Il trans napoletano
di
bagno regio
genere
trans
Avevo affittato un appartamentino nei quartieri spagnoli, nel periodo in cui avevo insegnato all’Università di Napoli.
I “quartieri” sono una cosa variopinta e ingarbugliata come solo a Napoli è dato trovare: il portierato dello stabile in oggetto era tenuto da due travestiti fra i più pittoreschi, due ex “femminielli” non più giovanissimi, ma ben curati e sempre profumati, pur nel caos e nel ciarpame del loro “basso”.
Ogni volta che ci passavo davanti venivo non solo salutato calorosamente, ma anche invitato ad un caffè che, pur non amando con l’intensità dei napoletani, avevo finito spesso con l’accettare. Naturalmente il caffè era un rito conviviale: serviva per parlare, entrare in confidenza, “inciuciare” e spettegolare, intrallazzare e “perdere tempo” e a Napoli questa espressione significa l’esatto contrario che in italiano.
“Professò lei non sape pierdere o tiempo, non si cura di se, morirà giovane !” Avevano sentenziato la prima volta che avevo accettato il caffè e con esso tutti gli annessi e connessi che comportava.
“Che ci volete fare ragazzi, non ci tengo mica tanto ad arrivare ai massimi 'anta !”
“Professò, qui non si tratta dei settanta o degli ottanta, ma di come ci arrivate e dei piaceri che vi siete pigliato per la strada”
“Per la strada ehhh...”
“Vedete né, professò, con noi un sacco di gente ci ha “il pregiudizio” e non sa quello che si perde” Era un ritornello che mi avevano propinato più di una volta, ma con una grazia e quasi una superiorità tali che ormai ci scherzavamo su quasi ad ogni incontro.
“Né, professò, non è che oggi le va di stare un poco con noi ?”
Era un altra delle allusioni che si permettevano, ma sempre scherzosa e noncurante, buttata là con indifferenza come a tenere più che altro aperta una porta.
“Guardate che una di queste volte accetto” minacciavo ogni tanto di rimando.
“Professore per noi sarebbe un grandissimo onore, davvèro !”
Non si parlava mai di sesso naturalmente. Il sottinteso stava lì in ogni cosa.
Una mattina che me ne ero rimasto a letto con un po’ di febbre e una notevole tosse, verso le dieci andai ad aprire la porta ad una scampanellata particolarmente vibrante e mi trovai davanti Giuseppe, il più maschio dei due che mi chiese preoccupato :
“Né, professò, siete rimasto a letto per la febbre o per la sfaticatezza ?”
E quando risposi che avevo un po’ di febbre
“Allora lasciate la porta traschiusa che vi porto su ‘na bella tazza e ‘cafè e voi statevene ‘buono e rinficcatevi ‘nto lietto”
Mi fece ridere perché era in vestaglia, con le pantofole e sembrava essersi tolto da poco i bigodini e senza cerone gli si vedeva l’ombra viola della barba anche se fatta di fresco.
Quando tornò, dopo cinque minuti, si sedette confidenzialmente sul bordo del letto, in attesa che finissi di bere il caffè.
“Madonna quanto è ordinata casa vostra, professore, pare quasi deserta !” E fece una mossetta non equivoca da brava mamma napoletana. Mi venne da ridere mentre mandavo giù un sorso e sbruffai un po’ di caffè sul lenzuolo. Giuseppe si alzò di furia strillando :
“Non tenete niente da ridere, professò, si vede che non vi godete la vita” Tornò dal bagno con un asciugamani dalla punta inumidita e si mise a strofinare il lenzuolo “Caro Giuseppe non ti mettere a recitare la parte della moglie con me !” Dissi scherzando
“Dell’amante, se mai, dell’amante, professore illustrissimo”
E così dicendo infilò una mano sotto le lenzuola, lasciando aprire la vestaglia su due tette belle grosse, e afferrandomi con quella il pisello con grande scioltezza :
“Bè professore questo è duro, deve essere la febbre, ma mi pare che si richieda un intervento” e, senza che potessi porre tempo o freno in mezzo, tirò giù il lenzuolo e me lo prese con la bocca e in bocca, iniziando il classico pompino.
Debbo dire che la cosa non mi dava fastidio per niente e mi abbandonai, carezzandogli le tette con le mani. Se lo lavorò così bene che nello spazio di qualche istante, fosse la febbre o ché, gli venni abbondantemente in bocca. Lo ingoiò golosamente e disse :
“Siete proprio bbuono, o ssapite ?”
