Il Collega - primo episodio
di
Neverland
genere
tradimenti
Il mio corpo è grande e piccolo nel letto, la mano talmente occupata da non sentirla e il collo si tira. Con la testa all'indietro riesco a fare uscire la voce. Appena la tensione si rilascia però, il primo sguardo con cui torno al mondo è smarrito, ha paura. Gli occhi mi si riempiono di lacrime. Se gemere era stato relativamente facile, il grido di dolore che mi sforma il viso ora non riesce a coinvolgere le corde vocali, e resta muto. Ogni orgasmo ultimamente è così. Forte e terribile.
Chi avevo addosso un secondo prima?
Tu mi tiravi così tanto i capelli che ti dovevo mordere per farti mollare la presa. Tu mi trascinavi per la stanza attorcigliandomi in una corda senza nemmeno sapere come fare ma mi dovevi avere. Dovevamo annientarmi insieme. Era bellissimo, non dovevo pensare a niente e potevo ringraziarti di cuore per avermi liberato anche solo per un secondo dalla responsabilità di esistere. Poi ti sei innamorato non so perché, e ci sono stata. Mi sono innamorata anche io. Ci interrompavamo solo per poterci baciare. I tuoi occhi sopra ai miei e i capelli che ti gocciolavano sulla mia fronte. Mi tappavi la bocca in tutti i modi. Mi impedivi di muovermi e mi facevi supplicare di darmene ancora. Me lo infilavi in bocca talmente forte che rischiavo di vomitare. Poi però mi accarezzavi, mi stringevi, mi guardavi.
Sei un'altra schiena di spalle nel mio letto ora, e nuove lacrime sul cuscino. Lamenti in tarda notte e paura di uscire a bere un bicchiere di vino insieme per la noia che ci invade.
Mi spoglio davanti a te e la tua indifferenza mi fa vergognare di essere nuda davanti a qualcuno. Oggi quando ti ho salutato ho provato a farti capire. Ti ho messo la mano sul pettorale e ho stretto come un gatto che si stira gli artigli. Ho accompagnato quel gesto con un sospiro che per te è stato come una folata di vento abbastanza violenta da farti fare un passo indietro. Ti sei ritratto. Non puoi. Non vuoi. Vuoi solo sapere che ci sono per te, e tu per me. Che non vogliamo lasciarci. Ci chiediamo in continuazione di non sorridere per finta. Ci licenziamo sapendo che quando non siamo insieme abbiamo una fantasia in cui rifugiarci, e che per valere questa fantasia deve essere plausibile.
Attaccherò anche oggi alle 19.
Fischietto per annunciarmi dall'inizio della via. Mi guarda da lontano facendo finta di non vedermi mentre sistema le sedie del dehor. Ci siamo abituati a non guardarci troppo negli occhi per non distrarci. Ci salutiamo come se non ce ne fregasse un cazzo. E in realtà mi sto chiedendo se succederà qualcosa, parleremo? Ci verrà servita l'occasione per toccarci?
Stavamo passando il limite nelle settimane passate, quando dietro al bancone del bar tra una chiacchera, un conto da fare, un bicchiere da sistemare e una birra da spillare approfittavamo dello spazio stretto per essere continuamente in contatto. Con tocco deciso mi spostava dal fianco. Con tocco delicato mi appoggiavo per allungarmi a prendere qualcosa. E i nostri volti troppo vicini nel capire cosa mai ci sarà stato scritto di così incomprensibile su quella comanda.
Un sabato al locale ci hanno massacrato. Così tanta gente da non potersi fermare per ore e ore. Alla prima occasione sono uscita a fumare una sigaretta e mi ha raggiunto, maledetto. Mi ha allungato la mano e io ho schiacciato un cinque per non infilarci la faccia, in quella mano. Poi mi ha preso la testa, stampato in bacio in fronte e se ne è andato.
Cosa? Da quel momento il bancone del bar è diventato improvvisamente più spazioso.
Da quel momento siamo diventati patetici e da quel momento ogni volta che rimango sola appare lui.
Siamo nel retro della cucina ad aprire scatoloni su scatoloni di bottiglie per sistemarle sugli scaffali. I vetri dei superalcolici brillano alla luce bianca del frigorifero e quella del neon. C'è puzza delle sigarette che si fuma il capo nelle pause e lo stato del pavimento racconta che la serata è stata impegnativa. Sono sulla scala e gli passo delle birre da mettere in fresco. Sapere che sta lì sotto mi mette tensione: mi chiedo come mi stanno i pantaloni.
-Devo passarti delle Nastro?
-No. Vedi quante ce ne sono rimaste però che non so se ordinarle.
-Prima ho visto che Matteo si segnava gli ordini da fare chiedi a lui
-È già andato via. Dobbiamo chiudere io e te.
-Ah. Ma come?
Stacco lo sguardo dagli scatoloni per incrociare il suo. Cazzo non dovevo farlo.
