Il prezzo dell’amore di Sara

di
genere
dominazione

Sono io, un ragazzo nerd, un po’ cicciotto, con gli occhiali spessi e la timidezza che mi mangia vivo. Lavoro in un ufficio anonimo, uno di quei posti grigi dove passo le giornate a fissare schermi e codici, ma c’è lei, Sara, che rende tutto diverso. È bellissima, slanciata, con i capelli mossi che le cadono sulle spalle come seta e un sorriso che sembra dolce, quasi angelico. Ma io lo so, sotto quella maschera da radical chic, da figlia di papà viziata, c’è una stronza senza scrupoli. Eppure, sono pazzo di lei. Una cotta che mi brucia dentro da anni, che mi fa sudare le mani ogni volta che mi guarda, anche se so che per lei sono invisibile. O meglio, visibile solo quando le servo.

Lavoro con lei da tempo, in team. È furba, Sara. Ha capito subito che ho un debole per lei, anche se non ho mai avuto il coraggio di dirglielo. Non serve, lo legge nei miei occhi imbarazzati, nei miei “sì” troppo rapidi quando mi chiede qualcosa. Fa finta di niente, ma ci gioca. Mi delega i suoi task, quelli che dovrebbe fare lei, con quel tono mellifluo: “Oh, sei così bravo con queste cose, non ti dispiace, vero?”. E io, idiota, dico sempre di sì, sperando che un giorno veda quanto mi impegno per lei, quanto la amo. Mi lascia starle vicino, ma sa dosare la distanza. Quando sono troppo appiccicoso, mi allontana con una scusa, un sorriso freddo, e io mi ritrovo a fissare il vuoto, con il cuore che mi si spezza un po’ di più.

Sono sottomesso, lo ammetto. Ogni sua parola è un ordine che eseguo senza fiatare, perché penso che magari, un giorno, si accorgerà di me. Ma passano gli anni, e non succede niente. Alla fine, esasperato, trovo il coraggio di dichiararmi. Tremando, con la voce che mi si incrina, le dico tutto. Lei mi guarda, sorpresa ma non troppo, e con una gentilezza che sa di coltello mi rifiuta. “Sei dolce, davvero, ma non provo lo stesso,” dice, e poi aggiunge che possiamo restare amici, colleghi. Non mi allontana, no, perché sa quanto le sono utile sul lavoro. Io, cretino, continuo a sperare.

Poi succede. Scopro che si è fidanzata. È un pugno nello stomaco. Lui è un DJ, un ragazzo di colore alto, muscoloso, con le treccine e un’aria da stronzo sicuro di sé. L’opposto di me: io, pallido, goffo, con la pancia che sporge dalla camicia, e lui, un dio che domina la scena. Sara si trasferisce da lui, e io sparisco sempre di più dalla sua vita. Mi risponde a monosillabi, mi evita, mi tiene sulle corde come un cane affamato che aspetta un osso. Sono disperato. Un giorno, non ce la faccio più e le scrivo un messaggio: “Farei qualsiasi cosa per starti vicino, Sara. Mi manchi come l’ossigeno. Dimmi cosa vuoi, lo farò.”

Silenzio. Per giorni, niente. Al lavoro mi ignora, mi passa accanto senza guardarmi. Poi, finalmente, risponde: “Sei sicuro di voler fare tutto per me?”. Le dico di sì, senza esitare. Mi dà il suo indirizzo – quello di casa sua e del DJ – e mi chiede di raggiungerla sabato per il brunch, portando pane fresco e brioches. Sono euforico, il cuore mi batte a mille. È una possibilità, penso.

