Storie di vita. 1. Il figlio della colf.

di
genere
gay

Ricordo benissimo che quel giorno d’estate giravo per casa in mutande e canottiera. Dentro casa era la mia normale tenuta, vista la canicola.
Non c’era da studiare ed avevo altri impegni, molto più coinvolgenti: ovviamente c’erano vari tipi che mi inchiappettavano, riempiendomi il tempo. Un luogo d’abbordaggio era divenuta la piccola società sportiva che frequentavo quasi quotidianamente, c’erano anfratti nascosti dove venivo posseduto ad oltranza.
I pantaloni costantemente calati, nemmeno una puttana di strada…
Da tempo ero conosciuto come Pisellino.
Quando era terminato l’anno scolastico mi aspettavo di trascorrere una bella estate in attesa di affrontare l’anno successivo.
In realtà quel periodo si stava rivelando piuttosto incasinato per la mia famiglia. I miei genitori avevano un’attività in proprio, ed erano entrambi impegnatissimi. Decisero, quindi, di assumere una persona che accudisse alla casa. Io ero in attesa di andare in vacanza, dai parenti. Per loro, quell’anno, non ci sarebbe stato riposo.
Quel caldo pomeriggio, per la prima volta, la signora Flora, così si chiamava la collaboratrice, una tipa separata che ci era stata consigliata da amici comuni, aveva chiesto al figlio Livio di passare da lei, perché assieme a me doveva aiutarla a caricare in macchina delle cose che mia madre gli aveva chiesto di portargli alla sede della ditta.
“Ciao Livio, io sono R. (ovviamente gli dissi il mio vero nome)” mi presentai appena lo vidi entrare. Alto, aria furba, vestito con i bermuda e le scarpe da ginnastica, la maglietta di marca. Lo trovai piuttosto carino, anche se leggermente ambiguo, con i lineamenti delicati, un po' come me, i capelli lunghi ma curati, alla moda. Un accenno di barba. Non l’avevo mai visto prima.
Aveva vent’anni o giù di lì.
Mi osservava con occhio critico, come se stesse valutando il mio aspetto, soppesando le mie qualità.
La signora Flora ci chiamò, io m’infilai un paio di corti pantaloncini sportivi, poi caricammo degli scatoloni sopra l’auto.
Finito di caricare, la madre chiese a Livio cosa voleva fare, lui aveva lo scooter e se ne sarebbe potuto andare, lei sarebbe tornata fra un’oretta a prendere altre cose, ma poteva fare da sola. Con sua (e mia) grande sorpresa lui decise di fermarsi un po’ lì con me che ero solo.
Appena la donna sparì, Livio si stravaccò sul divano, accese in televisore e si mise a smanettare col telecomando.
“Siediti vicino a me, ragazzina!”, mi chiamò mentre continuavo a muovermi seminudo per casa: “Non sono una ragazzina!” mi lamentai io, mentre mi sedevo comunque a fianco a lui sul grande divano, lusingato dal suo interessamento nei miei confronti. In realtà lui mi piaceva e questa cosa della “ragazzina” mi faceva provare una sensazione strana, uno sfarfallio allo stomaco.
Stuzzicava la mia vanità.
“Vuoi vedere un film? Ho un sacco di videocassette”. Gli proposi io.
“Ho in mente un’altra cosa, fammi vedere come fai la fighetta… la modella, c’è la musica”.
“No, dai, ma che dici…”, ero confuso.
“ Alzati, sfilami davanti, muovi il culo”.
Prima timidamente, poi con passo sempre più sciolto, presi a camminare avanti ed indietro davanti a lui, il gioco iniziava a piacermi. Il televisore trasmetteva della musica ed io cercavo di muovermi a tempo.
“Togliti la maglietta, fammi lo striptease… Bravo anzi brava! Ora i calzoncini… si… le mutande… così… accidenti che culetto liscio… sei perfetta, sei una vera top model!”.
Mi accarezzò le natiche.
Feci tutto quello che voleva, ero già partito, Pisellino Bocca di Rosa totalmente disponibile.
Ero completamente nudo ed anche lui si era tolto la maglietta, era leggermente sudato, lo sguardo un po’ lucido.
“Vabbè, basta, torna qui vicino a me, Pisellina! Eh!Eh!Eh!” ridacchiò mentre pronunciava il mio nomignolo, che evidentemente conosceva, al femminile. Era una risatina un po’ stridula, eccitata.
Stavo prendendo le mutande ma lui mi disse di rimanere nudo che andava bene così.
Le osservò, poi: “Ehi, R., Pisellina, guarda cos’hai combinato”, mi disse mentre mi mostrava il notevole rigonfiamento dei suoi bermuda.
