Terapia estrema
di
Giulia&Vittorio
genere
tradimenti
Eccolo lì, nella foto sul web, il Dottor Nicola S., con le sue due lauree e il master che sembrava solo la ciliegina sulla torta di una biografia accademica di quelle che ti fanno sentire piccolo e impreparato solo a pensarci.
- Riceve qui vicino - disse Giulia, con quella sua aria di chi ha tutto sotto controllo anche quando tutto va a rotoli, una specie di sicurezza flebile ma ostinata, la stessa con cui ti dice di aver trovato un parcheggio quando in realtà hai fatto il giro dell'isolato cinque volte.
Avevamo problemi, chi non ne ha? Ma i nostri erano di quel tipo specifico, il tipo che non si racconta agli amici, che non si risolve con una birra o una partita a calcetto. Erano problemi che si insinuavano come una corrente fredda tra le lenzuola e che, a lungo andare, non potevi più ignorare, nemmeno se ti mettevi tutto il giorno a guardare documentari su Netflix o a fare binge-watching di serie che non ti importano.
La nostra vita sessuale, quel concetto che già da solo sembra un po’ ridicolo se ripetuto troppe volte, era diventata una cosa strana, quasi aliena. Giulia non riusciva più a raggiungere l’orgasmo, e questo lo diceva senza mezzi termini, con quel tono leggermente accusatorio che non lasciava spazio a fraintendimenti.
- Per aver successo, o sei ricco o sei Rocco - mi diceva sempre, come se fosse un mantra, una verità universale che ogni uomo dovrebbe tenere a mente, infilata nel portafoglio insieme alla carta di credito e alle foto dei figli. - E tu, mio caro, non sei Rocco.
Questa frase mi girava in testa come una di quelle canzoni pop che odi ma che non riesci a smettere di canticchiare sotto la doccia. “Non sei Rocco.” Certo che non lo sono. Ma chi cazzo è Rocco? Solo Rocco è Rocco! E, mentre ci avviavamo verso lo studio del Dottor Nicola S., con le sue lauree e il suo master, mi chiedevo se tutto questo non fosse solo un'altra delle illusioni che ci costruiamo per non affrontare il fatto che a volte le cose semplicemente non funzionano, e non c'è un perché.
L'ho accompagnata in clinica e ci siamo seduti nella sala d'attesa quando il sessuologo è arrivato. Sulla quarantina con una grande barba folta, il fisico da buttafuori di locali malfamati, aveva la pelle scura e un sorriso amichevole. Entrammo nel suo ufficio:
- Buongiorno, sono il dottor S., ma potete chiamarmi Nicola. Sono qui per aiutarvi a risolvere i vostri problemi,
Ci ha fatti accomodare, e nella prima parte della visita c’è stata una conversazione in cui entrambi abbiamo parlato del problema dal nostro punto di vista. Il sessuologo ascoltò attentamente e prese appunti.
Alla fine è stato necessario effettuare un esame fisiologico e Giulia fu invitata a sdraiarsi sul lettino.
Il medico mi rivolse quel tipo di sorriso che si riserva alle scuse premeditate, quello che sa già che non basterà ma lo fa lo stesso perché è ciò che ci si aspetta, come una formalità più che un vero tentativo di empatia.
Le sue mani si mossero con una destrezza inquietante, quasi automatica, su per la gonna di Giulia, e in un attimo le sue mutandine erano sparite. Indossò un paio di guanti di plastica traslucidi, quelli sottili che danno l'illusione di una barriera tra il corpo e il mondo esterno, ma che in realtà sembrano solo accentuare il contatto, renderlo più netto e crudo. Spremette su quei guanti un gel lubrificante che aveva la consistenza di qualcosa di troppo denso per essere davvero liquido, qualcosa che appartiene a quella strana categoria di sostanze che esistono solo per riempire spazi tra le persone in un contesto clinico.
Poi il suo avambraccio scomparve sotto la gonna di Giulia, come se fosse stato inghiottito da un'altra dimensione, un luogo al quale io, osservatore silenzioso, non avevo accesso. Rimase lì per un tempo che non saprei definire, un intervallo sospeso in cui mi resi conto che stavo trattenendo il respiro senza neanche accorgermene.
Il viso di Giulia era una maschera di contrazioni involontarie, i muscoli facciali tirati in modi che non avevo mai visto prima, e quando il dottore iniziò il suo esame interno, la sua bocca si aprì in un sussulto, una sorta di respiro spezzato che sembrava venire da un luogo profondo e inesplorato. Il medico si fermò per un istante, il suo volto riflesso in uno specchio di professionale imperturbabilità, e si scusò, con quel tono che sembrava più una formalità che una vera espressione di dispiacere, come se il disagio fosse una parte inevitabile del processo, un piccolo sacrificio sull'altare della precisione medica.
Giulia sembrò rilassarsi gradualmente, i suoi muscoli abbandonarono la tensione e, mentre l’esame proseguiva, il suo corpo si adagiò in uno stato di resa, come se avesse accettato che quel momento non era più suo, che apparteneva ormai a qualcosa di più grande e impersonale, un pezzo di un meccanismo che continuava a girare indipendentemente dalla sua volontà. Gli occhi chiusi, il respiro che usciva in piccole ondate attraverso la bocca leggermente socchiusa, galleggiava in uno spazio indefinito, tra la resistenza e l’abbandono.
Il dottore, con una mano posata con cura quasi affettuosa sul suo ventre, continuava la sua meticolosa indagine, con una calma e un’attenzione che mi sembravano quasi sovrannaturali, come se ogni piccolo movimento avesse un significato preciso, un passo in una coreografia conosciuta solo da lui. E io ero lì, a guardare tutto questo, con la consapevolezza dolorosa di essere un osservatore passivo in una scena che mi riguardava ma che, allo stesso tempo, mi escludeva completamente.
Mi è venuto qualche dubbio...
- Scusi dottore, ma a cosa servirà ciò che sta facendo? Mi pare un tantino esagerato!
- Caro Vittorio, tutto ciò che faccio ha uno scopo ed è importante che lei non metta in discussione il mio trattamento. Giulia, vorrebbe allargare un po' di più le gambe, per favore?
Lei sollevò l'addome in modo che la gonna potesse scivolare sulle cosce mentre spalancava le sue lunghe gambe.
Ora potevo vedere meglio cosa stava facendo con mia moglie! Aveva tre dita nella sua fica mentre le massaggiava delicatamente il clitoride. Giulia aveva la testa indietro e la sua bocca era spalancata. Il suo respiro era sempre più affannoso e il suo stomaco tremava debolmente.
Il dottore mi guardò sorridendo:
- Vittorio, dovrebbe sbottonare la camicetta di Giulia. Voglio vedere il suo seno.
- M-ma perchè?…
- Parliamoci chiaro, Vittorio. Se volete che il trattamento abbia successo è importante che lei faccia quello che le dico senza se e senza ma, e che segua le mie istruzioni evitando inutili lamentele.
