La storia di Luca

di
genere
sadomaso

Luca era un ragazzo di venticinque anni con un fisico statuario, frutto di anni di allenamento e dedizione. La sua passione per il bodybuilding e la sua determinazione nel migliorarsi ogni giorno lo avevano reso una figura ammirata e rispettata nel suo quartiere. Era conosciuto non solo per il suo aspetto fisico, ma anche per la sua gentilezza e il suo spirito altruista.

Una sera, dopo una lunga giornata di lavoro e un'intensa sessione di allenamento, Luca decise di fare una passeggiata per rilassarsi. Il sole era appena tramontato, e l'aria fresca della sera era un sollievo dopo il caldo soffocante della giornata. Mentre camminava attraverso un parco poco illuminato, sentì dei passi rapidi alle sue spalle. Prima di poter reagire, fu immobilizzato da due uomini robusti che lo costrinsero a terra.

Luca cercò di liberarsi, ma la loro presa era troppo forte. Sentì un pungente dolore al collo e gradualmente perse conoscenza. Quando si risvegliò, si trovava in una cella umida e fredda, completamente nudo e con il corpo ricoperto di lividi. Improvvisamente, si sentì un rumore metallico: catene erano state attaccate ai suoi polsi e alle sue caviglie, limitando severamente i suoi movimenti.

Il panico prese il sopravvento. Luca cercò di ricordare i volti degli aggressori, ma tutto era offuscato. La cella era buia, e le uniche fonti di luce provenivano dalle deboli candele posizionate fuori dalla sua portata. Cercò di razionalizzare la situazione: chiunque fosse stato a catturarlo doveva avere un motivo specifico.

Le ore passarono lentamente, e Luca si sforzò di mantenere la calma. Improvvisamente, la porta della cella si aprì, facendo entrare una figura avvolta in un lungo mantello nero. L'uomo avanzò lentamente, la sua presenza emanava un'inquietante aura di potere.

"Chi sei?" chiese Luca con voce tremante.

"Sono solo un messaggero," rispose l'uomo con tono glaciale. "Sei stato catturato perché possiedi qualcosa di molto prezioso."

Luca era confuso. "Non ho nulla di valore. Perché state facendo questo?"

L'uomo nel mantello sorrise con un'ombra di soddisfazione. "Non è un oggetto che cerchiamo. È la tua forza e la tua resistenza, fisica e mentale. Sei stato scelto per un esperimento."

Senza ulteriori spiegazioni, l'uomo uscì dalla cella, lasciando Luca con mille domande e una crescente sensazione di terrore. I giorni successivi furono un inferno di tormenti. I suoi carcerieri lo mettevano alla prova sottoponendolo a torture.
Venne legato su una tavola declinata e gli misero un panno sul viso versandogli dell'acqua simulando l'annegamento.
Venne poi legato su un telaio con gli arti divaricati dapprima fu sottoposto a scosse elettriche su parti del corpo sensibili, come i genitali, i capezzoli e le dita e in seguito le estremità del corpo venivano tirate lentamente in direzioni opposte procurandogli dolore stando attenti a non procurargli traumi.
Dalle pesanti torture subite Luca svenne cosi fu rimesso in catene e riportato in cella.

Luca si risvegliò con un dolore lancinante che gli attraversava tutto il corpo. Sentiva la pelle bruciare, i muscoli farsi a pezzi e la testa pulsare come se fosse stata colpita da un martello. Ogni respiro era uno sforzo enorme. Lentamente, gli occhi si schiusero rivelando una stanza buia, fredda e umida. Le pareti erano di pietra grezza, bagnate e insidiose. Non ci volle molto perché si rendesse conto di essere di nuovo in quella che lui chiamava "la cella della disperazione".

Le catene gli bloccavano ancora i polsi e le caviglie, tirando la carne dolente ogni volta che faceva anche il minimo movimento. Il freddo del metallo contrastava con il calore del suo sangue, che gocciolava lentamente dalle ferite ancora aperte. Voleva urlare, ma la sua voce era spezzata e stanca dalle grida che aveva già lasciato nella stanza delle torture.

Respirò a fatica, cercando di mettere ordine nei suoi pensieri confusi. Non era solo il dolore fisico a tormentarlo, ma anche il peso della rassegnazione. Ogni volta che lo rimproveravano, ogni volta che i colpi inferti sangunavoli mettevano alla prova la sua resistenza, si chiedeva se fosse possibile resistere ancora, se avesse ancora la forza di lottare.