Arrivo lì, con la busta del panificio in mano, e suono il campanello. Mi apre lui, il DJ. È alto, 190 centimetri di muscoli definiti, treccine che gli cadono sulla fronte, e un’espressione che mi gela. Mi fa entrare senza dire una parola. Poi appare Sara, splendida, con leggings di latex nero che le fasciano le gambe lunghe, piedi nudi, e una maglietta bianca aderente. Noto subito che non porta il reggiseno, i capezzoli si intravedono sotto il tessuto. Mi sorride, ma c’è qualcosa di freddo nei suoi occhi. Mi parla veloce, come un fiume: il DJ ha visto i miei messaggi, si è incazzato, ha fatto una scenata di gelosia. Stava per lasciarla, dice, perché era stanco di me che le ronzavo intorno. Lei lo ha implorato, e lui le ha dato una seconda chance, ma a una condizione. Basandosi sul mio messaggio, io devo diventare il loro schiavo.

Mi guarda, in attesa. “Sei davvero disposto a tutto per me?” chiede. Non rispondo, il cuore mi trema. Lei si avvicina, si china verso di me e sussurra: “Così potrai starmi vicino per sempre, darmi il tuo amore. Anche se, lo sai, non sarà mai ricambiato.” Mi cedono le gambe, mi metto in ginocchio. Il DJ sogghigna, si avvicina e mi mette davanti le sue sneakers bianche. “Puliscile,” ordina. Sara mi sussurra all’orecchio: “È un mio ordine.” Io, con la gola secca, mi chino e comincio a leccare la suola sporca. Sa di terra e gomma, mi viene da vomitare, ma continuo.

Lui vuole umiliarmi, farmi capire che è il maschio alfa. Dopo un po’ mi ordina di spogliarmi. Io, nudo, con la mia pancetta flaccida e la pelle bianca, riprendo a leccare. Loro sono perfetti, bellissimi, due divinità, e io un verme ai loro piedi. Poi il DJ mi afferra per un braccio, mi trascina in uno sgabuzzino vicino al soggiorno e mi chiude dentro a chiave. Sento i rumori dall’altra stanza: Sara che geme, lui che grugnisce. Stanno scopando, e lei urla di piacere come non ho mai sentito. Mi mordo le labbra fino a farle sanguinare, le lacrime mi rigano la faccia. Non sono io, non sarò mai io.

Dopo un po’ la porta si apre. Lui è lì, con una canna in mano che si rolla, il cazzo ancora semi-duro che spunta dai pantaloni. Sara si è rimessa i leggings. “Pulisci,” mi ordina lui, indicando il pavimento sotto il divano, dove c’è una pozza di sperma denso e appiccicoso. “Poi vattene.” Esce in terrazzo a fumarsi la canna, Sara lo segue. Io, con le mani tremanti, pulisco tutto, sentendo il disgusto che mi sale in gola. Torno a casa di corsa, il mio cazzo – 18 centimetri, niente di speciale ma duro come il marmo – esplode in pochi secondi. Mi vergogno, ma non riesco a fermarmi.

La sera mi invitano di nuovo. Sara mi scrive: “Vieni con una tuta, senza mutande.” Sono eccitato, terrorizzato, corro da loro. La porta è socchiusa, entro. Dietro di me, il DJ la chiude di scatto e mi sbatte a terra. Mi tira giù i pantaloni, il mio culo è nudo, esposto. Sara si inginocchia accanto a me, mi prende una mano. “Se mi ami, fai tutto quello che vuole lui,” dice piano. Sento le mani del DJ sulle mie natiche, le allarga. Sono paralizzato dalla paura. Lei mi guarda, mi stringe la mano. Capisco che devo farlo, o mi perderà per sempre. Lui mi punta il cazzo – l’ho visto prima, 24 centimetri, grosso, scuro – contro il buco. Sara mi passa un legnetto, forse una matita, da mordere. “Vuoi la mia donna? Ora diventi la nostra,” ringhia il DJ. Spinge, fa fatica a entrare, brucia da morire. Poi, con un colpo secco, è dentro. Urlo, piango, il dolore mi spacca in due. Sara mi tiene la mano, ma non dice nulla. Lui pompa forte, poi viene con un grugnito animalesco.

