Le esperienze di Emilia 2

di
genere
etero

La mattina dopo fu esattamente come me l’aspettavo: un gran mal di testa, gli occhi gonfi e quel senso di stordimento che solo la vodka sa lasciare in eredità.
Ma il vero caos era nella mia testa.
Le immagini della sera prima scorrevano a velocità alternata, come una vecchia videocassetta che va avanti e indietro senza controllo.
Ogni volta che ricordavo i suoi occhi fissi sui miei piedi, sentivo una scossa tra imbarazzo ed euforia, e subito dopo mi prendeva la paura, quella sottile lama di gelo che mi diceva:
“E se per lui fosse stato solo un gioco? Un diversivo da gita scolastica?”
Lucia dormiva accanto a me, il respiro regolare e sereno di chi vive la vita senza rimorsi. Io invece, occhi spalancati sul soffitto, sentivo quella specie di vuoto nello stomaco che non sapevo se fosse fame o ansia.
E poi c’era quel messaggio.
Quello che Lucia aveva scritto col mio telefono, buttandolo là come se fosse uno scherzo, ma che per me poteva cambiare tutto.
Mi sembrava di aver aperto una porta troppo grande, troppo in fretta, e ora non sapevo cosa ci fosse dall’altra parte.
“Emi, sei sveglia o dormi?”
La voce impastata di Lucia interruppe i miei pensieri.
Mi voltai verso di lei, con l’espressione di chi ha bisogno di una guida, ma ricevetti solo il suo solito sorrisetto da diavoletta.
“Stai pensando troppo. Sei proprio scema a non goderti il momento.”
“Non è così facile…”
“Sì che lo è. È semplice: hai la tua cotta storica che ieri si è toccato per te. Cos’altro ti serve per convincerti?”
“E se fosse solo un gioco? E se stasera gli passa e domani torna a sbavare dietro a qualche ragazza più facile di me?”
Lucia si sollevò sul gomito e mi guardò dritta negli occhi, stavolta senza sorriso.
“Ascoltami bene Emilia. Ho visto come ti guardava. Non era solo per i piedi, ok? Ti ha guardata come se fossi la cosa più bella della stanza. E non è uno che finge. Quindi, oggi lo incastri e ti prendi il tempo di cui hai bisogno, senza correre e senza sentirti in obbligo di fare nulla. Sei tu che decidi. Ok?”
Annuii, non completamente convinta, ma grata di averla al mio fianco.
E poi… arrivò la notifica.
Messaggio da Roberto.
Mi si fermò il cuore un secondo.
Aprii.
“Sarebbe piaciuto anche a me Emilia, un sacco. Invece mi sono arrangiato entrambe le volte.”
Entrambe le volte.
Si era toccato due volte.
Per me.
La prima fu durante quella scena assurda, quando i miei piedi e quelli di Lucia danzavano sotto i suoi occhi.
Ma la seconda?
Quando?
Dopo essere tornato in camera? Mentre pensava a noi? O solo a me?
E il modo in cui lo aveva scritto… senza filtri, senza giochi di parole, senza imbarazzo.
Era diretto, quasi tenero nella sua schiettezza.
E per la prima volta da quando era iniziata questa storia non ebbi paura.
Mi venne voglia di vederlo subito, di trovare un modo per stare sola con lui.
Anche senza fare nulla di speciale, solo per sentirlo vicino, scoprire quanto c’era di vero in quegli sguardi e in quelle parole.
Lucia, ovviamente, aveva già capito tutto prima ancora che aprissi bocca.
“Allora? Lo intrappoliamo stasera?”
“Sì, ma…”
“Niente sesso, lo so. E fidati, Roberto non è stupido. Lo hai visto ieri.”
“Lo so… è solo che… ho paura si stufi.”
Lucia scosse la testa con un sorriso dolce, quello che riserva solo a me.
“Non si stuferà, Emilia. Sai perché?”
“Perché?”
