Solo carne
di
rotas2sator
genere
tradimenti
Era cominciato per fame. Un buco nello stomaco, tra le cosce, sotto la pelle. Camilla era nel pieno del puerperio, il corpo ancora gonfio di vita data, le tette piene di latte, l’anima svuotata. Si sentiva invisibile, trascurata, dimenticata in un angolo come una vestaglia sporca.
Poi, una sera d'estate, uno sguardo. Dall'appartamento di fronte, dietro una finestra appena socchiusa, una, più sagome. La guardavano. Ogni sera. All’inizio fu una scintilla, poi un fuoco lento. Il riflesso nel vetro le restituiva un corpo che pensava perduto. Cominciò a spogliarsi per gioco. Luci basse, movimenti calcolati, brividi che non venivano solo dalla brezza. Una sera si spinse oltre. Nuda davanti alla finestra, il seno scoperto, il pizzo delle mutandine che cadeva piano. Era un’offerta muta, il piacere nell’essere vista, desiderata.
Quel pomeriggio il bambino era dai nonni, suo marito lontano per lavoro. Il suo corpo ancora vibrante di eccitazione e un senso di solitudine troppo pesante da ignorare. Prese una decisione.
Così com’era, un vestito leggero, indossato senza reggiseno, ballerine ai piedi, una bottiglia di vino aperta e il cuore in tumulto, bussò alla porta dell'appartamento di fronte.
Dall'interno, risate maschili, voci giovani. La porta si aprì.
— Signora Camilla! Che sorpresa!
Lei sorrise, appena impacciata.
— Mi sentivo sola. Vi ho sentito ridere e... ho portato del vino.
I ragazzi si scambiarono un'occhiata incredula.
— Wow, che gentile! Entri, si accomodi.
La porta si chiuse dietro di lei.— Tutto bene?— chiese uno di loro, un sorrisetto allusivo sulle labbra.
— Sì, forse... ho solo bevuto un po' troppo per me, non sono abituata…— fece un mezzo sorriso, mentre una spallina già scivolava lungo il braccio.
Gli sguardi maschili divennero più attenti. Il silenzio carico. Uno di loro si avvicinò appena. — Sa che la guardiamo sempre. Dal nostro appartamento vediamo quando si spoglia in camera...— sussurrò uno dei ragazzi malizioso.
— Davvero? Ma allora mi avete vista nuda. Non posso crederci. O santo cielo!
Mentiva, ma il rossore che le imporporò le guance era autentico.
— Sa, abbiamo l’impressione che non fosse casuale.
— Ma cosa dite!— Camilla iniziò a sudare mentre i seni si muovevano al respiro sempre più affannato sotto la stoffa leggera.
— Camilla... tuo marito sa che sei qui? - chiese perfidamente Marco
Lei esitò.
— Non credo... cioè... no.
Sentì gli sguardi indugiare sul suo corpo mentre si sedeva su divano. Un sorso di vino, un brivido, un gioco in cui si era lasciata intrappolare. Per sua scelta.
I due ragazzi le furono accanto. Lei li guardò languida e arrendevole, sollevò lentamente le braccia sopra la testa, il tessuto del vestito si tese appena sui suoi seni. Le mani dei ragazzi trovarono il bordo leggero della stoffa, lo tirarono su piano, scoprendo la sua pelle, un centimetro alla volta. Camilla passò la lingua sulle labbra, un gesto involontario, mentre il calore dei loro sguardi la faceva avvampare. Sentiva il cuore martellarle nel petto, l’alcool le rendeva i pensieri più sfumati, più audaci. Aveva desiderato quel momento? Certo che sì. Eppure ora, davanti a loro mentre si faceva spogliare, sentiva il gelo della titubanza. Il vestito scivolò oltre il suo busto, le ascelle umide di calore si aprirono al loro sguardo — offerta silenziosa — le gocce di sudore che le imperlavano la pelle sembravano piccoli diamanti sotto la luce soffusa. Le sue mammelle gonfie, arroganti nella loro pienezza. Una mano le prese la caviglia con naturalezza, sfilandole le scarpe, le dita che indugiavano sulla pelle con studiata delicatezza.
