Le esperienze di Emilia 1
di
Andrico
genere
prime esperienze
La notizia che saremmo andate a Parigi invece che a Barcellona ci rese stranamente euforiche. Non che avessimo qualcosa contro Barcellona, per carità, ma Parigi… Parigi è un’altra cosa. È il sogno di ogni ragazza, o almeno così ci piaceva raccontarcelo. Luci soffuse, vicoli romantici, croissant e baguette (da mangiare e non solo da immaginare in contesti ambigui). In più, tutto quel romanticismo avrebbe potuto darmi una mano con il mio piano. Un piano studiato nei minimi dettagli con Lucia, la mia amica fidata e mente perversa della coppia.
Sia io che lei eravamo felicemente single, ma per motivi molto diversi. Lucia adorava la sua libertà, e soprattutto adorava collezionare esperienze, anche se ci teneva a specificare ogni volta: “Non con i nostri compagni di classe, grazie”. Io, invece, ero single perché semplicemente non mi sentivo pronta per niente di serio. O almeno, così credevo, finché non ho iniziato a guardare Roberto con occhi diversi.
Roberto era il classico ragazzo che a prima vista non ti colpisce. Timido, riservato, sempre un po’ nell’ombra. Ma proprio quella sua gentilezza silenziosa, quel modo di trattarmi con delicatezza, senza mai sembrare in cerca di qualcosa, mi aveva stregata. Non sapevo se potessi piacergli, ma a me iniziava a piacere parecchio. Di lui mi attirava proprio quel suo essere impacciato e misterioso. In un mondo pieno di ragazzi che ti mettono le mani addosso alla prima occasione, Roberto sembrava uno che se ti sfiorava il braccio si scusava per mezz’ora. Insomma, un unicorno.
Io e Lucia decidemmo che Parigi poteva essere il terreno di gioco perfetto per far succedere qualcosa. Non necessariamente qualcosa di clamorosamente erotico — anche se, diciamocelo, un pensierino ce l’avevo fatto — ma almeno un avvicinamento, una crepa nel muro della nostra timidezza. E poi, in tutta onestà, io con i ragazzi ero ferma alla modalità demo: qualche bacio, due o tre toccatine molto poco caste e il mio migliore amico, il doccino, che da anni faceva gli straordinari.
Lucia, con la sua filosofia da "scoprire l’Europa palmo a palmo", mi aveva preparata a ogni evenienza: dal bacio rubato sotto la Tour Eiffel, fino a una fuga strategica dalla camera per lasciarmi sola con Roberto. “Tu devi solo essere disponibile, il resto verrà da sé”, diceva lei con la sicurezza di una che a 18 anni aveva già visto più lenzuola sfatte di una cameriera d’hotel. Io ridevo, ma dentro sentivo quel misto di paura e curiosità che ti prende la prima volta che decidi di giocare davvero.
A Parigi, tra una visita al Louvre e una crepe al cioccolato, il mio obiettivo era chiaro: scoprire se sotto quei maglioni informi e quel sorriso timido si nascondeva qualcosa di più interessante. E magari, tra un "Oops, ho perso il gruppo" e un "Vuoi vedere la mia camera?", aprire finalmente quel famoso nuovo capitolo della mia vita.
La gita procedeva esattamente come ci si aspettava: noia mortale di giorno, casino senza controllo di notte. Le professoresse fingevano di avere tutto sotto controllo, ma la verità era che ormai ci avevano rinunciato, limitandosi a contare i superstiti ogni mattina. L’alcol scorreva come se fossimo a un festival estivo e la voglia di trasgredire era praticamente una compagna di classe in più.
L’unica cosa che mancava? Roberto. O meglio, mancava qualsiasi forma di interazione sensata tra me e lui. Sembrava quasi immune ai miei goffi tentativi di attirare la sua attenzione. Avevo provato tutto: sorrisi ammiccanti (che probabilmente sembravano smorfie da crampi addominali), risatine eccessive alle sue battute (pure quelle involontarie).
L’unico premio di consolazione furono alcuni sguardi rubati — quei secondi fugaci in cui ci si incrocia e nessuno sa bene cosa fare, quindi si distoglie lo sguardo con la stessa velocità con cui si cancella la cronologia dopo una sessione un po’ spinta sul telefono.
Eppure, con Lucia avevamo studiato ogni dettaglio, ogni mossa, ogni battuta ad effetto. Avevamo persino testato una camminata “casualmente sensuale” nel corridoio dell’hotel, ma l’unico risultato fu una mezza storta alla caviglia e un addetto alle pulizie che mi fece l’occhiolino. Roberto, invece, niente. Come se fosse in modalità aereo.
Io, che non sono certo il tipo da mollare al primo giro di boa, iniziavo però a sentirmi demoralizzata. Lucia, per fortuna, non conosceva la parola resa. “Tesoro mio, se non viene a te, saremo noi ad andare da lui. E questa sera dopo Versailles ci inventiamo qualcosa che manco nei film erotici francesi”
E così passammo ore a elaborare un piano che fosse allo stesso tempo audace e non troppo disperato. Qualcosa che portasse me e Roberto da soli, lontani dagli occhi (e dalle voci) dei compagni. Non volevo saltargli addosso come una mantide religiosa, certo, ma un contatto fisico, anche solo una mano sfiorata, una ginocchiata "accidentale" sotto il tavolo, qualcosa che rompesse quel muro di ghiaccio.
Perché, alla fine, la cosa che mi eccitava di più non era tanto l’idea di spogliarlo, quanto quella di vedere la sua reazione quando finalmente avremmo smesso di guardarci da lontano e iniziato a sfiorarci per davvero.
Parigi era la città dell’amore, no? E io, a quel punto, ero pronta a passare dalla teoria alla pratica.
L’armamentario che avevo infilato in valigia prima di partire era degno di una boutique di Victoria’s Secret in saldo: completi in pizzo, reggiseni push-up, perizomi di ogni colore, un campionario che avrebbe fatto vacillare anche il più devoto dei seminaristi.
Ora, sia chiaro: il mio obiettivo non era esattamente sfilare davanti a Roberto in lingerie, non subito almeno. Però, c’è da dire che indossare quei capi, anche sotto un innocente pigiama, mi regalava un boost di sicurezza da vera femme fatale. E poi, diciamocelo, se per caso Roberto fosse stato abbastanza curioso da lanciare uno sguardo indiscreto, io ero più che pronta a dargli qualcosa che valesse la pena guardare ed eventualmente tenere.
Appena rientrate in albergo dopo la cena, io e Lucia ci chiudemmo in camera per la selezione del look da battaglia. Lei, con la sua esperienza da consumata esploratrice di orizzonti maschili, approvò a pieni voti il mio guardaroba intimo e ci mettemmo a fare un vero e proprio inventario, degno di un’ispezione doganale.
“Tesoro, devi capire una cosa: tu hai un fisico della Madonna e non lo sai,” mi disse Lucia con quella spavalderia che le invidiavo da morire. In effetti, ero abbastanza magra, merito degli anni di sport agonistico e delle infinite corse dietro ai pullman la mattina. Il seno? Niente di epico, una seconda discreta e onesta. Ma il mio vero punto forte era il lato B: sodo, tondo, di quelli che se ti metti il leggings giusto o un paio di jeans ben aderenti, fai girare anche il prof del corso di storia.
E infatti, tutta la mia collezione di intimo puntava proprio lì: microscopici perizomi, il genere di indumento che paghi come un capo di alta moda, ma che contiene meno stoffa di un centrino. Per quella sera speciale scelsi un perizoma azzurro pastello, con il reggiseno coordinato, anche se per un attimo accarezzai l’idea di uscire senza reggiseno, giusto per far respirare la situazione.
Completai il tutto con un trucco leggero, che esaltasse gli occhi senza sembrare appena scappata da un tutorial di Instagram, e infilai una semplicissima t-shirt bianca, strategicamente corta, e un paio di pantaloncini morbidi da pigiama. Il classico look “non mi sono impegnata, sono così per natura”, che nascondeva però ore di studio davanti allo specchio e almeno tre sfilate in camera sotto lo sguardo critico di Lucia.
Sexy sì, ma anche comoda. Perché la seduzione, almeno per me, parte prima di tutto dallo stare bene nei miei vestiti — o nel mio intimo. E poi, si sa, le cose più eccitanti sono quelle che si intravedono, non quelle che si vedono subito.
Ora restava solo una cosa da capire: Roberto avrebbe finalmente alzato lo sguardo dal pavimento? O avrei dovuto accidentalmente inciampare addosso a lui per fargli notare l’outfit della serata?
Alla fine della gita mancavano ancora un paio di sere, ma ormai era chiaro: il terreno andava sondato subito, così avrei avuto qualche chance di andare a segno prima di tornare a casa e rimettere la testa sui libri per l’imminente maturità. Non volevo tornare nella mia cameretta da brava studentessa modello senza almeno un ricordo da portarmi dietro, magari qualcosa che mi facesse arrossire ogni volta che lo avrei ripensato.
Quella sera, la comitiva si era data appuntamento proprio in camera di Roberto. Un colpo di fortuna o uno scherzo del destino? Non mi importava, era la mia occasione. Certo, non saremmo stati soli – la stanza pullulava di compagni, qualche infiltrato dell’altra classe e pure quell’odore misto di deodorante al cocco e calzini da escursione che ormai era diventato la firma olfattiva della gita – ma non importava nemmeno questo. Dovevo giocarmela bene.
Le premesse erano ottime: l’alcol scorreva come la Senna e grazie a un professore che, a quel punto del viaggio, probabilmente aveva già rinunciato a mantenere un minimo di disciplina, eravamo riusciti persino a ordinare un po’ di vino scadente a cena. E vogliamo non bere vino, in Francia? Che poi, con la cucina terrificante che ci rifilavano, serviva almeno un bicchiere per buttar giù il tutto senza pensare troppo.
La serata si era avvitata in quella tipica spirale da gita scolastica senza controllo: vodka calda, RedBull senza ghiaccio e cocktail dal colore inquietante che sapevano di dentifricio andato a male. Il tutto condito da urla, musica trash e gente che iniziava a rivelare segreti di cui si sarebbe pentita il giorno dopo.
Fu proprio in questo clima da apocalisse ormonale che qualcuno ebbe la geniale idea di lanciare il gioco più pericoloso di sempre: verità o pegno. Una roulette russa sociale in cui, se andava bene, facevi una figura da regina. Se andava male, finivi a leccare un comodino o a dichiarare dettagli imbarazzanti della tua vita sessuale – vera o immaginaria.
