Codice Disciplinare
di
Massenet
genere
feticismo
Questo racconto è liberamente tratto e ispirato da un vecchio racconto presente su questo sito, di una delle autrici migliori che io abbia mai letto. Penso si chiamasse Malena...se qualcuno dei fedelissimi ricorda il nome dell'autrice, mi farebbe piacere son passati troppi anni, ho perso i dettagli. Ho deciso solo oggi di pubblicare qualcosa
Le tende vecchie, di colore scuro, cadono pesanti coprendo la finestra al lato del letto.
Sono così doppie e grezze che lasciano filtrare a malapena, la luce debole di questo giorno un po' grigio. Sembra quasi notte infatti, o forse neanche notte. E’ un momento senza tempo, indefinito, un qualcosa che prende vita nell’atmosfera intima e calda di questa stanza a noi più che familiare. Il silenzio assordante, rotto solo dal rumore dei tacchi, crea il giusto distacco dal mondo esterno e dalla nostra realtà che teniamo ben lontana da questa. Tanto è tutto fuori dalla porta ormai. Dentro ci siamo solo noi, i tuoi vestiti poggiati sulla sedia e, come sempre, i due calici di prosecco scadente offerti dall’albergo ed esposti in bella vista sulla scrivania.
Il mio decidere di incontrarci qui, in questa occasione, non fa altro che girare e rigirare senza pietà, il coltello nella piaga. Perché questa non è casa mia o casa tua. Non è nè la tua camera dove non puoi mai alzare la voce, nè la mia in cui tutto è avvenuto sempre troppo fugacemente. Questo è il nostro posto. IL posto dove siamo sempre venuti a viziarci, a darci piacere. Il posto dove puntualmente ci saltiamo addosso per fotterci l’anima prima che il corpo. Il luogo dove tutto è possibile.
Queste mura sono pregne del nostro odore e nell’aria risuonano parole sporche e gemiti spezzati in gola.
Siamo qui da poco, ma ti sei già vestita mentre io mi mettevo comodo, spogliandomi anch’io. Sei in bagno, non ho voluto assistere alla tua vestizione, mi sono messo comodo ad aspettare di vedere partire l’azione.
Mentre aspetto quei pochi secondi di tempo e spazio che separano il frutto del delirio di allucinazione erotica dalla realtà, mi sento elettrizzato.
Ti guardo mentre esci dalla porta, un passo lento, l’altro. Le decollète nere su tacco fino, il collant altrettanto nero, ma velato che avvolge la tua caviglia, il polpaccio, sale sul ginocchio, si prende la coscia…e non si ferma al pizzo di un autoreggente, va su, si prende l’inguine, fascia i glutei, i fianchi - la vita, nera, velata di nero ma non si ferma sull’orlo del ventre come un collant; si prende il ventre e sale ti avvinghia la schiena, costringe i seni tesi, i capezzoli che tanto fieramente adori mostrare subiscono la stretta elastica restano silenti nel tuo abisso di pelle velata nera. Volevi essere nera fino in fondo, le spalle avvolte, che muovi fiere mentre mi guardi dritto negli occhi con quel ghigno che ti ho sempre riconosciuto, folle e voluttuoso, ti avvicini ancora. Stringo tra le mani il piccolo laccetto senza muoverlo troppo, mi alzo di fronte a te, mi avvicino e ti annuso mentre tu fai lo stesso con la punta del naso sul mio collo, sali fino alla punta dell’orecchio, lecchi il lobo leggermente, mentre io ti cingo il collo e ti allaccio il nastrino dietro il collo, stringendo, accarezzando, toccando la tensione della tua carne. Colpisco il campanellino. Adesso suoni, come un felino, mio felino, miagola.
Mi siedo sul letto, nudo, una mano dietro la nuca, l’altra che porta la sigaretta alla bocca. E’ da quando abbiamo messo piede qui dentro che cerco di mettere a tacere la voglia di cavalcarti che è subito diventata prepotente. Il cazzo già duro che fiero mi impone una posizione, è un richiamo indecente per entrambi, che vorremmo usarci.
Una delle cose che in assoluto mi risulta più eccitante, nel nostro infinito gioco delle parti, è l’estenuante e ludico meccanismo del guardare e non toccare, andato avanti per anni.
