Il treno

di
genere
esibizionismo

Un rumore metallico lo sveglia. La porta che si apriva e si chiudeva. Ne aveva visti di viaggi e di passeggeri
e in modo del tutto comprensibile ad ogni utilizzo deliziava i viaggiatori con un fragoroso scricchiolio. Con gli
occhi ancora socchiusi dal sonno gira lentamente la testa come se a farlo troppo velocemente il collo
potesse spezzarsi e indirizza lo sguardo verso la causa del suo brusco risveglio. Dalla porta scricchiolante
escono un uomo ed un bambino piccolo, sui sei anni. Barcollano entrambi a destra e a sinistra come se il
loro fegato fosse impegnato a smaltire importanti dosi di etanolo. “Buffo” pensò tra sé e sé immaginandosi
l’improbabile scenario. I due superano il suo sedile. Mentre passano li squadra con lo sguardo e li fulmina
con un’occhiata che toglie dalla faccia del bambino il suo ghigno fastidioso. Si allontanano lasciandosi alle
spalle tutto il vagone. Il ragazzo continua ad ascoltare i loro passi incerti schiavi dei dondolii del convoglio
fino a quando non raggiungono la porta dalla parte opposta che risponde per le rime agli scricchiolii della
sua gemella di testa. Il vagone crolla nuovamente in un silenzio pacifico, anzi, in quel silenzio che permette
al giovane di ascoltare il ritmo scandito dei binari sotto alla carrozza. Una rapida scansione dei passeggeri:
sono tutti ancora addormentati. Quasi tutti; dagli ultimi sedili si intravede una timida luce. Allunga un po’ il
collo incuriosito. È la ragazza bionda che era salita assieme a lui. Ha gli auricolari nelle orecchie, starà
ascoltando della musica, e sta leggendo un libro con una piccola luce incastrata tra la copertina e le pagine
del racconto. L’attenzione ora si sposta fuori dal finestrino. È notte fonda ma nonostante il buio si riesce a
vedere il freddo che fa fuori. Scorrono abeti su abeti, senza fine sia a destra che a sinistra. La ferrovia è una
retta infinita che attraversa la foresta, la divide a metà, quasi la violenta.
– Chissà dove siamo – pensa. Con il buio che c’è fuori non si possono fare ipotesi e la monotonia del
paesaggio, seppure sublime, di certo non fornisce particolari indizi. Prende il cellulare per scoprire
finalmente dove si trova. Lo accende. Le tre e un quarto. Il cuore della notte. – Ma dove cazzo dovevano
andare di così importante quei due alle tre e un quarto della notte – riflette un po’ polemico. Inserisce il pin e
apre le mappe. Tra circa mezz’ora il treno dovrebbe essere alla stazione di Bastuträsk, sempre più vicino al
circolo polare artico. Decide che riproverà a dormire dopo quella fermata… se gli ritornerà sonno perché
adesso è come se si fosse svegliato da una proficua dormita di otto ore e si sente piuttosto attivo. Deve far
passare questa mezz’ora e guardare fuori dal finestrino non è un’opzione o meglio, lo è ma lo intratterrebbe
al massimo per qualche minuto. È comunque ancora un po’ stordito dal sonno e probabilmente ha sul volto i
segni del sedile del treno. Guarda un po’ i lacci dei bagagli che penzolano giù dalle cappelliere sopra di lui
oscillare in sintonia con il dondolare del treno. Ascolta la macchina muoversi, mangiarsi il ferro battuto delle
rotaie. Le sensazioni che lo avevano aiutato a prendere sonno qualche ora prima. Ma di dormire non ne ha
voglia. Si decide ad alzarsi ed andare in bagno. Gli sembra una scelta sensata: sgranchire un po’ le gambe,
sciacquarsi la faccia per togliere i segni della dormita e fare la numero uno. È seduto in quei posti da quattro
persone dove due siedono di fronte ad altri due. Davanti a lui c’è una coppia nordica sulla trentina,
addormentata, lei sulla spalla di lui. Sembrano molto innamorati. Li guarda con un po’ di invidia e un po’ di
disgusto che forse serve solo a mascherare l’ignoranza verso qualcosa che non ha e che non ha mai avuto.
