Incauti

di
genere
tradimenti

Incauti, maledettamente incauti. Dovevamo stare più attenti. Come due ragazzini rientrati dal mare credendo di essere soli in casa ci siamo messi ad amoreggiare sul divano in salotto. Era da diverso tempo che non ci vedevamo e lui, come me, aveva voglia. Me l’ha accennato in spiaggia in un attimo quando nessuno ci poteva sentire. Un brivido mi ha corso lungo la schiena, rimuginando su quello che c’è e c’è stato tra noi e con la voglia e il desiderio di risentirlo dentro di me. Il marito della sorella di mio marito, mio cognato. Una simpatia congenita ha fatto seguito immediato al nostro entrare a far parte anni addietro della stessa famiglia. Una attrazione inoltrata all’inizio da battute e da sorrisi ricambiati, poi sfociata in timidi ammiccamenti e vaghi avvicinamenti, in confessioni scherzose divenute sempre più serie ed infine in esplicite richieste d’amore e di sesso. Sì, gliel’ho data, mi sono concessa, ci sono andata a letto più volte. La prima volta che ci siamo incontrati da soli è stato tre anni fa in macchina in un luogo appartato di periferia, poi qualche tempo dopo in un albergo dove ha riempito quei vuoti di sesso che inevitabilmente il matrimonio mi crea. Mi sono sentita più libera e persino più porca in quelle ore che siamo stati insieme, tutto gli ho dato e tutto si è preso. Anche il culo gli ho dato, anche quello si è preso. Sento che è più forte di mio marito, più virile, più maschio e anch’io sono così, più femmina, più donna, più troia di lei, di sua moglie. Sono fatta così, il sesso mi piace e sento il bisogno di andare oltre la routine matrimoniale, perché l’infedeltà non mi crea problemi, non si traduce in sensi colpa. Quando mi è successo di andare con uno che non è mio marito non l’ho vissuto come un tradimento, ma come il compimento di una bramosia corporea, di una smania che mi prende più forte di qualsiasi impedimento mentale e morale, lo sento naturale. Anche dopo essere stata a letto con lui, mio cognato, rientrata in casa mentre preparavo la cena o a tavola vicino a mio marito, specie quando accarezzandomi e toccandomi mi chiedeva che cosa avevo fatto quel giorno, nessun rimorso mi dominava, nessun tormento mi affliggeva. Ma qualcosa di diverso, più simile al piacere che all’angoscia. Il piacere di rimuginare che qualche ora prima le mani di un uomo diverso da lui si sono avventate più vive in quei recessi sinuosi di donna che ora lui sta solo sfiorando e che un membro diverso e più forte del suo c’è entrato all’interno, scandendone con forza il piacere, senza ritegno e oltre i limiti del pudore e della decenza. È anche il piacere di pensare che forse ha percepito che sua moglie da tempo si incontra in segreto, che lo tradisce ed è disposta e ostinata come sempre a negare qualora il sospetto si tramuti in domanda. È il piacere interiore di immaginare che vagheggi che qualcosa di strano aleggia nell’aria, che qualcosa di insolito e non regolare è forse accaduto, congiunto all’altro sottile piacere di permanere nell’inconfessato e sottomettersi all’inconfessabile. È anche, tuttavia, il piacere di vivere la sua apparente imperturbabilità e che forse chissà, che accetti le corna e le viva come inevitabile destino di un amore che non poteva essere eterno. Perché sa sua moglie chi è, sa che cosa pensa del sesso, sa come lo vive e come l’ha vissuto. Sa perfettamente che altri uomini prima di lui l’hanno avuta e che qualcuno anche dopo di lui se l’è presa. Sa di avere come moglie una donna ancora giovane, calda, viva e sensibile, incline al richiamo dei sensi, una moglie fedifraga attirata dagli uomini, come gli uomini sono attirati da lei. Tanto. Tantissimo, con quel corpo maturo, quei giusti chili di troppo che la fanno attraente, quel culo rotondo che la fa stuzzicante, quelle cosce esposte e invitanti e quelle