Eppure è questo che succederà oggi, no? E già mi prendono i rimorsi, quanto sarebbe facile farti di tutto ora, prenderti e basta, secondo l’impulso e la furia dell’urgenza del mio orgasmo di spruzzare.
“Prendi confidenza con lo spazio, micia”. Altro non sarai oggi, che la tua intima essenza, un felino nero che libero occuperà lo spazio.
Lo hai detto più volte, al telefono, nei messaggi, Giulia.
“io sono un gatto.”
“Qui accanto a me ho messo una lettiera, e la tua ciotolina, ti verso un po' di prosecco”.
Tu, devo dire, senza che io abbia dovuto fare molti sforzi, forse per il mio tono convincente, forse per il tuo innatismo, per l’estrema conoscenza intellettuale delle tue voglie, sei attrice e regista, hai assimilato ogni cosa. La parte che più mi piaceva e imparato la tutta lezione a memoria. Ti metti gattoni, e avanti verso la ciotola, lecchi guardandomi negli occhi, poi ti sdrai e ti distendi muovendo le gambe fino a distenderle, strusciando le cosce, muovendo il tacco lento lungo il pavimento, lo fai per lungo tempo, entrambi siamo rapiti da quel suono del tacco che striscia sul pavimento.
Prendere o lasciare.
Sei caduta nella tua stessa rete quando mi hai detto che avresti voluto essere usata.
Faccio i soliti richiami per i gatti, muovo i polpastrelli, batto le mie cosce.
“Qui micina, vieni qui.”
Ti avvicini sorniona alla mia gamba, inizi dal piede a far aderire il tuo viso, mi fiori le dita con la bocca risali, sento il collo che aderisce alla mia gamba, la lascio alla tua mercè, le mani risalgono sulla mia coscia, sei seduta sulle tue ginocchia e avvinghiata alla mia gamba, la sensazione del collant sulla mia pelle mi da i brividi. Mi guardi e ti alzi il piedi, vanità di felino che si gira su se stessa per farsi ammirare. Mi siedo sul letto, siedi sopra di me a cavalcioni, ora sono io ad accarezzarti, scruto ogni millimetro della tua pelle, con i polpastrelli e i palmi delle mani accarezzo, stringo scorro lungo la schiena, mi fermo circolarmente al sorgere delle tue natiche. Stringo, mi fai le fusa all’orecchio. Ancora quella maledetta lingua a scivolare sul mio lobo, in basso sul collo, mentre le mie mani sono ormai sui tuoi glutei e stringono. Mi si sono ritorte contro le mie fantasie quando le hai prese alla lettera e le hai fatte tue.
Perché lo volevo io tutto questo, sì. Ma vorrei anche il resto. Ti infilo la lingua in bocca e tu ricambi la tua bocca larga e umida, non è una resa è solo la preparazione a quello che verrà. Ti succhio il labbro, la tua lingua è oscenamente fuori, continui a darmi leccate sulla faccia e sulle labbra. Mi mordi, con le unghie mi graffi. Sono costretto a mollare la presa sui tuoi glutei per cingerti il collo con le mani e stringere poco ma con decisione, ti blocchi. “lascia fuori la lingua”. Obbedisci. Ci sputo sopra, e la lecco tutta con la mia. Ti sciogli e lascio la presa, ora riprendi a baciarmi lentamente vai via da me per prenderti il letto, ti seguo ti monto sopra spingendoti con una mano sul culo verso il centro del letto, ti lasci cadere con le gambe aperte, la mia mano si infila tra il tuo ventre e il lenzuolo, ti strofino il sesso protetto dal collant.
“Micina sei fradicia”. “Miao” Mi tuffo con la faccia sul tuo culo, lecco, lecco tutto. Tu ti offri mettendoti gattoni e tirando indietro i glutei, inarchi la schiena, il tuo frutto è per la mia lingua, mi lascio andare ai miei istinti, lecco accarezzo, gli schiaffetti sulla fica di fanno tremare di più, prendo a schiaffeggiarti fica e culo, inizio a tirare, mordere il collant, spingere con le dita cercando di penetrarti, vorrei scoparti con tutto il collant dentro di te, la tua pelle da gatta. Desisto e mordo, mordo e strappo, strappo via il collant dai tuoi buchi. Nulla mi separa dalla tua carne esposta e fradicia, ti volti a guardarmi, o a guardarati, ora che sei aperta e bianca, pelle nera di gatto e carne bianca di donna sotto la mia lingua…sai quello che sta per accadere ma sei totalmente assorta nel piacere, il sospiro affannato, i gemiti che puoi ora lasciarti andare, ansimi e miagoli, miagoli tantissimo, neanche una parola umana, solo esclamazioni e miagolii.