“Perché ieri guardava i tuoi piedi, sì. Ma guardava anche te. E quel tuo sculettò tondo, se proprio vogliamo dirla tutta.”
Risi.
Per la prima volta da quando mi ero svegliata, risi davvero.
E decisi che quella sera sarei stata io a guardarlo negli occhi e scoprire cosa ci vedeva davvero dentro.
La giornata scivolò via lenta e anonima, quasi un limbo sospeso tra quello che era successo e quello che sarebbe potuto succedere.
La mattina piovosa al Louvre fu una parentesi grigia, incorniciata dalle gocce che rigavano i vetri e dai miei pensieri che continuavano a tornare lì, alla notte prima.
Ogni volta che mi fermavo davanti a un quadro, vedevo riflesso il mio viso arrossato e il suo sguardo appiccicato ai miei piedi.
Il pomeriggio fu libero da attività, e ne approfittai per chiudermi in camera con Lucia, la mia consigliera ufficiale.
Parlammo a lungo di quella serata in arrivo, una “movie night” in camera di uno dei nostri compagni di classe. Un classico pretesto per stare tutti ammassati in letti e materassi improvvisati, a condividere film scelti a caso e risate cretine.
Ma io e Lucia sapevamo che il vero film era un altro.
Come separare me e Roberto dal gruppo, anche solo per un po’?
Non era facile, ma Lucia era un genio in certe cose, e trovò almeno tre scenari possibili, tutti più o meno al limite tra il brillante e il disperato.
“E se ci inventiamo che hai dimenticato le lenti in camera e lui si offre di accompagnarti?”
“Oppure gli fai la scena della caviglia storta scendendo dal letto e lui ti aiuta?”
“O, ancora più semplice, lo guardi negli occhi e gli dici ‘vieni con me’.”
“Come se fosse così semplice…”
“Lo è, Emilia. Se lo guardi come lo hai guardato ieri sera, ti segue anche in fondo al mondo.”
In tutto questo, io e Roberto non ci scambiammo nemmeno un messaggio.
Ma lo beccai un paio di volte a fissarmi, e quel suo sguardo non era difficile da decifrare.
Non guardava il mio viso, né il mio sorriso. Guardava più in basso.
Forse il mio culo nei leggings, ma più facilmente i piedi, stretti in ballerine bagnate dalla pioggia, piedi che ora conosceva quasi intimamente.
A cena il silenzio continuò, ma c’era qualcosa di nuovo nell’aria, una tensione morbida, sottile come una corrente elettrica che vibra sotto la pelle.
Finito di mangiare, io e Lucia filammo in camera.
Il possibile secondo incontro con Roberto esigeva un look indimenticabile, più di ieri.
Volevo che, se ci fosse stata anche solo una minuscola possibilità che lui mi vedesse senza vestiti, fosse uno spettacolo che gli restava dentro.
Optai per un completo total black, la versione più audace di me stessa.
Perizoma nero arricchito da brillantini microscopici, di quelli che catturano la luce e la fantasia di chi guarda.
Sopra, un reggiseno di pizzo nero, quasi trasparente, che faceva sembrare la mia modesta seconda più maliziosa di quanto fosse in realtà.
Lucia mi guardò e fischiò piano.
“Così non gli fai venire voglia di toccarsi, gli fai venire voglia di inginocchiarsi.”
Risi, ma sotto quella risata c’era un’agitazione che mi rimbalzava nello stomaco.
Mi sentivo sexy. Tanto. Forse troppo.
Non mi ero mai spinta così per nessuno.
Ma d’altronde non avevo mai offerto i miei piedi a qualcuno per farlo venire davanti a me.
Navigavo in un mare fatto di novità.
Ogni onda era una prima volta, ogni passo era un salto nel vuoto.
E la cosa più strana?
Mi piaceva.