Le sue orecchie erano ancora piene dei suoni amplificati dall'eco delle urla, il crepitio delle fruste, il clangore delle catene… e la risata sadica dei suoi aguzzini. Ogni dettaglio, ogni suono era un colpo alla sua psiche.

Le mani tremanti si mossero per cercare di stabilizzare le catene, tentando di trovare una posizione meno dolorosa, ma la realtà era chiara: non c'era conforto in quella cella. La sua mente tornò a quelli che lo avevano tradito, i compagni che avevano giurato di combattere al suo fianco per la libertà. Dove erano ora? Si erano arresi anche loro? O forse erano stati sconfitti e ridotti come lui, dei gusci rotti di quello che un tempo erano?

Rimase nella cella non si sa per quanto tempo, sino a quando una notte, la porta della cella si aprì con un cigolio sinistro, e una figura oscura entrò, illuminata solo dalle torce nel corridoio alle sue spalle. "È ora", disse la voce cavernosa, fredda. "Il grande inquisitore vuole vederti."

Luca chiuse gli occhi e fece un profondo respiro. Ogni fibra del suo essere urlava di paura, ma in qualche oscuro angolo della sua anima, una luce di speranza resisteva. Dove trovava ancora la forza? Forse era nella semplice possibilità di un domani diverso, di un mondo in cui la tortura non esistesse, di un'alba libera da catene.

"Alzati," ripeté la figura. Luca, con un ultimo sforzo tremendo, si mise in ginocchio, le catene che tintinnavano debolmente. "Andiamo," disse, tirandolo con forza. Luca vacillò ma poi si alzò. Anche se ogni passo era un tormento, sapeva che non sarebbe stato l'ultimo. E finché avrebbe avuto la forza di rimettersi in piedi, avrebbe continuato a resistere, per sé e per coloro che non potevano più farlo.

Veniva condotto di nuovo nelle grinfie dei suoi torturatori, ma il fuoco che ardeva nel suo cuore, anche se piccolo e debole, non si sarebbe spento. Non finché non avesse visto la luce della libertà.

Si trovò di nuovo nella sala delle torture, un'enorme stanza scura, umida e fredda, con pareti di pietra spoglie che contribuiva a creare un'atmosfera opprimente. Non aveva alcuna apertura, accentuando di più la sensazione di claustrofobia. La luce era fornita prevalentemente da torce, creando un'illuminazione fioca e tremolante che aumentava l’effetto psicologico di terrore nel povero Luca.

Gli tolsero le catene e lo adagiarono su una grande ruota, lo misero in posizione divaricata e gli fissarono caviglie e polsi con legacci di cuoio. Mentre la ruota veniva fatta girare, il suo corpo fu martoriato da continue frustate sul suo petto e gambe

Non contenti i suoi aguzzini lo legarono sulla sedia inquisitoria: una sedia di legno con punte acuminate su schienale, sedile e braccioli e provocandogli gravi ferite e dolore.

Luca era stremato e implorava pietà ai suoi aguzzini, i quali non curanti continuavano a torturarlo sadicamente.

L'inquisitore vedendolo stremato ordinò di fermarsi con le torture.

Non fu portato nella sua cella ma introdotto in una gabbia di ferro. Essa era così stretta da costringere il povero Luca a restare accovacciato per tutto il tempo che l'inquisitore ritenne opportuno.

Terminata la cosiddetta pausa, Luca fu tirato fuori dalla gabbia e posizionato sul cavalletto, un altro altro strumento di tortura costituito da due rulli dove fu legato caviglie e polsi e questi rulli venivano tirati in direzioni opposti facendo allungare il corpo producendogli solo dolori stando attenti a non lussare le sue articolazioni. Una volta accertato che il suo bel corpo fosse teso come una corda di violino, gli furono applicati degli elettrodi ai genitali, ai capezzoli, alle dita dei piedi e della mani. Iniziarono con impulsi appena percettibili continuarono con scosse non dolorose continuarono con dargli impulsi continui provocando la contrazione involontaria dei muscoli e shock doloroso.

la tortura dell'elettricità fu così potente che fece perdere i sensi a Luca.

Fu ordinato di riportarlo in cella.

Luca giaceva nudo e in catene sulla fredda pietra della cella, il corpo martoriato e sfinito dalle torture subite. Le sue mani tremavano, coperte da ferite sanguinanti che rivelavano il trattamento brutale a cui era stato sottoposto. Lividi scuri e gonfiori decoravano il suo viso e il corpo, mentre le labbra spaccate e arrossate testimoniavano una resistenza silenziosa.