Io non so più se sei donna o felina, non so più se sono nella parte o sto andando oltre, non conosco il tuo vero limite, la sensazione di affondare il mio sesso dentro il tuo pensando che non sapresti opporre resistenza mi prende, uomo dominante becero; mi salva il mio feticcio, l’idea del tuo lago di squirting sul materasso prima ancora che il mio organo dominante per definizione entri in gioco.
Così le mie dita si fanno protagoniste, e vengo a penetrarti i buchi senza alcuna remora, cerco il tuo fiume e lo tirerò fuori dalla tua sorgente, insinuandomi come colto da un raptus in velocità e profondità, senza alcuna delicatezza. Tu ora devi spruzzare, e non sarà mai una cosa leggera e morbida, non avrai mai sentito delle dita toccarti così violentemente e affondo, è uno stupro, sì. Ignora il tuo orgasmo leggero. Ti fotte la fica come il mio cazzo non potrebbe mai, perché mai potrebbe avere tutto il movimento che le mie due dita hanno dentro di te. Penetro fino ai tuoi spasmi, eccoli. Non so se te ne sei accorta Micia, ma hai appena inondato la mia mano di squirting. La porto alla tua guancia prima per accarezzarti dolce, e torno a spalmartela accanto ai tuoi orifizi. Respiri affannata ti distendi, respiri e quando mi senti dire: “riprenditi e vieni a sederti, sopra di me”, mi guardi sorpresa che tutto questo sia ormai già successo, obbedisci e ti muovi verso di me che mi sono seduto comodo sulla sedia della scrivania.
Vieni verso di me, capisci subito la posizione richiesta, ed è così che ti poni, espondendomi il culo sulle ginocchia. Quante volte ne abbiamo parlato Micia. “Non pensavi di squirtare prima ancora di finire la vestizione, vero”. “Cazzo sì” ti lasci scappare. “Dillo con un miagolio”…la tua estasi, poterti esprimere come un gatto, a volte penso che godi più a poterti esprimere così che a farti toccare da me. “Ora avrai anche la tua coda, e sarai una micia quasi completa. Sei pronta?” “Sai Giulia, penso che con un po' di esercizio, tu possa davvero iniziare ad esprimerti con me solo così. Potrei capire ogni tua richiesta”.
E’ stato proprio in uno dei miei momenti di eccitazione costante, sottile, diffusa, tranquilla e folle al riparo della tua camera, della tua intimità, della noia di una vita sempre costretta in delle regole banali, quando nell’innocuo di una conversazione in chat mi hai sbattuto in faccia e forse, ti ho tirato fuori con una certa maestria verbale, l’osceno desiderio di essere fotografata legata incatenata, esoterica, percossa sanguinante, sacrificata vittima esoterica. Hai urlato il tuo accordo a questo gioco malato.
“Si può fare”. Aveva detto Giulia. E ora il ghigno soddisfatto che ho stampato in volto ti ricorda costantemente le mie parole:
“non succederà niente, niente sesso. Forse neanche il cazzo in bocca e la lingua nella fica.” Solo il tuo desiderio.
L’animale si era già preso i tuoi umori grondanti sul materasso, erano “bastate” le mani e le dita, però, pensava Giulia mentre continuavo a sbatterle in faccia la mia nudità. E’ difficile. Il corpetto nero in latex con la cerniera laterale, le stringeva sui fianchi accentuando lo stacco del giro vita.
Non mi chiederai di toglierlo, non servirà. Non cederò di fronte alla troiaggine di chi vuole essere sbattuta al muro. Ti toccherà rimanere stretta nella morsa di questo capo che mi ti tanto mignotta, con le tette scoperte, messe bene in risalto dalla scollatura a cuore. Ma che peccato. Iniziare e non finire. Sfilo davanti al letto non distogliendo mai gli occhi dai tuoi se non per guardarti fra le cosce.