— Starai più comoda così...
Un brivido la percorse. Il calore tra le cosce si fece insostenibile. Si stava realizzando esattamente ciò che voleva.
Era il momento in cui tutto si dissolveva: la solitudine, il dubbio, la distanza. Rimaneva solo un desiderio carnale. Andrea si abbassò lentamente, le mani che percorrevano le sue cosce, accarezzandola con una dolcezza che contrastava con il fuoco che ardeva tra loro. Si fermò all’elastico delle mutandine, indugiando, aspettando un segnale.
— Possiamo?— le sussurrò, la voce roca.
— Si — la sua voce, un soffio.
E allora le mani scivolarono insieme lungo i suoi fianchi, abbassando lentamente il sottile velo di pizzo che era l’ultimo ostacolo frapposto alla sua nudità, fino a che il tessuto passò oltre le ginocchia, fino a cadere ai suoi piedi.
Le mani impazienti di Marco sui suoi turgidi seni: qualche goccia di latte sgorgò dai capezzoli.
— Incredibile, com’è dolce, assaggia — le succhiò così forte il seno da farla strillare
— Sei cattivo, mi fai male!
Andrea nel frattempo le posò un bacio osceno fra le cosce. Lei si dimostrava docile arrendevole e Marco non perse tempo; quando si sbottonò i jeans e le tirò la testa verso il suo cazzo, Camilla non si oppose. Aprì la bocca. Lo prese dentro, caldo, duro. Lui cercò il contatto fra le appetitose labbra di Camilla con il suo pene tesissimo, in preda a una voglia incontrollabile, ma l’ansia e l’emozione lo tradirono. Il contatto fu frettoloso, confuso. La insultò:
— Sei una troia. Succhiamelo, —
Ma nel momento stesso in cui il suo pene fu accolto nella bocca della donna, un brivido incontrollabile gli percorse il midollo.
— Cazzo, sì… puttana… sto venendo…
Un istante. Troppo poco. Eppure, fu sufficiente perché il suo corpo lo abbandonasse. Cercò disperatamente di fermare l’emissione del suo seme, ma invano.
Uno spruzzo disordinato, cospicuo, sorprese Camilla che tossì. La quantità emessa era tale che la cavità orale non potè contenerla e le tracimò sul mento, sul collo, sul seno. Marco si irrigidì, il respiro spezzato dalla frustrazione. Si ritrasse di scatto, cercando di mascherare il disagio con un sorriso forzato, ma il rossore sulle sue guance e lo sguardo sfuggente lo tradivano.
— Merda... — borbottò a denti stretti, voltandosi di scatto e allontanandosi, come se potesse sottrarsi all’umiliazione; frustrato e vinto, uscì dalla stanza, il volto contratto dalla rabbia di chi ha perso l’occasione.
Andrea, la testa fra le cosce di Camilla, la baciava fino alla fessura bagnata — che la tradiva,— intento a gustarsi quel frutto gonfio e grondante di succhi odorosi, indifferente alla défaillance dell’amico.
Alzò la testa da quel banchetto di delizie, si spogliò, allargo le cosce di Camilla che notando le dimensioni generose del cazzo si emozionò.
Camilla si sentiva persa in un vortice di sensazioni con una intensa voglia di carne fresca. Andrea, la esplorava, la accarezzava con sicurezza: un invito a sottomettersi.
Camilla sentiva il proprio corpo rispondere in modi che non aveva mai provato prima. C’era qualcosa di incredibilmente eccitante nell’essere guidata, nell’essere portata oltre i propri limiti da qualcuno che sembrava sapere esattamente cosa fare, travolta da quel sesso giovanile, potente ed entusiasmante. Lui non cedeva mai, non si fermava, ad inseguire ulteriori piaceri.
