La sottile linea

di
genere
trans

Quando ero al liceo giocavo parecchio a pallavolo. Una volta la settimana ci ritrovavamo al pomeriggio per tenerci in allenamento. Alcune di loro lo facevano agonisticamente. Io semplicemente lo vedevo per quello che era: un modo per tenersi in forma, per divertirsi e stare assieme; di gareggiare e vincere invece non m’importava nulla.
Avevo incominciato per un motivo molto semplice: lo facevano tutte le mie amiche. All’inizio ero decisamente restia a prendervi parte. La mia bassa statura (un metro e sessantacinque) mi sembrava facesse a pugni con quanto questo sport richiedeva. Se poi mi paragonavo alle altre ragazze (e quando si è adolescenti i paragoni con i propri coetanei si sprecano), alte e slanciate come dei fenicotteri, mi sembrava di essere un microbo. Ma le mie amiche insistettero così tanto che mi convinsero a fare il primo passo.
I primi tempi furono disastrosi. In seguito, con un po’ di impegno, cominciarono ad arrivare i primi risultati e, quindi, le prime soddisfazioni. Si era poi creato un bel gruppo affiatato.
Solo con una persona non riuscì mai a legare. Si chiamava Federica e aveva un anno meno di me. Alta, parecchio più della sottoscritta, magra, capelli lunghi mossi color castano chiaro, occhi color nocciola, labbra carnose, voce squillante, seno e culo poco abbondanti ma sodi e gambe slanciate e magre.
Mi evitava. Anzi, mi aveva proprio preso di mira ed era riuscita a tirare a sé anche qualche altra ragazza del gruppo. I motivi degli scherni riguardavano il fatto che io fossi in realtà un maschio. In genere tacevo di fronte a sfottò ed insulti di vario tipo; se però mi veniva in mente una risposta a tono, la lanciavo.
Ero addirittura arrivata al punto di non farmi nemmeno la doccia alla fine delle partite per non mostrarmi nuda davanti a lei e non dover subire le battute più squallide e scontate sulla mia ambiguità.
Un giorno però decisi che tutto questo doveva finire.
Aspettai un attimo ad andare a cambiarmi: preferivo che le altre ragazze cominciassero a scemare. Soprattutto, speravo che Federica se ne andasse prima che io potessi entrare. Nel frattempo, diedi una mano a rimettere in ordine il campo di gioco, cosa che non facevo quasi mai.
Dopo un po’, entrai negli spogliatoi femminili. Il mio ingresso fu accolto da un silenzio carico di stupore. Era da un bel po’ di tempo che le altre ragazze non mi vedevano fare la doccia e risistemarmi dopo la partita. Ormai si erano abituate alla mia assenza.
Nessun segno di Federica. Molto bene.
Mi spogliai, mi fiondai sotto il rubinetto e lo aprì.
Non avevo mai apprezzato così tanto la sensazione dell’acqua scivolare sul mio corpo e purificarmi tutta. La sentivo come una cosa che mi era mancata tremendamente.
Stavo per insaponarmi i dreadlock con lo sciampo apposta quando comparve la Federica. Mi squadrò con un’occhiata dura e si mise sotto il getto d’acqua vicino al mio.
Per un breve attimo mi mancò il respiro e fui tentata di andarmene via subito. Poi riflettei che, visto che ero in ballo, conveniva ballare, e quindi terminai di lavarmi i capelli.
Non feci nemmeno in tempo a prendere l’asciugamano che mi si mise davanti e mi apostrofò con queste parole:
“I bagni dei maschi sono nell’altra stanza”.
C’eravamo solo io e lei negli spogliatoi. Tergiversai.
“Lo so. E allora?”
“E allora dovevi andarci subito e non venire qua”.
“Io sono una donna e quindi vado nei bagni delle donne”.
Sperai che fosse tutto finito.
“La prossima volta però vai di là. Non sia mai che trovi qualcuno cui poter succhiare il cazzo”.
Mi sbagliavo.
“Perché è questo quello che sei: un frocio succhia cazzi”.
Mi sentivo sobbollire dentro.
“Ma lo fai solo in giro o ricevi pure a casa?”
Ero vicina al punto di non ritorno.
“Ma anche in famiglia fai queste cose? Siete una famiglia di froci?”
Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Questa volta però era diverso. La rabbia non stava mutando in lacrime e amarezza. Questa volta si trasformò in azione.