Il momento arrivò, puntuale come quei treni che ti portano dritta dritta nei guai. Io e Lucia bussammo alla porta ed entrammo nella stanza. Roberto era già la che chiacchierava con alcuni suoi amici.
Ci salutò con un tono casuale, come se nulla fosse, ma io lo conoscevo già abbastanza da capire che, dietro quella calma apparente, la sua testa era in riunione plenaria con i suoi ormoni.
Nella stanza c’era una confusione infernale, gente ovunque, accatastati su letti e valigie come profughi di una gita scolastica.
Trovare un posto libero era un’impresa, quindi ci accampammo sulla poltrona, molto simile a quella poltrona. Quella che ieri notte aveva visto più azione di un materasso a luci rosse.
Non potevo non pensarci. E neanche Roberto, a giudicare da come mi guardò. Uno di quegli sguardi complici e imbarazzati che durano meno di un secondo, ma dicono tutto.
Mi sistemai con nonchalance, le gambe accavallate e i piedi che spuntavano dal pantalone morbido che avevo scelto per sembrare casuale.
Li mossi appena, in quel modo svogliato e distratto che in realtà è calcolato al millimetro.
Lui li fissava. Come una calamita.
Mi chiesi se fosse già duro e mi maledissi subito dopo per averlo pensato, ma era inutile: la mente andava da sola.
Lucia se ne accorse subito – ovviamente – e mi diede un colpetto con il gomito.
"Concentrati sul film, Emilia!”
Presi la bottiglietta di Coca (con dentro decisamente più vodka che cola), il nostro coraggio liquido, come lo chiamava sempre Lucia.
Brindai silenziosamente al caos in cui mi ero cacciata.
La serata era stranamente tranquilla, come se anche il nostro fegato avesse chiesto ferie dopo gli eccessi di ieri. Il film scorreva in sottofondo, più che altro come scusa per restare tutti ammassati nella stessa stanza. L’alcol c’era, ma dosato meglio e, soprattutto, senza retrogusto da benzina agricola.
I gruppetti si formavano spontaneamente, piccoli nuclei di sopravvissuti alla gita che si scambiavano gossip, confessioni o semplici lamentele sul cibo francese. Io e Lucia ci accodammo a una manciata di ragazze, tra cui Annalisa, che stava monopolizzando il discorso con una telecronaca erotica della serata di ieri con la sua cotta, Andrea. Raccontata con un livello di dettagli da referto medico.
Più Annalisa parlava, più io mi spegnevo. Il mio piano di avvicinamento a Roberto sembrava destinato a naufragare sotto una coltre di chiacchiere, sbadigli repressi e luci al neon da ostello. Anche Lucia, che di solito non molla mai l’osso, sembrava sul punto di issare bandiera bianca.
"Non so cosa fare, scusami."
"Non preoccuparti, non è serata. Va bene così."
Lo dicevo con la voce di chi si rassegna, ma dentro di me sentivo quella fitta fastidiosa di aspettative deluse. Ci saremmo ritirate in camera, avremmo commentato i pettegolezzi e sarei finita a guardare il soffitto chiedendomi perché mi fossi vestita da bomba sexy per niente.
Poi, successe una specie di miracolo laico.
Non stavo guardando Roberto – troppo orgoglio, troppa paura di leggere indifferenza nei suoi occhi. Ma lo sentivo, eccome se lo sentivo. Sentivo quello sguardo addosso. Come un alito caldo sul collo, una presenza invisibile che faceva ballare il cuore e stringere lo stomaco.
All’inizio pensai di essere paranoica. Poi Lucia, con la sua solita delicatezza da caterpillar, mi diede una gomitata e sussurrò:
"Ti sta guardando. Da un pezzo."
Non feci in tempo a formulare una reazione sensata che Roberto si alzò e iniziò ad avvicinarsi. Camminava verso di noi, verso di me.
Il mio viso passò dal bianco al rosso con una gamma cromatica degna di un tramonto tropicale.