Andrea nella esuberanza incontenibile, si faceva sentire in ogni movimento, in ogni sguardo che incrociava il suo, mentre lei si arrendeva completamente nel succedersi degli orgasmi. Il mondo esterno si dissolse: non c’erano più la stanza, il tempo, i pensieri, i rimorsi. Solo il battito sordo del cuore nelle orecchie, il calore della pelle che cercava altra pelle, il brivido del contatto, delle mani che esploravano con dolcezza e avidità insieme, il piacere della resa, dell’abbandono.
— Fammi male. Riempimi di te, del tuo calore vischioso e caldo. — la sua voce sembrava emergere da un sogno.
— Sei sicura?
— Fottitene. Si vienimi dentro.
Rimasero così un momento, sudati, uniti, nudi. Poi Camilla si alzò. Tremava. Le cosce le colavano. Si rivestì senza dire una parola. Andrea la guardava confuso, passandole un dito lungo il contorno delle labbra socchiuse. Per lui era una conquista, diversa rispetto alle scopate con le coetanee. Era di gran lunga più appagante, ma pur effimera, bastante a se stessa e senza futuro.
Camilla camminava piano, scalza in punta di piedi, come se il silenzio della notte potesse assorbirla e renderla invisibile. Le scarpe strette tra le dita, il vestito sgualcito, i segni del desiderio ancora impressi sulla pelle, il seme di Andrea dentro di lei. Il breve tragitto verso il suo appartamento le sembrò non finire mai, dilatato dall’eco dei pensieri che si affollavano nella sua mente e dal timore di incontrare qualcuno. L’esaltazione erotica che l’aveva travolta fino a pochi minuti prima si dissolveva poco a poco, lasciando spazio a qualcosa di più sottile, più profondo. Un filo di amarezza, quasi impercettibile, ma impossibile da ignorare. Non era senso di colpa, non rimpianto. Era l’incompiutezza di qualcosa che credeva di aver trovato nell’abbandono istintivo e che invece, nel silenzio della notte, le sembrava ancora più sfuggente. Cosa cercava davvero? Una fuga, un brivido, un pezzo di sé che aveva dimenticato? Eppure, ora che il desiderio si era placato, le domande restavano sospese, senza risposte, come onde che si infrangono sulla riva e poi si ritirano, lasciandola lì, sola mendicante di un senso.
Poi, una sera d'estate, uno sguardo. Dall'appartamento di fronte, dietro una finestra appena socchiusa, una, più sagome. La guardavano. Ogni sera. All’inizio fu una scintilla, poi un fuoco lento. Il riflesso nel vetro le restituiva un corpo che pensava perduto. Cominciò a spogliarsi per gioco. Luci basse, movimenti calcolati, brividi che non venivano solo dalla brezza. Una sera si spinse oltre. Nuda davanti alla finestra, il seno scoperto, il pizzo delle mutandine che cadeva piano. Era un’offerta muta, il piacere nell’essere vista, desiderata.
Quel pomeriggio il bambino era dai nonni, suo marito lontano per lavoro. Il suo corpo ancora vibrante di eccitazione e un senso di solitudine troppo pesante da ignorare. Prese una decisione.
Così com’era, un vestito leggero, indossato senza reggiseno, ballerine ai piedi, una bottiglia di vino aperta e il cuore in tumulto, bussò alla porta dell'appartamento di fronte.
Dall'interno, risate maschili, voci giovani. La porta si aprì.
— Signora Camilla! Che sorpresa!
Lei sorrise, appena impacciata.
— Mi sentivo sola. Vi ho sentito ridere e... ho portato del vino.
I ragazzi si scambiarono un'occhiata incredula.
— Wow, che gentile! Entri, si accomodi.
La porta si chiuse dietro di lei.— Tutto bene?— chiese uno di loro, un sorrisetto allusivo sulle labbra.
— Sì, forse... ho solo bevuto un po' troppo per me, non sono abituata…— fece un mezzo sorriso, mentre una spallina già scivolava lungo il braccio.
Gli sguardi maschili divennero più attenti. Il silenzio carico. Uno di loro si avvicinò appena. — Sa che la guardiamo sempre. Dal nostro appartamento vediamo quando si spoglia in camera...— sussurrò uno dei ragazzi malizioso.