Il pugno destro partì automaticamente verso lo stomaco di Federica. La vidi piegarsi su sé stessa e il viso contorcersi in una smorfia di dolore. Nel fare così abbassò il suo volto all’altezza delle mie mani. Ne approfitti per assestarle un altro papagno col sinistro in piena faccia. Rovinò a terra.
Adesso me la paghi, stronza.
Adesso mi diverto io.
Adesso ti faccio rimangiare tutte le cose che hai detto sul mio conto.
Non feci nemmeno in tempo ad assaporare il dolce sapore della vendetta quando vidi un rigagnolo rosso uscirle dal naso. Stava sanguinando.
Fui immediatamente colta dalla paura per quello che stavo facendo e per quello che avrei potuto ancora fare. Soprattutto, avevo una fifa boia che qualcuno ci scoprisse.
Ero solita portare sempre con me un piccolo kit di pronto soccorso che, fra le varie cose, conteneva pure del cotone emostatico.
Lo presi e mi avvicinai verso Federica. Lei ebbe uno scatto nervoso non appena mi diressi da lei e si allontanò.
“Stai tranquilla”.
Le curai le ferite. Non era nulla di grave.
“Va meglio?”
“Sì, grazie”.
“…”
“…”
“Scusa per prima. E pure per tutte le altre volte. Mi spiace di averti insultato così pesantemente”.
“Nessun problema. Anzi, scusami tu se ti ho messo le mani addosso”.
“Pace?”, mi propose lei tendendomi la mano.
“E pace sia”, risposi io accettando di buon grado.
Notai che aveva sulla spalla un tatuaggio simile a quello di Alessio, un ragazzo che frequentava la mia stessa scuola, che mi piaceva molto e col quale ci stavo provando, purtroppo senza essere ricambiata.
Sapevo che anche lui era uno sportivo: giocava a basket a livello agonistico. Pensai fra me e me che non mi sarebbe dispiaciuto medicarlo, se si fosse fatto male, accarezzargli il volto e le barba.
Mentre mi facevo questi film mentali, mi venne un’erezione.
Diventai rossa dalla vergogna. Proprio adesso doveva capitare?
Anche Federica abbassò lo sguardo e notò, con aria incuriosita, il fenomeno, più unico che raro in uno spogliatoio femminile.
Prima che io potessi biascicare qualsiasi scusa, si inginocchiò, prese in bocca il mio fardello e cominciò a succhiarlo.
Mai e poi mai mi sarei aspettata che sarebbe andata a finire così.
Sentì il mio cazzo indurirsi di piacere. Avrei preferito che ci fosse Alessio al posto suo, ma ormai era fatta. Per essere una donna, mi piaceva. Era brava.
Federica intanto continuava a suggere il mio pene. Ogni tanto si interrompeva e con la lingua ripassava i contorni del membro. Poi mi scoprì il prepuzio e cominciò a soffiarmi sul glande.
Tornai nuovamente a fremere ma di piacere questa volta. Il tepore del suo fiato a diretto contatto con la carne rossa mi agitava tutta.
Mi sentivo esplodere. Quando poi unì alla succhiata delle carezze sui coglioni, esplosi del tutto e venni dentro la sua bocca.
Federica si gustò il mio seme fino all’ultima goccia. Poi si rialzò e, trattenendo a malapena un sorriso, mi disse:
“Scusa, ma ero davvero troppo curiosa di provare”.
Mi sentivo un po’ frastornata.
“E che ne dici?”, le domandai.
“Che ne è valsa la pena”.
Ci rivestimmo e uscimmo dal centro sportivo.
“Ti va se ti do un passaggio in motorino?”
Mi andava eccome. Ormai era la fine di novembre, e di aspettare l’autobus mezz’ora al freddo proprio non mi andava.
Nel montare in sella, mi sistemai per bene la gonna. Le mie gambe in collant scuri aderivano alle sue in blue jeans.
Una volta scesa dal mezzo, non potei fare a meno di ripensare alle emozioni che, nel giro di poche ore, avevo provato nei confronti di Federica: paura, rabbia, una generica simpatia.
Delle volte la vita è proprio imprevedibile, dissi fra me e me mentre risalivo le scale del palazzo dove abitavo.
***
Qualche giorno dopo mi squillò il telefono.
“Pronto?”
“Ciao, Bea! Come stai?”
“Ciao, Fede! Bene, grazie! E tu?”