“Io voglio esattamente che tu faccia, niente più e niente meno, quello che mi hai detto di voler fare.” Ti sento sussurrare
Il frustino in pelle nera è già nelle mie mani, lo accarezzi lento e ti avvicini a me lateralmente.
Tiro via l’elastico dai tuoi capelli, teneva su una coda fatta a mestiere, perché lasciarla se non la tirerò mentre ti scopi il culo? “Inginocchiati e inarca la schiena” dico.
Le sfioro il petto con l’oggetto rigido e sottile che per giorni abbiamo immaginato ficcato in ogni tuo buco, disegno cerchi immaginari intorno ai capezzoli, chiudi gli occhi rilassata.
Il rumore di quello che dovrebbe essere un carrello della biancheria, mi distrae pochi secondi dal tuo culo teso in alto e sodo.
Con le ginocchia sul letto, apri le gambe e ti siedo ai miei piedi, il frustino scende piano fino all’inguine mentre i tuoi occhi sono davanti al mio cazzo turgido e vivo.
Se ti chinassi in avanti per ingoiarlo con ingordigia, ti allontanerei? Non te lo chiedo perché sono certo che lo faresti.
Il collarino in pelle che porti alla gola è quello che mi regalasti e che tutti ti invidiano quando lo sfoggi innocentemente al posto facendo due giri. Non mi muovo ma la mia irrequietezza è anche la tua, solo che sei così figlia di puttana che la nascondi ad arte e non la dai a vedere.
Sei così bagnata che il lago dalla fica gonfia e grondante di umori e sceso a farti le cosce lucide. Come se mi fossi pisciata addosso, godo della vista umida e dell’odore del tuo sesso.
Il mio sguardo si accende d’improvviso quando ti sento muovere intenta a sfilare le gambe e a girarti di spalle. A quattro zampe, con il culo insolente che mi si offre senza alcuna esitazione.
Mi fa letteralmente impazzire lo spettacolo a cui assisto, cerco di mantenere il controllo ma la voglia mi assale.
Indietreggio un po' per regolare il colpo, il frustino sbatte sulla tua carne, una volta, due, tre volte.
Il suono rimbomba fra le pareti della stanza e la tua impassibilità mi spinge a rincarare la dose.
Ti sento ansimare e il respiro profondo si confonde col mio.
La pelle è rossa, bruciante, mi fermo.
E’ una finta tregua, una falsa pace. Depongo le armi solo per avvicinare la bocca e leccarti, un sollievo più mio che tuo. Questo mi è concesso, lo prevedevano i patti.
La lingua scivola sulla tua carne provata, arriva al buco del culo, ci gira intorno ma senza entrare. Ti cerco la faccia per perdermi nel tuo sguardo eccitato, poi mi sollevo, i tacchi affondando nel materaasso morbido.
Mi abbassi fino a farti strusciare il cazzo tra le mie natiche.
Mi sento molle e divisp dalla voglia di spingerlo dentro con forza e quella di darti altre fustrate. Appoggio una mano sul mio sesso fradicio. “Non toccarti.” “fammi toccare Professore, ti prego”.
Non ti rispondo, non cedo.
“Fammi toccare professore, ti prego”.
“Guardami, guardami menare il cazzo furiosamente, guarda “. Sei a pecora davanti a me e mi guardi girando lo sguardo, mi guardano insieme i tuoi orifizi vogliosi e i tuoi occhi.
“guardatemi”
Ti tocchi fica e le tue dita d’impeto entrano dentro. Mi sollevo, ti giro e mi guardi, rimani davanti a me, così, e lo fai dannatamente apposta. “stavo pensando di dartelo, ma ormai hai messo le tue dita sottili dentro di te, ora te le tiene e ti tocchi fino a venire, guardando il mio cazzo sfiorarti le labbra”
Io sono bollente, prendo la ciotola le mi meno il cazzo guardandoti , l’orgasmo mi monta, lo schizzo nella ciotola da dove hai bevuto all’inizio. I fiotti sbattono dalla ciotola alla tua faccia, schizzano e ti schizzano. Ora sì ti lascio pulirmi il cazzo leccandolo a modo.