Sono a terra, distrutto. Sento un fiotto caldo sulla schiena: mi sta pisciando addosso. Poi un secondo getto, più leggero. È Sara. “Ti abbiamo marcato,” dice lei, “sei nostro adesso.” Non me l’aspettavo, non da lei. Sono dolorante, ma smetto di piangere. Non riesco ad alzarmi. Li sento parlare, poi Sara mi dice: “Noi andiamo al locale, DJ ha una serata. Prenditi il tuo tempo, pulisci questo schifo di piscio e la cucina che abbiamo lasciato un casino dopo cena. Torneremo tardi, vai a casa e domani lascia due brioches fuori per la colazione.”

La domenica passa in silenzio, sono devastato. Lunedì, al lavoro, Sara è gentile, cordiale, come se niente fosse. Mi dà speranza. Poi mi manda un messaggio: “Sono contenta di come ti sei comportato, grazie per gli sforzi. Ecco una lista della spesa: plug anale, cintura di castità, guinzaglio a strozzo in pelle. Devono arrivare per sabato, ci vediamo da noi.”

Arriva sabato. Mi chiedono di raggiungerli al loro box auto. DJ suona a un sex party stasera. Li porto al locale come autista, parcheggiamo vicino ai camerini. Sara è in una tuta di latex nera con una maschera, lui in perizoma, il corpo unto d’olio che luccica. Nei camerini mi spogliano, mi mettono il plug – che brucia mentre lo infilano – e la cintura di castità, dopo che uso del ghiaccio per farmi passare l’erezione. Poi il collare. “A quattro zampe, come un cane,” ordina il DJ. Li seguo sul palco, strisciando, il guinzaglio in mano a Sara.

Sotto la console c’è uno spazio chiuso, mi ci infilano. Non vedo la platea, sembra tutto nero. Lo show inizia, la musica di DJ è potente, ipnotica. Sara è appiccicata a lui, lo tocca, si baciano. Gli tira fuori il cazzo dal perizoma, lo sega davanti a me. Poi si china, mi accarezza i capelli con una dolcezza finta, quasi crudele. Mi prende la testa con entrambe le mani e me la sbatte contro il cazzo di lui. “Apri la bocca,” sussurra. Io obbedisco, non ho scelta. È enorme, mi riempie la gola, mi fa male. Lei mi guida, spingendomi avanti e indietro. La mandibola mi scricchiola, sento il sapore acre del sudore e della pelle, gli occhi mi si riempiono di lacrime. La musica pulsa, copre i miei gemiti soffocati. Sara mi guarda dall’alto, i suoi occhi scintillano di potere, di piacere nel vedermi così umiliato. Ogni tanto si china, mi sussurra: “Lo fai per me, vero? Bravo.” È interminabile. Non so quanto dura, forse mezz’ora, forse un’ora. La mia bocca è un disastro, la mascella bloccata dal dolore. Alla fine lui viene, un fiotto caldo mi riempie la gola. Ingoio per forza, non riesco a sputare.

Sono distrutto, ma non è finita. Sara, che ha bevuto parecchio, si abbassa la zip della tuta tra le gambe. Prende un bicchiere vuoto di cocktail e ci piscia dentro, un getto giallo e forte. Me lo passa: “Bevi,” dice, ridendo. Io tremo, lo porto alla bocca. È caldo, amaro, mi viene da vomitare, ma lo finisco. La folla urla, lo show finisce con una standing ovation. Loro escono a prendersi gli applausi, passano davanti alla console con me al guinzaglio. Mi rendo conto troppo tardi che il vetro davanti a me è trasparente dall’esterno, come uno specchio a senso unico. Io non vedevo fuori, ma loro vedevano me. Sono stato in mostra tutto il tempo, un oggetto da guardare mentre mi spezzavo. La vergogna mi travolge, ma il mio cazzo, intrappolato nella cintura, pulsa lo stesso.
sono state parte dello show.
scritto il
2025-03-04
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