“Benone! Ti va se questo pomeriggio ci vediamo? Facciamo quattro passi assieme, magari prendiamo pure una cioccolata”.
Esistono alcune parole magiche che catturano subito la mia attenzione. Una di queste è appunto “cioccolata”.
“Ci sto! Con questo freddo una tazza di cioccolata con la panna mi va più che volentieri”.
“Perfetto! Allora alle tre in piazza al solito posto”.
Visto il clima già rigido per i miei gusti, optai per un abbigliamento stile “woman in black”: maglione lungo nero, short neri, collant marroni opachi e ballerine nere.
Così vestita attesi Federica che si presentò con un’inaspettata puntualità. Lei invece era su toni decisamente più chiari: indossava un maglione rosa pallido, camicia bianca, minigonna di jeans, collant color bronzo e stivali col tacco bianchi.
Quest’ultima scelta mi scombussolò non poco. Già di suo mi superava in altezza di svariati centimetri; così agghindata era ancora più alta.
Dopo un bacetto reciproco sulle guance, iniziammo il nostro giro. Solo l’agognata cioccolata con panna e relativa brioche fermò temporaneamente il pellegrinaggio delle vetrine d’abbigliamento che però riprese indefesso una volta uscite dal bar.
Davanti all’ennesima vetrina, Federica mi chiese:
“Bea, secondo te quale dei due abiti mi sta bene?”
Indicò un vestito grigio a fiori rossi ed uno bianco con fantasie rosa, viole e nere.
“Secondo me entrambi. Il primo con degli stivaletti ed il secondo con delle scarpe col tacco”.
“Mi sai dire quanto costano? Non lo vedo da nessuna parte”.
“Ma sì, è scritto qua sotto. Vengono…”
Mentre ero intenta a leggere il cartellino del prezzo, Federica ne approfittò per darmi un bacio sulla fronte.
La guardai perplessa.
“E questo che significa?”, chiesi.
Lei mi guardò con un sorriso malizioso.
“Ti va di continuare il discorso che abbiamo iniziato negli spogliatoi? Oggi ho la casa libera”.
“Guarda che a me piacciono i maschi. Credo che tu lo sappia bene”.
“Intanto ti sei fatta spompinare e non mi pare che ti abbia dato fastidio”.
“Mi avevi colto alla sprovvista. E poi è stata solo un’eccezione”.
“Proprio no?”
“No. Mi piace il cazzo”.
“Nemmeno se chiamo il mio fidanzato?”
Per la seconda volta la guardai perplessa. Cosa aveva in mente?
“Guarda. Ti faccio vedere che tipo è”.
Tirò fuori dalla borsetta una foto dove era ritratta assieme ad un ragazzo moro con la barba.
“In effetti è carino”.
“Ha detto che ti vuole conoscere. In tutti i sensi”.
La guardai negli occhi.
“Quanto ne ha?”
“In abbondanza”.
“Va bene”.
“Ottimo. Allora lo avviso di farsi trovare sotto casa mia fra un’ora”.
Raggiungemmo casa di Federica dove, ad aspettarci, c’era il suo ragazzo. Ci presentammo. Scoprì due cose: che si chiamava Alessandro e che era anche più carino di come era apparso in foto.
Nel salire alla volta dell’appartamento, lui e la Fede si tenevano abbracciati, io rimanevo un po’ più in disparte.
“Dai, Beatrice, non essere timida. Vieni qua”, disse Alessandro mettendomi una mano attorno alla vita e tirandomi a sé.
Però, che tipo espansivo! Pure troppo, visto che mi stava già palpando tutta.
Entrammo in casa. Federica chiuse la porta dietro di sé e ci offrì qualcosa da bere.
Facemmo un po’ di convenevoli reciproci, poi decidemmo che era l’ora di dare inizio alle danze.
“Non vedo l’ora”, commentò Alessandro dandoci una pacca sul culo a me ed alla sua ragazza, una per mano.
Sì, un vero gentiluomo, non c’è che dire.
Io feci per liberarmi dalla morsa di questo polipo, ma lui mi teneva per un braccio.
“Mi ha detto la Fede che tu hai in serbo una sorpresa”, mi disse dopo avermi messo una mano dentro gli short ed iniziato a tastarmi il pacco.
“Sì, ma se non la pianti di fare l’idiota non la vedrà proprio nessuno”, ribattei io per le rime, riuscendo finalmente a divincolarmi dalla sua presa.
“Dai Ale, sta’ calmo. Adesso iniziamo”.