Il sudore e il dolore si mischiavano al sangue, creando un rivolo che scorreva incessante lungo il suo corpo. I suoi occhi, un tempo vivaci e pieni di vita, ora erano spenti e vitrei, guardando il nulla con un'espressione di sofferenza inconfondibile. Respirava a fatica, ogni respiro un nuovo tormento, un nuovo ricordo della barbarie subita.

La cella stessa contribuiva alla sua miseria: le pareti umide e fredde sembravano chiudersi sopra di lui, soffocanti e inesorabili. L'odore acre di muffa e disperazione impregnava l'aria, rendendo l'ambiente ancora più opprimente. Non c'era conforto, non c'era speranza, solo il peso schiacciante delle tenebre e del dolore.

Ogni fibra del suo essere era segnata dalla sofferenza, ma, nonostante tutto, una scintilla di determinazione restava accesa in profondità. Luca sapeva che, sebbene il suo corpo fosse piegato, il suo spirito non era ancora spezzato.

Luca fu venduto a dei mercanti di schiavi.

Una mattina fu prelevato dalla sua cella gli furono tolte le catene e fu lavato con getti d'acqua fredda e ripulito. Indossò uno slip e gli vennero messi alle caviglie e ai polsi pesanti ceppi di acciaio e un grosso collare. Le catene e i ceppi gli limitavano i movimenti e lo costringevano ad assumere una posizione scomoda e dolorosa. Inoltre, l'uso di un collare collegato a catene aumentava il disagio fisico.

Luca non sapeva cosa gli stesse accadendo, fu un suo aguzzino che gli disse che era stato venduto a dei mercanti di schiavi arabi e stava per essere portato in Arabia.

Luca fu preso dallo sconforto ormai non c'era più nulla da fare era condannato alla schiavitù a vita.

Fu preso in consegna dai mercanti e fatto salire su un furgone chiuso e insonorizzato, chiuso in una gabbia in ferro. Dopo alcune ore di viaggio arrivarono al porto dove il furgone fu imbarcato su una nave cargo diretta al porto di Mascate in Oman.

Furono 15 giorni di viaggio rimanendo sempre chiuso in quella gabbia incatenato e gli veniva concesso solo un paio di ore al giorno per mangiare e fare i propri bisogni.

Quando sbarcarono il furgone si diresse verso il deserto dopo circa un paio d'ore arrivarono alla città di Al Ghabah in pieno deserto. Qui venne fatto scendere e portato in grande spiazzo affollato e lì fu messo all'asta con altri schiavi.

Luca fu venduto e incatenato insieme ad altri schiavi iniziò il viaggio verso il suo nuovo destino.

Il viaggio fu lungo e arduo. Attraverso deserti infiniti, Luca e altri prigionieri furono costretti a marciare sotto il sole cocente, con solo il vento del deserto a fargli compagnia. I mercanti erano spietati, ma professionali. Sapevano come mantenere viva la loro merce, non per compassione, ma per profitto.

Giunsero, infine in una cava di pietra situata in una valle nascosta tra montagne aride e impervie. Era un luogo dimenticato dagli dei, dove solo i duri potevano sopravvivere. Le pareti della cava si innalzavano come giganti pietrosi, e il rumore incessante degli scalpelli che colpivano la roccia fungeva da infernale colonna sonora.

In quella cava, Luca fu assegnato al lavoro più duro. Sotto il sole battente, con mani e piedi incatenati, doveva estrarre enormi blocchi di pietra destinati a grandi costruzioni in terre lontane. La vita era una mera lotta per la sopravvivenza. Non c'era tregua, non c'era misericordia. Ma la mente di Luca non si arrese. Ogni giorno, mentre il suo corpo lavorava, il suo pensiero volava libero, cercando un modo per fuggire.

La sua vita era segnata da fatica estrema, privazioni e sofferenza, in un ambiente tanto fisicamente impegnativo quanto emotivamente oppressivo.

La sua giornata iniziava nelle prime ore del mattino, spesso prima dell'alba. Nonostante la stanchezza accumulata, doveva alzarsi rapidamente, pena punizioni severe.

La colazione frugale era costituita spesso da pasti semplici come pane raffermo e una bevanda calda simile a una zuppa acquosa o caffè. Le porzioni sono minime, giusto quanto basta per fornire un po' di energia per le dure ore di lavoro che gli attendono.