Fu perentorio. Il suo sguardo arcigno e sicuro sotto la barba da boscaiolo mi metteva in soggezione.
Ci fu un attimo, un frammento di secondo che sembrò allungarsi fino a occupare tutto lo spazio nella stanza, durante il quale considerai la possibilità di dire qualcosa, di fermare tutto, ma quel pensiero svanì prima ancora di prendere forma compiuta. Mi alzai lentamente, le mani un po' tremanti e sudate, e iniziai a sbottonare la camicetta di Giulia, un bottone alla volta, ogni singolo gesto un passo verso un punto di non ritorno. La stoffa cedeva con un leggero fruscio che sembrava amplificato, quasi fastidioso, nell'aria densa di tensione.
Cercai di incrociare il suo sguardo, di captare un segnale, una qualche indicazione di come si sentisse in quel momento, ma Giulia stava fissando il soffitto con un’intensità che faceva sembrare tutto il resto irrilevante, concentrata su qualcosa che io non potevo vedere né comprendere. Il suo respiro era corto, rapido, e sembrava riempire l’ambiente di un’energia nervosa che mi faceva venire voglia di distogliere lo sguardo.
- Scosta la camicetta così posso vedere!
L’ordine arrivò con un’intonazione che non ammetteva repliche. Obbedii meccanicamente, tirando indietro la camicetta per rivelare il reggiseno che avevo intravisto solo di sfuggita quella mattina. Un reggiseno rosso, sbarazzino e un po’ sfacciato, con quella chiusura dorata sul davanti che sembrava un dettaglio grottesco in quel momento, un richiamo a qualcosa di frivolo e leggero in un contesto che era tutto fuorché tale.
La voce di Nicola risuonò nella stanza, autoritaria e priva di qualsiasi incertezza:
- Slacciale il reggiseno!
Non ci fu tempo per pensare, per riflettere su quanto stava accadendo; le mie mani si mossero da sole, aprendo la chiusura con un gesto quasi automatico, come se tutto fosse già stato deciso molto prima che arrivassimo a quel punto.
I seni di Giulia, perfetti nella loro simmetria, apparvero di colpo, esposti alla luce cruda della stanza. Mi colpì immediatamente la tensione nei suoi capezzoli, duri e protesi, un dettaglio che urlava la sua presenza in mezzo a tutto il resto, come se fosse la cosa più rilevante in un mare di assurdità. C’era qualcosa di profondamente disturbante in quella rivelazione, qualcosa che non riuscivo a mettere a fuoco ma che sentivo crescere dentro di me come un nodo, un groviglio di emozioni contrastanti che non sapevo come gestire. E mentre tutto questo accadeva, mi resi conto che stavo assistendo a qualcosa che non avrei mai potuto dimenticare, anche se avessi voluto
– Slacciale il reggiseno!
Senza pensarci, lo aprii. I seni ben fatti di mia moglie erano ora in bella mostra. Non potei non notare che i suoi capezzoli erano duri e tesi.
Nicola sfilò le dita dalla vagina di Chiara e si tolse i guanti. Rimase fermo per un po' a guardarla e annuì soddisfatto. Poi trovò una piccola bottiglia di olio e le spruzzò i seni finché non divennero lucenti e rifletterono la luce della lampada montata sul soffitto sopra di lei.
Con attenzione, afferrò i seni di Giulia con entrambe le mani e li massaggiò con lenti movimenti su e giù. Continuò per molto tempo e Giulia si contorse sul divano e gemette rumorosamente. Quando finalmente le lasciò, potei vedere un leggero rossore sui seni, a causa del suo trattamento accurato.
Giulia non riusciva più a mantenere quella quieta immobilità tanto innaturale quanto necessaria, come se la sua posizione sul lettino fosse diventata insostenibile, un peso che non poteva più sopportare. Lentamente, con una tensione che sembrava emanare da ogni fibra del suo corpo, girò l’addome e lasciò sfuggire un gemito quasi impercettibile, un suono che sembrava provenire da un luogo profondo e nascosto, un segnale di qualcosa che stava cercando di emergere, di spezzare quella patina di controllo che aveva tenuto fino a quel momento.
La sua mano, quasi come un riflesso automatico, scivolò tra le gambe, una ricerca istintiva di un contatto, di una risposta fisica a quella tempesta emotiva che non riusciva più a contenere. Ma prima che potesse fare altro, Nicola intervenne con il suo tono da custode di un rituale che non poteva essere infranto.
- Ferma!
La parola rimbalzò nella stanza come un comando sacro, definitivo, e Giulia si bloccò all’istante, come se il suono l’avesse raggiunta nel punto esatto in cui mente e corpo si incontrano e si scontrano, dove ogni decisione diventa una battaglia tra volontà e bisogno.
- È importante restare sdraiati e non interferire con il trattamento!” aggiunse, con una calma che proveniva da una sorgente inesauribile di certezza, come se tutto fosse già stato scritto e non ci fosse spazio per l’improvvisazione o il dubbio.
Giulia rimase ferma, il corpo ancora vibrante di quell’energia repressa, ogni muscolo teso in una specie di quieta rassegnazione. Non era solo un corpo che obbediva, era un’intera esistenza che, per un attimo, si arrendeva alla volontà di un altro, come se l’atto di resistere fosse stato improvvisamente svuotato di senso. E mentre la stanza tornava a quella strana quiete, densa e sospesa, mi resi conto che quella scena, quel breve scontro tra volontà, era un microcosmo perfetto di tutto ciò che stava accadendo intorno a noi, una lotta silenziosa in cui i confini tra azione e passività, tra controllo e resa, si erano dissolti in un grigio indistinto.
Ora mia giaceva con gli occhi chiusi, il respiro che usciva a scatti, affannoso, attraverso la bocca semiaperta, un suono umido e ritmato che riempiva la stanza di un'energia palpabile, soffocante. Era chiaro che fosse eccitata, e non in quel modo sottile, nascosto sotto strati di controllo e inibizioni sociali, ma in modo crudo e viscerale, il tipo di eccitazione che rende difficile distinguere tra desiderio e disperazione.
Ricordo le poche volte in cui l’avevo vista così, in cui l’eccitazione sembrava trasformarla in un’altra persona, qualcuno di più selvaggio e istintivo. In quei momenti, si era lanciata contro di me con una furia quasi animale, afferrando il mio cazzo come se fosse un’ancora a cui aggrapparsi nel mezzo di una tempesta. Mi cavalcava con una forza e una velocità che mi lasciavano senza fiato, urlando parole sporche, un flusso di oscenità che sembrava fuoriuscire da un pozzo di desiderio primordiale. E poi, alla fine, crollava su di me, il suo corpo scosso da spasmi orgasmici che la facevano tremare e ululare come una lupa, in un crescendo che culminava in un’ultima contrazione, seguita da un silenzio denso e vibrante.