Decide comunque che meritano di continuare a dormire e li grazierà evitando di urtarli apposta mentre cerca
di lasciare il suo sedile. Il sedile in parte a lui, quello sul corridoio, invece è vuoto. Si incammina verso il
fondo del corridoio guardando i suoi compagni di vagone a destra e a sinistra. Nell’ultimo sedile sa già chi
incontrerà il suo sguardo, con le cuffiette mentre sfoglia le pagine di un romanzo. La guarda meglio degli altri
passeggeri. Ha i tratti decisamente scandinavi. Sua coetanea o con un paio anni di meno ma è come se
sembrasse ancora una liceale. È un po’ scivolata sul sedile e tiene le gambe incrociate. Ha una felpa
abbondante che non concede troppo alla vista ma costringe a lavorare di fantasia immaginandosi le curve
celate dai tessuti. Ormai se l’è lasciata alle spalle. – Bionda, ma me la farei senza troppi indugi – ammette
senza grandi giri di parole. È vero, non gli piacciono le bionde del suo paese. Sembrano sempre forzate.
Apprezza invece la bellezza genuina tipica di ogni nuova cultura che incontra e se questa è la bellezza
locale si sacrificherà. Prima di entrate nella toilette si appoggia al vagone e guarda ancora un po’ fuori dal
finestrino non tanto per ammirare il paesaggio ma più che altro per lasciar andare i pensieri. Inizia un gioco
pericoloso che ha fatto molte volte. Fantastica. Fantastica su cosa nasconde quella maledetta felpa. Il collo, i
fianchi, il seno. Fantastica su cosa nascondono le gambe incrociate. La pelle tesa, giovane, abituata alle
temperature fredde delle sue gambe. La forma del suo sesso, l’odore, come sarebbe penetrarla e vedere le
loro due carnagioni mischiarsi. La fantasia finisce quando inizia a pensare a come si comporterebbe la
ragazza di ghiaccio a letto e la risposta è: da ragazza di ghiaccio. Sarà questa visione frutto di stereotipi o il
fatto che comunque fantasia è e fantasia rimarrà ma sta di fatto che il cinema mentale a luci rosse finisce. Si
stacca dal vagone, il suo sguardo abbandona la popolazione di abeti, apre la porta del bagno e se la chiude
alle spalle dando un giro alla serratura “clack”. Preme un interruttore. Dopo un po’ di incertezza la luce si
accende. Una luce al neon che ogni tanto sfarfalla un po’. Alza la tavoletta del cesso, slaccia la cintura, si
abbassa mutande e pantaloni e in piedi piscia nel gabinetto. Operazione facile a dirsi, di più difficile
realizzazione quando sei su un treno in corsa. L’operazione riesce comunque senza danni a oggetti o vestiti.
Tira l’acqua e al lavandino si lava le mani. Si guarda nel piccolo specchio sopra al lavandino che lo costringe
a chinarsi un po’. Riapre l’acqua del rubinetto, raccoglie un po’ d’acqua con le mani a coppetta e si inonda il
viso. Chiude il rubinetto e rialza lo sguardo per guardarsi allo specchio. – Freddina ma meglio di prima – si
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dice guardandosi allo specchio. Volge lo sguardo brevemente fori dal finestrino del bagno. – Stessa storia
anche qui – pensa un po’ divertito dalla perseveranza della vegetazione di questa nazione. “Clack”. La porta
si apre e si richiude, i suoi passi sul pavimento del vagone lo accompagnano di nuovo al suo sedile mentre
nel tragitto dà un ultimo sguardo alla bellezza scandinava prima di risedersi.
Mancano ancora circa venti minuti prima della prossima stazione. Tira fuori nuovamente il telefono e inizia a
sfogliare prima tra le foto delle vacanze passate e poi su quelle di quella in corso. Le giudica alla svelta
prima di eliminare quelle scadenti e salvare quelle degne di nota. È contento di come sta andando il suo
primo viaggio veramente in solitaria anche se teme che momenti come questo, di puro viaggio e
spostamento, seppur significativi per lui che ama il movimento, possano andare dimenticati perché non
interessanti come i giorni spesi nelle grandi città, i paesaggi visti nelle sue escursioni o le emozioni provate
durante le sue arrampicate. Abbandona questi pensieri un po’ malinconici, esce dalla galleria, apre il file
dove ha scritto per filo e per segno il programma di questo viaggio e rilegge i piani dei prossimi giorni anche
se sa che ormai li conosce a memoria. È contento di come ha organizzato il viaggio. Di come sia tutto al
posto giusto compreso il tempo “vuoto” che non va organizzato.