“Ti piace il mio sapore?” Chiedo
“Rispondi con un miagolio pazzesco”. Brava, ora bevila dalla tua ciotola.
Guardare e non toccare, fare solo quello che in un preciso istante ho detto di voler fare. E a te non sta che venirti in mano bevendomi.
Le tende vecchie, di colore scuro, cadono pesanti coprendo la finestra al lato del letto.
Sono così doppie e grezze che lasciano filtrare a malapena, la luce debole di questo giorno un po' grigio. Sembra quasi notte infatti, o forse neanche notte. E’ un momento senza tempo, indefinito, un qualcosa che prende vita nell’atmosfera intima e calda di questa stanza a noi più che familiare. Il silenzio assordante, rotto solo dal rumore dei tacchi, crea il giusto distacco dal mondo esterno e dalla nostra realtà che teniamo ben lontana da questa. Tanto è tutto fuori dalla porta ormai. Dentro ci siamo solo noi, i tuoi vestiti poggiati sulla sedia e, come sempre, i due calici di prosecco scadente offerti dall’albergo ed esposti in bella vista sulla scrivania.
Il mio decidere di incontrarci qui, in questa occasione, non fa altro che girare e rigirare senza pietà, il coltello nella piaga. Perché questa non è casa mia o casa tua. Non è nè la tua camera dove non puoi mai alzare la voce, nè la mia in cui tutto è avvenuto sempre troppo fugacemente. Questo è il nostro posto. IL posto dove siamo sempre venuti a viziarci, a darci piacere. Il posto dove puntualmente ci saltiamo addosso per fotterci l’anima prima che il corpo. Il luogo dove tutto è possibile.
Queste mura sono pregne del nostro odore e nell’aria risuonano parole sporche e gemiti spezzati in gola.
Siamo qui da poco, ma ti sei già vestita mentre io mi mettevo comodo, spogliandomi anch’io. Sei in bagno, non ho voluto assistere alla tua vestizione, mi sono messo comodo ad aspettare di vedere partire l’azione.
Mentre aspetto quei pochi secondi di tempo e spazio che separano il frutto del delirio di allucinazione erotica dalla realtà, mi sento elettrizzato.
Ti guardo mentre esci dalla porta, un passo lento, l’altro. Le decollète nere su tacco fino, il collant altrettanto nero, ma velato che avvolge la tua caviglia, il polpaccio, sale sul ginocchio, si prende la coscia…e non si ferma al pizzo di un autoreggente, va su, si prende l’inguine, fascia i glutei, i fianchi - la vita, nera, velata di nero ma non si ferma sull’orlo del ventre come un collant; si prende il ventre e sale ti avvinghia la schiena, costringe i seni tesi, i capezzoli che tanto fieramente adori mostrare subiscono la stretta elastica restano silenti nel tuo abisso di pelle velata nera. Volevi essere nera fino in fondo, le spalle avvolte, che muovi fiere mentre mi guardi dritto negli occhi con quel ghigno che ti ho sempre riconosciuto, folle e voluttuoso, ti avvicini ancora. Stringo tra le mani il piccolo laccetto senza muoverlo troppo, mi alzo di fronte a te, mi avvicino e ti annuso mentre tu fai lo stesso con la punta del naso sul mio collo, sali fino alla punta dell’orecchio, lecchi il lobo leggermente, mentre io ti cingo il collo e ti allaccio il nastrino dietro il collo, stringendo, accarezzando, toccando la tensione della tua carne. Colpisco il campanellino. Adesso suoni, come un felino, mio felino, miagola.
Mi siedo sul letto, nudo, una mano dietro la nuca, l’altra che porta la sigaretta alla bocca. E’ da quando abbiamo messo piede qui dentro che cerco di mettere a tacere la voglia di cavalcarti che è subito diventata prepotente. Il cazzo già duro che fiero mi impone una posizione, è un richiamo indecente per entrambi, che vorremmo usarci.
Una delle cose che in assoluto mi risulta più eccitante, nel nostro infinito gioco delle parti, è l’estenuante e ludico meccanismo del guardare e non toccare, andato avanti per anni.
Eppure è questo che succederà oggi, no? E già mi prendono i rimorsi, quanto sarebbe facile farti di tutto ora, prenderti e basta, secondo l’impulso e la furia dell’urgenza del mio orgasmo di spruzzare.
