Zia Bea (1a parte) Racconto di fantasia -fatti e riferimenti a persone reali sono puramente casuali-

di
genere
incesti

La zia si sentì penetrare contemporaneamente dai membri dei due nipoti. Quello di Ethan, il più piccolo in età, le entrò con una sorta di tenerezza. Era sottile ma lungo, più dell’altro. Di un colore pallido, dai lineamenti morbidi e in alcuni punti ricoperto di granellini simili a quelli che si vedono sulla pelle delicata dei neonati. Ma di certo il ragazzo neonato non lo era. Era ormai prossimo ai quattordici, e lo rimarcava con orgoglio ad ogni occasione ‘tredici e tre mesi, tredici e cinque mesi, tredici anni e dieci mesi’ annunciava gonfio di se quando veniva fuori il discorso dell’età.

Le entrava con una dolcezza che aveva ormai da tempo dimenticata. Le sfiorava le labbra e le pareti con una carezza alla quale non pensava più.

Dei flashback, che andavano a tempo coi lenti colpi del nipote, le portarono alla mente la sua prima volta. Ad undici anni, nella cascina dietro casa, distesa con Biuky su un pagliericcio di fieno sul quale buttarono una vecchia coperta di cotone grezzo, una sera di inizio autunno.

L’ancheggiare timido di Ethan che, mordendosi il labbro, spingeva più che poteva il suo sesso tra le cosce della zia; e le sue mani, non ancora incallitesi dal tempo, dall’usura e dalla trascuratezza, che le toccavano i seni la intenerirono e le fecero proiettare verso di lui un misto di compassione e gratitudine per essere così... innocente e fanciullo da rendere, negli attimi di quell’incontro, giovane ed innocente anche lei.

Nel perverso abominio di quel rapporto incestuoso brillava ora il debole riverbero di una luce inaspettata ma sempre desiderata, anche se mai confessata, a nessuno. Neanche a se stessa. Il piacere non, una volta tanto, di... scopare, di godere attraverso l’atto sessuale ma quello più pulito, casto, romantico di sentirsi felice attraverso le carezze e i gesti ingenui di un ragazzo.

L’incanto di quegli istanti fu, quasi simultaneamente, interrotto dall’altro membro che, più faticosamente, le entrava con forza attraverso lo sfintere.

Il sesso più tozzo, corto ma robusto di Bradley penetrandola aveva spezzato l’incantesimo; frantumato la boccia di vetro che racchiudeva, sotto forma di quella polvere granulosa e bianca che si libera ed espande una volta agitata, la magia e l’estasi che Ethan coi suoi involontari modi le stava regalando.

Ora il quadro, come investito da un fascio di luce, mostrava la sua interezza. E lei, zia Bea, dovette faticare nel ritrovarsi dove effettivamente era, nel granaio del cognato, sul suolo di terra battuta, poggiata su un fianco con la gonna tirata su e la camicia sbottonata, con le gambe larghe e le piante dei piedi rivolte verso l’alto mentre i suoi due amati nipoti, figli di sua sorella Edra, l’avvinghiavano e ritmavano le penetrazioni non sincronizzate tra loro. I raggi trasversali di un Sole, prossimo al calare oltre l’immensa pianura, entravano netti come lame tra gli spiragli delle pareti di assi di quercia e tra mucchi di legna, sacchi gonfi di grano e covoni essiccati. Le tre figure, che la penombra rendeva come una cosa sola, si muovevano lente ed ansimanti, come un animale dai contorni indefiniti che affanna e guaisce.

I loro colpi non allineati facevano sì che lei, zia Bea – ci teneva, sia nei dialoghi in pubblico che negli incontri proibiti, a puntualizzare il suo grado di parentela -, sentisse alternatamente ora l’insinuarsi leggero ma comunque piacevole dello stecchetto del piccolo Ethan, ora il vigoroso farsi strada dell’arnese massiccio e nodoso – per via di una serie di striature venose che lo attorcigliavano – del più che ventenne, ed ormai uomo, Bradley che lei stessa aveva iniziato al sesso quand’aveva la stessa età del fratellino, in un pomeriggio di piena estate, quando un temporale improvviso e potente li fece riparare in quello stesso granaio.