tette non grandi, ma sempre eccitanti. La cercano, la vogliono, mentre lei non si sottrae al piacere di piacere. La vogliono gli amici, i colleghi. Il cognato. Sì, Luigi, un bell’uomo, uno che non può non piacere alle donne, che mi ha voluto con ostinazione e con flemma, che mi ha risucchiato in questo suo desiderio perverso e rischioso in questa che in fondo è solo una tresca. Ci sono infilata io in questo estremo azzardato gioco d’amore; torbido e turpe nei suoi risvolti sentimentali, più simili all’incesto che non alla relazione infedele, forte e intenso invece nelle sue manifestazioni più vere fatte di voluttuosi incontri proibiti e di carnali passioni. Due persone che hanno nel sesso una ragione di vita, per questo naturalmente infedeli, troppo diversi in questo da quelli che hanno sposato. Forse sono innamorata di lui, di sicuro sono innamorata di quello che mi dà, delle sensazioni che mi fa provare, del gusto che mi procura quando sono con lui. Ci sa fare, mi capisce, capisce quello che voglio, sa che il nostro è solo un gioco, immorale, ma un gioco. Siamo sempre stati attenti a non farci scoprire, in famiglia. Anche in casa mia o sua o di nostra suocera non abbiamo fatto nulla per far trapelare il nostro rapporto e abbiamo manovrato in modo discreto. Ma è successo più volte che fuori da sguardi zelanti mi abbia toccato, palpato, mi abbia persino baciato. Mi sono fatta vedere una volta spogliata in camera mia, la porta era aperta e gli altri in cucina o in salotto, mentre lui sapendolo andava nel bagno, si è accostato guardingo alla soglia, mi son fatta vicina, non potendo far meglio, è entrato per poco col dito dentro la fica, ma il gusto è stato profondo. Nessuno si è accorto di niente. Ieri però non è andata così. Rientrati dalla spiaggia nella casa al mare di nostra suocera ed essendo mio marito andato a prendere l’aperitivo con un collega che ha incontrato in spiaggia e con sua moglie che si è trattenuta in centro per la spesa e credendo che nostra suocera non fosse in casa, ci siamo trovati in salotto da soli. Me l’aveva detto ricambiato che aveva voglia. Inammissibile in quegli attimi non incontrarsi con le labbra, impossibile in quella situazione non trovarmi sul divano seduta sulle sue ginocchia con la vestaglia da mare aperta e gli orli dei due costumi abbassati con mani che all’interno vi frugano. Troppo siamo stati presi da questo, troppo arrapati ci siamo lasciati incautamente trascinare dal tempo, irresponsabilmente e non riflettendo che qualcuno poteva rientrare.
Uno sguardo verso la porta e la visione di due occhi stravolti che guardano ciò che facciamo. Sono quelli di mia suocera, di nostra suocera, che incredula guarda ciò che non avrebbe mai voluto vedere. Poi è fuggita. A tavola però non ha neppure fiatato, nemmeno ha insinuato, è restata con il volto abbassato, intriso di rabbia interiore, ma facendo finta di niente. Riflettendo mi sono chiesta il perché di questo silenzio, essendo sicura che mi sarei ritrovata incolpata e colpevole, con lui, di aver provocato una sicura sciagura ed un putiferio familiare travolgente per tutti. Invece non è stato così. Anche per lei forse è più opportuno mantenere occultata la realtà, tentando di obliare, magari con dolore e con dolo, forse con disprezzo, ma obliare, ciò che ha visto e ciò che è realmente accaduto. Perché questo fa comodo, a lei, ma fa comodo anche a noi. E’ la verità che potrebbe essere oltrechè crudele anche irreparabilmente fatale ed è meglio, per tutti, far scivolare in una sciagurato silenzio ciò che è avvenuto. Stendere un velo pietoso e brutale su tutto è per lei e non solo per lei, necessario. L’ipocrisia in questo caso è davvero essenziale e ineluttabile. Parlare sarebbe la fine non di uno, ma di due matrimoni.
scritto il
2009-07-30
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