Per me, era un’opportunità travestita da trappola. Potevo sfruttarla per mettermi sotto i riflettori di Roberto, oppure fare la figura della verginella dell’oratorio. Il mio cuore diceva di lanciarmi, ma il mio cervello – e il mio tasso alcolico – consigliavano prudenza. Lucia, ovviamente, non aveva dubbi: il suo sguardo da allenatrice di sesso estremo era chiarissimo. Non potevo deluderla.
Quando toccò a me, con la voce che tremava e il sorriso da finta disinvolta, scelsi: “Verità.”
E mi arrivò addosso la domanda che nessuna ragazza vuole sentirsi fare davanti a mezza scuola: “Qual è stata l’ultima persona a cui hai mandato una foto nuda?”
Sentii il cuore inciampare. Primo problema: non l’avevo mai fatto. Non per moralismo, solo perché nessuno aveva conquistato la fiducia per un tale gesto da parte mia. Secondo problema: dire la verità significava ammettere che, sotto sotto, ero più brava ragazza di quanto volessi far credere. E c’era Roberto che mi guardava. Potevo giocarmela da esperta o restare fedele a me stessa?
Scelsi la sincerità, sperando di non sembrare una suora appena uscita dal convento. “Nessuno.”
Boom. Esplosione di risate e battutine, qualcuno della classe accanto si mise persino a fare il segno della croce, come se fossi la patrona delle sante immacolate. Io ridevo, ma dentro rosicavo. Non perché mi importasse di loro, ma perché volevo capire la reazione di Roberto.
E lui? Zero espressione. Mi fissava, ma con quel suo sguardo che non diceva niente e diceva tutto. Lo avrei volentieri preso a testate o a baci, a seconda dell’umore del momento.
Per fortuna, Lucia – la mia santa protettrice della sensualità – calò il suo asso da regina del trash: “Siete solo gelosi perché non ne ha mandate a voi!”
Scoppiarono tutti a ridere e la tensione si sciolse. Io lanciai a Lucia uno sguardo che era un misto di amore eterno e voglia di strozzarla, perché sapevo che ormai la mia reputazione era segnata: brava ragazza con il perizoma da peccatrice.
Il gioco proseguì, la vodka continuava a fluire e io, con ogni sorso, sentivo il coraggio farsi largo tra le mie insicurezze. Se volevo che Roberto capisse che sotto la mia maglietta innocente batteva un cuore pronto all’esplorazione, dovevo agire. E in fretta.
Avevo ancora addosso quel completino azzurro pastello, il mio amuleto della seduzione da principiante. Non che lo avrei mostrato apertamente (anche se l’idea mi elettrizzava più del previsto), ma sapere che sotto i pantaloncini morbidi e la t-shirt innocente si nascondeva una bomba a orologeria di pizzi e malizia mi dava quella sicurezza che di solito mi mancava.
Prima che la serata finisse, avrei trovato una scusa – qualsiasi scusa – per rimanere sola con Roberto. Anche solo cinque minuti in corridoio, davanti alla macchinetta delle bibite, con un pretesto ridicolo tipo “mi accompagni a prendere l’acqua?”. Bastava uno spiraglio, un’occasione, e avrei trovato il modo di fargli capire che io, Emilia-la-brava-ragazza, avevo una gran voglia di scoprire se sotto la sua timidezza c’era qualcosa di interessante da scartare.
Dopo tutto, avevamo ancora tre notti a Parigi. E io non avevo nessuna intenzione di tornare a casa senza un souvenir degno di nota.
La ringraziai con un sorriso e, cercando di non sembrare troppo ansiosa, mi misi in attesa del turno di Roberto. Volevo vedere cosa avrebbe scelto, ma soprattutto cosa avrebbe rivelato. Ormai ero a metà tra curiosità morbosa e voglia di scoprire qualcosa che potesse avvicinarmi a lui. Magari confessava di avere una cotta segreta proprio per me e il gioco sarebbe finito tra gli applausi, i baci e le invidie di mezza classe. Ok, forse stavo fantasticando un po’ troppo.
Tempo cinque minuti e la sua voce risuonò nella stanza. Quel tono basso e un po’ impacciato che mi faceva sciogliere come burro sul pane caldo. “Verità.”
Tutti in coro a urlare domande assurde, dalla classica “con chi lo hai fatto la prima volta?” fino a cose decisamente borderline da denuncia. Alla fine ne scelsero una apparentemente innocente: “Qual è la tua fantasia più nascosta?”
Lo vidi arrossire fino alle orecchie, mentre le sue dita tormentavano il bordo della felpa. Io trattenevo il fiato, quasi pregando che dicesse qualcosa di romantico o vagamente sexy che mi lasciasse spiragli. Magari qualcosa di cinematografico, tipo “fare l’amore sotto la Torre Eiffel” o “una doccia bollente in due dopo una corsa sotto la pioggia”.
E invece, dopo un’esitazione infinita, sgancia la bomba: “Mi piacciono… i piedi.”
La stanza esplose. Risate, urletti, battutine imbarazzanti, uno addirittura cadde dal letto per quanto rideva. Io rimasi di sasso. Il mio cuore fece una frenata da Formula 1 e, per qualche secondo, il mio cervello andò in crash totale.
I piedi?!? Di tutte le cose possibili, i piedi.
Cioè, io mi ero fatta l’intero catalogo Victoria’s Secret, mi ero allenata per settimane a mettere in risalto il mio lato B, avevo scelto il perizoma perfetto e ora scoprivo che la mia crush segreta aveva la fissa per qualcosa che manco consideravo sexy? E adesso che faccio? Mi metto lo smalto glitterato sulle unghie dei piedi? Mi presento in camera sua con un paio di infradito fosforescenti? O gli faccio trovare una foto artistica delle mie dita dei piedi accanto alla Torre Eiffel?
Lucia, ovviamente, stava già ridendo sotto i baffi. Mi lanciò quello sguardo da mente criminale, lo stesso che precedeva ogni suo piano geniale (o potenzialmente disastroso), e mi fece segno di seguirla in bagno. Classico pit-stop tra amiche, ufficialmente per rifarci il trucco, in realtà per una riunione di emergenza a porte chiuse.
Appena la porta si chiuse alle nostre spalle, Lucia mi squadrò con quel suo sorrisetto da strega buona: “Siamo a cavallo, Emilia.”
“A cavallo?! Ma l’hai sentito cosa ha detto? I piedi, Lucia. Non le gambe, non il seno, non il sedere… i piedi! Io coi piedi non ci so fare niente, al massimo ci cammino!”
Lucia scoppiò a ridere e mi prese per le spalle: “Tesoro, rilassati. È perfetto. Devi solo seguire il mio gioco e tenerti pronta a… giocare.”
“Giocare come?” chiesi, già preoccupata. Con Lucia la fantasia non aveva limiti e l’ultima cosa che volevo era ritrovarmi a leccargli l’alluce davanti a tutti.
“Lo capirai al momento giusto, fidati. Solo una domanda: ti fa proprio schifo sta cosa dei piedi?”
Ci pensai un attimo. In fondo, schifo no. Non era neanche lontanamente nei miei pensieri, ma Roberto era Roberto. Se a lui piacevano i piedi, beh… potevo scoprire se mi piaceva l’idea di piacergli in quel modo.
“Non mi fa schifo… è solo strano.”
“Perfetto.” Lucia batté le mani, soddisfatta. “Da qui in poi, lascia fare a me. Roberto sarà tuo prima di quanto pensi.”
Tornammo nella stanza, giusto in tempo per scoprire che Roberto era finito sotto interrogatorio. Tutti volevano dettagli: come, quando, perché. Sembrava di essere a un talk show di terza serata. Questo decretò anche la fine del gioco.
La mia sorpresa più grande fu scoprire quante ragazze presenti sapevano già tutto sull’argomento, come se fosse la cosa più normale del mondo. Tra tutorial su Facebook, ex fidanzati fissati e confessioni alcoliche, scoprii che i piedi erano il nuovo lato B. Lucia, ovviamente, si calò nel personaggio con la sua solita disinvoltura: “Anche il mio ex ne andava matto, faceva proprio parte del pacchetto!” dichiarò con un candore da Oscar.
Io la fissai a occhi spalancati. Ma quando mai?! A me aveva raccontato tutt’altro, e di piedi non si era mai parlato. Ma, come sempre, Lucia sapeva esattamente cosa stava facendo.
E proprio in quel momento, mi resi conto che ero entrata in un gioco molto più grande di me. E la cosa più assurda? Mi piaceva da morire.
La mia inesperienza, che fino a quel momento era stata solo una fastidiosa sensazione di fondo, adesso mi esplodeva addosso come un riflettore puntato dritto sulla mia goffaggine. Ero seduta accanto a Lucia, e davanti a me c’era Roberto, quello che da mesi abitava i miei sogni e le mie fantasie più confuse, e invece di guardare me, guardava… i piedi.
I piedi.
Cioè, voglio dire: io mi ero fatta mille paranoie su pancia piatta, reggiseni push-up, mosse da femme fatale mai provate, e poi scopro che il suo punto debole sono un paio di caviglie e dieci dita dipinte?
Restammo in pochi: un piccolo gruppo di superstiti pigiati sul letto, divisi tra chi guardava distrattamente la tv e chi si dedicava a un banale gioco di carte. Banale fino all’intervento provvidenziale di Lucia, che propose di rendere tutto più interessante mettendo in palio premi personalizzati per chi vinceva.
La prima a vincere fu Annalisa, che con una mossa da manuale si aggiudicò Andrea, la sua cotta storica, come schiavo personale per il resto della serata. Lo trascinò fuori dalla stanza tra le risate e le battute maliziose di tutti. Guardai la scena con un misto di invidia e ammirazione. Quanto era stata furba e spregiudicata Annalisa! Sognavo di fare la stessa mossa con Roberto, ma c’era un piccolo problema: ero una frana totale a carte. E infatti persi miseramente ogni singola mano.
Poi successe qualcosa che riaccese le mie speranze. Vinse Roberto. Il cuore mi fece un balzo. Era la mia occasione. Lo fissai, sperando in un cenno, un segnale qualsiasi che indicasse che stava pensando a me. Ovviamente, nulla. Anzi, fu subito sommerso da una valanga di prese in giro e suggerimenti spinti, urlati da tutti. C’era chi lo incitava a chiedere un bacio, chi lo spingeva a fare richieste assurde al limite del proibito. L’atmosfera stava diventando incandescente, come se l’alcol avesse sciolto ogni freno inibitore rimasto.
Dopo lunghi minuti di esitazione, vidi un guizzo nei suoi occhi. Un luccichio pericoloso che mi fece rabbrividire e fremere allo stesso tempo. Mi feci coraggio e gli chiesi, cercando di sembrare disinvolta: “Quindi? Cosa vuoi?”