Ma erano passati anni, forse, dall’ultima volta che era successo, e ora, mentre la guardavo distesa sul lettino, il suo corpo teso e pronto, non sapevo bene cosa provare. C’era qualcosa di profondamente disturbante in tutto questo, una sensazione che si mescolava con ricordi di momenti passati, ora lontani, e che non riuscivo a mettere a fuoco del tutto. Da un lato, c’era un’eco di quel desiderio, una risposta quasi automatica a vederla così, ma dall’altro, c’era una sorta di vuoto, un’incapacità di connettermi pienamente con ciò che stava accadendo, come se fossi un osservatore esterno, distante e scollegato, intrappolato in una strana ambivalenza che non riuscivo a spiegare. Era una scena allo stesso tempo familiare e profondamente estranea, una ripetizione distorta di qualcosa che avevo vissuto, ma che ora non mi apparteneva più.
I miei pensieri furono interrotti da Nicola.
- Vittorio, dobbiamo aiutare sua moglie. Tu e io insieme! Deve massaggiarle i seni come mi hai visto fare poco fa. Nel frattempo continuerò la mia indagine più in basso. E insieme aiuteremo Giulia a riscoprire le gioie del sesso. Si fidi di me, Vittorio. La sua adorabile moglie è già sulla buona strada!
E poi, con un movimento che sembrava orchestrato al millimetro, la mano di Nicola scivolò nuovamente lungo l'interno della coscia di Giulia, percorrendo quella strada che conosceva già, come se avesse un destino inevitabile da compiere. La sua mano scomparve tra le sue labbra, e in quell'istante, il corpo di Giulia reagì come una molla che viene rilasciata: un tremito attraversò tutto il suo corpo, culminando in una serie di convulsioni che non lasciavano spazio a dubbi. Un orgasmo, pieno, completo, di quelli che non si possono fingere e che sembrano quasi trascendere il corpo stesso, come un'esperienza che coinvolge tutto ciò che si è, fino all'ultimo frammento di coscienza.
Mi piaceva accarezzare il suo seno mentre questo accadeva, sentire la morbidezza della sua pelle, la pienezza sotto le mie dita, con i capezzoli così duri, quasi dolorosamente tesi, come se fossero anche loro parte di quel flusso di energia che si stava liberando dentro di lei. C'era qualcosa di ipnotico in quel gesto, una sorta di tentativo di riconnettermi con lei, di riappropriarmi di quel corpo che ora sembrava appartenermi solo a metà.
Mi chinai per baciarla, un gesto che in altri tempi sarebbe stato naturale, quasi inevitabile, ma lei era persa, il respiro spezzato, affannoso, come se le mancasse l'aria, mentre le dita di Nicola lavoravano la sua figa con un’abilità che non potevo ignorare, anche se avrei voluto. Era come se ogni tocco, ogni movimento, fosse studiato per provocare esattamente quella reazione, per portarla esattamente in quel punto di estasi in cui non c'era spazio per nient'altro, nemmeno per me.
Il mio cazzo era rigido, una risposta automatica, una reazione chimica che il mio corpo non poteva evitare, anche se la mia mente era divisa, frammentata tra l’eccitazione e un senso di straniamento che non riuscivo a scrollarmi di dosso. L'intero scenario era, per quanto mi costasse ammetterlo, profondamente eccitante, un paradosso che mi lasciava con un nodo in gola. Nicola sapeva davvero quello che faceva, questo era innegabile, anche se i suoi metodi erano decisamente fuori dagli schemi, qualcosa che non avrei mai immaginato di vedere, né tantomeno di accettare. Eppure, era successo, stava succedendo, proprio davanti ai miei occhi.
Era difficile vederlo prendersi tali libertà con mia moglie, quel confine che veniva continuamente spostato, ridisegnato, come se ogni nuova azione cancellasse quella precedente, e con essa la mia capacità di oppormi. Ma ancora più difficile era vedere lei che si concedeva completamente, che si abbandonava a quelle mani, a quei gesti, come se fossero ciò di cui aveva disperatamente bisogno. E forse lo erano.
Non l’avevo mai vista così, così accesa, così viva. E mentre la osservavo, con quella sensazione di perdita e di desiderio che si mescolavano in modi che non riuscivo a comprendere del tutto, mi resi conto che forse, dopo mesi di problemi, rifiuti, e una mancanza di voglia che ci aveva logorato entrambi, c’era finalmente la possibilità di tornare a essere come prima. Ma la verità che non volevo ammettere, quella che si insinuava nei miei pensieri come una lama sottile, era che questo "prima" era ora irrimediabilmente cambiato, e che nulla sarebbe mai stato esattamente lo stesso.
Giulia aveva allargato ulteriormente le gambe, spalancando un confine invisibile, uno spazio che non le apparteneva più, un territorio su cui Nicola si muoveva con una familiarità inquietante. La sua mano continuava a esplorarle la figa. Un’esplorazione che non era più solo tattile ma era diventata qualcosa di più profondo, una penetrazione che andava oltre la carne, raggiungendo qualcosa di primordiale e inespresso, qualcosa che io non avevo mai davvero compreso o forse non avevo mai voluto comprendere.
Giulia mormorava incoerentemente, suoni spezzati che sembravano fluttuare nell'aria senza trovare un punto d’appoggio, mentre il suo respiro si faceva sempre più affannoso, più urgente, la testa che si muoveva da un lato all’altro, come se cercasse di scappare da qualcosa che ormai era ineludibile, completamente sopraffatta da una forza che non poteva più controllare.
Mi chinai verso di lei, cercando di ristabilire un contatto, di trovare un punto d’ancoraggio in quel caos.
- Giulia, tesoro, sei così bella. Il dottore ti ha preparato e devo averti adesso! Voglio scoparti qui, adesso, davanti a Nicola!
Le parole uscirono dalla mia bocca come se appartenessero a qualcun altro, come se stessi recitando una parte che non avevo scelto. Ma lei non rispose, non con le parole almeno. Fece un respiro profondo, un sussulto rumoroso, qualcosa che sembrava provenire dalle viscere stesse, un suono che era più una dichiarazione che una risposta.
Alzai lo sguardo e vidi la testa di Nicola tra le sue gambe, completamente immerso nel suo lavoro, con una dedizione che sembrava quasi ossessiva. E poi arrivò il grido, quel grido che mi squarciò le orecchie e il cervello, qualcosa di così crudo e intenso che non poteva essere ignorato. “Ooooooh! Oh mio dio! Vittorio… amore...! Non resisto, sto venendo ancora! Ooooh sì, oh Nicola, così, continua così, è così intenso!!! Aaaaaaahhhh, sì, sì sì!!!”
