La Duchessa - Prologo
di
DarioSc
genere
etero
PROLOGO
Il Duca smontò dalla sella, si sfilò i guanti da cavallo e li sistemò sotto la cintura ripensando all’uso improprio che ne faceva spesso, molto spesso.
Quindi, rivolse la propria attenzione al Castello e sospirò. In quante occasioni quei guanti lo avevano consolato, chiuso, da solo, nella Torre, accarezzandosi e pensando a lei, la Dama che mai avrebbe accettato di sposare uno come lui, se mai fosse rimasto vedovo.
Dall’altra parte dei campi, colorati di rosso per il Sole al tramonto, seduta alla toilette della sua camera, la Principessa si spazzolava mollemente i suoi capelli d’oro quando Wolf, il suo fedele lupo, si gettò estatico tra le sue gambe. Lei chinò un braccio, accarezzando il predatore dietro l’orecchio, e sorrise all’animale. Ripensò a quanto aveva sudato per ammaestrarlo così bene, e ricordò a se stessa le volte in cui la belva le ringhiava con quel verso, una risata sguaiata, che tanto la impauriva.
Il Duca abbassò lo sguardo verso il piazzale e vide i servi del castello che erano schierati in attesa, così come era d’uopo quando giungeva un ospite di una certa importanza, sicuramente un ospite per la sua consorte.
I suoi uomini, che in teoria avrebbero dovuto attendere lì il suo arrivo, invece, non si erano visti da nessuna parte e non si vedevano ancora. Così come non si era vista la Duchessa, ma la sua sposa non era nuova a questo disinteresse.
“Mia Signora, il dottore chiede di entrare.” La Duchessa acconsentì e si accomodò con cautela sulla poltrona.
L’uomo, intanto, era entrato e si affaccendava con l’apertura di una bisaccia di pelle decorata.
«Mia Signora, mi faccia vedere.»
«Sta bene.»
«Dopo una giornata? Con indosso quello che avrà sopportato?» Il tono del medico era scettico.
«Sta bene,» ripeté la Duchessa
«mi faccia vedere, mia Signora,» insisté l’altro con uno sguardo implacabile.
Dopo un lungo momento, la Duchessa allargò le gambe, esponendo la sua intimità all’esame del chirurgo, sapeva di averla stressata, con gli Uomini del Duca.
Vide il medico frugare nella bisaccia ed estrarne uno dei suoi infiniti balsami.
«Un massaggio?» s’informò.
«È una pomata rimarginante, mia Signora. Dovrò applicarla tutte le sere e, con il tempo, dovrebbe contribuire ad attenuare le ferite.»
Era ridicolo. «Un cosmetico?»
«Mi avevano avvertito che avreste fatto resistenza, mia Signora» disse il dottore. «Sarò il suo servo, ma mi ascolti bene: meglio la sua intimità guarisce e meno fastidio avrà, sia ora che in futuro, permettendole di accogliere le spade dei suoi condottieri con più efficacia. Mia Signora, so che sarà sensibile a questo argomento.»
Per quanto la Duchessa trovasse quella situazione esasperante, il medico aveva ragione: le sue intimità dovevano essere in grado di accogliere più spade possibili, tranne quella del Duca consorte.
L’unguento era fresco e profumato, e recò un effettivo sollievo ai dolori procuratigli da una lunga giornata in compagnia degli uomini del Duca. Le dita del medico, poi, erano piume, di ferro.
Uno alla volta, i suoi muscoli vaginali si sciolsero, e la Duchessa abbassò la testa, i capelli scesero a coprirgli parzialmente il viso. Il suo respiro si fece più affannoso. Le mani del medico si muovevano, esperte, dentro di lei.
«Non so come vi chiamate.»
«Che importanza può avere un nome?»
La Duchessa sbuffò. «Siete dentro di me. Esigo che me lo diciate.»
L’uomo gli rivolse una strana occhiata. «Mi chiamo Heghel» disse alla fine.
«Eghel,» ripeté la Duchessa «È la prima volta che curate una Dama del mio rango»
«No. Sono il medico della principessa.»
Calò il silenzio.
La Duchessa aveva intenzione di chiedergli cosa sapesse della Principessa, tanto vicina e tanto lontana dagli uomini di corte, invece non disse nulla e rimase a stropicciarsi la veste che stringeva tra le mani, in attesa dell’orgasmo.
L’applicazione del balsamo sulla sua intimità continuava, lenta e metodica. Le vibrazioni giunsero improvvise e la Duchessa si lasciò andare.
L’ultima volta, di quel giorno.
Alla fine, le mani si sollevarono dalla sua intimità. Il massaggio era terminato.
Nella Torre, il Duca non aveva retto e, messo il guanto, si era dato piacere solitario.