“Dai tocca, senti come è duro”.
Allungai la mano e strinsi quella protuberanza attraverso i pantaloni, era una bella fava, dura come l’acciaio.
Sarà pure stato ambiguo ma possedeva un gran bel cazzo.
Mi fece sedere accanto a lui: “Bella fighetta, ragazzina, tiramelo fuori, lo so che hai voglia”.
Ormai andavo in automatico, non c'entrava la voglia, era un altro cazzo da aggiungere alla lista. Di quelli da misurare.
Mi alzai e mi inginocchiai fra le sue gambe, dopo che Livio ebbe aperto la cintura tirai giù i pantaloni, fino al ginocchio, afferrai i boxer e feci la stessa cosa.
Uscì fuori un oggetto perfetto, per dimensioni e proporzioni.
“Semmai dopo lo misuro”. Pensai fra me mentre mi apprestavo ad operare, a sottomettermi.
“Sai, a me piacciono i frocetti. C’è uno che ogni tanto mi da il culo, ma non è sputtanato. Lo facciamo di nascosto e lui non sembra proprio un finocchio. Nessuno lo direbbe mai. Adesso lo dà solo a me e a un altro, anche insieme. Ce lo prende anche in bocca, ma di più nel culo perché così gode come un matto. Tu sei più molto più carino di quel frocio lì, bello liscio, mi sa che è per questo che ti vogliono scopare”.
"Ma io sono sputtanato?”, domandai, mentre lo masturbavo.
“Mah… proprio sputtanato no… (fu gentile) però io lo sapevo già da un po' che sei culo, che ti inculano anche nel giro dell’oratorio… della società… che ti chiamano Pisellino, tra l’altro quello che si fa il frocetto segreto con me ha un cazzo che sembra un asino, è Fulvio, forse lo conosci perchè ogni tanto viene alla società”, continuò: “Poi se uno ti osserva vede che sei femmina, ma di me non ti devi preoccupare, non lo racconto a nessuno quello che stiamo facendo”.
“Beh. So chi è Fulvio ma non ci sono mai stato (dividevo quelli che conoscevo fra chi mia aveva fatto il culo e chi no)" risposi.
Mentre parlavamo mi muovevo delicatamente con entrambe le mani, ma lui voleva, ovviamente di più: “Dai bacialo… mhhhhh… bravo… così…”.
Mi applicai, mangiandogli il cazzo, lui apprezzava tantissimo.
“Ahh… non vuoi essere sputtanato ma fai dei pompini che nemmeno un trans di quarant’anni… ahh… si capisce che nei hai già succhiati dei cazzi… vedrai che presto diventi famoso, altro che sputtanato… ahhhhh!”.
Fu profeta, in effetti, anche se non ne ero consapevole, ero già piuttosto “famoso”. Nonostante la giovane età da molto tempo succhiavo cazzi con maestria e nel corso di quell’estate sarebbe avvenuto lo “sputtanamento” e ci sarebbero stati tipi spavaldi, come ho già raccontato, che mi avrebbero persino cercato in casa pur di fottermi.
Facevo scorrere la cappella fra la lingua e la parete interna delle guance e lui sborrò improvvisamente, un po’ di sborra invece di scendere nello stomaco andò di traverso e mi passò fuori dal naso.
Mentre tossivo disse che per oggi andava bene così, ma che ci saremmo rivisti presto.
Stette fermo alcuni secondi mentre lo ripulivo poi mi ordinò di sistemarmi e di mettermi qualcosa addosso che sarebbe arrivata sua madre, poi appoggiò una mano sul culo scoperto e mi saggiò il buchetto grinzoso con il dito indice mentre mi sussurrava nelle orecchie: “Appena abbiamo più tempo, ragazzina, scopiamo come ricci”, strascicava le parole: “Ci divertiamo un sacco”.
Un paio di giorni dopo i miei genitori mi informarono che si sarebbero dovuti allontanare per l’intera giornata, capitava piuttosto spesso ma quel giorno prima del solito e probabilmente fino a tardi, per comodità io mi sarei appoggiato dalla signora Flora.
Andai a casa sua il mattino dopo. Era ancora presto ed io ero insonnolito, Marco dormiva ancora e sua madre, ovviamente ignara della mia troiaggine, mi invitò ad infilarmi nel letto con lui.
Con addosso le sole mutandine mi intrufolai e mi sistemai, in posizione fetale, davanti a lui che dormiva su un fianco. Mi incastravo perfettamente.
Non per puro caso il suo cazzo poggiava sul mio culo ed era già eretto nella fase della reazione mattutina.
Mi assopii. Dopo circa un’ora Marco si svegliò e si accorse di me, notando come ero messo, con le invitanti rotondità bene in posizione.