Dopo la colazione, Luca insieme agli altri schiavi venivano trasferiti alla cava sotto stretta sorveglianza. Il percorso dalla prigione alla cava era lungo e tortuoso, percorrendo terreni accidentati e sentieri polverosi. Le guardie armate li sorvegliano costantemente, pronte a punire qualsiasi tentativo di fuga o riposo non autorizzato.

Il lavoro nella cava di pietra era estremamente duro. Gli schiavi usano strumenti manuali come martelli, scalpelli e mazze per estrarre pietre dalle pareti rocciose. Il lavoro comportava continui sforzi fisici, con i muscoli messi costantemente a dura prova. La polvere e le schegge di pietra volano ovunque, rendendo l'aria difficile da respirare e aumentando il rischio di infortuni.

La pausa pranzo è breve e non consentiva di riprendersi adeguatamente. Il pasto, simile alla colazione in termini di differenziazione degli alimenti, fornisce solo una modesta quantità di energia. Le discussioni tra gli schiavi sono limitate, e qualsiasi rifiuto di tornare al lavoro viene prontamente represso.

Dopo il breve intervallo, il lavoro ricomincia con la stessa intensità e fatica. L'orario di lavoro si protrae fino al tardo pomeriggio o anche al tramonto. Le condizioni meteorologiche, che siano calore intenso, pioggia battente o freddo pungente, non fermano mai il lavoro.

Una volta terminata la giornata lavorativa, Luca insieme agli altri schiavi ritornava alle baracche della prigione. Il suo corpo sera stanco e dolorante, spossato dalla fatica. Qualche volta le docce, se disponibili, erano fredde e sporche, ma rappresentavano comunque un sollievo temporaneo.

La cena, simile nella sostanza agli altri pasti, offre poche calorie e scarseggia di nutrienti. È durante questo momento che gli schiavi potevano avere brevi interazioni tra di loro, ma sempre sotto l'occhio vigile delle guardie.

La notte Luca la trascorreva su un materasso sottile e duro, all'interno di una baracca sovraffollata. Le luci venivano spente presto e il sonno, purtroppo, non era sempre garantito a causa dei dolori fisici e del rumore. Il giorno successivo iniziava presto, replicandosi come una ripetizione senza fine.

Per Luca la speranza di liberazione poteva sembrare remota. Sopravvivere da un giorno all'altro era già un obiettivo abbastanza difficile, mentre i pensieri di fuga o ribellione erano per lo più scacciati dalla consapevolezza delle severe ritorsioni. La vita nella cava di pietra diventava una lunga e faticosa lotta per l'esistenza, ogni pietra sollevata era un peso che si aggiungeva al già gravoso fardello della sua situazione di schiavo. Pur lavorando giorno dopo giorno in condizioni estenuanti come schiavo. Le sue mani erano ruvide e piene di calli, e il suo corpo portava i segni delle dure fatiche che affrontava quotidianamente. Malgrado la fatica e l’oppressione, nel suo cuore ardeva ancora una scintilla di speranza.

Questa speranza non tardò ad arrivare.

La notizia della sua situazione era giunta alle orecchie di alcuni suoi amici fidati. Persone che conoscevano Luca come un uomo libero, pieno di vita e di sogni. Non poterono restare indifferenti di fronte alla sofferenza del loro amico. Decisero di agire partendo per l'Oman.

Con una meticolosa pianificazione e un coraggio straordinario, gli amici di Luca tramarono un piano per liberarlo. Sapevano che se avessero fallito, le conseguenze sarebbero state terribili non solo per Luca, ma anche per loro. Ma la loro determinazione era incrollabile.

Sotto la copertura della notte, si avvicinarono furtivamente alla cava. Riuscirono ad eludere i sorveglianti e a raggiungere Luca, che quasi non credeva ai suoi occhi quando vide i volti familiari. Con emozione e gratitudine, lasciò cadere gli attrezzi che usava per lavorare la pietra e si unì a loro.

L'operazione non fu priva di rischi. Strisciare tra le ombre, evitare le pattuglie e superare le barriere non fu semplice, ma la tenacia e il legame tra amici superarono ogni ostacolo. Dopo un viaggio avvincente e pieno di tensione, finalmente riuscirono a portare Luca lontano dalla cava, verso la libertà.

Sebbene il loro viaggio fosse appena cominciato, il futuro ora appariva più luminoso. Luca sapeva che aveva ancora molto da affrontare per recuperare la sua vita perduta, ma con il sostegno e l’amore dei suoi amici, era pronto a ricominciare.

di
scritto il
2024-07-04
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