Lei era reduce da una storia tormentata con un avvocato della ‘city’. Si erano lasciati e rimessi insieme un’infinità di volte, ed un’altra serie di infinità di volte l’avrebbero fatto se lui non fosse finito in carcere per una vicenda di corruzione, ricatti ed uno scandalo sessuale che misero nei guai politici, amministratori, squillo d’alto borgo ed avevano a che fare con lui e lo studio legale per il quale lavorava.

La storia con Jack era di quelle che ti segnano; che ti illudono, ti fanno toccare il cielo con un dito e camminare poggiando i piedi nudi su delle soffici nuvole, per poi, un istante dopo, precipitarti a terra a colpi di ceffoni e, non accontentandosi, ti strofinano la faccia contro la melma delle pozzanghere.

Queste metafore, così come le annotava in un diario che, in una gelida sera di un gennaio, lanciò dalla banchina del molo facendolo inghiottire dalle acque scure dell’Hudson, servivano ad evitare di chiamare le cose col loro nome, cioè false promesse, menzogne, tradimenti, perdoni implorati ed ottenuti troppo facilmente seguiti poi da nuove promesse puntualmente non mantenute e nuovi progetti regolarmente traditi. La certezza di fare ciò che la fantasia ed i bollori ormonali chiedevano. Tanto lui aveva ‘la chiave’, quella che, impersonando abilmente la parte del pentito ravvedutosi e deciso a cambiare, riusciva ad aprire la porta oltre la quale lei custodiva la sua dignità. Calmarla, rassicurarla, farsi riaccogliere, e poi ricominciare a trastullarsi nei suoi traffici.

Non sa se quel ritrovarsi, anche allora, con delle mani strette a tastarle i seni morbidi ed un sesso, mai svezzato prima, dentro la vagina fosse tutto e solamente dovuto all’esperienza disastrosa vissuta con gli uomini della sua vita, dei quali l’avvocato Nills era l’ultimo in ordine cronologico, ed il peggiore ma non l’unico, perché i precedenti, in fatto di porcate, l’avevano, come dire, ben allenata.

La strana sensazione provata quando, sorpreso ed impaurito dal boato di un tuono, il ragazzino si strinse alla vita della zia poggiando il capo sul suo petto – chissà poi quanto innocentemente – la turbò inizialmente ma non la irrigidì. Non scostò il nipote che, dopotutto, cercava in lei protezione; bensì lo strinse ancor più a se. A quel punto quella sensazione, non scacciata ma anzi lasciata germogliare e prendere via via forma quando Bradley, facendo dissolvere ipotesi di innocenza e pudicizia, prese a respirare profondamente tra i due seni coperti da una maglietta di cotone rossa e si spinse di più contro le sue cosce, avvolte in jeans scoloriti, facendole sentire l’erezione, si era ingrandita e definita in eccitazione.

Quando si mettono in un alambicco diverse gocce di questa e quella sostanza è facile che il tutto finisca coll’esplodere. Così le storie passate e quella dalla quale era recentemente e rovinosamente uscita e che avevano finito per segnarla in un modo che lei stessa ignorava; il ricordo della ‘prima volta’ in un posto simile a quello; l’età del nipote, identica a quella del figlio del rivenditore di mobili usati, con cui la visse; l’aria resa elettrizzante dalle particelle liberate dai fulmini che, potenti, si schiantavano contro gli alberi della vicina boscaglia e che, per una sorta d’alchimia, si mescolavano e nutrivano quelle che dal cervello stimolavano un folle, proibito - ma che si fa strada in un’irresistibile curiosità e voglia di cedere e provare-, piacere.

Tutti quegl’ingredienti mentali, o forse solo una latente propensione all’immoralità ed alla trasgressione, fanno sì che, mentre il terreno vibra sotto gli sconquassi di una tempesta ed il tetto è mitragliato da una possente grandinata, zia e nipote passino da un abbraccio istintivo, di ricerca di rifugio, ad uno morboso. Si spoglino con una frenesia che quasi li porta a strapparsi i vestiti di dosso e si avvinghino ansimanti.

E, poco dopo, il corpo di zia Bea, a contatto con la polvere umida ed i fili di paglia, era mosso, ondeggiato dal cavalcare di lui.
scritto il
2010-10-22
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