Si accorge che il treno sta rallentando ed ha accennato ad una leggera curva abbandonando quella retta
infinita. Alza lo sguardo fuori dal finestrino. – Oh, case – esclama dentro di sé non vedendo più i fitti rami che
lo hanno accompagnato fino ad allora. La fermata è vicina e infatti di lì a poco il treno si ferma
completamente, sbuffa un po’ e alla sua destra lo affianca la banchina della stazione di Bastuträsk. I treni
notturni quando arrivano ad una stazione, specialmente se così piccola come quella di Bastuträsk, non si
comportano come i treni diurni. Non ci sono annunci fastidiosi. Le porte non si aprono automaticamente
perché non è detto che qualcuno debba scender o salire, perché sono rumorose e la gente vuole dormire e
perché fuori fa un freddo che fa battere i denti e se nessuno deve scendere o salire non si vogliono sprecare
i frutti dell’effetto stalla coltivati in ore e ore di abeti e abeti. E di fatti al binario ad aspettare il treno c’era solo
una famiglia locale con due bambini che è salita in testa al treno.
Qualche secondo dopo però intravede da dietro l’angolo della stazione una figura femminile che sta
arrivando di corsa. Ha solo un piccolo zainetto e lo porta su una sola spalla. Sembra giovane. Apre le porte
dell’ultimo vagone. Scricchiolano come quelle del corridoio. Si richiudono. La ragazza è salita. Il ragazzo
allunga un po’ il collo incuriosito da chi possa mai arrivare all’ultimo per prendere un treno in una stazione
così remota. Un treno notturno per di più, come se dopo questa corsa bastasse aspettare dieci minuti e
salire sulla prossima. Ma dal piccolo oblò della porta che divide la zona passeggeri da quello spazio che
collega le varie carrozze non si riesce a vedere niente. Il treno sbuffa ancora e lentamente si rimette in
marcia. Ancora scricchiolii. Gli stessi del padre e del figlio di poco fa. Dalla porta entra la ragazza. La porta si
richiude automaticamente alle sue spalle. Dal suo sedile il ragazzo non riesce a vederla tutta. Le vede solo
la testa. È incappucciata, il cappuccio di una mantella per la pioggia scura. Avvolta attorno al collo ha una
sciarpa e porta gli occhiali. Degli occhiali grandi con una montatura sottile ancora un po’ appannati dallo
sbalzo di temperatura. Dal cappuccio, che fanno da contorno al suo faccino escono due trecce nere che si
appoggiano sulla sciarpa. La curiosità del ragazzo cresce sempre di più. Man mano che si avvicina può
vedere sempre di più ma la mantella per la pioggia non offre spazio per indagini accurate. Mentre cammina
tiene una mano lungo il fianco e l’altra tiene lo spallaccio dello zainetto. Un passo, due, tre… si sta
avvicinando sempre di più a quei sedili. Ai sedili per quattro persone di fronte a due a due. Finché non arriva
vicino a quei sedili il ragazzo non potrà vedere la figura intera. Spera che non si fermi prima di quei sedili.
Spera che passi oltre o che, meglio ancora, si accorga che in parte a lui c’è un posto vuoto e si sieda vicino.