“E tu sei bellissima, forse era proprio quello che ci voleva” Riconobbi sinceramente
“Ah, professore, tenete una bellissima cera adesso. O vverite che la febbre può anche essere una buonissima cosa per perdere nu poch’e tiempo e godersi la vita senza fare tanto gli schizzignosi ?”
Mentre parlava continuava a giocherellare con il mio pene ed i miei testicoli ed era arrivato fino a frugarmi fra le natiche cominciando ad indagare svagatamente la consistenza del mio buco posteriore.
“Bè, però lì fermati”
“Aaaaah.... professore questo non è da pari vostro, fermarsi a metà dell’esperimento, lasciatevi fare il servizio completo e conoscerete l’altra metà della mela. Ma come! non ne avete curiosità, non ne tenete desiderio ? Sono sicuro, sicurissimo di sì, sono la vostra Giuseppina, ma anche il vostro Giuseppe” E mentre parlava la carezza si era fatta più penetrante, il suo medio già girava intorno al bordo del mio sfintere e senza bisogno di permessi ulteriori già lo penetrava. La lunga tirata gli era servita per distrarmi e vincere così le mie riserve, ora dilagava ottenendo che io cominciassi a tirare su le gambe. Si fermò di botto e mi chiese : “Né, dottò, è già stato in bagno stamattina ?”
Era veramente un disgraziato, proprio mentre cominciavo ad arrendermi “Si, Giuseppe, ma perdio, non ti fermare proprio adesso !”
Ne notai il sorriso trionfante mentre si apriva la vestaglia e sfoderava un apparato genitale di rispettabilissima proporzione, su un ventre piatto con pube e testicoli ben depilati, salvo che per un eroticissimo triangolino di pelo assai scuro e molto ben modellato su cui fissai lo sguardo ipnotizzato.
“Vuoi che mi metta il preservativo, professore ?” Era passato dal voi al tu e questo mi faceva piacere “Decidi tu, se è il caso, se pensi che sia la cosa migliore...” “Professore, da quel punto di vista, potete stare tranquillo, passo la visita tutte le settimane e sono sempre incappucciato con quelli che non mi fanno fiducia” Disse con grande compunzione, mettendosi una mano sulla tetta sinistra.
“E allora dai, non stare lì a perdere tempo !”
“Ah, così sì che parlate da scienziato, mettetemi le gambe sulle spalle e aprite bene il buchetto”
Era tornato al voi, forse stava prendendo il sopravvento l’aspetto professionale : si tirò tutta indietro la pelle del pene e la testa del glande uscì umida dal suo astuccio naturale per mostrarsi un attimo ben sagomata e flessuosa. Lo contemplai affascinato, provando realmente il desiderio di “interiorizzarlo” tutto e tanto da farmi rendere femmina. Poi subito si tuffò nella mia intimità, saggiandone la resistenza o l’accoglienza. Ero un po’ contratto ma la sapienza di Giuseppe fu grande ed ogni resistenza fu vinta. Un’intensa carezza superficiale sconfisse ogni più vaga repulsione e mi fece esplodere la voglia di lasciarmi fare tutto e spingermi io in avanti, a provocarlo e stimolarlo.
A quel segnale Giuseppe forzò senza scrupoli il mio orifizio e lo sentii scivolare dentro completamente, dilagando, ben lubrificato, fino in fondo al retto : sentivo i suoi testicoli battere ed accarezzarmi le natiche e questo mi diede la misura dell’esperienza che stavo compiendo.
Lasciarsi penetrare da una “femmina potente”, farsi deflorare anche il culo provando lo stesso piacere della scopata, ma in una posizione nuova, tutta nuova, da femmina succube, che non deve far niente altro che stare a gambe larghe e lasciarsi empire di seme, perché questo fu il fatto più nuovo e bello: essere tutto sborrato, e come sborrato, e quanto !
E quanto(?) venni anche io, con Giuseppe che me lo leccava e me lo faceva leccare a sessantanove e poi me lo rimetteva in culo venendomi a baciare in bocca, tutti e due sporchi di sperma e insaziabili.
Restai a letto tutta la giornata e, ad un certo momento venne su anche Stefano ; gli andai ad aprire con il cazzo in mano e lo tirai dentro baciando in bocca anche lui e accarezzandogli l’uccello, che venne subito fuori dai pantaloni.
“Accidenti, professore, l’avite appicciate lu ciere a San Giuseppe ?”
“Certo Stefano, ma vieni di là che adesso accendo anche il tuo”
Passammo insieme anche la notte ad accarezzarci e a scopare in tutte le fogge e maniere ammesse dal kamasutra e ne ebbi il culo cosi ben lubrificato ed empito che defecai sperma per i due giorni successivi.
