Educazione superiore (2): "aftermath"
di
Lauretta98
genere
masturbazione
“Spero che sia rimorso, Laura”. Con quella sua pronuncia inglese fastidiosa. Vorrei urlargli che mi chiamo Laura e non “Lora”, ma forse non sarebbe una buona idea, potrebbe ricominciare a chiamarmi “young miss”.
Cammino per i corridoi del vecchio edificio monumentale diretta verso la mia stanza, ho già cambiato strada un paio di volte, non ho intenzione di incontrare nessuno.
Il dolore al sedere si sta affievolendo, chi ha avuto il dispiacere di provare sa che un paio di chiappe rosse durano poco, ma il senso di vergogna rimane per giorni.
Quando sono stata convocata nel suo ufficio sapevo benissimo cosa mi aspettasse, ma per quanto ci si senta preparati vivere il momento è un’altra cosa.
Il breve tragitto all’esterno l’ho passato stando bene attenta a girare dal lato opposto del cortile rispetto a dove si trovava il capannello di oche del corso di letteratura inglese. Da qui non hanno di certo potuto sentire niente. Entro nell’edificio del dormitorio delle ragazze, sono quasi arrivata. Svolto in un corridoio dopo un paio di piani di scale e noto con orrore che fuori dalla mia porta c’è Elizabeth, la mia compagna di stanza.
Speriamo se ne vada.
Lei mi saluta con un mezzo sorriso.
Forse mi sta aspettando, meglio liquidarla alla svelta.
“Ciao” mi saluta in maniera gentile, troppo gentile.
Quel mezzo sorriso non accenna a sparire dal suo viso.
“Ciao Beth, stai uscendo?” cerco di non suonare come una che ha appena pianto senza vergogna sulle ginocchia del suo professore preferito, ma forse non sono molto brava perché ora il sorriso di lei sembra triste.
“Si, io… stavo uscendo, ma poi ho letto il messaggio di Hermione sul gruppo del corso e ho pensato” fa una breve pausa “beh insomma volevo vederti, vuoi che resti con te?”
Un’onda di emozioni mi travolge, arrossisco talmente in fretta che sento la punta delle orecchie scaldarsi. Hermione, che nome sbagliato, quale coppia di genitori può chiamare così una figlia sperando che non diventi antipatica e supponente?
“Cosa? No, quale messaggio?” mentre lo dico cerco il telefono, ma non lo trovo. Sento un pizzicore alle mani, l’agitazione sta di nuovo prendendo il sopravvento.
“Non ti preoccupare, l’ha cancellato dopo che Tom le ha detto di farsi gli affari suoi, sono sicura che non l’ha letto nessuno”
Qualunque fosse quel messaggio doveva riguardare me, ecco che di nuovo torna l’imbarazzo. Forse quelle dannate oche hanno scoperto del mio appuntamento con il professore e devono aver capito.
Domattina tutto il corso saprà della mia sculacciata.
“Non ti preoccupare, può succedere a tutti. In questo periodo è facile dimenticare qualcosa, sono sicura che non sei l’unica, vedrai che nessuno ci farà caso”
Elizabeth è gentile ed è un’ottima compagna di stanza, ma in questo momento non ho voglia di discutere di quello che è appena successo.
Mi sforzo di sorridere e le faccio un cenno di assenso “Hai ragione, credo che andrò a stendermi un po’, passa una buona serata”
Lei fa l’occhiolino “Hai la stanza tutta per te, vado a cena dai genitori di Martin, mi hanno invitato per il week end”
Finalmente una buona notizia.
“Allora vai e divertiti, io ho qualche compito da recuperare e domani dovrebbe tornare Andrew, passerò il fine settimana con lui. Ci vediamo domenica sera?’”
“Domenica sera” mi fa eco lei, mi bacia su una guancia e se ne va. Quasi mi pento di averle insegnato a salutare così.
Entro nella stanza e mi chiudo alle spalle la porta. Imbarazzo, rabbia, stanchezza, eccitazione: un mare incontrollato di emozioni divampa dentro di me come se avessi tolto il coperchio a una pentola sul punto di esplodere.