Ancora qualche passo e la ragazza con i capelli neri, forse l’unica sull’intero vagone, ha raggiunto la metà
della carrozza dove stanno i sedili per quattro persone. Il ragazzo la squadra e finalmente può osservare la
figura intera. Ha degli stivaletti neri che arrivano poco sopra la caviglia, dagli stivaletti escono delle calze
lunghe di lana che si fanno ad infilare sotto ad una gonna a quadretti verde che arriva a metà coscia. Ha
delle belle gambe e lo sa. Si ferma. Lascia scivolare lo spallaccio dello zaino e lo appoggia sulle cappelliere
sopra i sedili. Per farlo si è dovuta mettere sulle punte dei piedi. Si toglie anche la mantella e la lancia vicino
allo zaino. Si sfila anche la sciarpa che appallottola e anche quella finisce come la mantella lanciata sopra
alle cappelliere. Le trecce cadono davanti, sulla parte alta del suo petto che è coperto da un grosso
maglione anch’esso di lana. È una dea. Non è una dea di queste parti ma di certo è una dea. Il ragazzo è
senza parole. Gli si sta seccando la gola. Starebbe a guardarla mettersi e togliersi la mantella ancora e
ancora. Quei capelli neri organizzati in delle trecce, sì ma comunque disordinati, che si concedono qualche
ciuffo ribelle che è riuscito a sfuggire alla trama dell’intreccio lo colpiscono e gli fanno chiedere il perché di
tanta fretta. Si siede… nei posti da quattro opposti al suo. – Ma cazzo – vorrebbe urlare. Vicino a lei c’è un
viaggiatore addormentato, con i piedi sul sedile di fronte e uno zaino da trekking che sembra piuttosto
pesante sul sedile in parte a lui che gli serve da cuscino. Lei si è messa nell’unico posto libero di quei
quattro. – Ma cazzo – vorrebbe urlare ancora. Il ragazzo guarda nella direzione in cui il treno si sta
muovendo mentre lei dà le spalle alla locomotiva. Una diagonale li collega. La ragazza dai capelli neri si
guarda un po’ attorno per guardare un po’ i passeggeri del treno. In fondo al vagone c’è una ragazza bionda
che probabilmente sta leggendo. Sui sedili dall’altra parte del corridoio c’è un ragazzo che è l’unico a essere
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sveglio oltre a lei e alla biondina che fino a pochi secondi fa la stava fissando credendo di non essere notato.
Ora ha lo sguardo da un’altra parte e pensa che se i loro sguardi non si incrociano la ragazza non si accorga
che è stata squadrata dal momento che ha aperto la porta cigolante del vagone. – È carino – si accorge la
ragazza. Ha un viso asciutto e dei vaghi ricci gli fanno da contorno. Non riesce a capire il colore dei suoi
occhi anche perché ha smesso di fissarla e ora sta guardando fuori dal finestrino come se ci fosse qualcosa
da vedere. È vestito pesante ma non è qui per camminare come il viaggiatore dormiglione. I suoi vestiti sono
abiti normalissimi che però gli stanno inspiegabilmente bene addosso. Una felpa poco impegnativa e dei
pantaloni un po’ stretti. Mentre continua a guardare fuori dal finestrino il ragazzo riprende quel gioco
pericoloso. Il maglione che le copre il corpo è pesante, le cade addosso mostrando bene cosa c’è sotto. Ha
un seno abbondate ma non eccessivo. Si immagina di esplorare cosa incontrerebbe la sua mano se risalisse
da sotto la gonna e spostasse quanto serve l’intimo. La sua reazione. Cosa succederebbe se finissero a
letto assieme. Con la coda dell’occhio controlla cosa sta facendo. Si è messa a guardare il cellulare, è
distratta. Continua le sue fantasie e questa volta non sembrano fermarsi. Quella ragazza gli ispira sesso. Gli
ispira sesso e potrebbe essere del buon sesso. Vorrebbe far scorrere le sue mani sulla sua pelle e scoprirla
in ogni modo. Dall’altro vagone si sente un bambino che piange. Gli fa perdere la concentrazione e si
accorge che se pensa ancora un po’ più forte la ragazza con la gonna verde potrebbe accorgersene. Decide
che basta. Aveva detto che avrebbe provato ad addormentarsi ed è quello che farà. Il bambino che piange
sull’altro vagone non si sente molto ma il giusto per rovinare la pace necessaria per addormentarsi. Decide
di alzarsi, raggiungere il bagaglio sulla cappelliera per prendere le cuffiette che tiene in una tasca interna. È
tutto disteso perché per raggiungere la cappelliera dal sedile bisogna essere molto alti e proprio mentre le ha
quasi aggiunte il treno fa una leggera curva sufficiente per far volare in terra la custodia delle cuffiette che si
apre e le disperde per la carrozza. Lui rimane attaccato senza grossi problemi ma deve recuperare le
cuffiette, il bambino è fastidioso. Recupera la custodia che è proprio in mezzo al corridoio, una cuffietta che
è sotto il sedile della coppietta sui trenta ma l’altra cuffietta non si trova. Si mette a quattro zampe e si
guarda attorno. Eccola! È finita sotto alle scarpe del viaggiatore dormiglione. Un timido “scusa” per arrogarsi
ogni diritto di sgattaiolare tra i sedili dei due e afferrata la cuffietta, mentre fa marcia indietro alza lo sguardo
fra le calze lunghe di lana e il verde sterminato della gonna. Deglutisce mentre si rimette in piedi. Guarda
negli occhi la ragazza. – Grazie, grazie, scusami ancora – le dice mentre diventa rosso. Si mette le cuffiette
e si rimette seduto.