E io? Io ero lì, impotente, cercando di ritagliarmi uno spazio in quell'uragano di piacere e perdita, provando ancora una volta a stabilire un contatto con una Giulia che sembrava scivolare via da me, sempre più lontana, sempre più assente.
- Tesoro, sei troppo bella così, sono pronto a scoparti! Lo vuoi?
La mia voce tremava, insicura, come se stessi cercando di convincermi tanto quanto lei. Ma non ci fu bisogno di risposta. Lei urlò nuovamente in preda al suo secondo prolungato orgasmo, un urlo che reimpiva l’intero spazio, soffocante e liberatorio allo stesso tempo
- Ooooohhhh, sì, voglio il cazzo adesso! Voglio essere scopata da un cazzo grosso e duro! Lo voglio sentire tutto! Voglio che mi sfondi la figa!
- Non preoccuparti Giulia, sono pronto. Il mio cazzo non è mai stato così duro e…” Ma la frase rimase sospesa, interrotta da un sussulto, un tremito violento che attraversò il corpo di Giulia, le sue gambe che vibravano incontrollabili. E poi, come in un sogno distorto, alzai gli occhi e vidi Nicola che si era alzato, la sua postura ferma, determinata, e la stava penetrando.
Giulia aprì gli occhi, finalmente mi guardò, e in quel momento sentii il suo respiro caldo sul mio viso, un calore che sembrava provenire da un luogo lontano.
- Oh mio dio, amore! Questo dottore è bravissimo! Aaaahhh, tesoro, è così grande. Sento la figa bruciare! Guardalo mentre mi scopa!”
Il dottore le aveva afferrato le gambe, le aveva spalancate ulteriormente, e iniziò a muoversi dentro di lei con colpi secchi, decisi, che risuonavano nella stanza come un tamburo, un ritmo primitivo e inesorabile. Pum pum pum pum pum…
Io lo guardavo, fermo come un idiota, i miei occhi spalancati, fissi su di lui mentre pompava e pompava mia moglie, il suo respiro che si trasformava in grugniti animaleschi, primordiali, che uscivano dalla sua bocca coperta da quella barba che, impregnata degli umori di Giulia, sembrava ancora più selvaggia.
Lei era lì, distesa, completamente in balia dei colpi del gorilla, la bocca aperta, gli occhi bianchi, come se stesse avendo un attacco d’asma, il respiro che si interrompeva, si spezzava, mentre il bacino di Nicola picchiava sulla sua vulva, ogni colpo un nuovo capitolo di una storia che non avrei mai voluto leggere.
Quando lui si fermò solo per un attimo, per togliere il cazzo dalla figa e guardare l’oscena visione delle sue labbra vaginali aperte, vidi un arnese brutto e grosso, scuro, scintillante, zozzo degli umori di mia moglie. Un’immagine che mi si impresse nella mente come un marchio a fuoco, qualcosa che non avrei mai potuto cancellare, per quanto ci avessi provato.
Giulia mi afferrò per il colletto, tirandomi verso di lei con una determinazione che non lasciava spazio a dubbi o esitazioni. Le sue labbra si attaccarono alle mie con un’urgenza viscerale, il calore del suo respiro e il dolce sapore della sua lingua si mescolarono in un contatto che sembrava trascendere il semplice bacio. "
- Oooooh, mi scopa così bene! Baciami, Vittorio. Oh tesoro, lascerai che mi venga dentro, vero, Vittorio? Oh, ti amo, e ti amerò ancora di più se lascerai che finisca il suo lavoro. Farò qualsiasi cosa per te se mi lasci vivere questa esperienza!
Le sue parole erano sussurrate con una certa disinvoltura, ma erano cariche di una necessità palpabile, un’espressione cruda e senza filtri di un desiderio che sembrava sfuggirle di mano. La sua lingua scandagliava la mia bocca, le sue braccia mi stringevano al collo con una forza disperata, mentre io, piegato in avanti, continuavo a osservare Nicola. Il suo stomaco piatto si contrasse e tremò in sincronia con i movimenti del suo corpo, mentre lui le teneva la gamba e affondava in profondità con il suo orribile bastone bitorzoluto, un arnese che, per quanto brutto e inusuale, sembrava progettato specificamente per solleticare quelle parti di lei che mai avrei potuto comprendere pienamente.
Proprio davanti a me, le grandi mani di Nicola si chiusero attorno alle tette di Giulia. Le impastò con un’attenzione meticolosa, i capezzoli duri che spuntavano tra le sue dita come piccoli segnali di risposta a ogni manipolazione. Il suo bacino sbatteva con una forza e un ritmo aggressivo, penetrando mia moglie con un’incessante sequenza di colpi, e lei, di nuovo, era immersa in un’esplosione di piacere che sembrava sfidare ogni limite.
- Oh mio dio, oh mio dio, oh mio - ripeteva, il suo tono un crescendo di estasi che culminava in lacrime di pura intensità. Era un orgasmo che, come spesso accadeva nei momenti di maggiore intensità, la portava a un punto di rottura, con un grido che squarciò la stanza e un spasmo violento che la fece allungare le braccia e piegare il corpo in un movimento incontrollabile.
Mentre lei si dimenava, i seni che oscillavano freneticamente, Nicola continuava a pompare con colpi brutali, fino a quando, infine, si ritirò indietro con un ruggito primitivo, simile a quello di una bestia, e svuotò il contenuto dei suoi testicoli nelle profondità della figa di mia moglie. La scena rimase impressa nella mia mente con una chiarezza che non avrei potuto ignorare, un’immagine che mi lasciò in uno stato di shock semi-stupito.
Quando finalmente si sfilò, Giulia rimase tremante sul lettino da massaggio per diversi secondi, incapace di calmarsi. Alla fine, si girò su un fianco, rannicchiandosi in una posa che cercava di contenere gli ultimi spasmi di un orgasmo che avevo visto raramente raggiungere una tale ferocia. Era stata un'esperienza scioccante e selvaggia, una sorta di tempesta emozionale che aveva coinvolto tutti e tre in modi che nessuno di noi avrebbe potuto prevedere.
Mi sorprese il dottore, un professionista che avevo sempre immaginato serio e controllato, ma la vera sorpresa fu vedere Giulia, la mia dolce passerottina, completamente immersa in un piacere animalesco sotto le spinte di Nicola.
Ma ciò che mi colpì più di tutto fu la mia reazione, o piuttosto la mia mancanza di reazione. Ero stato attratto, trascinato in un vortice di trasgressione per il quale non ero preparato, e avevo semplicemente lasciato che quei due si accoppiassero in quel modo, senza oppormi, senza protestare.
- Credo che la maggior parte del lavoro sia stato fatto - disse il dottor Nicola S. con una tranquillità che sembrava quasi fuori luogo, mentre io gli pagavo la parcella.
- Ma penso che per un sblocco definitivo e duraturo sia opportuno fissare un altro paio di sedute.
