La ricaduta

di
genere
confessioni

Prima o poi si torna sempre qui, chi l’ha provato lo sa.
Oggi tocca a me.
La mia prima recidiva, come da copione classico, con un nuovo nome.

Sebastian era riuscito a smettere di scrivere racconti erotici, la vita là fuori lo aveva richiamato. Anche se la realtà non poteva competere con la sua fantasia, negli ultimi mesi, la prima aveva retto il confronto. Ovviamente la sfida non era basata sulla componente fisica, ma su quella emotiva, sensoriale.
Finché una mail di una sconosciuta scardinò quel precario equilibrio. Raccontava di essersi imbattuta fortuitamente sul sito, di aver letto ogni suo racconto e di aver recuperato il contatto dal profilo disqus per confessare la sua ammirazione.
Aveva spostato la polvere dall’ingresso della piramide, l’alter ego dormiente di lui si era risvegliato, Sebastian iniziò ad interagire con la presunta lettrice. Il rischio che ci fosse dietro qualcuno di conosciuto era alto, ma la curiosità non lasciava scampo.
Disse di chiamarsi Stefania, i due iniziarono a sentirsi quotidianamente, spensieratamente, senza soffermarsi troppo sull’argomento sito. Sembrava spontanea e sincera nel proseguire il dialogo epistolare. Eppure Sebastian aveva la sensazione che quella donna lo conoscesse dal vivo, le sfuggivano dettagli che lui non aveva mai rivelato nel web. Dopo una decina di giorni, finirono col palesare di essere entrambi preda di quella famelica conoscenza. Non scambiarono il numero di cellulare, forse per il timore di spezzare quell’equilibrio delicato.
Una sera, io, cioè Sebastian, feci la proposta: incontro al buio in hotel, uno dei due sarebbe entrato per primo per venir successivamente raggiunto dall’altro, senza pianificare altro. Non dovevamo usare il senso della vista, non mi interessava conoscere i tuoi contorni perché ormai volevo te a prescindere. Vederci avrebbe contaminato l’incanto. L’odore di pelle, in quell’ipotetico incontro, avrebbe raggiunto animalescamente i nostri olfatti, diventando determinante, ancor più di quanto lo sia nelle consuete conoscenze.
Avevo osato, tergiversare avrebbe portato quel gioco a ristagnare in un insipido appagamento di chi si accontenta dell’idea, piuttosto che viverla. La mattina seguente sembrava non arrivare mai, non riuscii a dormire per la smisurata dose di fantasie inerenti alla possibile risposta. Mi ritrovai estraniato dal contesto lavorativo quando arrivò la tua mail: “Sebastian, ho riflettuto molto, penso che sia assolutamente folle fidarsi, sarebbe più logico procedere con un drink esplorativo. Tuttavia, questa conoscenza è sorta in modo così deliziosamente anomalo, sono talmente immersa nel nostro vortice, che ho deciso di accettare”.