“Prendi confidenza con lo spazio, micia”. Altro non sarai oggi, che la tua intima essenza, un felino nero che libero occuperà lo spazio.
Lo hai detto più volte, al telefono, nei messaggi, Giulia.
“io sono un gatto.”
“Qui accanto a me ho messo una lettiera, e la tua ciotolina, ti verso un po' di prosecco”.
Tu, devo dire, senza che io abbia dovuto fare molti sforzi, forse per il mio tono convincente, forse per il tuo innatismo, per l’estrema conoscenza intellettuale delle tue voglie, sei attrice e regista, hai assimilato ogni cosa. La parte che più mi piaceva e imparato la tutta lezione a memoria. Ti metti gattoni, e avanti verso la ciotola, lecchi guardandomi negli occhi, poi ti sdrai e ti distendi muovendo le gambe fino a distenderle, strusciando le cosce, muovendo il tacco lento lungo il pavimento, lo fai per lungo tempo, entrambi siamo rapiti da quel suono del tacco che striscia sul pavimento.
Prendere o lasciare.
Sei caduta nella tua stessa rete quando mi hai detto che avresti voluto essere usata.
Faccio i soliti richiami per i gatti, muovo i polpastrelli, batto le mie cosce.
“Qui micina, vieni qui.”
Ti avvicini sorniona alla mia gamba, inizi dal piede a far aderire il tuo viso, mi fiori le dita con la bocca risali, sento il collo che aderisce alla mia gamba, la lascio alla tua mercè, le mani risalgono sulla mia coscia, sei seduta sulle tue ginocchia e avvinghiata alla mia gamba, la sensazione del collant sulla mia pelle mi da i brividi. Mi guardi e ti alzi il piedi, vanità di felino che si gira su se stessa per farsi ammirare. Mi siedo sul letto, siedi sopra di me a cavalcioni, ora sono io ad accarezzarti, scruto ogni millimetro della tua pelle, con i polpastrelli e i palmi delle mani accarezzo, stringo scorro lungo la schiena, mi fermo circolarmente al sorgere delle tue natiche. Stringo, mi fai le fusa all’orecchio. Ancora quella maledetta lingua a scivolare sul mio lobo, in basso sul collo, mentre le mie mani sono ormai sui tuoi glutei e stringono. Mi si sono ritorte contro le mie fantasie quando le hai prese alla lettera e le hai fatte tue.
Perché lo volevo io tutto questo, sì. Ma vorrei anche il resto. Ti infilo la lingua in bocca e tu ricambi la tua bocca larga e umida, non è una resa è solo la preparazione a quello che verrà. Ti succhio il labbro, la tua lingua è oscenamente fuori, continui a darmi leccate sulla faccia e sulle labbra. Mi mordi, con le unghie mi graffi. Sono costretto a mollare la presa sui tuoi glutei per cingerti il collo con le mani e stringere poco ma con decisione, ti blocchi. “lascia fuori la lingua”. Obbedisci. Ci sputo sopra, e la lecco tutta con la mia. Ti sciogli e lascio la presa, ora riprendi a baciarmi lentamente vai via da me per prenderti il letto, ti seguo ti monto sopra spingendoti con una mano sul culo verso il centro del letto, ti lasci cadere con le gambe aperte, la mia mano si infila tra il tuo ventre e il lenzuolo, ti strofino il sesso protetto dal collant.
“Micina sei fradicia”. “Miao” Mi tuffo con la faccia sul tuo culo, lecco, lecco tutto. Tu ti offri mettendoti gattoni e tirando indietro i glutei, inarchi la schiena, il tuo frutto è per la mia lingua, mi lascio andare ai miei istinti, lecco accarezzo, gli schiaffetti sulla fica di fanno tremare di più, prendo a schiaffeggiarti fica e culo, inizio a tirare, mordere il collant, spingere con le dita cercando di penetrarti, vorrei scoparti con tutto il collant dentro di te, la tua pelle da gatta. Desisto e mordo, mordo e strappo, strappo via il collant dai tuoi buchi. Nulla mi separa dalla tua carne esposta e fradicia, ti volti a guardarmi, o a guardarati, ora che sei aperta e bianca, pelle nera di gatto e carne bianca di donna sotto la mia lingua…sai quello che sta per accadere ma sei totalmente assorta nel piacere, il sospiro affannato, i gemiti che puoi ora lasciarti andare, ansimi e miagoli, miagoli tantissimo, neanche una parola umana, solo esclamazioni e miagolii.