Meno male che la sua ragazza aveva un po’ di sale in zucca.
Andammo nella camera da letto della Fede e lì ci spogliammo. Tutto quello che seguì si può dividere in tre atti, come una commedia teatrale.
Nel primo atto, c’eravamo tutt’e tre.
Iniziammo con io ed Ale che scopavamo la Fede in modo speculare, l’uno davanti e l’altra dietro, salvo poi darci il cambio.
Poi io rimasi sotto e la Fede sopra, a raccogliere il mio membro dentro di sé; e sopra ancora Ale che la penetrava da dietro. Quindi, io e la Fede ci scambiammo di posizione; Ale invece rimase al suo posto di prima. Mi faceva piacere sentire contemporaneamente la mia parte maschile che sondava nella femminilità di Federica e la virilità di Alessandro sfondare il mio culo androgino.
Per concludere il primo atto, Fede si mise a pecorina sul letto, con Ale a penetrarla da dietro ed io che accettavo di buon grado una sua fellatio. Quindi, per l’ennesima volta, io e Ale cambiammo posizione.
In verità l’idea di fare sesso con una donna non mi andava proprio, però il fatto che ci fosse anche quel figo del suo ragazzo e che prima o poi avrei assaggiato a fondo il suo uccello mi davano la spinta per andare avanti.
A questo punto, Alessandro tolse il disturbo e lasciò noi due donne da sole. Iniziava il secondo atto.
Rimasi attonita. Anche perché Federica mi stava guardando con un’espressione languida che non lasciava adito a dubbi.
“Fede, lo dobbiamo proprio fare?”
“E me lo chiedi pure?”
“Non mi va tanto”.
“Non vorrai tirarti indietro proprio adesso?”
“Fede, lo capisci o no che a me le donne non piacciono e che, se sono venuta qui, è solo perché quel porco del tuo ragazzo aveva voglia di provare il mio culo e io non vedo l’ora che lo faccia?”
Nonostante il mio tono di voce fosse seccato, lei rimaneva imperturbabile.
“Peccato, avevo proprio voglia di farti un bel regalo”.
“Quale?”
Per tutta risposta lei estrasse da un armadio una scatola e la aprì. Il contenuto era inequivocabile: un vibratore.
“È nuovo di pacca, non l’ha mai usato nessuno, nemmeno io”.
“Lo vedo. E quindi?”, chiesi io cercando di capire dove volesse andare a parare.
“E quindi grazie a questo gingillo tu cambierai idea”, disse agitandomi il pene finto sotto il naso.
Mi mise le mani attorno al collo e cominciò a limonarmi. Poi le sue mani passarono a lubrificarmi l’ano.
“Sdraiati di schiena sul letto e allarga le gambe”.
Feci come lei chiedeva. Lei si mise davanti a me e, con un gesto fulmineo, mi ficcò il vibratore dentro il buco del culo. Aveva fatto un bel lavoro con la vaselina, non provavo quasi dolore. Quasi. Però era proprio quello che aspettavo: sentire un bel cazzone che mi trapanava il culo. Tutto questo mi piaceva. Il mio pene cominciò infatti a rizzarsi per l’eccitazione.
Federica approfittò della situazione. Si mise a cavalcioni sopra di me, mi afferrò il membro e se lo infilò dentro la vagina. La udì gemere di piacere. Io non provai altro effetto se non il contatto fra il mio membro e la natura della Fede. Una sensazione già avvertita altre volte: umida, calda, un vero e proprio contatto umano, forse il più intimo fra due persone.
A questo punto lei fece partire la vibrazione del dildo che fino ad allora era rimasto fermo.
Fra me e me la benedissi per aver avuto una trovata così geniale. Adesso potevo veramente dire che qualcuno mi stava sfondando per bene il culo. La mia erezione continuava e seguiva passo dopo passo il piacere di essere scopata. La Fede intanto andava su e giù, massaggiandomi i coglioni per far allungare ulteriormente il mio uccello.
Ad un certo punto pretese che io avessi un ruolo più attivo. Si mise sotto ed io da sopra la penetrai come ogni uomo, fin dalla notte dei tempi, prende la propria donna. Nel mio caso, però, continuavo ad avere il vibratore ben piantato dentro il culo e attivo che mi dava lo stimolo per dare il meglio di me. Davo anche dei bruschi colpi di reni, stando attento però a non farle del male.