Il tono mi uscì troppo duro. Troppo sfidante. Provai a correggere con un sorriso malizioso, ma ormai era andata.
Lui mi fissò. Uno sguardo penetrante, indecifrabile, mi attraversò come un raggio X. Arrossii, abbassai lo sguardo. E poi, il colpo di scena: si voltò verso Lucia e disse, con quella spavalderia da ubriaco che non gli avevo mai visto: “Fammi vedere i piedi, Lucia. Lo hai già fatto con il tuo ex giusto? voglio un footstrip come si deve.”
Mi crollò il mondo addosso.
Mi ero preparata per tutto: battute, baci a sorpresa, persino una dichiarazione ubriaca. Ma questo no. Lucia. Ancora lei. Scelta al posto mio. Lucia, più audace, più esperta, più sicura. Più tutto.
Non gliene facevo una colpa, sapevo che era tutto parte di un piano più grande, uno di quei piani machiavellici che solo lei sapeva orchestrare. Eppure… bruciava.
Non sapevo se ridere o piangere. Per fortuna, Lucia sapeva cosa fare. Con quell’aria da attrice navigata, capace di oscillare tra il candore di una ragazzina e la spudoratezza di una femme fatale nel giro di mezzo secondo, si tolse il primo calzino.
Lo fece lentamente, giocando con l’elastico, facendolo scorrere sulla pelle come fosse seta preziosa. Il calzino rotolò giù e il piede emerse: piccolo, perfetto, con le unghie curate e lo smalto rosso scuro che sembrava studiato apposta per quella sera.
Roberto non respirava più.
Lo guardai di sbieco. Aveva lo sguardo di uno che ha trovato il Santo Graal in fondo a una ciabatta. Gli occhi gli brillavano, come se ogni centimetro di pelle nuda che compariva fosse una rivelazione mistica.
Lucia lo sapeva. E giocava sporco.
Si tolse l’altro calzino, stavolta con un gesto più teatrale, lanciandolo direttamente addosso a Roberto. Lui lo prese al volo, lo studiò e lo lasciò cadere sul letto.
Io ero invisibile.
Mi guardai i piedi infilati in un paio di calzini bianchi anonimi e pensai: “Bene Emilia, la tua vita erotica è ufficialmente finita prima di iniziare.” I piedi di Lucia sembravano protagonisti di uno spot pubblicitario, perfetti, luminosi, mentre i miei… boh, sembravano dei piedi, dei semplicissimi strumenti per camminare.
Ma non potevo arrendermi. Lucia mi lanciò uno sguardo fulmineo mentre accavallava le gambe, mettendo in bella mostra la caviglia perfetta. In quello sguardo c’era scritto: “Guarda e impara, Emilia. Guarda e prendi appunti.”
Roberto, intanto, era sempre più ipnotizzato. Gli brillavano gli occhi come a un bambino davanti alla vetrina dei giocattoli. E io, da spettatrice non pagante, oscillavo tra l’eccitazione di trovarmi in una scena da film e la disperazione di essere quella senza battute.
Lucia sfiorò il proprio piede con le dita, giocandoci, come se accarezzarlo fosse la cosa più normale del mondo. Poi lo avvicinò a Roberto, abbastanza da sfiorarlo, ma senza toccarlo. Lui, senza dire una parola, cercò di accarezzarlo con una mano, ma Lucia fu più veloce a toglierlo lasciando Roberto letteralmente a mani vuote. "Peccato che tu non abbia chiesto di più... chissà cosa avresti potuto ottenere." Io morivo dentro.
E insieme alla gelosia, sentivo qualcos’altro. Qualcosa che non volevo ammettere. Era eccitante. Vedere Roberto così, fuori controllo, stregato da qualcosa di così assurdo e innocente, mi accendeva più di quanto volessi ammettere.
“Emilia, Camilla, niente contro di voi ovviamente! Ho fatto una scelta a caso…” disse all’improvviso, cercando di buttarla sul ridere. “…ma siete le benvenute se volete unirvi a Lucia.”
Cretino. Idiota. Mi hai ignorata tutta la sera e ora mi vuoi in un ménage à trois di piedi?
Io e Camilla ci guardammo. Risposta sincronizzata: “Ma vai a cagare, Roberto.”
Però dentro di me… dentro di me qualcosa stava cambiando.
Lucia era la mia maestra, l’unica che poteva salvarmi dalla mia goffaggine congenita. Se dovevo giocarmela, dovevo farlo adesso.
Quando inaspettatamente vinsi, Lucia mi lanciò uno sguardo complice. Era stata lei, lo sapevo. Mi aveva aiutata, quasi sicuramente in modo illecito. Ma stavolta non avrei sprecato l’occasione.
Mi voltai verso Roberto, cercando di far vibrare la voce come aveva fatto Lucia poco prima: “Voglio sapere tutto.” dissi. “Tutto sulla tua fantasia. Niente censura.”
Lo vidi esitare per un secondo, ma poi l’alcol, la situazione, l’euforia della serata lo sciolsero completamente. Parlò. Raccontò cose che non avrei mai immaginato. Di come lo eccitasse il contrasto tra pelle e smalto scuro, di quanto amasse vedere le dita intrecciarsi o accarezzare la stoffa di un lenzuolo, di come certe caviglie magre lo mandassero fuori di testa più di un seno perfetto, faticava a dare un perché.
E mentre parlava, i suoi occhi tornavano costantemente ai piedi di Lucia, ancora nudi, appoggiati uno sopra l’altro sul letto. Io ero una miscela esplosiva di emozioni: gelosia, eccitazione, insicurezza, rabbia e un filo di speranza ostinata.
Lo stavo perdendo? O forse era tutto parte del piano?
Quando la stanza iniziò a svuotarsi, sapevo che il mio momento era arrivato. Non potevo aspettare ancora, non potevo lasciarmi risucchiare dalla mia paura di non essere all’altezza. Presi tutto il coraggio che avevo e dissi: “Che ne dite se continuiamo da noi? Io, tu e Lucia. Tanto siamo gli unici ancora svegli.”
Il cuore mi martellava nelle orecchie. Lucia, con la sua solita grazia da diavoletta, mi strinse forte il braccio e mi sussurrò all’orecchio: “Brava Emilia. Adesso è nostro. Adesso è tuo.”
Non sapevo dove mi avrebbe portato quella notte. Ma era la mia notte. E non l’avrei sprecata.
Ci spostammo in camera mia e di Lucia. Era il solito disastro, tra vestiti appallottolati e beauty case esplosi sul comodino. Per fortuna, avevo avuto la decenza di nascondere i miei perizomi nella valigia. Anche se, a questo punto, forse avrei dovuto preoccuparmi più dei calzini che della lingerie.
Non ci pensai troppo e con Lucia ci chiudemmo in bagno, lasciando Roberto a smanettare sul telefono. La scena era surreale: io e lei, gomito a gomito davanti allo specchio, mezze nude, io persa nei miei dubbi e lei che sembrava appena uscita da un videoclip di MTV anni 2000.
Indossavo solo l’intimo, quello che avevo scelto con tanta cura sperando potesse far impazzire Roberto. Un completino azzurro pastello, semplice ma audace al punto giusto. Peccato che ormai quella strada fosse una tangenziale chiusa per lavori in corso.
Mi guardai allo specchio, e la mia immagine mi sembrava quella di una comparsa nella serata di qualcun altro. Lucia, come se mi leggesse nella mente, si voltò verso di me con quell’aria da guru sexy che le veniva naturale. “Non ti manca niente, Emilia. Sei bellissima e sexy. Non pensare a quello che non hai fatto, pensa a quello che puoi ancora scoprire stasera.”
Fece una pausa, poi con una punta di dolcezza sincera aggiunse: “Mi dispiace che abbia scelto me… ma forse è meglio così. Cosa avresti fatto se l’avesse chiesto a te?”
Non lo sapevo. E nemmeno lei aspettava una risposta.
“Vedi? Meglio così. Adesso abbiamo il controllo. Segui il mio ritmo e fidati di me.” Con un’occhiata complice, estrasse da sotto il lavandino una bottiglia di vodka appiccicosa, residuo glorioso di una festa passata.
“Coraggio liquido. Ne abbiamo bisogno.”
Due shots a testa, una smorfia e una risata repressa, poi via: pigiama, maschera in faccia e calzini. Eccoci di nuovo fuori, pronte a torturare Roberto.
Ci infilammo nel letto, una a destra e una a sinistra, mentre lui ci guardava con quell’aria misto eccitata e terrorizzata. Ogni tanto il suo sguardo scivolava ai nostri piedi, e giurerei che una minuscola ombra di delusione gli attraversò il viso. Calzini. Ancora.
Partì il fuoco di fila di domande, un mix di confessionale e interrogatorio notturno. Domande sempre più esplicite, sempre più sfrontate, e Roberto rispondeva. Con quel suo equilibrio raro tra sincerità, ironia e rispetto. Niente volgarità gratuite. Solo verità sporche al punto giusto.
Si vedeva che stava cedendo, che si stava lasciando trascinare in quel gioco che non capiva bene ma gli piaceva da morire. A un certo punto ci avvisò, mezzo ridendo e mezzo serio: “Guardate che se andate avanti così, poi non vi potete lamentare se mi eccito.”
Lucia colse l’assist al volo. “Dai su, non fare il finto santo. Lo avevi duro anche prima, vero? Quando ti sei fissato con i miei piedi.” Lui rise, ma era il classico ridere di uno che è stato sgamato con le mani nella marmellata.
“Tranquillo, non ti prenderemo in giro. Quello che succede qua dentro resta qua dentro.” Lui annuì, serio. Ci credeva. E questo mi fece quasi tenerezza.
La vodka iniziava a scorrermi nelle vene, e io volevo sapere. “Senti, ma davvero eri eccitato prima?” “Sì.”
Risposta secca. Senza scuse. Mi faceva strano pensarlo duro mentre fissava i piedi di Lucia. Mi sembrava così intimo e bizzarro al tempo stesso. Ma chi ero io per giudicare? Quella sera mi stava insegnando più cose di quante ne avessi imparate in anni di limoni al buio.
Volevo scavare di più. “Ma cosa vuoi esattamente da una ragazza? Un footjob o cosa?” La sua risposta mi spiazzò.
“Complicità. Divertirsi insieme. Giocare senza tabù, ma senza volgarità. Scoprire cose nuove, insieme.” Dolce, tenero e comunque eccitato. Mi sciolse.