Divento rossa e per nascondermi giro la testa ma nel tornare precipitosamente alla mia occupazione mi sento mancare e mi vengono i brividi perché mi accorgo dell'altezza da terra. Il piede che stava in punta sul piolo della scala e su cui ho tutto il peso trema e sta per cedere ma lui mi afferra la caviglia per impedirmelo.
-oh occhio! Ci sei?
-si scusa tutto ok
-dai scendi faccio io lissú sei stanca.
-nono dai ormai ho finito, ci sono.
Vedo che anche quando va al frigo a sistemare le birre mi tiene d'occhio e fa in fretta per tornare a reggermi la scala.
Finisco. Scendo. Salto gli ultimi pioli con un balzo ma inavvertitamente questo non gli dà il tempo di spostarsi e ci ritroviamo naso a naso.
Ci paralizziamo. Chiaro.
Quello che mi fotte è proprio il suo respiro. Il suo odore mi fa girare di nuovo la testa e chiudo gli occhi. Sento una mano che mi spinge forte contro al frigorifero e poi un'altra che mi avvolge la nuca per proteggermi dal colpo. Mi bagno.
Gli occhi si evitano a sangue per non rispondere al senso di colpa. Siamo entrambi fidanzati. Tanto ormai è tardi. É già ovunque. Le mie mani hanno già sciolto la sua cintura. Il mio collo è suo, vorrei che ci affondasse i denti. Mi giro con un tocco: i miei fianchi sono già abituati a muoversi ai suoi comandi. Finalmente le sue mani sul mio culo. Il mio culo che da settimane non vuole altro che quelle mani che sembrano provare un sentimento reciproco, tanto da soffermarsi più del normale su questo incontro. Aprono un varco tra i vestiti. Qualche istante di attesa e lo sento entrare. Mi faccio sorprendere completamente dalla sua forza. Probabilmente la scala che cade, gli scatoloni, le bottiglie che rotolano fanno rumore ma a quel punto non sentiamo più niente. Lo spingo via perché voglio prendere il suo cazzo in bocca, mi inginocchio e intercetto il movimento del suo bacino che va da solo avanti e indietro. Lui stranamente ringhia di no e questa volta con una certa violenza mi prende per le spalle mi gira e mi spinge contro al lavandino mettendomelo di nuovo dentro. ora non può più fermarsi. Mi trovo praticamente dentro al lavabo e per non prendere contro al rubinetto apro accidentalmente l'acqua. Non so perché si riempie la mano e mi bagna tutta la schiena. Il freddo mi fa inarcare e portare indietro la testa.
Mi tira i capelli.
Urlo.
Mi tappa la bocca.
Siamo entrambi in apnea. Vari secondi tra un respiro e l'altro. Il ritmo non rallenta.
Mi lascio scuotere dall'orgasmo.
Apro gli occhi. Mi sento persa.
Un secondo fa avevo lui addosso.
Ora sono qua. Nel mio letto al buio.
Cosa devo fare?
Chi avevo addosso un secondo prima?
Tu mi tiravi così tanto i capelli che ti dovevo mordere per farti mollare la presa. Tu mi trascinavi per la stanza attorcigliandomi in una corda senza nemmeno sapere come fare ma mi dovevi avere. Dovevamo annientarmi insieme. Era bellissimo, non dovevo pensare a niente e potevo ringraziarti di cuore per avermi liberato anche solo per un secondo dalla responsabilità di esistere. Poi ti sei innamorato non so perché, e ci sono stata. Mi sono innamorata anche io. Ci interrompavamo solo per poterci baciare. I tuoi occhi sopra ai miei e i capelli che ti gocciolavano sulla mia fronte. Mi tappavi la bocca in tutti i modi. Mi impedivi di muovermi e mi facevi supplicare di darmene ancora. Me lo infilavi in bocca talmente forte che rischiavo di vomitare. Poi però mi accarezzavi, mi stringevi, mi guardavi.
Sei un'altra schiena di spalle nel mio letto ora, e nuove lacrime sul cuscino. Lamenti in tarda notte e paura di uscire a bere un bicchiere di vino insieme per la noia che ci invade.
Mi spoglio davanti a te e la tua indifferenza mi fa vergognare di essere nuda davanti a qualcuno. Oggi quando ti ho salutato ho provato a farti capire. Ti ho messo la mano sul pettorale e ho stretto come un gatto che si stira gli artigli. Ho accompagnato quel gesto con un sospiro che per te è stato come una folata di vento abbastanza violenta da farti fare un passo indietro. Ti sei ritratto. Non puoi. Non vuoi. Vuoi solo sapere che ci sono per te, e tu per me. Che non vogliamo lasciarci. Ci chiediamo in continuazione di non sorridere per finta. Ci licenziamo sapendo che quando non siamo insieme abbiamo una fantasia in cui rifugiarci, e che per valere questa fantasia deve essere plausibile.
Attaccherò anche oggi alle 19.
Fischietto per annunciarmi dall'inizio della via. Mi guarda da lontano facendo finta di non vedermi mentre sistema le sedie del dehor. Ci siamo abituati a non guardarci troppo negli occhi per non distrarci. Ci salutiamo come se non ce ne fregasse un cazzo. E in realtà mi sto chiedendo se succederà qualcosa, parleremo? Ci verrà servita l'occasione per toccarci?