Sentii il cuore martellarmi dentro la cassa toracica e una serie di pensieri sconnessi si accalcarono in fila come passeggeri all’imbarco:
Oddio arriva, cosa vuole dire, cosa gli dico, cosa faccio con le mani, perché non ho imparato a flirtare alle medie come tutte le persone normali?
Lucia mi guardava con un sorriso malizioso, tipo Madonna delle Brutte Idee, e io capii che, qualunque cosa stesse per succedere, non avevo più il controllo della situazione.
Il ricordo di ieri sera era ancora appiccicato addosso come il sudore dopo una notte afosa, e doveva esserlo anche per Roberto. Non poteva aver dimenticato tutto quello che era successo – i piedi, i sospiri, i gemiti trattenuti.
Cercai di prepararmi psicologicamente a qualunque cosa potesse accadere. Una conversazione, uno scambio di sguardi allusivi, una dichiarazione d’amore folle, o magari semplicemente un “passami una birra”. Qualunque cosa, ero pronta. Forse.
Lucia, questa volta, non poteva salvarmi. Al massimo poteva fare da guida spirituale, come quei santini che i nonni mettono in macchina per proteggerli dagli incidenti e dai parcheggi creativi.
Ogni suo passo lo avvicinava a me, ogni centimetro divorato da quelle scarpe da ginnastica era un colpo al cuore e uno alla vescica.
E poi, eccolo, davanti a noi.
"Ciao ragazze, come state?"
Voce calma, profonda. Inquietantemente sicura, quasi da persona adulta funzionale, non da Roberto il timido.
"Vi disturbo un attimo perché, Emilia…"
Ecco, cuore fermo. Arresto cardiaco confermato.
"…se non ricordo male, ieri accennavi al fatto che ti sarebbe piaciuto rivedere le foto che ho fatto a Versailles."
"No."
Mi uscì così di getto che anche Lucia ebbe un sussulto.
"Cioè sì, scusa!"
Lucia mi guardava come si guarda un cucciolo che scivola su un pavimento bagnato: un misto di tenerezza, disperazione e rassegnazione.
"Sì, Roberto, scusa. Ho visto che usi una reflex e… ecco, ero curiosa di vedere come sono venute."
Non me lo spiegavo nemmeno io come riuscissi a parlare senza prima consultare il cervello.
Eppure, funzionò.
Roberto sorrise – di quel sorriso sincero, con un pizzico di orgoglio da fotografo dilettante.
"Bene! Allora aspettami un secondo, vado a prendere il tablet in camera."
Panico. Panico puro. Tipo che il mio cervello è diventato una scimmia che sbatte i piatti.
Che faccio? Lo seguo? Lo aspetto? Gli faccio un segnale di fumo? E poi chi se ne frega delle foto? Mica volevo fare una critica d’arte sul suo utilizzo della luce naturale.
Mi girai di scatto verso Lucia, implorando aiuto con lo sguardo di chi sta affogando in una pozzanghera.
E lei? Occhi spalancati, incredula che potessi essere così ingenua da non cogliere l’occasione servita su un vassoio d’argento.
Poi, l’illuminazione. La luce divina. L’epifania erotico-sentimentale.
"Ti accompagno!"
Lo dissi troppo in fretta, troppo forte, con la voce che fece una piccola crepa da crisi adolescenziale.
Ma non importava. L’avevo detto. E lo avevo detto bene.
Il mio cuore fece una capriola carpiata, ma avevo appena creato la situazione perfetta. Quella che aspettavo da tutta la gita.
Quella che, dopo ieri, era diventata la mia personale ossessione.
Le due camere erano sullo stesso piano e relativamente vicine, ma in quel momento sembrava di attraversare il deserto del Gobi. Roberto camminava leggermente avanti e io lo seguivo, come un cagnolino che non sa se aspettarsi un biscotto o una sgridata.
Silenzio assoluto. Io perché non avevo la minima idea di cosa dire, lui… beh, perché era Roberto. Il re del silenzio imbarazzato.