Sento caldo, la finestra è aperta ma non basta. Tolgo le scarpe, ho chiuso la porta? Controllo di aver girato il chiavistello e resto qualche istante ad apprezzare il silenzio. Slaccio i pantaloni e li sfilo, poi la camicetta. Voglio liberarmi dell’intimo con cui mi ha vista: faccio scivolare le mutandine fino al pavimento, tolgo la maglietta e sfilo le calze. Dopo il primo castigo ho capito che è meglio non portare il reggiseno in queste occasioni, così puoi tenere la maglietta e mantenere un po’ di dignità. Sono nuda.
Appoggio una mano sul sedere, è ancora tiepido. Faccio qualche passo per guardarmi allo specchio: le mie chiappe sono di un rosso acceso, la carnagione chiara non aiuta. Passo una mano sotto il seno, sentirlo libero è piacevole.
Me le ha suonate di santa ragione. Mi guardo e mi rendo conto di essere un disastro, non voglio più stare davanti allo specchio, vado a letto.
Sprimaccio il cuscino e poi mi lascio cadere sul materasso. La mia mente vaga cercando di mettere un po’ di ordine nel ciclone delle emozioni, mi giro sul fianco sinistro e mi rannicchio, mi accarezzo il sedere e poi passo la mano sull’interno coscia, lo sento caldo. Che strano, non credo di essere stata sculacciata anche lì.
Un fremito di piacere mi scuote quando per sbaglio sfioro la mia patatina.
Mi ricordo di lui e della sua carezza sul culetto prima di castigarmi.
Chiudo gli occhi.
Lo odio, come può pensare di trattarmi come se fossi una ragazzina qualunque.
La mia mano indugia in mezzo alle gambe, le dita accarezzano le labbra più esterne lasciando una scia come di fuoco al loro passaggio.
Farmi spogliare davanti a lui e tenermi lì, in piedi ad ascoltare la predica mentre lui parla di senso del dovere seduto su quella poltrona da snob. Doveva proprio farmi togliere anche le calze?
Uno sbuffo, sto di nuovo respirando con la bocca, proprio come mezz’ora fa quando il tempo sembrava andare avanti solo grazie allo schiocco della sua mano sulle mie chiappe nude.
E poi quella carezza sul sedere, poteva spogliarmi e farla finita. Invece ha voluto prima scaldarmi i sentimenti. Quanto odio quando mi fa stendere sulle sue ginocchia e pretende che mi comporti bene. Allora perché mi comporto bene?!
Ho allargato le gambe, ora le dita accarezzano orizzontalmente la mia patatina soffermandosi un attimo di più tra le labbra. Un tripudio di emozioni mi travolge, mi bagno lentamente, come quando il mare accarezza la spiaggia.
Quel ritmo suonato sul mio culetto, come se fosse l’unico modo per capire l’errore. Ho sbagliato, lo so… ma c’è proprio bisogno di un castigo simile? Quelle sue mani che schioccano sul mio sedere e io che perdo la cognizione del tempo, è piacevole finché non brucia, ma dannazione quanto brucia.
Sto perdendo ogni ritegno, le mie dita non si limitano più ad accarezzarmi, ora indugiano all’entrata e poi si infilano, prima delicate e poi con più decisione. Cerco un tesoro e lo faccio con precisione, è tanto tempo che non mi occupo di me stessa, ma sono ancora capace. Un gemito, mi mordo il labbro inferiore con i denti per cercare di non fare rumore.
Vogliamo parlare del momento peggiore? Mi spoglia e mi toglie anche l’ultima difesa della mia dignità. Nuda dalla vita in giù mi stendo di nuovo sulle sue ginocchia, il bruciore al sedere è insopportabile. Non riesco più a trattenermi, anche se di tanto in tanto, mentre il mio sederino danza, sento una folata di vento che si insinua tra le gambe e mi ricorda che sono viva.
Apro e chiudo le cosce assecondando i movimenti della mia mano, il respiro si fa sempre più pesante e ogni tanto un fremito mi percorre il corpo. Il lenzuolo mi si appiccica addosso ricordarmi che il culetto è ancora dolente, ma non mi importa. Giro la faccia verso il cuscino per soffocare un gemito che mi scappa più forte del precedente e nel frattempo non mi do tregua, ci sono quasi, la scalata è quasi finita.