I “quartieri” sono una cosa variopinta e ingarbugliata come solo a Napoli è dato trovare: il portierato dello stabile in oggetto era tenuto da due travestiti fra i più pittoreschi, due ex “femminielli” non più giovanissimi, ma ben curati e sempre profumati, pur nel caos e nel ciarpame del loro “basso”.
Ogni volta che ci passavo davanti venivo non solo salutato calorosamente, ma anche invitato ad un caffè che, pur non amando con l’intensità dei napoletani, avevo finito spesso con l’accettare. Naturalmente il caffè era un rito conviviale: serviva per parlare, entrare in confidenza, “inciuciare” e spettegolare, intrallazzare e “perdere tempo” e a Napoli questa espressione significa l’esatto contrario che in italiano.
“Professò lei non sape pierdere o tiempo, non si cura di se, morirà giovane !” Avevano sentenziato la prima volta che avevo accettato il caffè e con esso tutti gli annessi e connessi che comportava.
“Che ci volete fare ragazzi, non ci tengo mica tanto ad arrivare ai massimi 'anta !”
“Professò, qui non si tratta dei settanta o degli ottanta, ma di come ci arrivate e dei piaceri che vi siete pigliato per la strada”
“Per la strada ehhh...”
“Vedete né, professò, con noi un sacco di gente ci ha “il pregiudizio” e non sa quello che si perde” Era un ritornello che mi avevano propinato più di una volta, ma con una grazia e quasi una superiorità tali che ormai ci scherzavamo su quasi ad ogni incontro.
“Né, professò, non è che oggi le va di stare un poco con noi ?”
Era un altra delle allusioni che si permettevano, ma sempre scherzosa e noncurante, buttata là con indifferenza come a tenere più che altro aperta una porta.
“Guardate che una di queste volte accetto” minacciavo ogni tanto di rimando.
“Professore per noi sarebbe un grandissimo onore, davvèro !”
Non si parlava mai di sesso naturalmente. Il sottinteso stava lì in ogni cosa.
Una mattina che me ne ero rimasto a letto con un po’ di febbre e una notevole tosse, verso le dieci andai ad aprire la porta ad una scampanellata particolarmente vibrante e mi trovai davanti Giuseppe, il più maschio dei due che mi chiese preoccupato :
“Né, professò, siete rimasto a letto per la febbre o per la sfaticatezza ?”
E quando risposi che avevo un po’ di febbre
“Allora lasciate la porta traschiusa che vi porto su ‘na bella tazza e ‘cafè e voi statevene ‘buono e rinficcatevi ‘nto lietto”
Mi fece ridere perché era in vestaglia, con le pantofole e sembrava essersi tolto da poco i bigodini e senza cerone gli si vedeva l’ombra viola della barba anche se fatta di fresco.
Quando tornò, dopo cinque minuti, si sedette confidenzialmente sul bordo del letto, in attesa che finissi di bere il caffè.
“Madonna quanto è ordinata casa vostra, professore, pare quasi deserta !” E fece una mossetta non equivoca da brava mamma napoletana. Mi venne da ridere mentre mandavo giù un sorso e sbruffai un po’ di caffè sul lenzuolo. Giuseppe si alzò di furia strillando :
“Non tenete niente da ridere, professò, si vede che non vi godete la vita” Tornò dal bagno con un asciugamani dalla punta inumidita e si mise a strofinare il lenzuolo “Caro Giuseppe non ti mettere a recitare la parte della moglie con me !” Dissi scherzando
“Dell’amante, se mai, dell’amante, professore illustrissimo”
E così dicendo infilò una mano sotto le lenzuola, lasciando aprire la vestaglia su due tette belle grosse, e afferrandomi con quella il pisello con grande scioltezza :
“Bè professore questo è duro, deve essere la febbre, ma mi pare che si richieda un intervento” e, senza che potessi porre tempo o freno in mezzo, tirò giù il lenzuolo e me lo prese con la bocca e in bocca, iniziando il classico pompino.
Debbo dire che la cosa non mi dava fastidio per niente e mi abbandonai, carezzandogli le tette con le mani. Se lo lavorò così bene che nello spazio di qualche istante, fosse la febbre o ché, gli venni abbondantemente in bocca. Lo ingoiò golosamente e disse :
“Siete proprio bbuono, o ssapite ?”
“E tu sei bellissima, forse era proprio quello che ci voleva” Riconobbi sinceramente
“Ah, professore, tenete una bellissima cera adesso. O vverite che la febbre può anche essere una buonissima cosa per perdere nu poch’e tiempo e godersi la vita senza fare tanto gli schizzignosi ?”