Io non so più se sei donna o felina, non so più se sono nella parte o sto andando oltre, non conosco il tuo vero limite, la sensazione di affondare il mio sesso dentro il tuo pensando che non sapresti opporre resistenza mi prende, uomo dominante becero; mi salva il mio feticcio, l’idea del tuo lago di squirting sul materasso prima ancora che il mio organo dominante per definizione entri in gioco.
Così le mie dita si fanno protagoniste, e vengo a penetrarti i buchi senza alcuna remora, cerco il tuo fiume e lo tirerò fuori dalla tua sorgente, insinuandomi come colto da un raptus in velocità e profondità, senza alcuna delicatezza. Tu ora devi spruzzare, e non sarà mai una cosa leggera e morbida, non avrai mai sentito delle dita toccarti così violentemente e affondo, è uno stupro, sì. Ignora il tuo orgasmo leggero. Ti fotte la fica come il mio cazzo non potrebbe mai, perché mai potrebbe avere tutto il movimento che le mie due dita hanno dentro di te. Penetro fino ai tuoi spasmi, eccoli. Non so se te ne sei accorta Micia, ma hai appena inondato la mia mano di squirting. La porto alla tua guancia prima per accarezzarti dolce, e torno a spalmartela accanto ai tuoi orifizi. Respiri affannata ti distendi, respiri e quando mi senti dire: “riprenditi e vieni a sederti, sopra di me”, mi guardi sorpresa che tutto questo sia ormai già successo, obbedisci e ti muovi verso di me che mi sono seduto comodo sulla sedia della scrivania.
Vieni verso di me, capisci subito la posizione richiesta, ed è così che ti poni, espondendomi il culo sulle ginocchia. Quante volte ne abbiamo parlato Micia. “Non pensavi di squirtare prima ancora di finire la vestizione, vero”. “Cazzo sì” ti lasci scappare. “Dillo con un miagolio”…la tua estasi, poterti esprimere come un gatto, a volte penso che godi più a poterti esprimere così che a farti toccare da me. “Ora avrai anche la tua coda, e sarai una micia quasi completa. Sei pronta?” “Sai Giulia, penso che con un po' di esercizio, tu possa davvero iniziare ad esprimerti con me solo così. Potrei capire ogni tua richiesta”.
E’ stato proprio in uno dei miei momenti di eccitazione costante, sottile, diffusa, tranquilla e folle al riparo della tua camera, della tua intimità, della noia di una vita sempre costretta in delle regole banali, quando nell’innocuo di una conversazione in chat mi hai sbattuto in faccia e forse, ti ho tirato fuori con una certa maestria verbale, l’osceno desiderio di essere fotografata legata incatenata, esoterica, percossa sanguinante, sacrificata vittima esoterica. Hai urlato il tuo accordo a questo gioco malato.
“Si può fare”. Aveva detto Giulia. E ora il ghigno soddisfatto che ho stampato in volto ti ricorda costantemente le mie parole:
“non succederà niente, niente sesso. Forse neanche il cazzo in bocca e la lingua nella fica.” Solo il tuo desiderio.
L’animale si era già preso i tuoi umori grondanti sul materasso, erano “bastate” le mani e le dita, però, pensava Giulia mentre continuavo a sbatterle in faccia la mia nudità. E’ difficile. Il corpetto nero in latex con la cerniera laterale, le stringeva sui fianchi accentuando lo stacco del giro vita.
Non mi chiederai di toglierlo, non servirà. Non cederò di fronte alla troiaggine di chi vuole essere sbattuta al muro. Ti toccherà rimanere stretta nella morsa di questo capo che mi ti tanto mignotta, con le tette scoperte, messe bene in risalto dalla scollatura a cuore. Ma che peccato. Iniziare e non finire. Sfilo davanti al letto non distogliendo mai gli occhi dai tuoi se non per guardarti fra le cosce.
“Io voglio esattamente che tu faccia, niente più e niente meno, quello che mi hai detto di voler fare.” Ti sento sussurrare
Il frustino in pelle nera è già nelle mie mani, lo accarezzi lento e ti avvicini a me lateralmente.
