Educazione superiore

di
genere
sadomaso

Ho la bocca asciutta, un senso di arsura improvvisa mi fa girare la testa. Di nuovo quella sensazione di caldo che parte dal viso e arriva fino alla punta dei piedi: poche cose mi imbarazzano come stare qui a sentire la ramanzina. A vent’anni poi.

La mia esperienza da studentessa universitaria non sta’ andando benissimo.
Non ascolto e guardo in basso, riesco sentire un po’ di fresco grazie a una folata di vento che entra dalla finestra e mi accarezza le cosce nude.

Tengo le mani unite dietro la schiena, con i dorsi appoggiati a quella leggera, dolce curva che unisce fianchi e il sedere. Gambe unite e schiena dritta, ma continuo a guardare il tappeto: se solo riuscissi ad arrivare sulle sue ginocchia con le mutandine a posto potrei evitare di doverlo guardare negli occhi con la patatina in bella vista, speriamo sia la sera giusta.
Dal giardino si sentono delle risate che sanno di inopportuno, non mi pare tanto giusto che qualcuno sia spensierato mentre io sono qui in intimo e maglietta da notte ad attendere il mio castigo.

Il caldo quest’anno è davvero fastidioso o forse è solo l’imbarazzo.
Mi sta guardando. Mi avvicino cercando di non incrociare il suo sguardo e mi fermo di fianco a lui. Ora che mi muovo mi rendo conto di avere il seno che sfrega contro il cotone, da fastidio ma non posso sistemarmi.
Approfitto dell’istante e appoggiando le mani sul suo ginocchio più lontano appoggio il bacino sulla sua gamba più vicina. Cerco di essere discreta e non dargli fastidio, non voglio che sia scomodo mentre batte il mio culetto.
In un momento un vortice di emozioni mi passa per la testa arrivando fino allo stomaco e poi giù fino ai piedi. Appoggio le mani sul tappeto, unisco le gambe e adagio le punte dei piedi al pavimento.
Questa posizione innaturale ha lo spiacevole effetto di sollevare il mio sedere, la odio.

Sento le sue mani appoggiarsi sulla mia schiena e sono attraversata da un fremito, devo restare calma. La posizione inarcata ha fatto scivolare il bordo della maglietta e qualche centimetro di pelle tra l’elastico delle mutandine e l’ombelico è rimasto scoperto, nonostante questo la stoffa è ancora adesa al seno, la prossima volta ne metterò una taglia più comoda. Riflettendoci dovrei fare in modo di non ritrovarmi più adagiata sulle ginocchia di qualcuno, altro che prossima volta.

La sua mano sinistra risale la mia colonna vertebrale e mi accarezza i capelli.
“Potrei continuare la ramanzina, ma non credo sarebbe molto efficacie”
Non lo sarebbe.
“Vorrà dire che cercherò di essere il più convincente possibile in altri modi”

La mano destra accarezza l’elastico delle mutandine e si ferma.
Sta per farmi alzare per denudarmi come merito, le castigande vengono battute sul culetto nudo. La sua carezza sul mio sedere mi riporta alla realtà, forse vuole solo darmi una lezione e dopo qualche schiaffo mi rimanderà in camera. La mano scende lungo la curva che disegna l’interno delle chiappe e poi ancora oltre rimanendo attaccata alle mutandine. Il suo braccio è appoggiato appena sotto il sedere, sulla mia coscia sinistra, ma le sue dita indugiano altrove.
Il caldo si concentra nel basso ventre insinuandosi oltre il cotone delle mutandine, una sensazione imbarazzante inumidisce il mio intimo mentre sento le guance avvampare. Sto respirando con la bocca, sto perdendo il controllo.

Immobile alla mercé dell’assistente responsabile della disciplina, resto in posizione come ci si aspetta da una signorina che sa che sfuggire al castigo non serve a nulla. Vorrei muovermi contro la sua gamba. No, devo resistere.

Uno schiaffetto gentile e poi un altro sull’interno coscia. Divarico leggermente le gambe e un secondo alito di vento mi rinfresca, l’agitazione deve avermi fatto sudare o forse è altro. Cerco di calmare il respiro per non sembrare impudente, ma allargare le cosce ha peggiorato la situazione.

*CIAFF*

La sculacciata è iniziata e non me lo aspettavo, un secondo schiaffo mi coglie controtempo e vacillo sulle mani aggrappandomi alle gambe della sedia. Ogni volta che la sua mano schiocca sopra una delle mie chiappe sussulto, ma stranamente è piacevole, forse potrei azzardarmi a farmi un po’ più su.
Vengo riportata alla realtà da una serie di tre o quattro colpi tutti sulla chiappa destra che comincia a pizzicare insistentemente.