Le sue parole erano pronunciate con una certa nonchalance, come se fosse la cosa più naturale del mondo, mentre io mi trovavo a riflettere su quanto fosse cambiata la mia realtà in un solo pomeriggio.
- Riceve qui vicino - disse Giulia, con quella sua aria di chi ha tutto sotto controllo anche quando tutto va a rotoli, una specie di sicurezza flebile ma ostinata, la stessa con cui ti dice di aver trovato un parcheggio quando in realtà hai fatto il giro dell'isolato cinque volte.
Avevamo problemi, chi non ne ha? Ma i nostri erano di quel tipo specifico, il tipo che non si racconta agli amici, che non si risolve con una birra o una partita a calcetto. Erano problemi che si insinuavano come una corrente fredda tra le lenzuola e che, a lungo andare, non potevi più ignorare, nemmeno se ti mettevi tutto il giorno a guardare documentari su Netflix o a fare binge-watching di serie che non ti importano.
La nostra vita sessuale, quel concetto che già da solo sembra un po’ ridicolo se ripetuto troppe volte, era diventata una cosa strana, quasi aliena. Giulia non riusciva più a raggiungere l’orgasmo, e questo lo diceva senza mezzi termini, con quel tono leggermente accusatorio che non lasciava spazio a fraintendimenti.
- Per aver successo, o sei ricco o sei Rocco - mi diceva sempre, come se fosse un mantra, una verità universale che ogni uomo dovrebbe tenere a mente, infilata nel portafoglio insieme alla carta di credito e alle foto dei figli. - E tu, mio caro, non sei Rocco.
Questa frase mi girava in testa come una di quelle canzoni pop che odi ma che non riesci a smettere di canticchiare sotto la doccia. “Non sei Rocco.” Certo che non lo sono. Ma chi cazzo è Rocco? Solo Rocco è Rocco! E, mentre ci avviavamo verso lo studio del Dottor Nicola S., con le sue lauree e il suo master, mi chiedevo se tutto questo non fosse solo un'altra delle illusioni che ci costruiamo per non affrontare il fatto che a volte le cose semplicemente non funzionano, e non c'è un perché.
L'ho accompagnata in clinica e ci siamo seduti nella sala d'attesa quando il sessuologo è arrivato. Sulla quarantina con una grande barba folta, il fisico da buttafuori di locali malfamati, aveva la pelle scura e un sorriso amichevole. Entrammo nel suo ufficio:
- Buongiorno, sono il dottor S., ma potete chiamarmi Nicola. Sono qui per aiutarvi a risolvere i vostri problemi,
Ci ha fatti accomodare, e nella prima parte della visita c’è stata una conversazione in cui entrambi abbiamo parlato del problema dal nostro punto di vista. Il sessuologo ascoltò attentamente e prese appunti.
Alla fine è stato necessario effettuare un esame fisiologico e Giulia fu invitata a sdraiarsi sul lettino.
Il medico mi rivolse quel tipo di sorriso che si riserva alle scuse premeditate, quello che sa già che non basterà ma lo fa lo stesso perché è ciò che ci si aspetta, come una formalità più che un vero tentativo di empatia.
Le sue mani si mossero con una destrezza inquietante, quasi automatica, su per la gonna di Giulia, e in un attimo le sue mutandine erano sparite. Indossò un paio di guanti di plastica traslucidi, quelli sottili che danno l'illusione di una barriera tra il corpo e il mondo esterno, ma che in realtà sembrano solo accentuare il contatto, renderlo più netto e crudo. Spremette su quei guanti un gel lubrificante che aveva la consistenza di qualcosa di troppo denso per essere davvero liquido, qualcosa che appartiene a quella strana categoria di sostanze che esistono solo per riempire spazi tra le persone in un contesto clinico.
Poi il suo avambraccio scomparve sotto la gonna di Giulia, come se fosse stato inghiottito da un'altra dimensione, un luogo al quale io, osservatore silenzioso, non avevo accesso. Rimase lì per un tempo che non saprei definire, un intervallo sospeso in cui mi resi conto che stavo trattenendo il respiro senza neanche accorgermene.
Il viso di Giulia era una maschera di contrazioni involontarie, i muscoli facciali tirati in modi che non avevo mai visto prima, e quando il dottore iniziò il suo esame interno, la sua bocca si aprì in un sussulto, una sorta di respiro spezzato che sembrava venire da un luogo profondo e inesplorato. Il medico si fermò per un istante, il suo volto riflesso in uno specchio di professionale imperturbabilità, e si scusò, con quel tono che sembrava più una formalità che una vera espressione di dispiacere, come se il disagio fosse una parte inevitabile del processo, un piccolo sacrificio sull'altare della precisione medica.
Giulia sembrò rilassarsi gradualmente, i suoi muscoli abbandonarono la tensione e, mentre l’esame proseguiva, il suo corpo si adagiò in uno stato di resa, come se avesse accettato che quel momento non era più suo, che apparteneva ormai a qualcosa di più grande e impersonale, un pezzo di un meccanismo che continuava a girare indipendentemente dalla sua volontà. Gli occhi chiusi, il respiro che usciva in piccole ondate attraverso la bocca leggermente socchiusa, galleggiava in uno spazio indefinito, tra la resistenza e l’abbandono.
Il dottore, con una mano posata con cura quasi affettuosa sul suo ventre, continuava la sua meticolosa indagine, con una calma e un’attenzione che mi sembravano quasi sovrannaturali, come se ogni piccolo movimento avesse un significato preciso, un passo in una coreografia conosciuta solo da lui. E io ero lì, a guardare tutto questo, con la consapevolezza dolorosa di essere un osservatore passivo in una scena che mi riguardava ma che, allo stesso tempo, mi escludeva completamente.
Mi è venuto qualche dubbio...
- Scusi dottore, ma a cosa servirà ciò che sta facendo? Mi pare un tantino esagerato!
- Caro Vittorio, tutto ciò che faccio ha uno scopo ed è importante che lei non metta in discussione il mio trattamento. Giulia, vorrebbe allargare un po' di più le gambe, per favore?
Lei sollevò l'addome in modo che la gonna potesse scivolare sulle cosce mentre spalancava le sue lunghe gambe.
Ora potevo vedere meglio cosa stava facendo con mia moglie! Aveva tre dita nella sua fica mentre le massaggiava delicatamente il clitoride. Giulia aveva la testa indietro e la sua bocca era spalancata. Il suo respiro era sempre più affannoso e il suo stomaco tremava debolmente.
Il dottore mi guardò sorridendo:
- Vittorio, dovrebbe sbottonare la camicetta di Giulia. Voglio vedere il suo seno.
- M-ma perchè?…
- Parliamoci chiaro, Vittorio. Se volete che il trattamento abbia successo è importante che lei faccia quello che le dico senza se e senza ma, e che segua le mie istruzioni evitando inutili lamentele.