La Fede, dal canto suo, pareva gradire questo mio sforzo e anzi, mi dava una mano per fare ancora meglio. Incrociò le gambe dietro la mia schiena (lo facevo anch’io quando scopavo con qualche ragazzo!) e mi tirava a sé quando affondavo il mio uccello nella sua figa.
“Oh sì, dai, Bea, vai avanti così! Lo sai come godiamo noi donne, perciò adesso fallo!”
Lusingata da questo complimento, la colpivo con forza e addolcivo questa mia irruenza baciandola.
Intanto, godevo come una maiala a sentire il vibratore farsi strada piano piano dentro di me.
Quando avvertì che stavo per avvicinarmi all’esplosione finale, pretesi di poter penetrarla analmente. Lei accettò e si mise a pecorina.
Le leccai il buco del culo con avidità. La vidi sussultare al contatto della mia lingua col suo buchetto. Prometteva bene.
Quando ormai il terreno era pronto, mi misi all’opera. In ginocchio dietro di lei, le divaricai le natiche, appoggiai il mio uccello contro l’ano e lo spinsi dentro.
Adesso andava decisamente meglio. La sensazione del buco del culo della Fede che opponeva resistenza al mio cazzo salvo poi allargarsi, sconfitto dalla veemenza del nuovo arrivato, mi eccitava. Era già abbastanza simile a quello che facevo di solito.
Lei invece urlava.
“Mi fai male, Bea, mi fai male!”
“È la prima volta che provi il sesso anale?”
“Sì, e mi sa che sarà anche l’ultima”.
“Allora tranquilla, è tutto regolare. All’inizio provi dolore, ma vedrai che ora della fine lo vorrai rifare”.
Per eccitarmi ancora di più, mi venne spontaneo pensare al cazzo di Alessandro che avevo già assaggiato prima e che avrei provato anche in seguito, a quell’uccellone enorme che mi perforava il culo con mio sommo piacere. Funzionò. Sentì il mio pene allungarsi.
Fede continuava a gemere ma ebbi la netta impressione che stesse anche godendo per la situazione in cui si trovava. Continuai a spingere dentro di lei. Mi venne spontaneo tirarla per i capelli. Percepì la morbidezza della sua chioma sotto le mie dita.
Alla fine eiaculai, all’unisono con l’ultimo urlo di Federica che, dopo avermi estratto il vibratore dall’ano, si alzò dal letto e se ne uscì dalla stanza. Al suo posto entrò Alessandro.
Terzo atto.
Lui mi guardò sorridente, il classico sguardo da uomo che voleva mostrarsi alle donne sicuro di sé. O meglio, lo sguardo di un adolescente che cerca di darsi un tono.
Dal canto mio ero eccitatissima. Avevo davanti a me i suoi pettorali ben pronunciati che avrei voluto leccare in continuazione e due braccia da cui avrei voluto essere avvolta.
Il mio cazzo andò subito in evidente erezione.
“Vedo che sei contenta di vedermi!”
“Facciamolo subito, non ce la faccio più”.
Ci baciammo subito, con ardore, con veemenza, con passione. Le nostre lingue si incontravano e si rincorrevano a vicenda.
Poi, dopo avergli baciato il petto, scesi giù ad altezza inguinale. Presi in mano il suo membro e, dopo avergli dato quattro scrolloni, me lo misi in bocca e cominciai a fargli un pompino.
Finalmente. Finalmente l’avevo tutto per me. Il suo uccello diventava duro dentro la mia bocca e più si allungava più io me lo gustavo. La sua virilità stava lentamente conquistandomi. Poteva fare di me ciò che voleva.
Quindi mi chiese di mettermi prona sul letto. Lo sentì armeggiare col lubrificante attorno al mio buchetto. Furono brevi attimi di fremente attesa. Non vedevo l’ora che mi penetrasse.
Infine si mise dietro di me e mi sodomizzò.
Ecco, l’altro grande momento era giunto. Avevo Alessandro tutto per me, io ero la sua donna, ero a sua completa disposizione, lui era lo stallone ed io la puledra. Almeno per quel momento.
Intanto, il suo pene batteva dentro il mio culo come non mai.
“Sì, dai, Ale, sono tua! Sfondami!”
Lui non rispose. Non a parole, per lo meno.
Il suo pene insisteva nel farsi strada attraverso il mio ano che lo accoglieva dentro di sé per intero mentre andava avanti e indietro ad esplorare la mia femminilità.