Avrei pagato oro per una radiocronaca dei suoi pensieri. Così, giusto per capire se stava pensando alle foto di Versailles o al mio culo/piedi.
Arrivammo alla sua porta dopo quella che sembrava la maratona di Parigi e la sua camera era esattamente come me la immaginavo: un disastro, come la mia, ma con un’aura vagamente maschile.
“Accomodati pure, Emilia.”
“Grazie.”
Sfoderai un sorriso che cercava disperatamente di mascherare l’ansia da prestazione sentimentale. Mi mancava Lucia — la mia personale coach da dating estremo — e il suo modo di lanciarmi nella mischia con la grazia di un wrestler messicano.
Roberto si mise a frugare nella valigia, e io mi preparai al temutissimo momento “guarda le mie foto di Versailles”… e invece tornò con una bottiglia di vodka.
“So che ti piace,” disse ridendo sotto i baffi, porgendomi due bicchierini.
Primo brindisi della serata, santo cielo.
“Mi perdonerai, Emilia, ma non ho molta voglia di guardare le foto adesso. Preferirei dedicarmi a te.”
Corto circuito.
“So che sarà un po’ imbarazzante, ma volevo parlare di ieri sera.”
“Le foto possono aspettare,” dissi in automatico, cercando di non soffocare col bicchierino.
“Spero che ieri non ti sia troppo spaventata dal mio… feticismo. E che non ti sia sentita costretta a fare niente.”
“No no, lo volevo anche io! Ammetto di essere rimasta sorpresa, ma solo perché… ecco… non avevo mai sentito una cosa del genere.”
Tipo mai, manco per sbaglio.
“Lo immagino,” rispose. “È ancora un po’ un tabù. Per questo l’ho sempre tenuto nascosto… però il destino ha voluto che ieri fosse il momento del mio personale coming out.”
Sorrisi. Quel suo modo di parlare, gentile e diretto, era un’arma letale per la mia resistenza.
“Anche io non mi sono mai spinta così tanto… in realtà non mi sono mai spinta granché.”
Aiuto. Mi morsi la lingua subito dopo averlo detto e mi colorai di rosso fuoco.
Roberto sorrise, quello sguardo di chi ti spoglia ma con rispetto.
Il cuore mi batteva come un picchio impazzito e sentivo un calore scendere piano tra le cosce. Non sapevo cosa avrei ottenuto da quella sera, ma anche solo stare lì con lui, a parlare, mi sembrava incredibile.
Eravamo seduti uno di fronte all’altro sul letto, come in una sitcom romantica con un po’ troppo alcol di mezzo. A un certo punto lui si avvicinò, lentamente, guardandomi negli occhi.
Arrossii fino ai lobi delle orecchie.
Era chiaro. Voleva baciarmi.
Poi, la bomba.
“Non hai mandato tu quel messaggio ieri, vero?”
Panico. Allarme rosso. Evacuare la nave.
“Sì sì, certo che l’ho mandato io!”
Lui si avvicinò ancora, sorridendo come uno che sa esattamente che stai mentendo.
“Non sei stata tu, te lo leggo negli occhi.”
Dannati occhi da libro aperto. Cercai di distogliere lo sguardo, ma lui era una calamita a cui era impossibile resistere.
“Va bene, è stata Lucia…” sussurrai. “Va bene così Emilia. So quanto lei possa essere impulsiva,” disse ridendo piano. “E so che sotto sotto ieri c’era un piano.”
“Scusa.”
“Non scusarti.”
Si avvicinò ancora.
Mi ricordai una scena di un film, una roba che Lucia mi aveva raccontato mille volte.
In un primo bacio, l’uomo fa il 90% e la donna il restante 10%.
A occhio, lui era all’85%.
Presi tutto il mio coraggio, forse pure quello di domani, e mi lanciai in quel maledetto 15%.
Lo baciai.