Se solo potessi parlargli ora che ha finito di punirmi e sono di nuovo innocente, se solo potessi dirgli quanto vorrei passare i miei pomeriggi con lui a sentirlo raccontare di poesia e letteratura. Quello del professore è un lavoro serio e io che lo costringo a perdere tempo meriterei di peggio, forse dovrebbe suonarmele con quella paletta di legno che ho visto sulla sua scrivania o forse dovrebbe legarmi le mani al magnifico tiglio che c’è in cortile e frustare il mio culetto con un mazzo di rami mentre tutti vanno a colazione.
Non resisto più, tutta la mia eccitazione vuole straripare. Ancora qualche istante, gli ultimi fremiti che precedono l’esplosione di emozioni. La mano non si ferma e la mia mente corre veloce e libera. Un fuoco mi si accende dentro lasciandomi estasiata, i miei gemiti si trasformano in un lungo e piacevole respiro che rilascia tutta la tensione che ho nel corpo.
Dopo un lungo momento mi risveglio dalla mia fantasia. Sono ancora nel mio letto che ora è più caldo di prima. Mi distendo sulla schiena e fisso il soffitto mentre mi con le dite disegno dei cerchi sul pancino. Lo odio o lo amo? Si può amare e odiare qualcuno allo stesso momento? Penso ad Andrew ma non riesco a togliermi dalla testa il professore. Non è il momento per queste cose, ora devo solo rilassarmi.
*TOC TOC*
“Miss Laura?”
Un tuffo al cuore. Cosa vuole? Vuole darmene ancora? Forse gli è venuto il dubbio di non avermi sistemata a dovere.
“Miss Laura?”
Non rispondo, fingo di non esserci.
Passa qualche istante, poi sento la casella della posta aprirsi.
Dei passi, si sta allontanando.
Mi alzo in fretta cercando di non fare rumore mi avvicino alla porta e ascolto, non si sente più nulla.
Apro lo sportello interno della cassetta, c’è un bigliettino, lo leggo:
“Cara Laura,
ha lasciato il suo telefono nel mio studio.
Può passare a prenderlo domani dopo colazione,
a presto”
Ho bisogno di bere dell’acqua.
Cammino per i corridoi del vecchio edificio monumentale diretta verso la mia stanza, ho già cambiato strada un paio di volte, non ho intenzione di incontrare nessuno.
Il dolore al sedere si sta affievolendo, chi ha avuto il dispiacere di provare sa che un paio di chiappe rosse durano poco, ma il senso di vergogna rimane per giorni.
Quando sono stata convocata nel suo ufficio sapevo benissimo cosa mi aspettasse, ma per quanto ci si senta preparati vivere il momento è un’altra cosa.
Il breve tragitto all’esterno l’ho passato stando bene attenta a girare dal lato opposto del cortile rispetto a dove si trovava il capannello di oche del corso di letteratura inglese. Da qui non hanno di certo potuto sentire niente. Entro nell’edificio del dormitorio delle ragazze, sono quasi arrivata. Svolto in un corridoio dopo un paio di piani di scale e noto con orrore che fuori dalla mia porta c’è Elizabeth, la mia compagna di stanza.
Speriamo se ne vada.
Lei mi saluta con un mezzo sorriso.
Forse mi sta aspettando, meglio liquidarla alla svelta.
“Ciao” mi saluta in maniera gentile, troppo gentile.
Quel mezzo sorriso non accenna a sparire dal suo viso.
“Ciao Beth, stai uscendo?” cerco di non suonare come una che ha appena pianto senza vergogna sulle ginocchia del suo professore preferito, ma forse non sono molto brava perché ora il sorriso di lei sembra triste.
“Si, io… stavo uscendo, ma poi ho letto il messaggio di Hermione sul gruppo del corso e ho pensato” fa una breve pausa “beh insomma volevo vederti, vuoi che resti con te?”
Un’onda di emozioni mi travolge, arrossisco talmente in fretta che sento la punta delle orecchie scaldarsi. Hermione, che nome sbagliato, quale coppia di genitori può chiamare così una figlia sperando che non diventi antipatica e supponente?