- - - - - -

“Buonasera, un documento per favore, a lei la chiave della suite 107, primo piano”.
“Ecco il passaporto, la mia compagna è in ritardo, quando arriverà, la faccia salire”.
Entro nella 107, inspiro il profumo di pulito e di rose che aleggia; quanto mi sento vivo in momenti come questo. Mentre appoggio la valigia, osservo l’ambientazione che presto potrebbe impregnarsi di Noi. Tonalità rosso intenso ovunque, candeline sparse, pronte all’evenienza; tra mezz’ora spingerai delicatamente la porta socchiusa, ho poco tempo, attacco il cellulare al caricabatteria, setto il wi-fi, estraggo dalla valigia la cassa bluetooth, collego alla corrente anche quella, nessun dispositivo dovrà scaricarsi, seleziono la colonna sonora tantrica che ho scelto. Estraggo la magnum di bollicine ancora ghiacciata. Prendo la mia saponetta e vado in doccia, non userei mai il bagnoschiuma casuale dell’hotel, la mia pelle deve odorare di me e del sapone delicato al quale scelgo di affidare le note di profumo. Mi asciugo, colpo di phon sui capelli scuri, con taglio a sfumare verso il collo, mi osservo nello specchio, utilizzo uno degli ultimi dieci minuti che ci separano per guardarmi, per stare un secondo con me stesso. Abbottono la camicia azzurra, boxer grigio scuri, pantalone, calzini, polacchini, corpetto, verifico l’accenno di barba che mi sembra adeguato, squilla il telefono della camera. “la signora la sta raggiungendo”, chiudo le tende, creo il buio totale, in pochi secondi le mie pupille si adeguano e scorgo qualche contorno dell’arredamento, sono convinto di esser pronto, ma pronto a cosa? Pronto a consegnarmi e ad accoglierti.
La porta si apre lentamente, ho il vantaggio di poter cogliere la tua sagoma grazie al contrasto con la luce del corridoio, poi socchiudi l’uscio e il buio torna totale. Ho fatto in tempo a scoprire che porti tacchi alti e sottili, un abito scuro, media statura, capelli castani alle spalle, non ho visto nulla del viso. La musica è a basso volume, avanzi adagio per timore di urtare qualcosa, lentamente anche i tuoi occhi iniziano ad abituarsi. Intuisci la mia presenza, ti avvicini, pochi centimetri separano i nostri corpi sconosciuti, il primo ad insinuarsi in me è il tuo profumo, seguito dalla fosca percezione tridimensionale visiva che tu esisti. L’udito, nonostante le leggera melodia di sottofondo, sente che il tuo respiro è qui, ad un palmo dal mio. Non parliamo, le mani raggiungono il viso dell’altro senza scontrarsi, lo toccano leggere, come un cieco che prende coscienza di una forma, di una sembianza. I polpastrelli accarezzano, i visi vengono toccati, percorsi, i pollici esplorano la carnosità delle labbra inferiori mentre i volti si avvicinano inclinandosi appena, sta per succedere, tenendoci il capo, ritardiamo l’istante, vorremmo restare in quel baratro senza gravità per sempre, la carezza di una piuma sarebbe più irruenta del contatto delle nostre labbra, due bocche nel buio, la chimica è dalla nostra parte, anche i nostri vapori, i sospiri, le movenze, il delicato tatto di lingue, quel tanto da amalgamarne le morbide consistenze.
Poi tutto sfugge al controllo. Un’apnea a due, prendendosi le nuche per divorarsi il respiro, una svestizione primordiale, frenetico denudamento reciproco. Allungo la mano nella valigia e prelevo un collare che ho acquistato per te, spesso, in pelle nera, morbido all’interno, come se ti volessi chiedere un’ulteriore prova di totale abbandono al noi, per scendere insieme nell’abbandono. Hai un comprensibile momento di esitazione, non puoi nemmeno trovare conforto nei miei occhi perché non puoi vederli, ma lasci che io avvolga il tuo collo e serri la fibbia. Deglutisci mentre scelgo il foro consono alla circonferenza del tuo collo. È chiuso, respiriamo tremolanti, ti afferro proprio per quell’anello in pelle, senza prepotenza, ma nemmeno delicatamente, ti riporto alla mia bocca. Inevitabilmente il clima si è mosso, tocca a me condurre, non lo faccio brutalmente, tenendoti per il collo ti trascino verso il mio inguine, voglio che accada così. Ti lascio qualche secondo di movimento libero per prendere confidenza, per conoscerne la forma con le labbra, poi lo spingo piano in te, non mollo la presa di quella pelle nera. Ti scopo lentamente la bocca , poche penetrazioni, aumentando l’affondo ogni volta, quando percepisco la salivazione sgorgare, ti sfilo, ti rialzo e ti asporto la bava dalla bocca, prelevandola, succhiando e baciandoti. Ti adagio sul letto, decido di accendere una delle candele, voglio luce fioca. Ti posiziono carponi, hai ancora addosso uno stravolgente perizoma in pizzo nero, lo prendo nel suo punto più fragile e te lo strappo di dosso, la mia bocca va a cercare il tuo ano, appoggi il petto al materasso e con le mani apri le tue cosce, servendomele. Spalanchi il tuo deretano, lo accarezzo con la lingua, venero il contorno succhiandolo come si assapora una tazza di cappuccino, bevuta ma ancora ricoperta di schiuma. Ancheggi il meno possibile per percepire ogni movimento del mio ardore. La piccola fiamma comincia ad illuminarci. Sollevo il viso, c’è uno specchio fissato al muro.