— Davvero? Ma allora mi avete vista nuda. Non posso crederci. O santo cielo!
Mentiva, ma il rossore che le imporporò le guance era autentico.
— Sa, abbiamo l’impressione che non fosse casuale.
— Ma cosa dite!— Camilla iniziò a sudare mentre i seni si muovevano al respiro sempre più affannato sotto la stoffa leggera.
— Camilla... tuo marito sa che sei qui? - chiese perfidamente Marco
Lei esitò.
— Non credo... cioè... no.
Sentì gli sguardi indugiare sul suo corpo mentre si sedeva su divano. Un sorso di vino, un brivido, un gioco in cui si era lasciata intrappolare. Per sua scelta.
I due ragazzi le furono accanto. Lei li guardò languida e arrendevole, sollevò lentamente le braccia sopra la testa, il tessuto del vestito si tese appena sui suoi seni. Le mani dei ragazzi trovarono il bordo leggero della stoffa, lo tirarono su piano, scoprendo la sua pelle, un centimetro alla volta. Camilla passò la lingua sulle labbra, un gesto involontario, mentre il calore dei loro sguardi la faceva avvampare. Sentiva il cuore martellarle nel petto, l’alcool le rendeva i pensieri più sfumati, più audaci. Aveva desiderato quel momento? Certo che sì. Eppure ora, davanti a loro mentre si faceva spogliare, sentiva il gelo della titubanza. Il vestito scivolò oltre il suo busto, le ascelle umide di calore si aprirono al loro sguardo — offerta silenziosa — le gocce di sudore che le imperlavano la pelle sembravano piccoli diamanti sotto la luce soffusa. Le sue mammelle gonfie, arroganti nella loro pienezza. Una mano le prese la caviglia con naturalezza, sfilandole le scarpe, le dita che indugiavano sulla pelle con studiata delicatezza.
— Starai più comoda così...
Un brivido la percorse. Il calore tra le cosce si fece insostenibile. Si stava realizzando esattamente ciò che voleva.
Era il momento in cui tutto si dissolveva: la solitudine, il dubbio, la distanza. Rimaneva solo un desiderio carnale. Andrea si abbassò lentamente, le mani che percorrevano le sue cosce, accarezzandola con una dolcezza che contrastava con il fuoco che ardeva tra loro. Si fermò all’elastico delle mutandine, indugiando, aspettando un segnale.
— Possiamo?— le sussurrò, la voce roca.
— Si — la sua voce, un soffio.
E allora le mani scivolarono insieme lungo i suoi fianchi, abbassando lentamente il sottile velo di pizzo che era l’ultimo ostacolo frapposto alla sua nudità, fino a che il tessuto passò oltre le ginocchia, fino a cadere ai suoi piedi.
Le mani impazienti di Marco sui suoi turgidi seni: qualche goccia di latte sgorgò dai capezzoli.
— Incredibile, com’è dolce, assaggia — le succhiò così forte il seno da farla strillare
— Sei cattivo, mi fai male!
Andrea nel frattempo le posò un bacio osceno fra le cosce. Lei si dimostrava docile arrendevole e Marco non perse tempo; quando si sbottonò i jeans e le tirò la testa verso il suo cazzo, Camilla non si oppose. Aprì la bocca. Lo prese dentro, caldo, duro. Lui cercò il contatto fra le appetitose labbra di Camilla con il suo pene tesissimo, in preda a una voglia incontrollabile, ma l’ansia e l’emozione lo tradirono. Il contatto fu frettoloso, confuso. La insultò:
— Sei una troia. Succhiamelo, —
Ma nel momento stesso in cui il suo pene fu accolto nella bocca della donna, un brivido incontrollabile gli percorse il midollo.
— Cazzo, sì… puttana… sto venendo…
Un istante. Troppo poco. Eppure, fu sufficiente perché il suo corpo lo abbandonasse. Cercò disperatamente di fermare l’emissione del suo seme, ma invano.