La tensione nella stanza diventava palpabile. Roberto si alzò, voleva andarsene per non creare imbarazzi peggiori, ma quando lo fece, un rigonfiamento inequivocabile spuntò tra i pantaloni della tuta.
Lucia si fece da parte, passandomi il testimone.
“E quindi? Ti toccherai prima di dormire?” Dopo un attimo di esitazione: “Probabile.”
Non ci disse a chi avrebbe pensato. A noi? Ai piedi di Lucia? A me che lo tormentavo di domande?
Lucia decise di forzare la mano. “Dai, dicci a cosa penserai, o meglio a chi. Diccelo così chiudi il cerchio di questa serata” Lui ci guardò, sorrise da sotto in su e disse: “Per chiudere il cerchio dovrei toccarmi qua con voi.”
Boom. Muro abbattuto. Era crollato il suo lato da bravo ragazzo. Era rimasto solo il desiderio nudo e crudo, condito da un pizzico di vergogna eccitante.
“Dovrei farlo mentre mi mostrate i piedi, insieme.”
Lucia mi guardò. Io guardai lei. Dopo un attimo che sembrò durare all’infinito in cui sembrava quasi che conversassimo con la mente “Lo faccio se lo fai anche tu.”
Sapevo che eravamo esattamente dove lei voleva portarci. Era questo il suo piano? O aveva improvvisato come sempre? Non importava. Niente sesso. Niente triangoli strani. Solo… gioco.
Mi fidavo. Mi fidavo da sempre. Avevo paura, sì. Paura di come mi avrebbe guardata Roberto dopo. Così lo feci promettere: “Non ci toccherai. Solo guardare. Solo quello che vogliamo mostrarti.”
Lui giurò. E i suoi occhi bruciavano.
Con un’ultima occhiata complice, io e Lucia iniziammo a sfilare lentamente i calzini. E nel farlo, scoprimmo non solo la pelle, ma anche una parte di noi che fino a quel momento avevamo nascosto.
Non sapevo dove ci avrebbe portato quella notte. Ma non volevo più scappare.
La scena era tutto e il contrario di tutto: sensuale, erotica e terribilmente strana. Un gioco che sembrava nato per scherzo, e invece ci aveva portato in un territorio senza mappe, dove nessuna di noi sapeva esattamente cosa fare o cosa aspettarsi.
Roberto ci guardava ipnotizzato, seduto sul bordo del letto con quello sguardo che accarezza la pelle anche senza toccare. Io e Lucia eravamo a piedi nudi. Una situazione che per la maggior parte delle persone era normale amministrazione, senza la minima connotazione erotica, ma per noi in quel momento era come se ci fossimo tolte il reggiseno per mostrare la parte più intima di noi.
Pelle contro aria. Le dita nude che emergono, la curva del collo del piede, l’unghia smaltata in modo disordinato. Una parte di me si chiedeva cosa ci fosse di così eccitante in quei movimenti così semplici, ma l’altra parte capiva perfettamente.
Ci sedemmo sul letto, le gambe intrecciate sotto di noi come quando si raccontano i segreti più proibiti, ma questa volta non c’erano segreti, solo desiderio sospeso. Roberto ci fissava, e nei suoi occhi c’era fame. Una fame diversa da quella che immaginavo: non voleva toccarci, voleva guardare e basta. Come se ogni millimetro di pelle scoperta fosse un trofeo.
I suoi pantaloni non nascondevano più nulla. Il tessuto teso raccontava la sua eccitazione in modo così evidente da lasciarmi senza parole. Non avevo mai avuto un effetto così concreto su qualcuno. Lucia era abituata a essere desiderata, io no.
E forse fu proprio questo a paralizzarci per qualche secondo, anche lei, per quanto sicura e disinvolta, sembrava non sapere quale fosse la prossima mossa. Fu Roberto a salvarci da quel silenzio troppo carico.
“Sdraiatevi pancia in giù.” La sua voce era più roca, più bassa. “Io faccio quello che devo, voi non siete obbligate a guardare.”
Ci sdraiammo vicine, le spalle che si sfioravano, le mani incastrate tra il cuscino e il materasso. Il cuore mi batteva così forte che temevo potesse sentirlo. Lucia ed io, complici e fragili, stavamo per condividere qualcosa di così nuovo e assurdo da non sembrare reale.
“Siamo ancora in tempo per fermarci.” La voce di Roberto era appena un soffio. “No, vai avanti. Siamo sicure.” Lucia non esitò nemmeno un secondo. Io trattenni il respiro.
Il suono fu inequivocabile. Tessuto che scivola sulla pelle, la cintura elastica che viene tirata verso il basso. Mi venne un brivido lungo la schiena immaginandolo nudo e con un’erezione, proprio dietro di noi.
Eppure mi sforzai di non voltarmi. Non volevo metterlo a disagio, non volevo guardare. O forse sì.
Poi il primo gemito. Sottile, trattenuto. Quasi un sospiro.
Il suono della sua mano in movimento era morbido e ritmico. Quel rumore riempì la stanza, e insieme a quel suono l’aria si saturò di qualcosa di vischioso e caldo, un’energia che non avevo mai respirato prima.
Non c’era sesso. Eppure era l’esperienza più erotica della mia vita.
Muovevo lentamente i piedi, sfiorando quelli di Lucia, come se il nostro legame passasse anche da lì. Pelle contro pelle, respiri che si sincronizzano, pensieri che si mescolano. Mi sentivo coraggiosa e fragile nello stesso momento. Come se stessi scoprendo una parte di me che non conoscevo.
“Siete una meraviglia…” Roberto quasi sussurrò, con la voce impastata di piacere. “Voglio godermi questo spettacolo il più a lungo possibile.”
Lucia non perse l’occasione. “Pensa che da quella posizione puoi goderti anche il nostro culo.” Sentii il suo sorriso mentre lo diceva, una risata bassa e complice.
Mi ricordai del mio intimo azzurro pastello, del modo in cui il tessuto leggero abbracciava il mio sedere, scoprendone i contorni. Per un attimo sperai che Roberto guardasse proprio me, non Lucia, non le sue unghie perfette o le sue movenze da esperta.
Ma lui restò concentrato sui piedi. I suoi gemiti aumentarono, il ritmo della sua mano accelerò.
C’era una strana dolcezza in tutto questo. Nessuna volgarità, nessuna forzatura. Solo desiderio puro, vissuto e condiviso.
“Cerca solo di non sporcare ovunque quando vieni.” Lucia scherzò, ma sotto la battuta c’era una tensione nuova, la consapevolezza che noi due lo avremmo portato all’orgasmo.
“Potrei venire sui vostri piedi…” La frase scappò a Roberto come un riflesso. Era sincero, spontaneo, quasi innocente nella sua sfrontatezza.
“No.” Rispondemmo quasi all’unisono, eppure dentro di me qualcosa tremò.
Non perché lo volessi davvero, ma perché quel confine così sottile tra ciò che si fa e ciò che si immagina era diventato invisibile. E mi eccitava.
I suoi gemiti diventarono più profondi, più irregolari. E poi il silenzio spezzato dal respiro che si ferma un attimo prima dell’esplosione.
Non riuscii a trattenermi. Mi voltai appena, quanto bastava per vedere la sua mano serrata intorno a sé, il suo pene teso e pulsante, il suo corpo che tremava nell’orgasmo.
Fu uno sguardo rubato, il mio primo vero sguardo sulla nudità maschile. E mi lasciò senza fiato.
Tra le mie gambe il calore era quasi fastidioso, un bisogno muto e pungente. Pregai che il tessuto sottile del mio perizoma fosse sufficiente a nascondere ogni traccia di quell’eccitazione.
Ma forse, proprio quel segreto umido e nascosto, era la parte più eccitante di tutta questa notte.
Roberto tornò nella sua stanza, lasciandoci sole con la pelle ancora calda e i pensieri che si inseguivano veloci. Lucia mi guardava, con quell’aria sorniona di chi ne ha viste tante, ma non si stanca mai di scoprirne di nuove. Nei suoi occhi c’era divertimento e curiosità, come se volesse leggermi dentro senza bisogno di parole.
Sapeva. Capiva perfettamente cosa stavo provando e come mi sentivo. E io non avevo nessuna voglia di nasconderlo.
“Sei bagnata?” La sua voce era un sussurro, un pizzico di malizia, ma nessun giudizio.
“Sì…” ammetterlo mi scaldò ancora di più, come se la voce rendesse reale quello che il corpo gridava già da minuti. “Potrei seguire l’esempio di Roberto.”
Risi piano, ma la risata morì subito. L’occhio mi cadde sul pavimento, vicino alla poltrona. Sulla moquette della camera c’era una macchia di bagnato, una goccia sfuggita ai fazzoletti che Roberto aveva preparato in fretta e furia, una piccola traccia del suo piacere.
Sperma. Il suo sperma.
La vista mi colpì come un pugno nello stomaco e un bacio sulla bocca allo stesso tempo. Era reale. Non era fantasia, non era un gioco. Era successo davvero. E lui era venuto per noi.
O forse per me.
Quel pensiero mi accese come benzina sul fuoco. Tra le gambe ero un lago caldo e segreto. Ogni centimetro di pelle ricordava i suoi occhi fissi su di noi, il suo respiro trattenuto, la sua voce rotta dal piacere.
Lucia non aveva ancora finito di sorprendermi. Mi prese il telefono con una naturalezza che mi disarmò e digitò qualcosa senza lasciarmi il tempo di fermarla.
Messaggio inviato a Roberto: “Mi dispiace solo non aver potuto aiutare di più ;)”
Mi prese il fiato. Non sapevo se volevo nascondermi sotto il letto o ridere forte. Lucia era così. Diretta, spregiudicata, libera. Ed era proprio la sua libertà a piacermi così tanto.
Il dado era tratto. Non c’era modo di tornare indietro. O andava benissimo, o malissimo.
Non lo sapevo e in quel momento non importava.
Mi alzai senza dire nulla, sfilai le mutandine che ormai aderivano alla pelle come una seconda pelle bagnata. Azzurro pastello, scuro al centro. Le lasciai cadere a terra, come un pezzo di quella vecchia Emilia che stava lasciando spazio a qualcosa di nuovo.
Mi infilai nel letto, la pelle fresca sulle lenzuola tiepide. La stanza odorava ancora di tutto quello che era successo: eccitazione, pelle, desiderio non consumato.
Chiusi gli occhi. La mano scese piano, quasi con timore, come se volessi accarezzare il ricordo prima ancora del mio corpo.
E ripensai. A Roberto che ci guarda. A me che muovevo i piedi, sapendo che ogni mio movimento lo eccitava. Al suo gemito soffocato. Alla sua nudità sbirciata di nascosto.