E per un attimo il mondo smise di esistere.
Quel nostro primo contatto era tutto quello che desideravo. Ed era persino meglio di quello che avevo immaginato o sperato.
Non era il mio primo bacio, certo, ma era il primo in cui ero sicura che dall’altra parte ci fosse qualcuno che voleva davvero me. Non solo il mio corpo. Oddio, non mi sarebbe dispiaciuto del tutto se avesse voluto anche quello, ma volevo vivere quel momento con tutta me stessa, senza bruciarlo.
Mi staccai e lo guardai negli occhi.
“Ho bisogno di bere.”
“Bacio così male?”
Rosso fuoco immediato. Mi aspettavo quasi che mi uscisse vapore dalle orecchie, stile cartone animato.
“No no! Scusa, non so perché l’ho detto!”
Lui rise piano, riempì di nuovo i bicchierini e bevemmo il nostro secondo shot della serata. Stavolta, fu lui a prendere l’iniziativa. Al 100%.
Mi baciò con una dolcezza e una fame che mi sciolsero completamente, le nostre lingue si cercavano, le mani finalmente libere di esplorare quei corpi che si erano sfiorati solo per caso o per gioco fino a quel momento.
Tutto quel desiderio trattenuto esplose, senza bisogno di spogliarci, un erotismo fatto di respiri caldi, di corpi intrecciati sopra una coperta stropicciata e delle nostre mani che dicevano quello che le parole non riuscivano.
Il calore che sentivo tra le cosce si trasformò in un’umidità che non potevo più ignorare. Volevo essere lì. Con lui. Solo noi.
Quando ci staccammo per riprendere fiato, eravamo spettinati, le guance rosse, il cuore impazzito.
E lui… beh, lui era evidentemente eccitato. Non volevo fissare, lo giuro, ma i miei occhi ci caddero lo stesso e mi servì giusto un secondo per capire che gli piacevo eccome.
“Sei fantastica. Te lo dovevo dire. È da un po’ che ti penso e avrei voluto avvicinarmi, ma… scemo io e la mia timidezza.”
Dolce. Disarmante. Vero.
“Quando ieri ho capito che c’era qualcosa sotto, ho cercato di capire dove volevate arrivare tu e Lucia. Mi è piaciuto giocare con voi… e ho adorato come è finita la serata. Però io volevo te. Solo te. Solo che avevo paura di rovinare tutto.”
Mi mancavano le parole. E chi mi conosce sa quanto sia difficile. Era tutto così… perfetto e assurdo insieme. Lucia forse aveva ragione fin dall’inizio, e io ero stata cieca.
“Non so cosa dire…”
Presi la sua mano, perché forse non c’era bisogno di dire niente. Il gesto bastava.
“Non ti ho portata qua per fare chissà cosa, davvero. Non è quello che voglio. Volevo solo stare da solo con te. Aprirmi, farti capire.”
Ecco. Di nuovo, quella sua dolcezza mi sbriciolava le difese.
“Lo speravo, Roberto. Perché mi piaci tanto. Anche per questo.”
“E… non voglio che tutto finisca con questa gita. Ti voglio vedere anche quando torniamo a casa.”
“Certo.”
Gli sorrisi e lo baciai ancora.
“Allora… se vuoi possiamo tornare giù a vedere il film, così non pensano male.”
“Ehm… forse prima vuoi aspettare un attimo, Roberto.”
Gli indicai quel rigonfiamento familiare nei suoi pantaloni, cercando di non sembrare né scandalizzata né troppo maliziosa.
“Oddio… scusa! Sì, hai ragione.”
Rideva imbarazzato, e lo trovai ancora più irresistibile.
“Senti… so che non volevi niente, e che il messaggio l’ha mandato Lucia… però…”
Lasciai la frase in sospeso. Speravo continuasse lui, ma soprattutto volevo la sua conferma.
“Non voglio che la tua prima volta sia in questa camera d’albergo da quattro soldi.”