“Cosa? No, quale messaggio?” mentre lo dico cerco il telefono, ma non lo trovo. Sento un pizzicore alle mani, l’agitazione sta di nuovo prendendo il sopravvento.
“Non ti preoccupare, l’ha cancellato dopo che Tom le ha detto di farsi gli affari suoi, sono sicura che non l’ha letto nessuno”
Qualunque fosse quel messaggio doveva riguardare me, ecco che di nuovo torna l’imbarazzo. Forse quelle dannate oche hanno scoperto del mio appuntamento con il professore e devono aver capito.
Domattina tutto il corso saprà della mia sculacciata.
“Non ti preoccupare, può succedere a tutti. In questo periodo è facile dimenticare qualcosa, sono sicura che non sei l’unica, vedrai che nessuno ci farà caso”
Elizabeth è gentile ed è un’ottima compagna di stanza, ma in questo momento non ho voglia di discutere di quello che è appena successo.
Mi sforzo di sorridere e le faccio un cenno di assenso “Hai ragione, credo che andrò a stendermi un po’, passa una buona serata”
Lei fa l’occhiolino “Hai la stanza tutta per te, vado a cena dai genitori di Martin, mi hanno invitato per il week end”
Finalmente una buona notizia.
“Allora vai e divertiti, io ho qualche compito da recuperare e domani dovrebbe tornare Andrew, passerò il fine settimana con lui. Ci vediamo domenica sera?’”
“Domenica sera” mi fa eco lei, mi bacia su una guancia e se ne va. Quasi mi pento di averle insegnato a salutare così.
Entro nella stanza e mi chiudo alle spalle la porta. Imbarazzo, rabbia, stanchezza, eccitazione: un mare incontrollato di emozioni divampa dentro di me come se avessi tolto il coperchio a una pentola sul punto di esplodere.
Sento caldo, la finestra è aperta ma non basta. Tolgo le scarpe, ho chiuso la porta? Controllo di aver girato il chiavistello e resto qualche istante ad apprezzare il silenzio. Slaccio i pantaloni e li sfilo, poi la camicetta. Voglio liberarmi dell’intimo con cui mi ha vista: faccio scivolare le mutandine fino al pavimento, tolgo la maglietta e sfilo le calze. Dopo il primo castigo ho capito che è meglio non portare il reggiseno in queste occasioni, così puoi tenere la maglietta e mantenere un po’ di dignità. Sono nuda.
Appoggio una mano sul sedere, è ancora tiepido. Faccio qualche passo per guardarmi allo specchio: le mie chiappe sono di un rosso acceso, la carnagione chiara non aiuta. Passo una mano sotto il seno, sentirlo libero è piacevole.
Me le ha suonate di santa ragione. Mi guardo e mi rendo conto di essere un disastro, non voglio più stare davanti allo specchio, vado a letto.
Sprimaccio il cuscino e poi mi lascio cadere sul materasso. La mia mente vaga cercando di mettere un po’ di ordine nel ciclone delle emozioni, mi giro sul fianco sinistro e mi rannicchio, mi accarezzo il sedere e poi passo la mano sull’interno coscia, lo sento caldo. Che strano, non credo di essere stata sculacciata anche lì.
Un fremito di piacere mi scuote quando per sbaglio sfioro la mia patatina.
Mi ricordo di lui e della sua carezza sul culetto prima di castigarmi.
Chiudo gli occhi.
Lo odio, come può pensare di trattarmi come se fossi una ragazzina qualunque.
La mia mano indugia in mezzo alle gambe, le dita accarezzano le labbra più esterne lasciando una scia come di fuoco al loro passaggio.
Farmi spogliare davanti a lui e tenermi lì, in piedi ad ascoltare la predica mentre lui parla di senso del dovere seduto su quella poltrona da snob. Doveva proprio farmi togliere anche le calze?
Uno sbuffo, sto di nuovo respirando con la bocca, proprio come mezz’ora fa quando il tempo sembrava andare avanti solo grazie allo schiocco della sua mano sulle mie chiappe nude.
