmer, dio che assoluta meraviglia.
Sentirsi esplodere e non volerlo fare mai, in bilico sulla vertigine del piacere, eccoti qui, leggenda di Cleveland, ecco la vera te stessa, scopami adesso, sbattimi forte, scambiati la fica con la mia senza più chiedermi chi sono e che diamine ci faccio, qui, adesso.
Forse, chissà, anche il sesso è un modo per raccontare una storia, proprio come un crimine e la dolce morte dell’orgasmo, ne rappresenta solo il finale.
Così Sofía sale sul letto, iniziando a gattonare minacciosa, fino a ritrovarsi sul corpo di Angelica, alla ricerca di un nuovo modo per sfinirsi le labbra di baci.
Ogni testa finisce preda di un paio di cosce, ogni bocca a respirare fica e calore, odore di gatta ancora insoddisfatta.
La bionda si ritrova davanti agli occhi un ruggito colante di carni bagnate, centro di ogni leggenda e ogni desiderio che gira attorno a quella donna, un vortice che ti invita a caderci dentro, che annebbia la vista e implora saliva.
La bocca aperta in modo lascivo, così come mai l’hanno vista i suoi colleghi del Bureau, la lingua golosa che brucia distanze, finendo con lo sciogliersi in quel groviglio di carni, con in testa un unico pensiero: la tua fica è buonissima, Ispettore Sánchez.
Ecco, ora sì, gli opposti raggiungono il loro magico equilibrio, a leccarsi via il piacere, gemendo, bevendosi l’un l’altra, come a volersi entrare dentro per sempre.
La giaguara del sudamerica e la leonessa artica, braccandosi il culo e spingendoselo in faccia, così che non esista più altro che fica, così che le esplosioni trovano il loro unico respiro, con versi sempre più veloci e gemiti da fusa, finché, entrambe, si urlano fra le cosce il loro meraviglioso sfinimento.
Restano così per un po’, intrecciate che quasi sono un corpo solo, continuando ad annusarsi e ad accarezzarsi.
Forse, in realtà, tra un delitto e una scopata la differenza sta tutta nel numero delle volte in cui puoi tornare a morire.
Ore 9:16
Cleveland/The Shoreline
Appartamento 7B
Dolce, è il riposo di Angelica Zimmer, come forse non le capitava da un bel po’. Distesa su quel letto che non è il suo, avviluppata in un lenzuolo ancora caldo di desiderio.
Il sole che entra dalle finestre dà al candore del suo corpo una luce nuova, di rosea beatitudine.
Forse sogna, chissà, con gli occhi chiusi e un sorriso beato disegnato sul volto, le labbra appena aperte di chi ha parlato per ore la sola lingua dei baci.
Sfumando via il sonno, lentamente, percependo un rumore soffuso e continuo, una sorta di vibrazione che piano la riporta al mondo dei vivi, con mille domande da formulare e nessuna voglia di farlo, con gli occhi che sbattono regalando azzurro e quel suono, costante, che ha a che fare coi doveri e di certo non con i piaceri.
“Il telefono!” pensa l’Agente Speciale Zimmer, alzandosi sul letto, verificando che, lì con lei, non c’è più nessuno.
Le lenzuola sfatte, vuote di donna che ieri sera è stata sua, sua e di nessun altro.
Poi ancora quel suono, alzarsi nuda dal letto e iniziare a cercarlo, indagando l’aria, lanciando via coperte e cuscini che qualcuno ha messo proprio lì, impilati ad attutire la vibrazione dei doveri.
Ora la bionda inizia a preoccuparsi, riconosce il nome sul display e risponde con voce ancora impastata dalla sbronza sessuale:
«Pronto? Capo..
sì..
non..
non ho sentito la sveglia..
sì.. io..
cosa?
Quando è successo?
No, io non..
sì..
controllo subito..
va bene..».
Ora il cuore le batte forte, di quei risvegli che nessuno vorrebbe mai avere, ecco lì il telecomando, accendere il televisore e incrociare il notiziario, trovando in un istante tutte le risposte alle sue domande.
È in corso una conferenza stampa, Eric Finch, capo del quinto distretto sta annunciando ai giornalisti la risoluzione del caso del Radisson Hotel, avvenuta stamattina all’alba.
Accanto a lui c’è l’autrice dell’arresto, il suo sbirro migliore, la faccia stanca, le labbra che sembra cedano a uno sbadiglio, grandi lenti scure nascondono occhi assonnati, di chi ha evidentemente passato la notte a dibattersi nell’inferno del crimine.
Ora la bionda ride, di chi gode nell’accorgersi di essere stata fottuta. La leggenda di Cleveland, che pensa ai casi da risolvere anche mentre scopa, ci sa proprio fare, la stronza.
Poi un dettaglio, piccolo e prezioso, quella donna sullo schermo, la sua giacca di pelle e lì, nel taschino, un fermaglio di foggia preziosa, a mo’ di trofeo che dichiara vittoria o forse, chissà, un modo per dire: ti ho portata con me.
Angelica Zimmer si lascia cadere sul letto, scuote la testa, senza più fretta di alzarsi e casi da risolvere. La lingua percorre le labbra di un sapido ricordo ancora vivo.
Poi si volta appena e sul comodino vede un vecchio lettore mp3, di quelli che nessuno usa più da un sacco di anni.
C’è anche un foglio, vergato a fretta da un’ombra femmina scappata via nel cuore della notte:
“In casa non c’è un cazzo di colazione..
se vuoi un caffè puoi scendere in strada e andare da Amir..
se invece hai fame non muoverti da quel letto..
appena torno ti porto una cosa buonissima!
Sofía”
In quel momento il piccolo Callaghan salta sul letto e va ad accoccolarsi sulla pancia di quella bionda sconosciuta, come a ribadire che non è ancora il momento di andarsene.
Tanto vale dichiararsi arresa, percorrere con gli occhi un’altra vita, un gatto affettuoso, il soffitto ricolmo di sogni, i rumori che arrivano dalla strada in un giorno qualunque.
Le mani raggiungono gli auricolari e li portano alle orecchie.
Perché ascoltare la musica di qualcuno è un modo per spiargli il cuore, percepirne il ritmo e le invisibili vibrazioni, scorgerne i segreti e il luccichio delle più intime emozioni.
Chi sei tu, sbirro femmina, che maneggi l’amore e l’orrore con la stessa identica forza. Tanto bella e tanto letale, come si può, non impazzire, nella folle ossessione di cercarti, ancora e ancora.
Angelica chiude gli occhi, la sua testa disegna un pensiero, talmente assurdo che le labbra si ritrovano a sussurrare l’esatto opposto:
«Vaffanculo, Ispettore Sánchez».
Poi preme play.
https://youtu.be/yo1rH7TV4Fw?si=ZJcF9-oDAA6G6oNp
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