“Neanche io, Roberto.”
Poi abbassai lo sguardo e sorrisi maliziosa.
“Però… potrei aiutarti in un altro modo.”
Tirai fuori una sensualità che non sapevo nemmeno di avere. E nel dirlo, mi accarezzai distrattamente i piedi, sapendo esattamente quanto quel gesto fosse pericoloso per lui.
I suoi occhi brillarono subito di un desiderio così puro e infantile che mi fece quasi tenerezza. Quasi.
“Sai… potremmo replicare ieri sera. Solo io e te. Magari senza girarmi, stavolta.”
Potevo quasi sentire il battito accelerato del suo cuore. E il mio non era da meno.
Non c’era più nessuna Lucia a guidarmi, a suggerirmi cosa fare o a salvarmi all’ultimo minuto. Eravamo solo io e lui.
Due goffi, dolci adolescenti a cavallo tra desiderio e scoperta.
Lo fissai negli occhi e, con la calma di chi ha capito finalmente cosa vuole, mi tolsi i calzini.
Lentamente.
Liberai quelle armi micidiali che sapevo avrebbero fatto impazzire Roberto.
Poi, senza pensare, scollegai il cervello e lasciai parlare il corpo e il cuore. Sperando di non sbagliare, sperando che fosse la cosa giusta.
Ero senza calzini, e per la prima volta gli concedevo una parte di me solo per il suo piacere. Esclusivamente per lui.
“Perché non ti metti comodo?”
Si accomodò sulla poltrona, gli occhi che si spostavano lentamente dai miei occhi ai miei piedi nudi. Mi sistemai anche io, recuperando un paio di cuscini per creare una sorta di seduta improvvisata, così da avere libertà di movimento con i piedi. Non avevo smalto, niente di speciale, ma il suo sguardo mi fece capire che non serviva.
“Sei sicura, Emilia?”
“Sì… però, se non ti dispiace, stasera voglio guardare.”
“Quindi non ti è bastata l’occhiata di ieri sera?”
Ecco. Di nuovo. Quella spavalderia che gli veniva fuori solo quando era eccitato.
“Quindi te ne sei accorto?”
“Eccome. E mi è piaciuto sapere che mi guardavi, anche solo per un attimo. Non ti staccavo gli occhi di dosso, né dai tuoi piedi… né da quel tuo culetto meraviglioso.”
Aveva notato. Ero felicissima.
Con una lentezza esasperante si abbassò prima i pantaloni, poi i boxer, liberando completamente la sua erezione. Era la seconda volta che vedevo un ragazzo nudo, ed era lui entrambe le volte.
Arrossii, ma mi piaceva guardarlo. Se fossimo stati in un contesto diverso, magari avrei voluto fare di più, ma per quella sera andava bene così. Con calma. Con dolcezza.
Roberto iniziò a toccarsi, seduto in poltrona. Movimenti lenti, quasi reverenziali. Si godeva ogni secondo, la vista, i miei piedi, il mio sguardo. Io fissavo lui, guardavo il suo viso, poi i suoi occhi, poi la sua mano che stringeva il suo pene e si muoveva con una lentezza ipnotica.
Era eccitante. Più di quanto potessi immaginare.
L’idea di essere il centro del suo desiderio, di sapere che desiderava me — il mio corpo, i miei piedi, tutto — mi faceva tremare dentro.
Distesi le gambe, avvicinando i piedi fino a sfiorargli il ginocchio. La tensione sessuale era densa nell’aria. Io ero eccitata come non lo ero mai stata in vita mia. In mezzo alle cosce, un vero e proprio lago.
“Ieri… mi sono toccata dopo che sei andato via.”
“Mmmh… e ti è piaciuto?”
“L’ho adorato.” Lo guardai negli occhi. “Pensavo a te, che prendevi il posto della mia mano.”
“Avrei voluto, Emilia… ma arriverà il nostro momento.”