Uno spruzzo disordinato, cospicuo, sorprese Camilla che tossì. La quantità emessa era tale che la cavità orale non potè contenerla e le tracimò sul mento, sul collo, sul seno. Marco si irrigidì, il respiro spezzato dalla frustrazione. Si ritrasse di scatto, cercando di mascherare il disagio con un sorriso forzato, ma il rossore sulle sue guance e lo sguardo sfuggente lo tradivano.
— Merda... — borbottò a denti stretti, voltandosi di scatto e allontanandosi, come se potesse sottrarsi all’umiliazione; frustrato e vinto, uscì dalla stanza, il volto contratto dalla rabbia di chi ha perso l’occasione.
Andrea, la testa fra le cosce di Camilla, la baciava fino alla fessura bagnata — che la tradiva,— intento a gustarsi quel frutto gonfio e grondante di succhi odorosi, indifferente alla défaillance dell’amico.
Alzò la testa da quel banchetto di delizie, si spogliò, allargo le cosce di Camilla che notando le dimensioni generose del cazzo si emozionò.
Camilla si sentiva persa in un vortice di sensazioni con una intensa voglia di carne fresca. Andrea, la esplorava, la accarezzava con sicurezza: un invito a sottomettersi.
Camilla sentiva il proprio corpo rispondere in modi che non aveva mai provato prima. C’era qualcosa di incredibilmente eccitante nell’essere guidata, nell’essere portata oltre i propri limiti da qualcuno che sembrava sapere esattamente cosa fare, travolta da quel sesso giovanile, potente ed entusiasmante. Lui non cedeva mai, non si fermava, ad inseguire ulteriori piaceri.
Andrea nella esuberanza incontenibile, si faceva sentire in ogni movimento, in ogni sguardo che incrociava il suo, mentre lei si arrendeva completamente nel succedersi degli orgasmi. Il mondo esterno si dissolse: non c’erano più la stanza, il tempo, i pensieri, i rimorsi. Solo il battito sordo del cuore nelle orecchie, il calore della pelle che cercava altra pelle, il brivido del contatto, delle mani che esploravano con dolcezza e avidità insieme, il piacere della resa, dell’abbandono.
— Fammi male. Riempimi di te, del tuo calore vischioso e caldo. — la sua voce sembrava emergere da un sogno.
— Sei sicura?
— Fottitene. Si vienimi dentro.
Rimasero così un momento, sudati, uniti, nudi. Poi Camilla si alzò. Tremava. Le cosce le colavano. Si rivestì senza dire una parola. Andrea la guardava confuso, passandole un dito lungo il contorno delle labbra socchiuse. Per lui era una conquista, diversa rispetto alle scopate con le coetanee. Era di gran lunga più appagante, ma pur effimera, bastante a se stessa e senza futuro.
Camilla camminava piano, scalza in punta di piedi, come se il silenzio della notte potesse assorbirla e renderla invisibile. Le scarpe strette tra le dita, il vestito sgualcito, i segni del desiderio ancora impressi sulla pelle, il seme di Andrea dentro di lei. Il breve tragitto verso il suo appartamento le sembrò non finire mai, dilatato dall’eco dei pensieri che si affollavano nella sua mente e dal timore di incontrare qualcuno. L’esaltazione erotica che l’aveva travolta fino a pochi minuti prima si dissolveva poco a poco, lasciando spazio a qualcosa di più sottile, più profondo. Un filo di amarezza, quasi impercettibile, ma impossibile da ignorare. Non era senso di colpa, non rimpianto. Era l’incompiutezza di qualcosa che credeva di aver trovato nell’abbandono istintivo e che invece, nel silenzio della notte, le sembrava ancora più sfuggente. Cosa cercava davvero? Una fuga, un brivido, un pezzo di sé che aveva dimenticato? Eppure, ora che il desiderio si era placato, le domande restavano sospese, senza risposte, come onde che si infrangono sulla riva e poi si ritirano, lasciandola lì, sola mendicante di un senso.
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