E poi quella carezza sul sedere, poteva spogliarmi e farla finita. Invece ha voluto prima scaldarmi i sentimenti. Quanto odio quando mi fa stendere sulle sue ginocchia e pretende che mi comporti bene. Allora perché mi comporto bene?!
Ho allargato le gambe, ora le dita accarezzano orizzontalmente la mia patatina soffermandosi un attimo di più tra le labbra. Un tripudio di emozioni mi travolge, mi bagno lentamente, come quando il mare accarezza la spiaggia.
Quel ritmo suonato sul mio culetto, come se fosse l’unico modo per capire l’errore. Ho sbagliato, lo so… ma c’è proprio bisogno di un castigo simile? Quelle sue mani che schioccano sul mio sedere e io che perdo la cognizione del tempo, è piacevole finché non brucia, ma dannazione quanto brucia.
Sto perdendo ogni ritegno, le mie dita non si limitano più ad accarezzarmi, ora indugiano all’entrata e poi si infilano, prima delicate e poi con più decisione. Cerco un tesoro e lo faccio con precisione, è tanto tempo che non mi occupo di me stessa, ma sono ancora capace. Un gemito, mi mordo il labbro inferiore con i denti per cercare di non fare rumore.
Vogliamo parlare del momento peggiore? Mi spoglia e mi toglie anche l’ultima difesa della mia dignità. Nuda dalla vita in giù mi stendo di nuovo sulle sue ginocchia, il bruciore al sedere è insopportabile. Non riesco più a trattenermi, anche se di tanto in tanto, mentre il mio sederino danza, sento una folata di vento che si insinua tra le gambe e mi ricorda che sono viva.
Apro e chiudo le cosce assecondando i movimenti della mia mano, il respiro si fa sempre più pesante e ogni tanto un fremito mi percorre il corpo. Il lenzuolo mi si appiccica addosso ricordarmi che il culetto è ancora dolente, ma non mi importa. Giro la faccia verso il cuscino per soffocare un gemito che mi scappa più forte del precedente e nel frattempo non mi do tregua, ci sono quasi, la scalata è quasi finita.
Se solo potessi parlargli ora che ha finito di punirmi e sono di nuovo innocente, se solo potessi dirgli quanto vorrei passare i miei pomeriggi con lui a sentirlo raccontare di poesia e letteratura. Quello del professore è un lavoro serio e io che lo costringo a perdere tempo meriterei di peggio, forse dovrebbe suonarmele con quella paletta di legno che ho visto sulla sua scrivania o forse dovrebbe legarmi le mani al magnifico tiglio che c’è in cortile e frustare il mio culetto con un mazzo di rami mentre tutti vanno a colazione.
Non resisto più, tutta la mia eccitazione vuole straripare. Ancora qualche istante, gli ultimi fremiti che precedono l’esplosione di emozioni. La mano non si ferma e la mia mente corre veloce e libera. Un fuoco mi si accende dentro lasciandomi estasiata, i miei gemiti si trasformano in un lungo e piacevole respiro che rilascia tutta la tensione che ho nel corpo.
Dopo un lungo momento mi risveglio dalla mia fantasia. Sono ancora nel mio letto che ora è più caldo di prima. Mi distendo sulla schiena e fisso il soffitto mentre mi con le dite disegno dei cerchi sul pancino. Lo odio o lo amo? Si può amare e odiare qualcuno allo stesso momento? Penso ad Andrew ma non riesco a togliermi dalla testa il professore. Non è il momento per queste cose, ora devo solo rilassarmi.
*TOC TOC*
“Miss Laura?”
Un tuffo al cuore. Cosa vuole? Vuole darmene ancora? Forse gli è venuto il dubbio di non avermi sistemata a dovere.
“Miss Laura?”
Non rispondo, fingo di non esserci.
Passa qualche istante, poi sento la casella della posta aprirsi.
Dei passi, si sta allontanando.
Mi alzo in fretta cercando di non fare rumore mi avvicino alla porta e ascolto, non si sente più nulla.
Apro lo sportello interno della cassetta, c’è un bigliettino, lo leggo:
“Cara Laura,
ha lasciato il suo telefono nel mio studio.
Può passare a prenderlo domani dopo colazione,
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