Il nostro primo sguardo avvenne così, grazie a quel riflesso.

Nonostante la scarsa luce, i respiri compromessi e l’espressione da vogliosa, mi sembrò vagamente di averti già vista.
E, mentre una bottiglia chiusa sul comodino assisteva inerme, lentamente, ti presi. Continuammo a guardarci durante tutto l’affondo, non posso dire quanto durò quella prima, interminabile, profonda penetrazione. Fu la scena più erotica mai vista, rendevi insolitamente stupendo anche me, i pettorali contratti, l’espressione del viso immersa nella perdizione, il tuo caschetto ondeggiare. Smettemmo di osservarci, raggiunsi con la mano un tuo seno, lo presi, stringendolo. L’altra, sul tuo fianco, ti immobilizzava, per quanto possibile, mentre il mio inguine castigava la tua sete di lettrice di racconti. Il tuo scrittore ti sbatteva poderoso, deciso. China verso il materasso, ansimante, iniziavi ad adeguarti al ritmo; in un crescendo, impattavamo in una simbiosi esponenziale, presi per il collare per tenerti ferma, inclinai la penetrazione verso il basso, verso il tuo ventre. Ti divincolasti sempre più, non rallentai, per nessun motivo; continuai a riempirti di me, imponente, finché tu, con un colpo di reni, ti sfilasti, tremando e rilasciando un prolungato getto di piacere. Spruzzavi sul materasso senza urlare, con la voce rotta, tentando vanamente di mostrare compostezza, ma quel sussulto si era impadronito di te, deformandoti il viso. L’orgasmo stava salendo irrefrenabile anche in me; riuscii ad avvicinarmi al tuo viso, girarlo e inondarlo oscenamente approfittando anche dell’istintivo dischiudersi della tua bocca.

Fu la seconda volta che ci guardammo.

Avevi il viso sporco della mia esistenza, i tuoi occhi guardavano i miei. Nemmeno l’abbondante colata di seme era riuscita a deturpare gli incantevoli lineamenti del tuo viso. Ci accarezzammo, disarmati da qualcosa che non aveva un nome, rassegnati a uno sconvolgimento che si stava già insidiando in Noi. Fu a quel punto che mi dicesti: “davvero non mi hai ancora riconosciuta?”
Non riuscii a proferire parola mentre i pezzi del puzzle si componevano nella mia mente, non avevi gli occhiali, nemmeno la consueta divisa, ma avevo capito.
“Ti chiedo scusa, sono la donna delle pulizie del luogo in cui lavori. Una sera dimenticasti il pc acceso e curiosai fra la tue cartelle, trovandone una dal nome irresistibile: racconti erotici. Risalii con ricerche nel web al sito dove li pubblicasti, non avrei mai avuto il coraggio di confessare la mia violazione di privacy, spero tu possa perdonarmi”.

Non dissi nulla, in risposta ti scopai anche nel culo.

Quel culo che avevo intravisto mille volte, sotto la divisa, all’orario di chiusura.

Quante volte avevo resistito alla tentazione di sorriderti.

Ma questo è un sito bastardo, non puoi opporti alla sua volontà.
scritto il
2024-07-03
1 . 3 K
visite
1 9
voti
valutazione
7.3
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto sucessivo

A story by Thomas Andersen
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.