Il Pranzo

di
genere
etero

Miriam è annoiata. Il pranzo è appena terminato, i parenti parlano di politica e lei non ha altro da fare se non guardare le pronipoti che giocano. Il condizionatore è rotto, la tv è spenta e muore di caldo. Sente il sudore appiccicoso tra le cosce, sull'addome e nell'incavo dei seni. Il suo corpo è appiccicato al divano. Per la giornata ha indossato un vestitino nero in acrilico, lungo fino a metà coscia, dalla scollatura vistosa che però, al momento, ha attirato solo gli sguardi acidi di zia Monia. Nemmeno zio Giuseppe si è degnato di sbirciare le sue giovani tette sode. Quella stronza deve averlo rimproverato, pensa.
Pensa anche a quanto vorrebbe sfilarsi il vestito, mettere il costume e correre al mare, con tutti i suoi amici. Sua madre però, ci teneva tanto. E quindi niente.
Il citofono gracchia.
"Oh, ecco Michele!" squittisce zia Adelina.
Michele è suo cugino. Non lo vede forse da anni e l'accadimento la ravviva un poco: potrà almeno fare un po' di conversazione.
Quello che entra dalla porta è un giovane di bell'aspetto, alto, dalla mascella squadrata e il viso ordinato. Dacché lo ricordava più piccolo, è evidente ora come sia decisamente più grande di lei.
Il tempo di fare il giro dei saluti, abbracci e baci, che i due sono uno davanti all'altro, e lui sì che nota la scollatura. Spoglia con lo sguardo quei seni non più acerbi, freschi e pieni. Cerca il profilo dei capezzoli, tenta di spingere lo sguardo giù nella piega in cui sono stretti dal reggiseno. Si salutano, e quasi non la guarda negli occhi.
Miriam è così fiera del suo petto che quasi si compiace, sorride. Le piace corrompere il maschio con le proprie carni. Sente il calore avvampare tra le gambe.
"Mi accompagni a fumare?" chiede subito lui. Lei annuisce. "Guai a te se tocchi una sigaretta" tuona sua madre, con il dito puntato.
"Devi proprio?" chiede zia Adelina, "sei arrivato ora".
Lui finge di non sentirla.
Si spostano in cucina ed escono nel piccolo terrazzino, lontano dalla noiosa tavolata la cui conversazione si è intanto riaccesa, ancor più concitata, e suona ora come un mormorio sommesso udibile appena.
Si scambiano ancora un paio di convenevoli. Michele lavora nella finanza, si sposta spesso tra Roma e Milano, è sempre di corsa ed ha poco tempo per stare in famiglia. Miriam gli racconta del test di medicina che non è riuscita a passare, delle feste e di quanto la rattristi il fatto che tra un mese l'estate sarà finita.
Michele accende la Camel Blu. Lo sguardo di Miriam scende inavvertitamente sul suo pacco, bello gonfio, messo in risalto dai pantaloni in tessuto. Alle sue narici arriva il misto aspro di colonia e cenere. Lui le fa un paio di complimenti.
Forse non doveva bere quel bicchiere d'amaro.
Si perde nel movimento delle sue labbra mentre le parla dei suoi viaggi. Il suo inguine si è fatto più caldo.
"Guarda, guarda laggiù" dice ad un tratto, indicandole qualcosa verso il cortile sottostante. "Quante volte ho giocato a palla in questo cortile, la palla finiva sempre lì, in quella maledetta fessura".
Miriam si sporge dalla ringhiera e guarda in basso. Ha cura di piegarsi bene ed inarcare la schiena. Michele le si fa più vicino. Continua a parlare ma sente solo il cuore pulsare nelle tempie. Qualcosa le sfiora una natica. Lui si flette di fianco a lei, premendole contro il bacino. Sente tutta la sua virilità premerle tra i glutei. Non riesce a muoversi, non vuole, anzi, divarica un poco le gambe offrendosi ancor di più. Il cuore le batte all'impazzata. Sente il petto gonfio premere contro la ringhiera. Lui continua a parlarle, lei sente il suono ma non distingue più le parole. È fradicia.
Comincia a muovere il bacino lungo la sagoma del palo di carne che le spinge tra le natiche.
Michele ha lo sguardo ancora rivolto verso il basso.
Spegne la sigaretta nel vaso di fronte a lei, passandole il braccio dietro le spalle. Poi le porta un dito sulla guancia, la accarezza un poco e lo fa scorrere dapprima sul naso, poi sulle labbra. Le stringe quindi la mascella, e fa scivolare l'indice nella sua bocca.
È amaro, sa di sigaretta ma Miriam non vuole opporre  alcuna resistenza. Lo sente frugare tra i denti, nel palato, sua lingua. Succhia, dalla punta alle nocche fino a sentire i polpastrelli sul palato molle. Vuole fargli vedere ciò che sa fare.
Michele fa scivolare anche il medio, poi l'anulare. Quando infila il mignolo la sua bocca è tesa al limite, il suo mento è un bagno di saliva. Ha una smorfia goffa mentre tenta di mettere tutto in bocca. Trattiene un conato che minaccia di farle rigurgitare l'intero pranzo.
Lui ne ha abbastanza: tira fuori le dita e con esse un denso rivolo di saliva biancastra che ha cura di farle scivolare su un fianco. Separa il suo corpo da quello di lei. Non ha il coraggio di guardarlo e rimane flessa, rivolta verso il cortile. Sente i passi di lui allontanarsi. Sputa nel terriccio umido, proprio sul mozzicone di sigaretta .
"Miriam, vai a dare una mano a tua zia". Tuona sua madre, risvegliandola dal torpore ipnotico.
di
scritto il
2024-01-31
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