Fu perentorio. Il suo sguardo arcigno e sicuro sotto la barba da boscaiolo mi metteva in soggezione.
Ci fu un attimo, un frammento di secondo che sembrò allungarsi fino a occupare tutto lo spazio nella stanza, durante il quale considerai la possibilità di dire qualcosa, di fermare tutto, ma quel pensiero svanì prima ancora di prendere forma compiuta. Mi alzai lentamente, le mani un po' tremanti e sudate, e iniziai a sbottonare la camicetta di Giulia, un bottone alla volta, ogni singolo gesto un passo verso un punto di non ritorno. La stoffa cedeva con un leggero fruscio che sembrava amplificato, quasi fastidioso, nell'aria densa di tensione.
Cercai di incrociare il suo sguardo, di captare un segnale, una qualche indicazione di come si sentisse in quel momento, ma Giulia stava fissando il soffitto con un’intensità che faceva sembrare tutto il resto irrilevante, concentrata su qualcosa che io non potevo vedere né comprendere. Il suo respiro era corto, rapido, e sembrava riempire l’ambiente di un’energia nervosa che mi faceva venire voglia di distogliere lo sguardo.
- Scosta la camicetta così posso vedere!
L’ordine arrivò con un’intonazione che non ammetteva repliche. Obbedii meccanicamente, tirando indietro la camicetta per rivelare il reggiseno che avevo intravisto solo di sfuggita quella mattina. Un reggiseno rosso, sbarazzino e un po’ sfacciato, con quella chiusura dorata sul davanti che sembrava un dettaglio grottesco in quel momento, un richiamo a qualcosa di frivolo e leggero in un contesto che era tutto fuorché tale.
La voce di Nicola risuonò nella stanza, autoritaria e priva di qualsiasi incertezza:
- Slacciale il reggiseno!
Non ci fu tempo per pensare, per riflettere su quanto stava accadendo; le mie mani si mossero da sole, aprendo la chiusura con un gesto quasi automatico, come se tutto fosse già stato deciso molto prima che arrivassimo a quel punto.
I seni di Giulia, perfetti nella loro simmetria, apparvero di colpo, esposti alla luce cruda della stanza. Mi colpì immediatamente la tensione nei suoi capezzoli, duri e protesi, un dettaglio che urlava la sua presenza in mezzo a tutto il resto, come se fosse la cosa più rilevante in un mare di assurdità. C’era qualcosa di profondamente disturbante in quella rivelazione, qualcosa che non riuscivo a mettere a fuoco ma che sentivo crescere dentro di me come un nodo, un groviglio di emozioni contrastanti che non sapevo come gestire. E mentre tutto questo accadeva, mi resi conto che stavo assistendo a qualcosa che non avrei mai potuto dimenticare, anche se avessi voluto
– Slacciale il reggiseno!
Senza pensarci, lo aprii. I seni ben fatti di mia moglie erano ora in bella mostra. Non potei non notare che i suoi capezzoli erano duri e tesi.
Nicola sfilò le dita dalla vagina di Chiara e si tolse i guanti. Rimase fermo per un po' a guardarla e annuì soddisfatto. Poi trovò una piccola bottiglia di olio e le spruzzò i seni finché non divennero lucenti e rifletterono la luce della lampada montata sul soffitto sopra di lei.
Con attenzione, afferrò i seni di Giulia con entrambe le mani e li massaggiò con lenti movimenti su e giù. Continuò per molto tempo e Giulia si contorse sul divano e gemette rumorosamente. Quando finalmente le lasciò, potei vedere un leggero rossore sui seni, a causa del suo trattamento accurato.
Giulia non riusciva più a mantenere quella quieta immobilità tanto innaturale quanto necessaria, come se la sua posizione sul lettino fosse diventata insostenibile, un peso che non poteva più sopportare. Lentamente, con una tensione che sembrava emanare da ogni fibra del suo corpo, girò l’addome e lasciò sfuggire un gemito quasi impercettibile, un suono che sembrava provenire da un luogo profondo e nascosto, un segnale di qualcosa che stava cercando di emergere, di spezzare quella patina di controllo che aveva tenuto fino a quel momento.
La sua mano, quasi come un riflesso automatico, scivolò tra le gambe, una ricerca istintiva di un contatto, di una risposta fisica a quella tempesta emotiva che non riusciva più a contenere. Ma prima che potesse fare altro, Nicola intervenne con il suo tono da custode di un rituale che non poteva essere infranto.
- Ferma!
La parola rimbalzò nella stanza come un comando sacro, definitivo, e Giulia si bloccò all’istante, come se il suono l’avesse raggiunta nel punto esatto in cui mente e corpo si incontrano e si scontrano, dove ogni decisione diventa una battaglia tra volontà e bisogno.
- È importante restare sdraiati e non interferire con il trattamento!” aggiunse, con una calma che proveniva da una sorgente inesauribile di certezza, come se tutto fosse già stato scritto e non ci fosse spazio per l’improvvisazione o il dubbio.
Giulia rimase ferma, il corpo ancora vibrante di quell’energia repressa, ogni muscolo teso in una specie di quieta rassegnazione. Non era solo un corpo che obbediva, era un’intera esistenza che, per un attimo, si arrendeva alla volontà di un altro, come se l’atto di resistere fosse stato improvvisamente svuotato di senso. E mentre la stanza tornava a quella strana quiete, densa e sospesa, mi resi conto che quella scena, quel breve scontro tra volontà, era un microcosmo perfetto di tutto ciò che stava accadendo intorno a noi, una lotta silenziosa in cui i confini tra azione e passività, tra controllo e resa, si erano dissolti in un grigio indistinto.
Ora mia giaceva con gli occhi chiusi, il respiro che usciva a scatti, affannoso, attraverso la bocca semiaperta, un suono umido e ritmato che riempiva la stanza di un'energia palpabile, soffocante. Era chiaro che fosse eccitata, e non in quel modo sottile, nascosto sotto strati di controllo e inibizioni sociali, ma in modo crudo e viscerale, il tipo di eccitazione che rende difficile distinguere tra desiderio e disperazione.
Ricordo le poche volte in cui l’avevo vista così, in cui l’eccitazione sembrava trasformarla in un’altra persona, qualcuno di più selvaggio e istintivo. In quei momenti, si era lanciata contro di me con una furia quasi animale, afferrando il mio cazzo come se fosse un’ancora a cui aggrapparsi nel mezzo di una tempesta. Mi cavalcava con una forza e una velocità che mi lasciavano senza fiato, urlando parole sporche, un flusso di oscenità che sembrava fuoriuscire da un pozzo di desiderio primordiale. E poi, alla fine, crollava su di me, il suo corpo scosso da spasmi orgasmici che la facevano tremare e ululare come una lupa, in un crescendo che culminava in un’ultima contrazione, seguita da un silenzio denso e vibrante.