“Proseguiremo finché la lezione non sarà compresa a fondo”
*CIAFF*

Una serie di sculacciate si alternano colpendo tutto il mio culetto, ho perso il conto. Mi accorgo di aver cominciato a muovere le gambe, chiudendole e aprendole ritmicamente. Vista da fuori dev’essere una bella danza.
Alzo la testa e guardo la finestra aperta, non sento più nessun rumore, chissà se da fuori si sente il rumore degli schiaffi, forse qualcuno starà pensando che me la sono cercata.

Non si tratta di un avviso, la punizione sta prendendo corpo e il corpo è il mio.
Un bruciore familiare e spiacevole lambisce le mezzelune lasciate scoperte dagli slip. Mi chiedo quanto andrà avanti prima di spogliarmi. Tiro su con il naso e lo sento fermarsi.

“Spero che sia rimorso, Laura. In ogni caso mi assicurerò di approfondire l’idea”
*CIAFF*

Lo schiocco ritmico degli schiaffi non lascia spazio ad altro che bruciore, il mio culetto si sta ribellando. Non posso vederlo ma sono sicura sia già rosso. La sensazione di piacere all’interno delle mutandine non c’è più, forse tornerà più tardi, al momento l’unica cosa su cui posso concentrarmi è il castigo che mi viene impartito.
Ormai è qualche minuto, o almeno così credo, che il dolore è sempre uguale.
Mentre aspetto il prossimo colpo chiudo gli occhi, ma la sberla non arriva, il mio sedere è stato risparmiato.

“Dimmi, hai capito la lezione?”
Mi coglie di sorpresa, vorrei rispondere ma riesco solo a singhiozzare.
*CIAFF*

Strizzo gli occhi e riprovo, niente.
*CIAFF*

“Bene, se la parte educativa è finita possiamo passare al castigo”
Lo sconforto si fa largo dentro di me mentre reagisco al consueto schiaffetto sulle chiappe e mi alzo. La maglietta è stropicciata e bagnata dal sudore nella parte inferiore, tengo le mani lungo i fianchi e abbasso lo sguardo. Sono in piedi davanti a lui, ha i capelli umidi, dev’essere faticoso punire le monelle con questo caldo.

“Abbassa le mutandine e guardami”
Speravo di essermela scampata. Cerco di darmi un contegno, ma i miei occhi si fermano sul tavolo poco distante da lui. Tra i libri e un cesto di frutta ‘sta in bella vista una paletta di legno. Il manico è lungo una trentina di centimetri e la testa è a forma di cerchio con un buco in mezzo. Forse non è per me, forse è solo un caso.
Uno schiaffo sulla coscia sinistra mi riporta alla realtà, alzo lo sguardo e incrocio il suo, i suoi occhi scrutano i miei e di nuovo mi imbarazzo mentre le sue mani si infilano all’altezza dei fianchi, nei miei slip che scivolano lungo le gambe nude, fino ai piedi.

“Ora ascoltami bene mentre finisco di occuparmi di te”
In un momento sono di nuovo sulle sue ginocchia, la mia posizione ha perso eleganza dall’inizio della punizione, ma cerco comunque di darmi un contegno. Non faccio tempo a posizionare piedi e mani che la sculacciata ricomincia, ora il mio sedere nudo è in balia della sua mano. La mia mente si concentra sulla zona intima tra le mie gambe che è esposta e senza difese, nel frattempo il dolore della battuta comincia a fare breccia. Apro la bocca per prendere fiato ed emetto un gemito.

“La prossima volta non aspettarti trattamenti di favore”
Perché, questo lo è? Dei mugugni continuano ad uscire dalla mia bocca ogni volta che cerco di respirare, le gambe si aprono e si chiudono sotto i colpi dell’assistente mentre i miei piedi scivolano cercando di ancorarsi invano al pavimento. Delle lacrime calde rigano le mie guance, oltre che il sedere sento anche la faccia rossa e accaldata. Il dolore è davvero insopportabile, ogni schiaffo rinnova il bruciore e quando due o tre colpiscono in sequenza nello stesso punto sussulto così come sono sulle ginocchia di lui. Nessuna parte del mio sedere è stata risparmiata.

Così come è cominciata, in un attimo, la sculacciata finisce.
Torno sulle mie gambe e mi asciugo gli occhi. Lui mi guarda e aspetta.
Resto in attesa.

“Nell’angolino a riflettere su quanto è accaduto, intanto finirò di rispondere alle mail dei tuoi colleghi. Ti dirò io quando puoi andare”.
Vado nell’angolo, incrocio le braccia dietro la schiena e cerco di ricompormi, ora devo solo attendere.

Attendere la fine della serata, attendere domani, attendere il prossimo castigo.
Oppure potrei imparare a organizzare meglio lo studio universitario.

Ora che il caldo al sedere si sta stabilizzando mi accorgo che tra le cosce sento un altro tipo di tepore. Guardo in basso e rifletto su quanto sarà difficile dormire stasera.
scritto il
2024-08-17
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