Il Duca smontò dalla sella, si sfilò i guanti da cavallo e li sistemò sotto la cintura ripensando all’uso improprio che ne faceva spesso, molto spesso.
Quindi, rivolse la propria attenzione al Castello e sospirò. In quante occasioni quei guanti lo avevano consolato, chiuso, da solo, nella Torre, accarezzandosi e pensando a lei, la Dama che mai avrebbe accettato di sposare uno come lui, se mai fosse rimasto vedovo.
Dall’altra parte dei campi, colorati di rosso per il Sole al tramonto, seduta alla toilette della sua camera, la Principessa si spazzolava mollemente i suoi capelli d’oro quando Wolf, il suo fedele lupo, si gettò estatico tra le sue gambe. Lei chinò un braccio, accarezzando il predatore dietro l’orecchio, e sorrise all’animale. Ripensò a quanto aveva sudato per ammaestrarlo così bene, e ricordò a se stessa le volte in cui la belva le ringhiava con quel verso, una risata sguaiata, che tanto la impauriva.
Il Duca abbassò lo sguardo verso il piazzale e vide i servi del castello che erano schierati in attesa, così come era d’uopo quando giungeva un ospite di una certa importanza, sicuramente un ospite per la sua consorte.
I suoi uomini, che in teoria avrebbero dovuto attendere lì il suo arrivo, invece, non si erano visti da nessuna parte e non si vedevano ancora. Così come non si era vista la Duchessa, ma la sua sposa non era nuova a questo disinteresse.
“Mia Signora, il dottore chiede di entrare.” La Duchessa acconsentì e si accomodò con cautela sulla poltrona.
L’uomo, intanto, era entrato e si affaccendava con l’apertura di una bisaccia di pelle decorata.
«Mia Signora, mi faccia vedere.»
«Sta bene.»
«Dopo una giornata? Con indosso quello che avrà sopportato?» Il tono del medico era scettico.
«Sta bene,» ripeté la Duchessa
«mi faccia vedere, mia Signora,» insisté l’altro con uno sguardo implacabile.
Dopo un lungo momento, la Duchessa allargò le gambe, esponendo la sua intimità all’esame del chirurgo, sapeva di averla stressata, con gli Uomini del Duca.
Vide il medico frugare nella bisaccia ed estrarne uno dei suoi infiniti balsami.
«Un massaggio?» s’informò.
«È una pomata rimarginante, mia Signora. Dovrò applicarla tutte le sere e, con il tempo, dovrebbe contribuire ad attenuare le ferite.»
Era ridicolo. «Un cosmetico?»
«Mi avevano avvertito che avreste fatto resistenza, mia Signora» disse il dottore. «Sarò il suo servo, ma mi ascolti bene: meglio la sua intimità guarisce e meno fastidio avrà, sia ora che in futuro, permettendole di accogliere le spade dei suoi condottieri con più efficacia. Mia Signora, so che sarà sensibile a questo argomento.»
Per quanto la Duchessa trovasse quella situazione esasperante, il medico aveva ragione: le sue intimità dovevano essere in grado di accogliere più spade possibili, tranne quella del Duca consorte.
L’unguento era fresco e profumato, e recò un effettivo sollievo ai dolori procuratigli da una lunga giornata in compagnia degli uomini del Duca. Le dita del medico, poi, erano piume, di ferro.
Uno alla volta, i suoi muscoli vaginali si sciolsero, e la Duchessa abbassò la testa, i capelli scesero a coprirgli parzialmente il viso. Il suo respiro si fece più affannoso. Le mani del medico si muovevano, esperte, dentro di lei.
«Non so come vi chiamate.»
«Che importanza può avere un nome?»
La Duchessa sbuffò. «Siete dentro di me. Esigo che me lo diciate.»
L’uomo gli rivolse una strana occhiata. «Mi chiamo Heghel» disse alla fine.
«Eghel,» ripeté la Duchessa «È la prima volta che curate una Dama del mio rango»
«No. Sono il medico della principessa.»
Calò il silenzio.
La Duchessa aveva intenzione di chiedergli cosa sapesse della Principessa, tanto vicina e tanto lontana dagli uomini di corte, invece non disse nulla e rimase a stropicciarsi la veste che stringeva tra le mani, in attesa dell’orgasmo.
L’applicazione del balsamo sulla sua intimità continuava, lenta e metodica. Le vibrazioni giunsero improvvise e la Duchessa si lasciò andare.
L’ultima volta, di quel giorno.
Alla fine, le mani si sollevarono dalla sua intimità. Il massaggio era terminato.
Nella Torre, il Duca non aveva retto e, messo il guanto, si era dato piacere solitario.
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