Ma erano passati anni, forse, dall’ultima volta che era successo, e ora, mentre la guardavo distesa sul lettino, il suo corpo teso e pronto, non sapevo bene cosa provare. C’era qualcosa di profondamente disturbante in tutto questo, una sensazione che si mescolava con ricordi di momenti passati, ora lontani, e che non riuscivo a mettere a fuoco del tutto. Da un lato, c’era un’eco di quel desiderio, una risposta quasi automatica a vederla così, ma dall’altro, c’era una sorta di vuoto, un’incapacità di connettermi pienamente con ciò che stava accadendo, come se fossi un osservatore esterno, distante e scollegato, intrappolato in una strana ambivalenza che non riuscivo a spiegare. Era una scena allo stesso tempo familiare e profondamente estranea, una ripetizione distorta di qualcosa che avevo vissuto, ma che ora non mi apparteneva più.
I miei pensieri furono interrotti da Nicola.
- Vittorio, dobbiamo aiutare sua moglie. Tu e io insieme! Deve massaggiarle i seni come mi hai visto fare poco fa. Nel frattempo continuerò la mia indagine più in basso. E insieme aiuteremo Giulia a riscoprire le gioie del sesso. Si fidi di me, Vittorio. La sua adorabile moglie è già sulla buona strada!
E poi, con un movimento che sembrava orchestrato al millimetro, la mano di Nicola scivolò nuovamente lungo l'interno della coscia di Giulia, percorrendo quella strada che conosceva già, come se avesse un destino inevitabile da compiere. La sua mano scomparve tra le sue labbra, e in quell'istante, il corpo di Giulia reagì come una molla che viene rilasciata: un tremito attraversò tutto il suo corpo, culminando in una serie di convulsioni che non lasciavano spazio a dubbi. Un orgasmo, pieno, completo, di quelli che non si possono fingere e che sembrano quasi trascendere il corpo stesso, come un'esperienza che coinvolge tutto ciò che si è, fino all'ultimo frammento di coscienza.
Mi piaceva accarezzare il suo seno mentre questo accadeva, sentire la morbidezza della sua pelle, la pienezza sotto le mie dita, con i capezzoli così duri, quasi dolorosamente tesi, come se fossero anche loro parte di quel flusso di energia che si stava liberando dentro di lei. C'era qualcosa di ipnotico in quel gesto, una sorta di tentativo di riconnettermi con lei, di riappropriarmi di quel corpo che ora sembrava appartenermi solo a metà.
Mi chinai per baciarla, un gesto che in altri tempi sarebbe stato naturale, quasi inevitabile, ma lei era persa, il respiro spezzato, affannoso, come se le mancasse l'aria, mentre le dita di Nicola lavoravano la sua figa con un’abilità che non potevo ignorare, anche se avrei voluto. Era come se ogni tocco, ogni movimento, fosse studiato per provocare esattamente quella reazione, per portarla esattamente in quel punto di estasi in cui non c'era spazio per nient'altro, nemmeno per me.
Il mio cazzo era rigido, una risposta automatica, una reazione chimica che il mio corpo non poteva evitare, anche se la mia mente era divisa, frammentata tra l’eccitazione e un senso di straniamento che non riuscivo a scrollarmi di dosso. L'intero scenario era, per quanto mi costasse ammetterlo, profondamente eccitante, un paradosso che mi lasciava con un nodo in gola. Nicola sapeva davvero quello che faceva, questo era innegabile, anche se i suoi metodi erano decisamente fuori dagli schemi, qualcosa che non avrei mai immaginato di vedere, né tantomeno di accettare. Eppure, era successo, stava succedendo, proprio davanti ai miei occhi.
Era difficile vederlo prendersi tali libertà con mia moglie, quel confine che veniva continuamente spostato, ridisegnato, come se ogni nuova azione cancellasse quella precedente, e con essa la mia capacità di oppormi. Ma ancora più difficile era vedere lei che si concedeva completamente, che si abbandonava a quelle mani, a quei gesti, come se fossero ciò di cui aveva disperatamente bisogno. E forse lo erano.
Non l’avevo mai vista così, così accesa, così viva. E mentre la osservavo, con quella sensazione di perdita e di desiderio che si mescolavano in modi che non riuscivo a comprendere del tutto, mi resi conto che forse, dopo mesi di problemi, rifiuti, e una mancanza di voglia che ci aveva logorato entrambi, c’era finalmente la possibilità di tornare a essere come prima. Ma la verità che non volevo ammettere, quella che si insinuava nei miei pensieri come una lama sottile, era che questo "prima" era ora irrimediabilmente cambiato, e che nulla sarebbe mai stato esattamente lo stesso.
Giulia aveva allargato ulteriormente le gambe, spalancando un confine invisibile, uno spazio che non le apparteneva più, un territorio su cui Nicola si muoveva con una familiarità inquietante. La sua mano continuava a esplorarle la figa. Un’esplorazione che non era più solo tattile ma era diventata qualcosa di più profondo, una penetrazione che andava oltre la carne, raggiungendo qualcosa di primordiale e inespresso, qualcosa che io non avevo mai davvero compreso o forse non avevo mai voluto comprendere.
Giulia mormorava incoerentemente, suoni spezzati che sembravano fluttuare nell'aria senza trovare un punto d’appoggio, mentre il suo respiro si faceva sempre più affannoso, più urgente, la testa che si muoveva da un lato all’altro, come se cercasse di scappare da qualcosa che ormai era ineludibile, completamente sopraffatta da una forza che non poteva più controllare.
Mi chinai verso di lei, cercando di ristabilire un contatto, di trovare un punto d’ancoraggio in quel caos.
- Giulia, tesoro, sei così bella. Il dottore ti ha preparato e devo averti adesso! Voglio scoparti qui, adesso, davanti a Nicola!
Le parole uscirono dalla mia bocca come se appartenessero a qualcun altro, come se stessi recitando una parte che non avevo scelto. Ma lei non rispose, non con le parole almeno. Fece un respiro profondo, un sussulto rumoroso, qualcosa che sembrava provenire dalle viscere stesse, un suono che era più una dichiarazione che una risposta.
Alzai lo sguardo e vidi la testa di Nicola tra le sue gambe, completamente immerso nel suo lavoro, con una dedizione che sembrava quasi ossessiva. E poi arrivò il grido, quel grido che mi squarciò le orecchie e il cervello, qualcosa di così crudo e intenso che non poteva essere ignorato. “Ooooooh! Oh mio dio! Vittorio… amore...! Non resisto, sto venendo ancora! Ooooh sì, oh Nicola, così, continua così, è così intenso!!! Aaaaaaahhhh, sì, sì sì!!!”
E io? Io ero lì, impotente, cercando di ritagliarmi uno spazio in quell'uragano di piacere e perdita, provando ancora una volta a stabilire un contatto con una Giulia che sembrava scivolare via da me, sempre più lontana, sempre più assente.