Iniziò a muoversi alle mie spalle, sentivo il suo coso, sempre più duro, che passava nel solco, dal quale era separato solamente dalle mie e dalle sue mutande. Nel frattempo mi accarezzava le la schiena e poi le cosce, passò la mano anche sul davanti, lisciandomi il pisellino.
Io dimenavo leggermente le chiappe.
Andò avanti per un po’, poi: “Dai, ragazzina, alziamoci, qui non possiamo fare nulla. So io dove andare.”.
Passammo velocemente dal bagno e ci fiondammo in cucina, per una rapida colazione.
“Io vado a fare la spesa, adesso che non è ancora molto caldo, voi cosa fate?”, Ci informò la signora Flora.
Marco: “Penso che usciamo, andiamo a fare un giretto. Torniamo per pranzo”.
Uscimmo di casa assieme, inforcammo il suo scooter.
Gironzolammo per un paio di chilometri, poi tornammo indietro. Ci fermammo davanti ad un grande palazzo popolare, proprio di fronte al suo, dove salimmo fino al piano mansardato.
Mentre ci arrampicavamo sulle scale Marco spiegava che lì c’era un appartamento ammobiliato, in attesa di essere affittato. Lo prendevano in inverno degli operai che venivano da fuori, in quel momento era vuoto. Se ne occupava sua madre per conto dei proprietari, che vivevano lontano.
“Sai, qui staremo comodi e nessuno ci romperà le palle. C’è un bel letto matrimoniale, ti farò strillare proprio come una ragazzina. Sai, non ci sentirà nessuno e se succede da qua sopra non si sente nulla in tutto il condominio”.
Nel frattempo mi spingeva su per le scale tenendomi la mano sul culo.
Giunti sul pianerottolo, Marco aprì la porta e mi accompagnò dentro.
“Hai sete?” mi domandò
“Si”.
“C’è dell’acqua in frigo”.
Ingoiai un sorso, lui aveva lo stesso sguardo allupato dell'altra volta.
“Levati la maglietta... tutto quanto.
Lui mi guardava, mentre si denudava.
“Accidenti, il tuo culetto è incredibile... sei carino come una ragazza… Andiamo in camera”. Ce l'aveva balzotto, non ancora completamente eretto. Anche così era un gran bell’aggeggio.
Ci sedemmo sul letto, io glielo presi subito in mano. Mi baciò sulla bocca, poi non perse tempo: “Brava Pisellina... ora fai un'altra cosa... mettiti giù… ecco, bravo, con la testa sul letto il culo in alto… ora te lo metto dentro!”.
Si inginocchiò dietro a me, lo puntò sul buco, che io avevo inumidito con un po’ di sputo e dopo avermi afferrato per i fianchi “me lo mise dentro”.
Il buco si spalancò: “E’ vero! E’ vero! Sei morbido come il burro” esclamò Carlo scivolandomi nel profondo.
Gemetti di piacere, cerebralmente. Molto tempo prima mi avevano insegnato che dovevo prenderlo nel culo , che era bello, che ero nato per questo. Avevo fatto mia questa cosa ed adesso non volevo altro, per me era normale, logico e naturale farmi sbattere. Come e forse più di una vera femmina.
Si muoveva avanti e indietro scavandomi il canale rapidamente e non ci mise molto a venirmi dentro. Devo dire che con lui la prima scopata sarebbe stata sempre piuttosto rapida, non riusciva a trattenersi.
Però ne faceva quasi sempre più di una e le altre duravano molto di più.
Anche quel primo giorno nell’appartamento fu così, restammo lì, nudi, tutta la mattina.
Io gli piacevo veramente parecchio, fra una scopata e l'altra dovevo restare alla pecorina e stava a guardami il culo, aperto e bagnato.
Una scopata la facevamo quasi sempre nella posizione del missionario, che amava particolarmente, perchè così andava veramente profondo ed io gemevo come una femmina, si esaltava ed ogni volta mi si sdraiava completamente addosso per sentire il “contatto” fra i corpi.
Con lui erano quasi sempre incontri “completi” ed articolati, cose lunghe, anche se non mancarono le sveltine in casa sua o mia. Addirittura lo masturbai alcune volte mentre eravamo sul divano a guardare il televisore, con la madre nell’altra stanza, finiva sborrandomi in bocca per non sporcare, io bevevo tutto. Questa cosa lo eccitava parecchio, gli tirai addirittura anche dei pompini completi così “rischiosi”.
Nel frattempo, ovviamente, frequentavo la “società” e gli altri luoghi soliti.
E lì mi scopavano, mi spaccavano il culo senza pietà.
scritto il
2016-07-20
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