Continuava a toccarsi, quel ritmo costante e ipnotico. Sapevo che voleva godersi ogni secondo, allungare il piacere più possibile.
D’istinto mi tolsi la maglietta, restando in reggiseno. Quel reggiseno che copriva poco e lasciava immaginare quasi tutto.
“Vuoi che tolga anche questo?”
“Si Emilia, lo desidero tanto”
Con una lentezza studiata, sganciai il gancetto dietro e sfilai il reggiseno, lasciando il mio seno completamente nudo sotto i suoi occhi.
Era il primo ragazzo che mi vedeva così. Fragile e scoperta. Esposta alla vista e ai pensieri di qualcuno che mi piaceva davvero.
E io volevo dargli tutto. In quel momento, avrei fatto qualsiasi cosa pur di vederlo felice.
L’elettricità nell’aria era diventata pura tensione erotica. Roberto aumentò leggermente il ritmo della mano, mentre io giocavo con i miei piedi e mi accarezzavo i seni, i capezzoli già tesi e durissimi.
Non potevo mostrargli direttamente quel lago che avevo tra le cosce, ma ero sicura che sapeva in che condizioni mi trovavo.
I suoi gemiti crebbero, sempre più frequenti e profondi. Lo vedevo negli occhi: era vicino. Quell’espressione di chi è a un passo dal venire, di chi ha superato il punto di non ritorno. Gli bastava solo un piccolo scatto di ritmo per crollare del tutto.
All’improvviso si alzò e andò alla sua valigia. Lo guardai perplessa, poi capii: stava cercando dei fazzoletti.
Io ero il suo giocattolo stasera. Io ero la sua donna.
“Vieni per me, Roberto. Voglio vederti venire.”
“Ci sono… sei fantastica…”
Una manciata di secondi, giusto il tempo di accelerare il movimento, e lo vidi sciogliersi in un orgasmo potente. Fiotti caldi di sperma uscirono dal suo membro teso, raccolti nei fazzoletti che aveva preparato.
Io non riuscivo a distogliere lo sguardo.
Mi alzai, ancora mezza nuda, e mi avvicinai. Anche lui si alzò e ci baciammo con una passione diversa, più adulta, più consapevole. Le nostre nudità si sfiorarono, pelle contro pelle, senza vergogna e senza ansia.
Sapevamo entrambi che quella sera aveva cambiato tutto. Come una firma su un contratto.
Sentivo ancora la sua eccitazione contro di me, nonostante l’orgasmo appena vissuto.
“È stato bellissimo,” sussurrò.
“Anche per me.”
Lo baciai ancora, poi mi rivestii. Aspettai che si sistemasse anche lui e uscimmo insieme dalla stanza.
“Lucia lo saprà, vero?”
“Ogni singolo dettaglio.”
Risi e lui si arrese, rubandomi un ultimo bacio proprio davanti alla porta della festa.
Non entrai con lui. Non volevo tornare là dentro. Volevo tornare in camera mia, nella mia tranquillità e volevo Lucia con me.
Dovevo parlarle, raccontarle tutto, ogni sfumatura, ogni battito del cuore, ogni brivido della serata appena vissuta.
Le mandai un messaggio:
“Tutto bene, Lucia. Ti aspetto in camera quando vuoi ;)”
Non passò nemmeno un minuto che sentii qualcuno correre lungo il corridoio. La porta si spalancò e apparve Lucia, ansimante e con gli occhi sgranati.
“DEVI RACCONTARMI TUTTO! TUTTO!”
Scoppiai a ridere e la abbracciai.
Avevo bisogno di lei. Di raccontarle tutto. Ma soprattutto, avevo bisogno di capire cosa stava succedendo dentro di me.
scritto il
2025-03-04
1 . 2 K
visite
2 0
voti
valutazione
7.2
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Le esperienze di Emilia 1

racconto sucessivo

Le esperienze di Emilia 3
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.