Lo sentì agitarsi: probabilmente era vicino al momento topico. Avrei voluto che fosse durato un po’ di più, ma tant’è… Mi venne spontaneo urlare.
“Guarda che più urli più io te lo spingo dentro”, mi rispose Alessandro. E fu di parola. Diede dei colpi che mi spaccarono in due come una mela.
Poi mi disse di girarmi e di mettermi di schiena. Mi misi supina sul letto e divaricai le gambe. Lui mi penetrò nuovamente. Il suo caldo membro entrò nuovamente dentro di me con mia grande soddisfazione.
Continuò a darmi colpi di reni per meglio sfondarmi il culo. Dal mio canto, continuai ad urlare ed ansimare di piacere. Riprendemmo a limonare. Il pizzicore della sua barba contro le mie guance glabre mi eccitava ancora di più.
Alla fine eiaculò dentro di me.
Ci demmo un ultimo, lungo e appassionato bacio, poi io gli dissi:
“Adesso è il mio turno”.
Dovetti vincere un po’ di sue resistenze (“E dai, tu hai goduto e io no, non è giusto!”), ma alla fine riuscì a convincerlo.
Già che eravamo in quella posizione, mi feci fare un pompino. Avvertì i suoi denti toccare il mio membro e in effetti davano un po’ fastidio. Però era comunque eccitante, anzi, forse proprio per questo motivo mi elettrizzava ancora di più. Lui con la bocca stava ricambiando al mio sesso il piacere che prima avevo dato al suo con le mie labbra. Gli accarezzai i capelli e la barba.
“Oh sì, bravo, continua così”.
Poi lui si mise a pecora ed io andai alle sue spalle.
“Non ti preoccupare, sarò delicatissima”, gli sussurrai in un orecchio.
Lubrificai adeguatamente il suo ano, poi montai sopra di lui e lo sodomizzai.
Ebbi il terzo grande momento della giornata. Adesso ero io la cavallerizza e lui il puledro da montare. La mia anima femminile lo desiderava e lo voleva con sé e la mia parte maschile, cioè il mio cazzo, era il laccio con cui tenermelo stretto.
Mi eccitava l’idea che, nonostante fossi molto più bassa di lui, adesso ero io a sottometterlo. Il suo culo era quanto di più bello potessi desiderare e io lo stavo aprendo a colpi di minchia.
Lo abbracciai, come a non volermelo lasciar scappare. Visti da lontano, sembravamo due cani che stavano copulando. Per la precisione, io un bassotto e lui un alano.
Il mio uccello si stava allungando e continuava imperterrito ad allargare il suo buco del culo, con mio enorme godimento. E forse anche suo.
Venni dentro di lui.
***
La settimana seguente ritrovai Fede al solito allenamento.
Dopo la partita, la chiamai a sè in un angolo nascosto del centro sportivo. Non l’avevo più sentita dopo quel che era successo e sentivo di avere alcune cosette da dirle.
“Senti, volevo parlarti un attimo”.
“Dimmi”.
“Quello che abbiamo fatto settimana scorsa… insomma, mi è piaciuto”.
“Bene, sono contenta”.
“E poi il tuo fidanzato è un bel ragazzo… ecco, quando ero con lui mi sentivo protetta e appagata. Avrei voluto che quel momento non finisse mai”.
“Lo so benissimo, sono le stesse sensazioni che provo quando sto con Ale”, rispose lei con un sorriso.
Poi mi si avvicinò e mi chiese:
“E con me come è stata?”
Fui colta di sorpresa dalla domanda.
“Oddio, sei una ragazza molto bella e con un corpo fantastico e questo non passa inosservato, nemmeno ad una come me. Con te è stato... come dire, tenero, delicato”.
“Quinti ti è piaciuto?”
“Sì, certo”.
“Bene, perché è piaciuto molto anche a me. Anzi, moltissimo, specie quando mi hai preso da dietro”.
Abbassò il tono di voce.
“Lo so che sei gay e che forse il mio copro non ti attrae. Però, se ti andasse di riprovare…”
Sospirai.
“Lo faccio solo perché sei tu”.
“Grazie mille, Bea. Sei un’amica”.
Dopo la doccia, aspettammo di essere sole negli spogliatoi. Poi lei si piegò in avanti e io, dopo un pompino fondamentale per avere un’erezione, la sodomizzai fino all’eiaculazione.
Eravamo ormai amiche per la pelle. In tutti i sensi.
di
scritto il
2015-09-28
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