- Tesoro, sei troppo bella così, sono pronto a scoparti! Lo vuoi?
La mia voce tremava, insicura, come se stessi cercando di convincermi tanto quanto lei. Ma non ci fu bisogno di risposta. Lei urlò nuovamente in preda al suo secondo prolungato orgasmo, un urlo che reimpiva l’intero spazio, soffocante e liberatorio allo stesso tempo
- Ooooohhhh, sì, voglio il cazzo adesso! Voglio essere scopata da un cazzo grosso e duro! Lo voglio sentire tutto! Voglio che mi sfondi la figa!
- Non preoccuparti Giulia, sono pronto. Il mio cazzo non è mai stato così duro e…” Ma la frase rimase sospesa, interrotta da un sussulto, un tremito violento che attraversò il corpo di Giulia, le sue gambe che vibravano incontrollabili. E poi, come in un sogno distorto, alzai gli occhi e vidi Nicola che si era alzato, la sua postura ferma, determinata, e la stava penetrando.
Giulia aprì gli occhi, finalmente mi guardò, e in quel momento sentii il suo respiro caldo sul mio viso, un calore che sembrava provenire da un luogo lontano.
- Oh mio dio, amore! Questo dottore è bravissimo! Aaaahhh, tesoro, è così grande. Sento la figa bruciare! Guardalo mentre mi scopa!”
Il dottore le aveva afferrato le gambe, le aveva spalancate ulteriormente, e iniziò a muoversi dentro di lei con colpi secchi, decisi, che risuonavano nella stanza come un tamburo, un ritmo primitivo e inesorabile. Pum pum pum pum pum…
Io lo guardavo, fermo come un idiota, i miei occhi spalancati, fissi su di lui mentre pompava e pompava mia moglie, il suo respiro che si trasformava in grugniti animaleschi, primordiali, che uscivano dalla sua bocca coperta da quella barba che, impregnata degli umori di Giulia, sembrava ancora più selvaggia.
Lei era lì, distesa, completamente in balia dei colpi del gorilla, la bocca aperta, gli occhi bianchi, come se stesse avendo un attacco d’asma, il respiro che si interrompeva, si spezzava, mentre il bacino di Nicola picchiava sulla sua vulva, ogni colpo un nuovo capitolo di una storia che non avrei mai voluto leggere.
Quando lui si fermò solo per un attimo, per togliere il cazzo dalla figa e guardare l’oscena visione delle sue labbra vaginali aperte, vidi un arnese brutto e grosso, scuro, scintillante, zozzo degli umori di mia moglie. Un’immagine che mi si impresse nella mente come un marchio a fuoco, qualcosa che non avrei mai potuto cancellare, per quanto ci avessi provato.
Giulia mi afferrò per il colletto, tirandomi verso di lei con una determinazione che non lasciava spazio a dubbi o esitazioni. Le sue labbra si attaccarono alle mie con un’urgenza viscerale, il calore del suo respiro e il dolce sapore della sua lingua si mescolarono in un contatto che sembrava trascendere il semplice bacio. "
- Oooooh, mi scopa così bene! Baciami, Vittorio. Oh tesoro, lascerai che mi venga dentro, vero, Vittorio? Oh, ti amo, e ti amerò ancora di più se lascerai che finisca il suo lavoro. Farò qualsiasi cosa per te se mi lasci vivere questa esperienza!
Le sue parole erano sussurrate con una certa disinvoltura, ma erano cariche di una necessità palpabile, un’espressione cruda e senza filtri di un desiderio che sembrava sfuggirle di mano. La sua lingua scandagliava la mia bocca, le sue braccia mi stringevano al collo con una forza disperata, mentre io, piegato in avanti, continuavo a osservare Nicola. Il suo stomaco piatto si contrasse e tremò in sincronia con i movimenti del suo corpo, mentre lui le teneva la gamba e affondava in profondità con il suo orribile bastone bitorzoluto, un arnese che, per quanto brutto e inusuale, sembrava progettato specificamente per solleticare quelle parti di lei che mai avrei potuto comprendere pienamente.
Proprio davanti a me, le grandi mani di Nicola si chiusero attorno alle tette di Giulia. Le impastò con un’attenzione meticolosa, i capezzoli duri che spuntavano tra le sue dita come piccoli segnali di risposta a ogni manipolazione. Il suo bacino sbatteva con una forza e un ritmo aggressivo, penetrando mia moglie con un’incessante sequenza di colpi, e lei, di nuovo, era immersa in un’esplosione di piacere che sembrava sfidare ogni limite.
- Oh mio dio, oh mio dio, oh mio - ripeteva, il suo tono un crescendo di estasi che culminava in lacrime di pura intensità. Era un orgasmo che, come spesso accadeva nei momenti di maggiore intensità, la portava a un punto di rottura, con un grido che squarciò la stanza e un spasmo violento che la fece allungare le braccia e piegare il corpo in un movimento incontrollabile.
Mentre lei si dimenava, i seni che oscillavano freneticamente, Nicola continuava a pompare con colpi brutali, fino a quando, infine, si ritirò indietro con un ruggito primitivo, simile a quello di una bestia, e svuotò il contenuto dei suoi testicoli nelle profondità della figa di mia moglie. La scena rimase impressa nella mia mente con una chiarezza che non avrei potuto ignorare, un’immagine che mi lasciò in uno stato di shock semi-stupito.
Quando finalmente si sfilò, Giulia rimase tremante sul lettino da massaggio per diversi secondi, incapace di calmarsi. Alla fine, si girò su un fianco, rannicchiandosi in una posa che cercava di contenere gli ultimi spasmi di un orgasmo che avevo visto raramente raggiungere una tale ferocia. Era stata un'esperienza scioccante e selvaggia, una sorta di tempesta emozionale che aveva coinvolto tutti e tre in modi che nessuno di noi avrebbe potuto prevedere.
Mi sorprese il dottore, un professionista che avevo sempre immaginato serio e controllato, ma la vera sorpresa fu vedere Giulia, la mia dolce passerottina, completamente immersa in un piacere animalesco sotto le spinte di Nicola.
Ma ciò che mi colpì più di tutto fu la mia reazione, o piuttosto la mia mancanza di reazione. Ero stato attratto, trascinato in un vortice di trasgressione per il quale non ero preparato, e avevo semplicemente lasciato che quei due si accoppiassero in quel modo, senza oppormi, senza protestare.
- Credo che la maggior parte del lavoro sia stato fatto - disse il dottor Nicola S. con una tranquillità che sembrava quasi fuori luogo, mentre io gli pagavo la parcella.
- Ma penso che per un sblocco definitivo e duraturo sia opportuno fissare un altro paio di sedute.
Le sue parole erano pronunciate con una certa nonchalance, come se fosse la cosa più naturale del mondo, mentre io mi trovavo a riflettere su quanto fosse cambiata la mia realtà in un solo pomeriggio.
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