Stavamo passando il limite nelle settimane passate, quando dietro al bancone del bar tra una chiacchera, un conto da fare, un bicchiere da sistemare e una birra da spillare approfittavamo dello spazio stretto per essere continuamente in contatto. Con tocco deciso mi spostava dal fianco. Con tocco delicato mi appoggiavo per allungarmi a prendere qualcosa. E i nostri volti troppo vicini nel capire cosa mai ci sarà stato scritto di così incomprensibile su quella comanda.
Un sabato al locale ci hanno massacrato. Così tanta gente da non potersi fermare per ore e ore. Alla prima occasione sono uscita a fumare una sigaretta e mi ha raggiunto, maledetto. Mi ha allungato la mano e io ho schiacciato un cinque per non infilarci la faccia, in quella mano. Poi mi ha preso la testa, stampato in bacio in fronte e se ne è andato.
Cosa? Da quel momento il bancone del bar è diventato improvvisamente più spazioso.
Da quel momento siamo diventati patetici e da quel momento ogni volta che rimango sola appare lui.
Siamo nel retro della cucina ad aprire scatoloni su scatoloni di bottiglie per sistemarle sugli scaffali. I vetri dei superalcolici brillano alla luce bianca del frigorifero e quella del neon. C'è puzza delle sigarette che si fuma il capo nelle pause e lo stato del pavimento racconta che la serata è stata impegnativa. Sono sulla scala e gli passo delle birre da mettere in fresco. Sapere che sta lì sotto mi mette tensione: mi chiedo come mi stanno i pantaloni.
-Devo passarti delle Nastro?
-No. Vedi quante ce ne sono rimaste però che non so se ordinarle.
-Prima ho visto che Matteo si segnava gli ordini da fare chiedi a lui
-È già andato via. Dobbiamo chiudere io e te.
-Ah. Ma come?
Stacco lo sguardo dagli scatoloni per incrociare il suo. Cazzo non dovevo farlo.
Divento rossa e per nascondermi giro la testa ma nel tornare precipitosamente alla mia occupazione mi sento mancare e mi vengono i brividi perché mi accorgo dell'altezza da terra. Il piede che stava in punta sul piolo della scala e su cui ho tutto il peso trema e sta per cedere ma lui mi afferra la caviglia per impedirmelo.
-oh occhio! Ci sei?
-si scusa tutto ok
-dai scendi faccio io lissú sei stanca.
-nono dai ormai ho finito, ci sono.
Vedo che anche quando va al frigo a sistemare le birre mi tiene d'occhio e fa in fretta per tornare a reggermi la scala.
Finisco. Scendo. Salto gli ultimi pioli con un balzo ma inavvertitamente questo non gli dà il tempo di spostarsi e ci ritroviamo naso a naso.
Ci paralizziamo. Chiaro.
Quello che mi fotte è proprio il suo respiro. Il suo odore mi fa girare di nuovo la testa e chiudo gli occhi. Sento una mano che mi spinge forte contro al frigorifero e poi un'altra che mi avvolge la nuca per proteggermi dal colpo. Mi bagno.
Gli occhi si evitano a sangue per non rispondere al senso di colpa. Siamo entrambi fidanzati. Tanto ormai è tardi. É già ovunque. Le mie mani hanno già sciolto la sua cintura. Il mio collo è suo, vorrei che ci affondasse i denti. Mi giro con un tocco: i miei fianchi sono già abituati a muoversi ai suoi comandi. Finalmente le sue mani sul mio culo. Il mio culo che da settimane non vuole altro che quelle mani che sembrano provare un sentimento reciproco, tanto da soffermarsi più del normale su questo incontro. Aprono un varco tra i vestiti. Qualche istante di attesa e lo sento entrare. Mi faccio sorprendere completamente dalla sua forza. Probabilmente la scala che cade, gli scatoloni, le bottiglie che rotolano fanno rumore ma a quel punto non sentiamo più niente. Lo spingo via perché voglio prendere il suo cazzo in bocca, mi inginocchio e intercetto il movimento del suo bacino che va da solo avanti e indietro. Lui stranamente ringhia di no e questa volta con una certa violenza mi prende per le spalle mi gira e mi spinge contro al lavandino mettendomelo di nuovo dentro. ora non può più fermarsi. Mi trovo praticamente dentro al lavabo e per non prendere contro al rubinetto apro accidentalmente l'acqua. Non so perché si riempie la mano e mi bagna tutta la schiena. Il freddo mi fa inarcare e portare indietro la testa.
Mi tira i capelli.
Urlo.
Mi tappa la bocca.
Siamo entrambi in apnea. Vari secondi tra un respiro e l'altro. Il ritmo non rallenta.
Mi lascio scuotere dall'orgasmo.
Apro gli occhi. Mi sento persa.
Un secondo fa avevo lui addosso.
Ora sono qua. Nel mio letto al buio.
Cosa devo fare?
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