Mentre parlava continuava a giocherellare con il mio pene ed i miei testicoli ed era arrivato fino a frugarmi fra le natiche cominciando ad indagare svagatamente la consistenza del mio buco posteriore.
“Bè, però lì fermati”
“Aaaaah.... professore questo non è da pari vostro, fermarsi a metà dell’esperimento, lasciatevi fare il servizio completo e conoscerete l’altra metà della mela. Ma come! non ne avete curiosità, non ne tenete desiderio ? Sono sicuro, sicurissimo di sì, sono la vostra Giuseppina, ma anche il vostro Giuseppe” E mentre parlava la carezza si era fatta più penetrante, il suo medio già girava intorno al bordo del mio sfintere e senza bisogno di permessi ulteriori già lo penetrava. La lunga tirata gli era servita per distrarmi e vincere così le mie riserve, ora dilagava ottenendo che io cominciassi a tirare su le gambe. Si fermò di botto e mi chiese : “Né, dottò, è già stato in bagno stamattina ?”
Era veramente un disgraziato, proprio mentre cominciavo ad arrendermi “Si, Giuseppe, ma perdio, non ti fermare proprio adesso !”
Ne notai il sorriso trionfante mentre si apriva la vestaglia e sfoderava un apparato genitale di rispettabilissima proporzione, su un ventre piatto con pube e testicoli ben depilati, salvo che per un eroticissimo triangolino di pelo assai scuro e molto ben modellato su cui fissai lo sguardo ipnotizzato.
“Vuoi che mi metta il preservativo, professore ?” Era passato dal voi al tu e questo mi faceva piacere “Decidi tu, se è il caso, se pensi che sia la cosa migliore...” “Professore, da quel punto di vista, potete stare tranquillo, passo la visita tutte le settimane e sono sempre incappucciato con quelli che non mi fanno fiducia” Disse con grande compunzione, mettendosi una mano sulla tetta sinistra.
“E allora dai, non stare lì a perdere tempo !”
“Ah, così sì che parlate da scienziato, mettetemi le gambe sulle spalle e aprite bene il buchetto”
Era tornato al voi, forse stava prendendo il sopravvento l’aspetto professionale : si tirò tutta indietro la pelle del pene e la testa del glande uscì umida dal suo astuccio naturale per mostrarsi un attimo ben sagomata e flessuosa. Lo contemplai affascinato, provando realmente il desiderio di “interiorizzarlo” tutto e tanto da farmi rendere femmina. Poi subito si tuffò nella mia intimità, saggiandone la resistenza o l’accoglienza. Ero un po’ contratto ma la sapienza di Giuseppe fu grande ed ogni resistenza fu vinta. Un’intensa carezza superficiale sconfisse ogni più vaga repulsione e mi fece esplodere la voglia di lasciarmi fare tutto e spingermi io in avanti, a provocarlo e stimolarlo.
A quel segnale Giuseppe forzò senza scrupoli il mio orifizio e lo sentii scivolare dentro completamente, dilagando, ben lubrificato, fino in fondo al retto : sentivo i suoi testicoli battere ed accarezzarmi le natiche e questo mi diede la misura dell’esperienza che stavo compiendo.
Lasciarsi penetrare da una “femmina potente”, farsi deflorare anche il culo provando lo stesso piacere della scopata, ma in una posizione nuova, tutta nuova, da femmina succube, che non deve far niente altro che stare a gambe larghe e lasciarsi empire di seme, perché questo fu il fatto più nuovo e bello: essere tutto sborrato, e come sborrato, e quanto !
E quanto(?) venni anche io, con Giuseppe che me lo leccava e me lo faceva leccare a sessantanove e poi me lo rimetteva in culo venendomi a baciare in bocca, tutti e due sporchi di sperma e insaziabili.
Restai a letto tutta la giornata e, ad un certo momento venne su anche Stefano ; gli andai ad aprire con il cazzo in mano e lo tirai dentro baciando in bocca anche lui e accarezzandogli l’uccello, che venne subito fuori dai pantaloni.
“Accidenti, professore, l’avite appicciate lu ciere a San Giuseppe ?”
“Certo Stefano, ma vieni di là che adesso accendo anche il tuo”
Passammo insieme anche la notte ad accarezzarci e a scopare in tutte le fogge e maniere ammesse dal kamasutra e ne ebbi il culo cosi ben lubrificato ed empito che defecai sperma per i due giorni successivi.
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