La mia mano si mosse da sola, come se seguisse quei ricordi invece che la mia volontà. E la voce di Lucia mi tornò in mente: “Sei bagnata?”
Sì, lo ero ancora. E non avrei smesso di esserlo tanto presto.
Sia io che lei eravamo felicemente single, ma per motivi molto diversi. Lucia adorava la sua libertà, e soprattutto adorava collezionare esperienze, anche se ci teneva a specificare ogni volta: “Non con i nostri compagni di classe, grazie”. Io, invece, ero single perché semplicemente non mi sentivo pronta per niente di serio. O almeno, così credevo, finché non ho iniziato a guardare Roberto con occhi diversi.
Roberto era il classico ragazzo che a prima vista non ti colpisce. Timido, riservato, sempre un po’ nell’ombra. Ma proprio quella sua gentilezza silenziosa, quel modo di trattarmi con delicatezza, senza mai sembrare in cerca di qualcosa, mi aveva stregata. Non sapevo se potessi piacergli, ma a me iniziava a piacere parecchio. Di lui mi attirava proprio quel suo essere impacciato e misterioso. In un mondo pieno di ragazzi che ti mettono le mani addosso alla prima occasione, Roberto sembrava uno che se ti sfiorava il braccio si scusava per mezz’ora. Insomma, un unicorno.
Io e Lucia decidemmo che Parigi poteva essere il terreno di gioco perfetto per far succedere qualcosa. Non necessariamente qualcosa di clamorosamente erotico — anche se, diciamocelo, un pensierino ce l’avevo fatto — ma almeno un avvicinamento, una crepa nel muro della nostra timidezza. E poi, in tutta onestà, io con i ragazzi ero ferma alla modalità demo: qualche bacio, due o tre toccatine molto poco caste e il mio migliore amico, il doccino, che da anni faceva gli straordinari.
Lucia, con la sua filosofia da "scoprire l’Europa palmo a palmo", mi aveva preparata a ogni evenienza: dal bacio rubato sotto la Tour Eiffel, fino a una fuga strategica dalla camera per lasciarmi sola con Roberto. “Tu devi solo essere disponibile, il resto verrà da sé”, diceva lei con la sicurezza di una che a 18 anni aveva già visto più lenzuola sfatte di una cameriera d’hotel. Io ridevo, ma dentro sentivo quel misto di paura e curiosità che ti prende la prima volta che decidi di giocare davvero.
A Parigi, tra una visita al Louvre e una crepe al cioccolato, il mio obiettivo era chiaro: scoprire se sotto quei maglioni informi e quel sorriso timido si nascondeva qualcosa di più interessante. E magari, tra un "Oops, ho perso il gruppo" e un "Vuoi vedere la mia camera?", aprire finalmente quel famoso nuovo capitolo della mia vita.
La gita procedeva esattamente come ci si aspettava: noia mortale di giorno, casino senza controllo di notte. Le professoresse fingevano di avere tutto sotto controllo, ma la verità era che ormai ci avevano rinunciato, limitandosi a contare i superstiti ogni mattina. L’alcol scorreva come se fossimo a un festival estivo e la voglia di trasgredire era praticamente una compagna di classe in più.
L’unica cosa che mancava? Roberto. O meglio, mancava qualsiasi forma di interazione sensata tra me e lui. Sembrava quasi immune ai miei goffi tentativi di attirare la sua attenzione. Avevo provato tutto: sorrisi ammiccanti (che probabilmente sembravano smorfie da crampi addominali), risatine eccessive alle sue battute (pure quelle involontarie).
L’unico premio di consolazione furono alcuni sguardi rubati — quei secondi fugaci in cui ci si incrocia e nessuno sa bene cosa fare, quindi si distoglie lo sguardo con la stessa velocità con cui si cancella la cronologia dopo una sessione un po’ spinta sul telefono.
Eppure, con Lucia avevamo studiato ogni dettaglio, ogni mossa, ogni battuta ad effetto. Avevamo persino testato una camminata “casualmente sensuale” nel corridoio dell’hotel, ma l’unico risultato fu una mezza storta alla caviglia e un addetto alle pulizie che mi fece l’occhiolino. Roberto, invece, niente. Come se fosse in modalità aereo.
Io, che non sono certo il tipo da mollare al primo giro di boa, iniziavo però a sentirmi demoralizzata. Lucia, per fortuna, non conosceva la parola resa. “Tesoro mio, se non viene a te, saremo noi ad andare da lui. E questa sera dopo Versailles ci inventiamo qualcosa che manco nei film erotici francesi”
E così passammo ore a elaborare un piano che fosse allo stesso tempo audace e non troppo disperato. Qualcosa che portasse me e Roberto da soli, lontani dagli occhi (e dalle voci) dei compagni. Non volevo saltargli addosso come una mantide religiosa, certo, ma un contatto fisico, anche solo una mano sfiorata, una ginocchiata "accidentale" sotto il tavolo, qualcosa che rompesse quel muro di ghiaccio.
Perché, alla fine, la cosa che mi eccitava di più non era tanto l’idea di spogliarlo, quanto quella di vedere la sua reazione quando finalmente avremmo smesso di guardarci da lontano e iniziato a sfiorarci per davvero.
Parigi era la città dell’amore, no? E io, a quel punto, ero pronta a passare dalla teoria alla pratica.
L’armamentario che avevo infilato in valigia prima di partire era degno di una boutique di Victoria’s Secret in saldo: completi in pizzo, reggiseni push-up, perizomi di ogni colore, un campionario che avrebbe fatto vacillare anche il più devoto dei seminaristi.
Ora, sia chiaro: il mio obiettivo non era esattamente sfilare davanti a Roberto in lingerie, non subito almeno. Però, c’è da dire che indossare quei capi, anche sotto un innocente pigiama, mi regalava un boost di sicurezza da vera femme fatale. E poi, diciamocelo, se per caso Roberto fosse stato abbastanza curioso da lanciare uno sguardo indiscreto, io ero più che pronta a dargli qualcosa che valesse la pena guardare ed eventualmente tenere.
Appena rientrate in albergo dopo la cena, io e Lucia ci chiudemmo in camera per la selezione del look da battaglia. Lei, con la sua esperienza da consumata esploratrice di orizzonti maschili, approvò a pieni voti il mio guardaroba intimo e ci mettemmo a fare un vero e proprio inventario, degno di un’ispezione doganale.
“Tesoro, devi capire una cosa: tu hai un fisico della Madonna e non lo sai,” mi disse Lucia con quella spavalderia che le invidiavo da morire. In effetti, ero abbastanza magra, merito degli anni di sport agonistico e delle infinite corse dietro ai pullman la mattina. Il seno? Niente di epico, una seconda discreta e onesta. Ma il mio vero punto forte era il lato B: sodo, tondo, di quelli che se ti metti il leggings giusto o un paio di jeans ben aderenti, fai girare anche il prof del corso di storia.
E infatti, tutta la mia collezione di intimo puntava proprio lì: microscopici perizomi, il genere di indumento che paghi come un capo di alta moda, ma che contiene meno stoffa di un centrino. Per quella sera speciale scelsi un perizoma azzurro pastello, con il reggiseno coordinato, anche se per un attimo accarezzai l’idea di uscire senza reggiseno, giusto per far respirare la situazione.
Completai il tutto con un trucco leggero, che esaltasse gli occhi senza sembrare appena scappata da un tutorial di Instagram, e infilai una semplicissima t-shirt bianca, strategicamente corta, e un paio di pantaloncini morbidi da pigiama. Il classico look “non mi sono impegnata, sono così per natura”, che nascondeva però ore di studio davanti allo specchio e almeno tre sfilate in camera sotto lo sguardo critico di Lucia.
Sexy sì, ma anche comoda. Perché la seduzione, almeno per me, parte prima di tutto dallo stare bene nei miei vestiti — o nel mio intimo. E poi, si sa, le cose più eccitanti sono quelle che si intravedono, non quelle che si vedono subito.
Ora restava solo una cosa da capire: Roberto avrebbe finalmente alzato lo sguardo dal pavimento? O avrei dovuto accidentalmente inciampare addosso a lui per fargli notare l’outfit della serata?
Alla fine della gita mancavano ancora un paio di sere, ma ormai era chiaro: il terreno andava sondato subito, così avrei avuto qualche chance di andare a segno prima di tornare a casa e rimettere la testa sui libri per l’imminente maturità. Non volevo tornare nella mia cameretta da brava studentessa modello senza almeno un ricordo da portarmi dietro, magari qualcosa che mi facesse arrossire ogni volta che lo avrei ripensato.
Quella sera, la comitiva si era data appuntamento proprio in camera di Roberto. Un colpo di fortuna o uno scherzo del destino? Non mi importava, era la mia occasione. Certo, non saremmo stati soli – la stanza pullulava di compagni, qualche infiltrato dell’altra classe e pure quell’odore misto di deodorante al cocco e calzini da escursione che ormai era diventato la firma olfattiva della gita – ma non importava nemmeno questo. Dovevo giocarmela bene.
Le premesse erano ottime: l’alcol scorreva come la Senna e grazie a un professore che, a quel punto del viaggio, probabilmente aveva già rinunciato a mantenere un minimo di disciplina, eravamo riusciti persino a ordinare un po’ di vino scadente a cena. E vogliamo non bere vino, in Francia? Che poi, con la cucina terrificante che ci rifilavano, serviva almeno un bicchiere per buttar giù il tutto senza pensare troppo.
La serata si era avvitata in quella tipica spirale da gita scolastica senza controllo: vodka calda, RedBull senza ghiaccio e cocktail dal colore inquietante che sapevano di dentifricio andato a male. Il tutto condito da urla, musica trash e gente che iniziava a rivelare segreti di cui si sarebbe pentita il giorno dopo.
Fu proprio in questo clima da apocalisse ormonale che qualcuno ebbe la geniale idea di lanciare il gioco più pericoloso di sempre: verità o pegno. Una roulette russa sociale in cui, se andava bene, facevi una figura da regina. Se andava male, finivi a leccare un comodino o a dichiarare dettagli imbarazzanti della tua vita sessuale – vera o immaginaria.
Per me, era un’opportunità travestita da trappola. Potevo sfruttarla per mettermi sotto i riflettori di Roberto, oppure fare la figura della verginella dell’oratorio. Il mio cuore diceva di lanciarmi, ma il mio cervello – e il mio tasso alcolico – consigliavano prudenza. Lucia, ovviamente, non aveva dubbi: il suo sguardo da allenatrice di sesso estremo era chiarissimo. Non potevo deluderla.