“Sei italiano?”
“Sì, anche tu?”
“Sì”
“Ah”
La conversazione finisce qui. Lei sa cosa ha visto. Lo ha visto diventare rosso in volto. Si ricorda di come ha
lasciato l’appartamento. Di come la sveglia non è suonata e di come abbia dovuto fare tutto di fretta. Anche il
vestirsi. Allunga lo sguardo verso il ragazzo che ora sta guardando il telefono facendo finta di niente. I
pantaloni attillati lasciano intravedere una sagoma inconfondibile. Anche lui lo sa. Anche lui sa cosa ha visto
quando era a gattoni. In mezzo alle gambe le ha visto la parte più intima del suo corpo. Deve ricredersi sulle
sue fantasie… se allungasse la mano sotto la sua gonna ora sa che non troverebbe alcun’ostacolo per
raggiungere il suo sesso. Entrambi lo sanno e nessuno dice o fa niente chiaramente. Il ragazzo è duro come
il marmo e anche la ragazza si sta scaldando là sotto. Lei è più grande e sa quel che fa. E poi le piace il
brivido e l’avventura. Si alza in piedi e sale sul sedile per dare un’altra chance al ricciolino di godere del
panorama. Doveva mettere via il telefono nello zainetto. Il ragazzo ne approfitta. La vede ancora. Nuda.
Glabra. Gli occhi gli fanno il giro delle orbite. Stringe i denti e piega la testa inondato da una vampata di
piacere. Lei lo sa. Lo ha fatto apposta e appena messo via il cellulare si risiede velocemente e con la coda
dell’occhio coglie il ragazzo sognante in ammirazione. Lui distoglie lo sguardo imbarazzato. Questa ragazza
lo vuole fare impazzire. Lei sa quello che vuole adesso. Lui pure. Si alza così velocemente dal sedile che le
trecce volano indietro. Esce dal suo posto e percorre ad ampie falcate il corridoio. Un passo, due, tre… si
lascia alle spalle tutto il vagone, per ultima la biondina glaciale. Entra in bagno sbattendo la porta. Il ragazzo
è seduto sul sedile convinto di averla offesa in qualche modo. Passano una trentina di secondi. Una trentina
di secondi dove per la mente del ragazzo è passata ogni sorta di ipotesi, ogni sorta di scenario e dopo quella
trentina di secondi ha realizzato. Non c’è stato nessun “clack”. Esce di fretta dai sedili. Forse stavolta ha
urtato l’uomo di fronte a lui, forse l’ha svegliato ma non gli importa. Quasi corre per tutto il corridoio. La
biondina lo segue con la testa forse capendo cosa sta succedendo ma non gli importa. Arriva con la mano
sulla maniglia della toilette. La piega. La serratura scatta senza impedimenti.