Tiro via l’elastico dai tuoi capelli, teneva su una coda fatta a mestiere, perché lasciarla se non la tirerò mentre ti scopi il culo? “Inginocchiati e inarca la schiena” dico.
Le sfioro il petto con l’oggetto rigido e sottile che per giorni abbiamo immaginato ficcato in ogni tuo buco, disegno cerchi immaginari intorno ai capezzoli, chiudi gli occhi rilassata.
Il rumore di quello che dovrebbe essere un carrello della biancheria, mi distrae pochi secondi dal tuo culo teso in alto e sodo.
Con le ginocchia sul letto, apri le gambe e ti siedo ai miei piedi, il frustino scende piano fino all’inguine mentre i tuoi occhi sono davanti al mio cazzo turgido e vivo.
Se ti chinassi in avanti per ingoiarlo con ingordigia, ti allontanerei? Non te lo chiedo perché sono certo che lo faresti.
Il collarino in pelle che porti alla gola è quello che mi regalasti e che tutti ti invidiano quando lo sfoggi innocentemente al posto facendo due giri. Non mi muovo ma la mia irrequietezza è anche la tua, solo che sei così figlia di puttana che la nascondi ad arte e non la dai a vedere.
Sei così bagnata che il lago dalla fica gonfia e grondante di umori e sceso a farti le cosce lucide. Come se mi fossi pisciata addosso, godo della vista umida e dell’odore del tuo sesso.
Il mio sguardo si accende d’improvviso quando ti sento muovere intenta a sfilare le gambe e a girarti di spalle. A quattro zampe, con il culo insolente che mi si offre senza alcuna esitazione.
Mi fa letteralmente impazzire lo spettacolo a cui assisto, cerco di mantenere il controllo ma la voglia mi assale.
Indietreggio un po' per regolare il colpo, il frustino sbatte sulla tua carne, una volta, due, tre volte.
Il suono rimbomba fra le pareti della stanza e la tua impassibilità mi spinge a rincarare la dose.
Ti sento ansimare e il respiro profondo si confonde col mio.
La pelle è rossa, bruciante, mi fermo.
E’ una finta tregua, una falsa pace. Depongo le armi solo per avvicinare la bocca e leccarti, un sollievo più mio che tuo. Questo mi è concesso, lo prevedevano i patti.
La lingua scivola sulla tua carne provata, arriva al buco del culo, ci gira intorno ma senza entrare. Ti cerco la faccia per perdermi nel tuo sguardo eccitato, poi mi sollevo, i tacchi affondando nel materaasso morbido.
Mi abbassi fino a farti strusciare il cazzo tra le mie natiche.
Mi sento molle e divisp dalla voglia di spingerlo dentro con forza e quella di darti altre fustrate. Appoggio una mano sul mio sesso fradicio. “Non toccarti.” “fammi toccare Professore, ti prego”.
Non ti rispondo, non cedo.
“Fammi toccare professore, ti prego”.
“Guardami, guardami menare il cazzo furiosamente, guarda “. Sei a pecora davanti a me e mi guardi girando lo sguardo, mi guardano insieme i tuoi orifizi vogliosi e i tuoi occhi.
“guardatemi”
Ti tocchi fica e le tue dita d’impeto entrano dentro. Mi sollevo, ti giro e mi guardi, rimani davanti a me, così, e lo fai dannatamente apposta. “stavo pensando di dartelo, ma ormai hai messo le tue dita sottili dentro di te, ora te le tiene e ti tocchi fino a venire, guardando il mio cazzo sfiorarti le labbra”
Io sono bollente, prendo la ciotola le mi meno il cazzo guardandoti , l’orgasmo mi monta, lo schizzo nella ciotola da dove hai bevuto all’inizio. I fiotti sbattono dalla ciotola alla tua faccia, schizzano e ti schizzano. Ora sì ti lascio pulirmi il cazzo leccandolo a modo.
“Ti piace il mio sapore?” Chiedo
“Rispondi con un miagolio pazzesco”. Brava, ora bevila dalla tua ciotola.
Guardare e non toccare, fare solo quello che in un preciso istante ho detto di voler fare. E a te non sta che venirti in mano bevendomi.
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