Quando toccò a me, con la voce che tremava e il sorriso da finta disinvolta, scelsi: “Verità.”
E mi arrivò addosso la domanda che nessuna ragazza vuole sentirsi fare davanti a mezza scuola: “Qual è stata l’ultima persona a cui hai mandato una foto nuda?”
Sentii il cuore inciampare. Primo problema: non l’avevo mai fatto. Non per moralismo, solo perché nessuno aveva conquistato la fiducia per un tale gesto da parte mia. Secondo problema: dire la verità significava ammettere che, sotto sotto, ero più brava ragazza di quanto volessi far credere. E c’era Roberto che mi guardava. Potevo giocarmela da esperta o restare fedele a me stessa?
Scelsi la sincerità, sperando di non sembrare una suora appena uscita dal convento. “Nessuno.”
Boom. Esplosione di risate e battutine, qualcuno della classe accanto si mise persino a fare il segno della croce, come se fossi la patrona delle sante immacolate. Io ridevo, ma dentro rosicavo. Non perché mi importasse di loro, ma perché volevo capire la reazione di Roberto.
E lui? Zero espressione. Mi fissava, ma con quel suo sguardo che non diceva niente e diceva tutto. Lo avrei volentieri preso a testate o a baci, a seconda dell’umore del momento.
Per fortuna, Lucia – la mia santa protettrice della sensualità – calò il suo asso da regina del trash: “Siete solo gelosi perché non ne ha mandate a voi!”
Scoppiarono tutti a ridere e la tensione si sciolse. Io lanciai a Lucia uno sguardo che era un misto di amore eterno e voglia di strozzarla, perché sapevo che ormai la mia reputazione era segnata: brava ragazza con il perizoma da peccatrice.
Il gioco proseguì, la vodka continuava a fluire e io, con ogni sorso, sentivo il coraggio farsi largo tra le mie insicurezze. Se volevo che Roberto capisse che sotto la mia maglietta innocente batteva un cuore pronto all’esplorazione, dovevo agire. E in fretta.
Avevo ancora addosso quel completino azzurro pastello, il mio amuleto della seduzione da principiante. Non che lo avrei mostrato apertamente (anche se l’idea mi elettrizzava più del previsto), ma sapere che sotto i pantaloncini morbidi e la t-shirt innocente si nascondeva una bomba a orologeria di pizzi e malizia mi dava quella sicurezza che di solito mi mancava.
Prima che la serata finisse, avrei trovato una scusa – qualsiasi scusa – per rimanere sola con Roberto. Anche solo cinque minuti in corridoio, davanti alla macchinetta delle bibite, con un pretesto ridicolo tipo “mi accompagni a prendere l’acqua?”. Bastava uno spiraglio, un’occasione, e avrei trovato il modo di fargli capire che io, Emilia-la-brava-ragazza, avevo una gran voglia di scoprire se sotto la sua timidezza c’era qualcosa di interessante da scartare.
Dopo tutto, avevamo ancora tre notti a Parigi. E io non avevo nessuna intenzione di tornare a casa senza un souvenir degno di nota.
La ringraziai con un sorriso e, cercando di non sembrare troppo ansiosa, mi misi in attesa del turno di Roberto. Volevo vedere cosa avrebbe scelto, ma soprattutto cosa avrebbe rivelato. Ormai ero a metà tra curiosità morbosa e voglia di scoprire qualcosa che potesse avvicinarmi a lui. Magari confessava di avere una cotta segreta proprio per me e il gioco sarebbe finito tra gli applausi, i baci e le invidie di mezza classe. Ok, forse stavo fantasticando un po’ troppo.
Tempo cinque minuti e la sua voce risuonò nella stanza. Quel tono basso e un po’ impacciato che mi faceva sciogliere come burro sul pane caldo. “Verità.”
Tutti in coro a urlare domande assurde, dalla classica “con chi lo hai fatto la prima volta?” fino a cose decisamente borderline da denuncia. Alla fine ne scelsero una apparentemente innocente: “Qual è la tua fantasia più nascosta?”
Lo vidi arrossire fino alle orecchie, mentre le sue dita tormentavano il bordo della felpa. Io trattenevo il fiato, quasi pregando che dicesse qualcosa di romantico o vagamente sexy che mi lasciasse spiragli. Magari qualcosa di cinematografico, tipo “fare l’amore sotto la Torre Eiffel” o “una doccia bollente in due dopo una corsa sotto la pioggia”.
E invece, dopo un’esitazione infinita, sgancia la bomba: “Mi piacciono… i piedi.”
La stanza esplose. Risate, urletti, battutine imbarazzanti, uno addirittura cadde dal letto per quanto rideva. Io rimasi di sasso. Il mio cuore fece una frenata da Formula 1 e, per qualche secondo, il mio cervello andò in crash totale.
I piedi?!? Di tutte le cose possibili, i piedi.
Cioè, io mi ero fatta l’intero catalogo Victoria’s Secret, mi ero allenata per settimane a mettere in risalto il mio lato B, avevo scelto il perizoma perfetto e ora scoprivo che la mia crush segreta aveva la fissa per qualcosa che manco consideravo sexy? E adesso che faccio? Mi metto lo smalto glitterato sulle unghie dei piedi? Mi presento in camera sua con un paio di infradito fosforescenti? O gli faccio trovare una foto artistica delle mie dita dei piedi accanto alla Torre Eiffel?
Lucia, ovviamente, stava già ridendo sotto i baffi. Mi lanciò quello sguardo da mente criminale, lo stesso che precedeva ogni suo piano geniale (o potenzialmente disastroso), e mi fece segno di seguirla in bagno. Classico pit-stop tra amiche, ufficialmente per rifarci il trucco, in realtà per una riunione di emergenza a porte chiuse.
Appena la porta si chiuse alle nostre spalle, Lucia mi squadrò con quel suo sorrisetto da strega buona: “Siamo a cavallo, Emilia.”
“A cavallo?! Ma l’hai sentito cosa ha detto? I piedi, Lucia. Non le gambe, non il seno, non il sedere… i piedi! Io coi piedi non ci so fare niente, al massimo ci cammino!”
Lucia scoppiò a ridere e mi prese per le spalle: “Tesoro, rilassati. È perfetto. Devi solo seguire il mio gioco e tenerti pronta a… giocare.”
“Giocare come?” chiesi, già preoccupata. Con Lucia la fantasia non aveva limiti e l’ultima cosa che volevo era ritrovarmi a leccargli l’alluce davanti a tutti.
“Lo capirai al momento giusto, fidati. Solo una domanda: ti fa proprio schifo sta cosa dei piedi?”
Ci pensai un attimo. In fondo, schifo no. Non era neanche lontanamente nei miei pensieri, ma Roberto era Roberto. Se a lui piacevano i piedi, beh… potevo scoprire se mi piaceva l’idea di piacergli in quel modo.
“Non mi fa schifo… è solo strano.”
“Perfetto.” Lucia batté le mani, soddisfatta. “Da qui in poi, lascia fare a me. Roberto sarà tuo prima di quanto pensi.”
Tornammo nella stanza, giusto in tempo per scoprire che Roberto era finito sotto interrogatorio. Tutti volevano dettagli: come, quando, perché. Sembrava di essere a un talk show di terza serata. Questo decretò anche la fine del gioco.
La mia sorpresa più grande fu scoprire quante ragazze presenti sapevano già tutto sull’argomento, come se fosse la cosa più normale del mondo. Tra tutorial su Facebook, ex fidanzati fissati e confessioni alcoliche, scoprii che i piedi erano il nuovo lato B. Lucia, ovviamente, si calò nel personaggio con la sua solita disinvoltura: “Anche il mio ex ne andava matto, faceva proprio parte del pacchetto!” dichiarò con un candore da Oscar.
Io la fissai a occhi spalancati. Ma quando mai?! A me aveva raccontato tutt’altro, e di piedi non si era mai parlato. Ma, come sempre, Lucia sapeva esattamente cosa stava facendo.
E proprio in quel momento, mi resi conto che ero entrata in un gioco molto più grande di me. E la cosa più assurda? Mi piaceva da morire.
La mia inesperienza, che fino a quel momento era stata solo una fastidiosa sensazione di fondo, adesso mi esplodeva addosso come un riflettore puntato dritto sulla mia goffaggine. Ero seduta accanto a Lucia, e davanti a me c’era Roberto, quello che da mesi abitava i miei sogni e le mie fantasie più confuse, e invece di guardare me, guardava… i piedi.
I piedi.
Cioè, voglio dire: io mi ero fatta mille paranoie su pancia piatta, reggiseni push-up, mosse da femme fatale mai provate, e poi scopro che il suo punto debole sono un paio di caviglie e dieci dita dipinte?
Restammo in pochi: un piccolo gruppo di superstiti pigiati sul letto, divisi tra chi guardava distrattamente la tv e chi si dedicava a un banale gioco di carte. Banale fino all’intervento provvidenziale di Lucia, che propose di rendere tutto più interessante mettendo in palio premi personalizzati per chi vinceva.
La prima a vincere fu Annalisa, che con una mossa da manuale si aggiudicò Andrea, la sua cotta storica, come schiavo personale per il resto della serata. Lo trascinò fuori dalla stanza tra le risate e le battute maliziose di tutti. Guardai la scena con un misto di invidia e ammirazione. Quanto era stata furba e spregiudicata Annalisa! Sognavo di fare la stessa mossa con Roberto, ma c’era un piccolo problema: ero una frana totale a carte. E infatti persi miseramente ogni singola mano.
Poi successe qualcosa che riaccese le mie speranze. Vinse Roberto. Il cuore mi fece un balzo. Era la mia occasione. Lo fissai, sperando in un cenno, un segnale qualsiasi che indicasse che stava pensando a me. Ovviamente, nulla. Anzi, fu subito sommerso da una valanga di prese in giro e suggerimenti spinti, urlati da tutti. C’era chi lo incitava a chiedere un bacio, chi lo spingeva a fare richieste assurde al limite del proibito. L’atmosfera stava diventando incandescente, come se l’alcol avesse sciolto ogni freno inibitore rimasto.
Dopo lunghi minuti di esitazione, vidi un guizzo nei suoi occhi. Un luccichio pericoloso che mi fece rabbrividire e fremere allo stesso tempo. Mi feci coraggio e gli chiesi, cercando di sembrare disinvolta: “Quindi? Cosa vuoi?”
Il tono mi uscì troppo duro. Troppo sfidante. Provai a correggere con un sorriso malizioso, ma ormai era andata.