Apre la porta un poco alla volta. Nessuna voce gli dice né di uscire né di entrare. Appena la porta è aperta
abbastanza per far passare una persona una mano lo afferra per i vestiti e lo tira verso di sé. Entrambi
morivano dalla voglia di toccarsi. Di scopare. Su un vagone di un treno. Mentre tutti, o quasi, stanno
dormendo. Si baciano. Uno di quei baci che sembrano più cannibalismo. Ondeggiano per i 3 metri quadrati
che i servizi offrono sbattendo di qua e di là. Nei vari volteggi di questa scombinata danza il ragazzo stacca
una mano dal corpo di lei per dare quel “clack” e far capire alla biondina che lì dentro non si entra ancora per
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un po’. I due corpi scorrono uno sull’altro. Le mani scivolano veloci sulle curve dei due. Quando lei ha sentito
quel “clack” si è staccata un attimo dalle labbra del ragazzo per afferrarlo dai glutei e tirarlo ancora di più
verso di sé. La stessa mano che ora sta slacciando la cintura del ricciolino. Lui smette di baciarla. Estende la
schiena per creare il giusto spazio per sfilarsi la felpa e rimanere solo in camicia. La sbatte contro il finestrino
appannato del bagno baciandola come per farle capire quanto la vuole. Lei lo sa. Lo capisce bene. Si stacca
da lui ma non stacca il suo sguardo. Abbassa le mani e prende il bordo inferiore. Continua a guardarlo
mentre si toglie il maglione. Lo appoggia da qualche parte senza badare troppo all’igiene e inizia a
sbottonare la camicia del ragazzo mentre quello ammira quello che il maglione nascondeva. Doveva avere
proprio fretta la ragazza quando ha lasciato il suo appartamento ed è comprensibile che volesse togliersi
quel maglione fastidioso. Allunga una mano per toccarle il seno mentre lei slaccia un bottone sempre più in
basso. Una volta che tutti i bottoni sono fuori dalle loro asole allontana i lembi della camicia per baciargli
prima la pancia, l’addome e poi salire verso il petto e il collo. Il ragazzo deve staccare le mani dal suo seno
perché ora la ragazza si è chinata e in un colpo solo gli sfila pantaloni e mutande. Risale verso la sua bocca
non tralasciando una fugace leccatina. Quanto le piace stuzzicarlo, fargli perdere la testa, farlo impazzire.
Sfiorarlo lì con la punta della sua lingua per un breve istante per fargli capire cosa sta per succedere e
aspettare ancora un po’. Temporeggiare. Lui non ce la fa più. La brama. La desidera. Quello che prima ha
intravisto ora lo vuole anche toccare. Così allunga la sua mano sotto la sua gonna. Le dà un bacio. E inizia a
toccarla. Quando lei sente per la prima volta le mani di lui è quasi come si si congelasse per un istante. Si
gusta a fondo il momento che è completamente suo. Completamente dedicato a lei. La accarezza per tutta
la lunghezza del suo sesso mentre anche lei inizia ad impugnare ciò che sta tra le gambe di lui. Hanno
smesso di baciarsi. Vanno a tempo. Si guardano negli occhi intensamente e quando accelera l’uno accelera
anche l’altra e viceversa. È una battaglia ad armi pari. La mano di lui inizia a bagnarsi decisamente. Le infila
un dito all’interno. Lei lo ferma prendendogli la mano. Lo guarda dritto negli occhi.
“Che c’è?”
“Se devi infilare qualcosa lì dentro infila altro”
Queste parole. Mentre lo guarda dritto negli occhi. Lui non fiata. La mette di spalle. La fa piegare e le fa
appoggiare le mani sul lavandino. Lei può guardare nello specchio quello che succede alle sue spalle. È il
suo turno di godersi lo spettacolo. Vede tutto il suo corpo. Lo vede concentrato, con la testa chinata a
guardare il suo corpo. Le ribalta la gonna sulla schiena. Lo vede afferrarle con le mani le natiche e
divaricarle leggermente e con il suo pene scorrere lungo la sua vagina per bagnarlo un po’. Il giusto per
permettere di penetrarla comodamente. Cerca di tenere la testa alta per guardare nello specchio lui che la
penetra ma man mano che affonda il colpo la sua testa si abbassa e quando lui è finalmente tutto dentro di
lei la sua testa è completamente piegata verso il basso. Una sensazione unica invade il ragazzo che si piega
a cucchiaio sulla schiena della ragazza dandole qualche bacio sul collo che è l’unica parte del corpo che
riesce a raggiungere con la bocca. Vorrebbe baciarla di nuovo sulle labbra. Ancora piegato su di lei inizia a
muovere lentamente il bacino. Pian piano si raddrizza in piedi. Lei tira su la testa e lo guarda dallo specchio
dritto negli occhi. Lui ha una mano sul suo culo e una sulle sue spalle. Da qui riesce a penetrarla
vigorosamente, lei gode. Le piace come lo fa. Come la prende da dietro e sa andare al giusto ritmo. Ogni
tanto il treno traballa più del solito e il corpo di lui entra completamente nel corpo di lei oppure i corpi si
sfilano l’uno dall’altro. In entrambi i casi la ragazza geme. Non gli può resistere. Lui gli afferra le trecce. La
situazione si fa intensa. Lei solleva una gamba. La colpisce proprio dove desidera. Dove le piace di più. –
Continua ti prego – ansima. A lui piace quando gli dice cose come queste. Vuole soddisfarla. Aumenta il
ritmo ma non cambia l’angolazione. Ogni tanto un colpo è più profondo degli altri e lascia scappare a lei e
ora anche a lui un grido soffocato di piacere. Ma dopo qualche grido la ragazza inizia ad alzare troppo il
volume. Allora lui afferra le sue trecce con una mano sola, con l’altra la prende per il collo e la tira un po’
indietro. – Shhhhhh – le sussurra all’orecchio. Le girano gli occhi nelle orbite e le si apre un po’ la bocca. Le
sembra di non reggersi più in piedi. In un sussurro strozzato forse scandisce – sto per venire – mentre, dopo
l’ennesimo schiamazzo, lui le mette una mano per tapparle la bocca. Lei lo morde per non urlare. Per lei
sono gli ultimi metri. Lui lo capisce e accelera sempre di più. La morsa sulla sua mano e le gambe di lei che
iniziano a cedere gli fanno capire che sta per venire. Allora anche lui infligge dei colpi profondi, decisi, che lo
fanno finire dentro di lei. Quando la ragazza si accorge di quello che è successo le iniziano a tremare le
gambe che si chiudono. Li accascia sul lavandino e lui la abbraccia da dietro per tenerla su e per stare il più
possibile attaccato a lei. Sono ancora uno dentro l’altra. Rimangono così qualche minuto. Respirano
affannato come se avessero corso una mezza maratona. Il vagone è in silenzio. Si sentono dei passi
avvicinarsi alla porta del bagno. Chi c’è dall’altra parte tenta di aprire la porta ma invano. I due si lasciano
andare ad uno sbuffo divertito. Quando la persona si allontana la ragazza fa un mezzo passo in avanti per
sfilare il corpo di lui. È ancora molto duro e anche lui non riesce a credere all’effetto che quella ragazza ha
su di lui. Nel momento di sfilarlo sul pavimento gocciola un misto di fluidi sia di lui che di lei.
È un momento un po’ imbarazzante sia per lui che per lei. È tutto finto. Il divertimento è finito. C’è la
consapevolezza di quello che è stato. Nessuno ha frainteso. È stata per entrambi esattamente quello che è
stato. Una scopata nei bagni di un treno. Con uno sconosciuto. Il sapore che rimane in bocca non è dei
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migliori ma in fondo entrambi sapevano che non lo facevano per concludere il viaggio con un sapore migliore
in bocca.
Lei si ritira in piedi. Lascia cadere la gonna sulle sue gambe. C’è una strana macchia sulle sue calze ma è
coperta dalla gonna quindi non la preoccupa. Lui si ritira su le mutande. È tutto bagnaticcio. Tira su anche i
pantaloni e riallaccia la cintura. Riabbottona la camicia. Lei si rimette il maglione. Durante queste operazioni
entrambi hanno lanciato un ultimo sguardo ai loro corpi. Guardare, probabilmente per l’ultima volta quel paio
di tette, il suo pene, le curve di lei, il fisico di lui. Un silenzio imbarazzante li investiva. Lei mette la mano sulla
serratura. Lo guarda per vedere se è pronto: sì, si è rimesso pure la felpa.
“Clack”.
Per l’ultima volta probabilmente.

Note: primo racconto, storia inventata. Apprezzo critiche.
scritto il
2025-01-15
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