Lui mi fissò. Uno sguardo penetrante, indecifrabile, mi attraversò come un raggio X. Arrossii, abbassai lo sguardo. E poi, il colpo di scena: si voltò verso Lucia e disse, con quella spavalderia da ubriaco che non gli avevo mai visto: “Fammi vedere i piedi, Lucia. Lo hai già fatto con il tuo ex giusto? voglio un footstrip come si deve.”
Mi crollò il mondo addosso.
Mi ero preparata per tutto: battute, baci a sorpresa, persino una dichiarazione ubriaca. Ma questo no. Lucia. Ancora lei. Scelta al posto mio. Lucia, più audace, più esperta, più sicura. Più tutto.
Non gliene facevo una colpa, sapevo che era tutto parte di un piano più grande, uno di quei piani machiavellici che solo lei sapeva orchestrare. Eppure… bruciava.
Non sapevo se ridere o piangere. Per fortuna, Lucia sapeva cosa fare. Con quell’aria da attrice navigata, capace di oscillare tra il candore di una ragazzina e la spudoratezza di una femme fatale nel giro di mezzo secondo, si tolse il primo calzino.
Lo fece lentamente, giocando con l’elastico, facendolo scorrere sulla pelle come fosse seta preziosa. Il calzino rotolò giù e il piede emerse: piccolo, perfetto, con le unghie curate e lo smalto rosso scuro che sembrava studiato apposta per quella sera.
Roberto non respirava più.
Lo guardai di sbieco. Aveva lo sguardo di uno che ha trovato il Santo Graal in fondo a una ciabatta. Gli occhi gli brillavano, come se ogni centimetro di pelle nuda che compariva fosse una rivelazione mistica.
Lucia lo sapeva. E giocava sporco.
Si tolse l’altro calzino, stavolta con un gesto più teatrale, lanciandolo direttamente addosso a Roberto. Lui lo prese al volo, lo studiò e lo lasciò cadere sul letto.
Io ero invisibile.
Mi guardai i piedi infilati in un paio di calzini bianchi anonimi e pensai: “Bene Emilia, la tua vita erotica è ufficialmente finita prima di iniziare.” I piedi di Lucia sembravano protagonisti di uno spot pubblicitario, perfetti, luminosi, mentre i miei… boh, sembravano dei piedi, dei semplicissimi strumenti per camminare.
Ma non potevo arrendermi. Lucia mi lanciò uno sguardo fulmineo mentre accavallava le gambe, mettendo in bella mostra la caviglia perfetta. In quello sguardo c’era scritto: “Guarda e impara, Emilia. Guarda e prendi appunti.”
Roberto, intanto, era sempre più ipnotizzato. Gli brillavano gli occhi come a un bambino davanti alla vetrina dei giocattoli. E io, da spettatrice non pagante, oscillavo tra l’eccitazione di trovarmi in una scena da film e la disperazione di essere quella senza battute.
Lucia sfiorò il proprio piede con le dita, giocandoci, come se accarezzarlo fosse la cosa più normale del mondo. Poi lo avvicinò a Roberto, abbastanza da sfiorarlo, ma senza toccarlo. Lui, senza dire una parola, cercò di accarezzarlo con una mano, ma Lucia fu più veloce a toglierlo lasciando Roberto letteralmente a mani vuote. "Peccato che tu non abbia chiesto di più... chissà cosa avresti potuto ottenere." Io morivo dentro.
E insieme alla gelosia, sentivo qualcos’altro. Qualcosa che non volevo ammettere. Era eccitante. Vedere Roberto così, fuori controllo, stregato da qualcosa di così assurdo e innocente, mi accendeva più di quanto volessi ammettere.
“Emilia, Camilla, niente contro di voi ovviamente! Ho fatto una scelta a caso…” disse all’improvviso, cercando di buttarla sul ridere. “…ma siete le benvenute se volete unirvi a Lucia.”
Cretino. Idiota. Mi hai ignorata tutta la sera e ora mi vuoi in un ménage à trois di piedi?
Io e Camilla ci guardammo. Risposta sincronizzata: “Ma vai a cagare, Roberto.”
Però dentro di me… dentro di me qualcosa stava cambiando.
Lucia era la mia maestra, l’unica che poteva salvarmi dalla mia goffaggine congenita. Se dovevo giocarmela, dovevo farlo adesso.
Quando inaspettatamente vinsi, Lucia mi lanciò uno sguardo complice. Era stata lei, lo sapevo. Mi aveva aiutata, quasi sicuramente in modo illecito. Ma stavolta non avrei sprecato l’occasione.
Mi voltai verso Roberto, cercando di far vibrare la voce come aveva fatto Lucia poco prima: “Voglio sapere tutto.” dissi. “Tutto sulla tua fantasia. Niente censura.”
Lo vidi esitare per un secondo, ma poi l’alcol, la situazione, l’euforia della serata lo sciolsero completamente. Parlò. Raccontò cose che non avrei mai immaginato. Di come lo eccitasse il contrasto tra pelle e smalto scuro, di quanto amasse vedere le dita intrecciarsi o accarezzare la stoffa di un lenzuolo, di come certe caviglie magre lo mandassero fuori di testa più di un seno perfetto, faticava a dare un perché.
E mentre parlava, i suoi occhi tornavano costantemente ai piedi di Lucia, ancora nudi, appoggiati uno sopra l’altro sul letto. Io ero una miscela esplosiva di emozioni: gelosia, eccitazione, insicurezza, rabbia e un filo di speranza ostinata.
Lo stavo perdendo? O forse era tutto parte del piano?
Quando la stanza iniziò a svuotarsi, sapevo che il mio momento era arrivato. Non potevo aspettare ancora, non potevo lasciarmi risucchiare dalla mia paura di non essere all’altezza. Presi tutto il coraggio che avevo e dissi: “Che ne dite se continuiamo da noi? Io, tu e Lucia. Tanto siamo gli unici ancora svegli.”
Il cuore mi martellava nelle orecchie. Lucia, con la sua solita grazia da diavoletta, mi strinse forte il braccio e mi sussurrò all’orecchio: “Brava Emilia. Adesso è nostro. Adesso è tuo.”
Non sapevo dove mi avrebbe portato quella notte. Ma era la mia notte. E non l’avrei sprecata.
Ci spostammo in camera mia e di Lucia. Era il solito disastro, tra vestiti appallottolati e beauty case esplosi sul comodino. Per fortuna, avevo avuto la decenza di nascondere i miei perizomi nella valigia. Anche se, a questo punto, forse avrei dovuto preoccuparmi più dei calzini che della lingerie.
Non ci pensai troppo e con Lucia ci chiudemmo in bagno, lasciando Roberto a smanettare sul telefono. La scena era surreale: io e lei, gomito a gomito davanti allo specchio, mezze nude, io persa nei miei dubbi e lei che sembrava appena uscita da un videoclip di MTV anni 2000.
Indossavo solo l’intimo, quello che avevo scelto con tanta cura sperando potesse far impazzire Roberto. Un completino azzurro pastello, semplice ma audace al punto giusto. Peccato che ormai quella strada fosse una tangenziale chiusa per lavori in corso.
Mi guardai allo specchio, e la mia immagine mi sembrava quella di una comparsa nella serata di qualcun altro. Lucia, come se mi leggesse nella mente, si voltò verso di me con quell’aria da guru sexy che le veniva naturale. “Non ti manca niente, Emilia. Sei bellissima e sexy. Non pensare a quello che non hai fatto, pensa a quello che puoi ancora scoprire stasera.”
Fece una pausa, poi con una punta di dolcezza sincera aggiunse: “Mi dispiace che abbia scelto me… ma forse è meglio così. Cosa avresti fatto se l’avesse chiesto a te?”
Non lo sapevo. E nemmeno lei aspettava una risposta.
“Vedi? Meglio così. Adesso abbiamo il controllo. Segui il mio ritmo e fidati di me.” Con un’occhiata complice, estrasse da sotto il lavandino una bottiglia di vodka appiccicosa, residuo glorioso di una festa passata.
“Coraggio liquido. Ne abbiamo bisogno.”
Due shots a testa, una smorfia e una risata repressa, poi via: pigiama, maschera in faccia e calzini. Eccoci di nuovo fuori, pronte a torturare Roberto.
Ci infilammo nel letto, una a destra e una a sinistra, mentre lui ci guardava con quell’aria misto eccitata e terrorizzata. Ogni tanto il suo sguardo scivolava ai nostri piedi, e giurerei che una minuscola ombra di delusione gli attraversò il viso. Calzini. Ancora.
Partì il fuoco di fila di domande, un mix di confessionale e interrogatorio notturno. Domande sempre più esplicite, sempre più sfrontate, e Roberto rispondeva. Con quel suo equilibrio raro tra sincerità, ironia e rispetto. Niente volgarità gratuite. Solo verità sporche al punto giusto.
Si vedeva che stava cedendo, che si stava lasciando trascinare in quel gioco che non capiva bene ma gli piaceva da morire. A un certo punto ci avvisò, mezzo ridendo e mezzo serio: “Guardate che se andate avanti così, poi non vi potete lamentare se mi eccito.”
Lucia colse l’assist al volo. “Dai su, non fare il finto santo. Lo avevi duro anche prima, vero? Quando ti sei fissato con i miei piedi.” Lui rise, ma era il classico ridere di uno che è stato sgamato con le mani nella marmellata.
“Tranquillo, non ti prenderemo in giro. Quello che succede qua dentro resta qua dentro.” Lui annuì, serio. Ci credeva. E questo mi fece quasi tenerezza.
La vodka iniziava a scorrermi nelle vene, e io volevo sapere. “Senti, ma davvero eri eccitato prima?” “Sì.”
Risposta secca. Senza scuse. Mi faceva strano pensarlo duro mentre fissava i piedi di Lucia. Mi sembrava così intimo e bizzarro al tempo stesso. Ma chi ero io per giudicare? Quella sera mi stava insegnando più cose di quante ne avessi imparate in anni di limoni al buio.
Volevo scavare di più. “Ma cosa vuoi esattamente da una ragazza? Un footjob o cosa?” La sua risposta mi spiazzò.
“Complicità. Divertirsi insieme. Giocare senza tabù, ma senza volgarità. Scoprire cose nuove, insieme.” Dolce, tenero e comunque eccitato. Mi sciolse.
La tensione nella stanza diventava palpabile. Roberto si alzò, voleva andarsene per non creare imbarazzi peggiori, ma quando lo fece, un rigonfiamento inequivocabile spuntò tra i pantaloni della tuta.
Lucia si fece da parte, passandomi il testimone.
“E quindi? Ti toccherai prima di dormire?” Dopo un attimo di esitazione: “Probabile.”
Non ci disse a chi avrebbe pensato. A noi? Ai piedi di Lucia? A me che lo tormentavo di domande?
Lucia decise di forzare la mano. “Dai, dicci a cosa penserai, o meglio a chi. Diccelo così chiudi il cerchio di questa serata” Lui ci guardò, sorrise da sotto in su e disse: “Per chiudere il cerchio dovrei toccarmi qua con voi.”
Boom. Muro abbattuto. Era crollato il suo lato da bravo ragazzo. Era rimasto solo il desiderio nudo e crudo, condito da un pizzico di vergogna eccitante.
“Dovrei farlo mentre mi mostrate i piedi, insieme.”
Lucia mi guardò. Io guardai lei. Dopo un attimo che sembrò durare all’infinito in cui sembrava quasi che conversassimo con la mente “Lo faccio se lo fai anche tu.”
Sapevo che eravamo esattamente dove lei voleva portarci. Era questo il suo piano? O aveva improvvisato come sempre? Non importava. Niente sesso. Niente triangoli strani. Solo… gioco.
Mi fidavo. Mi fidavo da sempre. Avevo paura, sì. Paura di come mi avrebbe guardata Roberto dopo. Così lo feci promettere: “Non ci toccherai. Solo guardare. Solo quello che vogliamo mostrarti.”
Lui giurò. E i suoi occhi bruciavano.
Con un’ultima occhiata complice, io e Lucia iniziammo a sfilare lentamente i calzini. E nel farlo, scoprimmo non solo la pelle, ma anche una parte di noi che fino a quel momento avevamo nascosto.
Non sapevo dove ci avrebbe portato quella notte. Ma non volevo più scappare.
La scena era tutto e il contrario di tutto: sensuale, erotica e terribilmente strana. Un gioco che sembrava nato per scherzo, e invece ci aveva portato in un territorio senza mappe, dove nessuna di noi sapeva esattamente cosa fare o cosa aspettarsi.
Roberto ci guardava ipnotizzato, seduto sul bordo del letto con quello sguardo che accarezza la pelle anche senza toccare. Io e Lucia eravamo a piedi nudi. Una situazione che per la maggior parte delle persone era normale amministrazione, senza la minima connotazione erotica, ma per noi in quel momento era come se ci fossimo tolte il reggiseno per mostrare la parte più intima di noi.
Pelle contro aria. Le dita nude che emergono, la curva del collo del piede, l’unghia smaltata in modo disordinato. Una parte di me si chiedeva cosa ci fosse di così eccitante in quei movimenti così semplici, ma l’altra parte capiva perfettamente.
Ci sedemmo sul letto, le gambe intrecciate sotto di noi come quando si raccontano i segreti più proibiti, ma questa volta non c’erano segreti, solo desiderio sospeso. Roberto ci fissava, e nei suoi occhi c’era fame. Una fame diversa da quella che immaginavo: non voleva toccarci, voleva guardare e basta. Come se ogni millimetro di pelle scoperta fosse un trofeo.
I suoi pantaloni non nascondevano più nulla. Il tessuto teso raccontava la sua eccitazione in modo così evidente da lasciarmi senza parole. Non avevo mai avuto un effetto così concreto su qualcuno. Lucia era abituata a essere desiderata, io no.
E forse fu proprio questo a paralizzarci per qualche secondo, anche lei, per quanto sicura e disinvolta, sembrava non sapere quale fosse la prossima mossa. Fu Roberto a salvarci da quel silenzio troppo carico.
“Sdraiatevi pancia in giù.” La sua voce era più roca, più bassa. “Io faccio quello che devo, voi non siete obbligate a guardare.”
Ci sdraiammo vicine, le spalle che si sfioravano, le mani incastrate tra il cuscino e il materasso. Il cuore mi batteva così forte che temevo potesse sentirlo. Lucia ed io, complici e fragili, stavamo per condividere qualcosa di così nuovo e assurdo da non sembrare reale.
“Siamo ancora in tempo per fermarci.” La voce di Roberto era appena un soffio. “No, vai avanti. Siamo sicure.” Lucia non esitò nemmeno un secondo. Io trattenni il respiro.
Il suono fu inequivocabile. Tessuto che scivola sulla pelle, la cintura elastica che viene tirata verso il basso. Mi venne un brivido lungo la schiena immaginandolo nudo e con un’erezione, proprio dietro di noi.
Eppure mi sforzai di non voltarmi. Non volevo metterlo a disagio, non volevo guardare. O forse sì.
Poi il primo gemito. Sottile, trattenuto. Quasi un sospiro.
Il suono della sua mano in movimento era morbido e ritmico. Quel rumore riempì la stanza, e insieme a quel suono l’aria si saturò di qualcosa di vischioso e caldo, un’energia che non avevo mai respirato prima.
Non c’era sesso. Eppure era l’esperienza più erotica della mia vita.
Muovevo lentamente i piedi, sfiorando quelli di Lucia, come se il nostro legame passasse anche da lì. Pelle contro pelle, respiri che si sincronizzano, pensieri che si mescolano. Mi sentivo coraggiosa e fragile nello stesso momento. Come se stessi scoprendo una parte di me che non conoscevo.
“Siete una meraviglia…” Roberto quasi sussurrò, con la voce impastata di piacere. “Voglio godermi questo spettacolo il più a lungo possibile.”
Lucia non perse l’occasione. “Pensa che da quella posizione puoi goderti anche il nostro culo.” Sentii il suo sorriso mentre lo diceva, una risata bassa e complice.
Mi ricordai del mio intimo azzurro pastello, del modo in cui il tessuto leggero abbracciava il mio sedere, scoprendone i contorni. Per un attimo sperai che Roberto guardasse proprio me, non Lucia, non le sue unghie perfette o le sue movenze da esperta.
Ma lui restò concentrato sui piedi. I suoi gemiti aumentarono, il ritmo della sua mano accelerò.
C’era una strana dolcezza in tutto questo. Nessuna volgarità, nessuna forzatura. Solo desiderio puro, vissuto e condiviso.
“Cerca solo di non sporcare ovunque quando vieni.” Lucia scherzò, ma sotto la battuta c’era una tensione nuova, la consapevolezza che noi due lo avremmo portato all’orgasmo.
“Potrei venire sui vostri piedi…” La frase scappò a Roberto come un riflesso. Era sincero, spontaneo, quasi innocente nella sua sfrontatezza.
“No.” Rispondemmo quasi all’unisono, eppure dentro di me qualcosa tremò.
Non perché lo volessi davvero, ma perché quel confine così sottile tra ciò che si fa e ciò che si immagina era diventato invisibile. E mi eccitava.
I suoi gemiti diventarono più profondi, più irregolari. E poi il silenzio spezzato dal respiro che si ferma un attimo prima dell’esplosione.
Non riuscii a trattenermi. Mi voltai appena, quanto bastava per vedere la sua mano serrata intorno a sé, il suo pene teso e pulsante, il suo corpo che tremava nell’orgasmo.
Fu uno sguardo rubato, il mio primo vero sguardo sulla nudità maschile. E mi lasciò senza fiato.
Tra le mie gambe il calore era quasi fastidioso, un bisogno muto e pungente. Pregai che il tessuto sottile del mio perizoma fosse sufficiente a nascondere ogni traccia di quell’eccitazione.
Ma forse, proprio quel segreto umido e nascosto, era la parte più eccitante di tutta questa notte.
Roberto tornò nella sua stanza, lasciandoci sole con la pelle ancora calda e i pensieri che si inseguivano veloci. Lucia mi guardava, con quell’aria sorniona di chi ne ha viste tante, ma non si stanca mai di scoprirne di nuove. Nei suoi occhi c’era divertimento e curiosità, come se volesse leggermi dentro senza bisogno di parole.
Sapeva. Capiva perfettamente cosa stavo provando e come mi sentivo. E io non avevo nessuna voglia di nasconderlo.
“Sei bagnata?” La sua voce era un sussurro, un pizzico di malizia, ma nessun giudizio.
“Sì…” ammetterlo mi scaldò ancora di più, come se la voce rendesse reale quello che il corpo gridava già da minuti. “Potrei seguire l’esempio di Roberto.”
Risi piano, ma la risata morì subito. L’occhio mi cadde sul pavimento, vicino alla poltrona. Sulla moquette della camera c’era una macchia di bagnato, una goccia sfuggita ai fazzoletti che Roberto aveva preparato in fretta e furia, una piccola traccia del suo piacere.
Sperma. Il suo sperma.
La vista mi colpì come un pugno nello stomaco e un bacio sulla bocca allo stesso tempo. Era reale. Non era fantasia, non era un gioco. Era successo davvero. E lui era venuto per noi.
O forse per me.
Quel pensiero mi accese come benzina sul fuoco. Tra le gambe ero un lago caldo e segreto. Ogni centimetro di pelle ricordava i suoi occhi fissi su di noi, il suo respiro trattenuto, la sua voce rotta dal piacere.
Lucia non aveva ancora finito di sorprendermi. Mi prese il telefono con una naturalezza che mi disarmò e digitò qualcosa senza lasciarmi il tempo di fermarla.
Messaggio inviato a Roberto: “Mi dispiace solo non aver potuto aiutare di più ;)”
Mi prese il fiato. Non sapevo se volevo nascondermi sotto il letto o ridere forte. Lucia era così. Diretta, spregiudicata, libera. Ed era proprio la sua libertà a piacermi così tanto.
Il dado era tratto. Non c’era modo di tornare indietro. O andava benissimo, o malissimo.
Non lo sapevo e in quel momento non importava.
Mi alzai senza dire nulla, sfilai le mutandine che ormai aderivano alla pelle come una seconda pelle bagnata. Azzurro pastello, scuro al centro. Le lasciai cadere a terra, come un pezzo di quella vecchia Emilia che stava lasciando spazio a qualcosa di nuovo.
Mi infilai nel letto, la pelle fresca sulle lenzuola tiepide. La stanza odorava ancora di tutto quello che era successo: eccitazione, pelle, desiderio non consumato.
Chiusi gli occhi. La mano scese piano, quasi con timore, come se volessi accarezzare il ricordo prima ancora del mio corpo.
E ripensai. A Roberto che ci guarda. A me che muovevo i piedi, sapendo che ogni mio movimento lo eccitava. Al suo gemito soffocato. Alla sua nudità sbirciata di nascosto.
La mia mano si mosse da sola, come se seguisse quei ricordi invece che la mia volontà. E la voce di Lucia mi tornò in mente: “Sei bagnata?”
Sì, lo ero ancora. E non avrei smesso di esserlo tanto presto.
3
2
voti
voti
valutazione
7.4
7.4
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto sucessivo
Le esperienze di Emilia 2
Commenti dei lettori al racconto erotico