I 7 anelli (seconda parte)

di
genere
sadomaso

Il vento impetuoso frusciava tra gli alberi, i cespugli, le aiuole e tutto ciò che poteva donare fogliame da favorire il suono del soffio di Eolo. La notte, soprattutto, questo rumore acquistava un fascino e recava sensazioni romantiche e misteriose. Il vento della notte poteva tutto. Non si fermava agli ostacoli, ma li avvolgeva, li percorreva, li scavalcava, li scomponeva. Potevi stare ben chiuso, esso trovava sempre il modo di entrare e toccarti.
Lei fu presa dall'intrigante metafora in quella lunga notte. Lui, il suo aspirante padrone, trovava sempre il modo per esserci e quel vento la ricondusse alla sua auspicata prigionia. Avrebbe scambiato, in quella notte ventosa, l'agio del suo rifugio, del suo letto, del suo caldo pigiama, del suo scudo verso le insidie dell'esterno, con l'ebrezza delle fredde catene che avrebbe tenuto stretto il suo nudo corpo?
In molti messaggi, il suo padrone, così ormai quasi inconsciamente lo pensava, le prometteva una schiavitù nuda. Il suo corpo non poteva essere coperto, sarebbe stato un oltraggio alla bellezza femminile, alla sua sottomissione, doveva essere sempre ammirata nella sua nuda sensualità. Indumenti usati solo per esaltare schiavitù e fascino e pelle costretta a percepire, sentire addosso il desiderio di lei da parte del suo padrone. Il messaggio era chiaro: sarebbe stato il primo passo verso la vera sottomissione. Lei non avrebbe mai fatto una pazzia simile come recarsi su quella scogliera, ma intanto, sotto le coperte, cominciò a levarsi il pigiama per sentirsi fuori da quel guscio. Sfilò i pantaloni e poi la maglietta. Sentire le coperte sulla pelle come ultima barriera al freddo della notte le recava una fastidiosa eccitazione. Tanto più quando, per sentire le lenzuola bene sia sui turgidi capezzoli che sotto la schiena e le natiche, poco coperte dal ridotto perizoma nero che aveva deciso di indossare, guarda caso, quella notte, allargò braccia e gambe. Restò per un po' di tempo in quella posizione e cercava, di tanto in tanto, di allargare quanto più possibile gli arti. Che strana, inquietante ma inebriante sensazione, il non proteggere il proprio corpo con le proprie mani. Bastò leggermente muoversi per farsi accarezzare dalla lenzuola e immaginarle come le mani di chi la desiderava. Il vento sembrò capire il suo stato d'animo e soffiò più forte. Ciò la inquietava ed eccitava. La coperta la proteggeva a quel punto troppo, così la levò subito per rimettersi sotto le sole lenzuola, nella stessa posizione di prima. La sensazione fu forte. Il massaggio della stoffa fredda, gelata dal vento che raffreddava la stanza, lei lo cercava ardentemente. Voleva riscaldarsi e, avendo inibito i suoi arti, poteva farlo solo strusciando le sue parti intime. “Così sarebbe!” immaginò. “le mani del mio padrone mi riscalderebbero, sarebbero il mio fuoco, la salvezza del mio corpo. Avrei bisogno che mi toccasse ovunque. Vorrei che mi toccasse ovunque. Avrei un bisogno primordiale come il riscaldarsi. C'è qualcosa di più sottomettente, dello stare in catene e chiedere di essere toccata per scaldarsi. Sublime immaginare che la sadica mano lo farebbe, eccitandomi”. Già, il suo padrone era sadico! Magari, sul più bello, quando l'avrebbe sentita ansimare, si sarebbe fermato per lasciarla così, legata e implorante di essere posseduta.
Cercò di vivere quella fantasia levandosi di dosso le lenzuola e rimettendosi in posizione di prigionia. Il freddo che accarezzò il suo corpo la irrigidì. La riportò al punto più umiliante che una schiava, nella sua immaginazione, possa vivere: il godimento quasi ma non raggiunto e una dura costrizione fisica per il piacere del suo padrone. Ma ora non le bastava, voleva di più. Voleva che il freddo le facesse capire a pieno che le forti sensazioni possono essere provate solo uscendo dal guscio. Immaginò allora di essere presa con forza e messa faccia al muro per essere usata, quindi si alzò e, mani dietro la schiena poggiò il suo corpo sul freddo vetro. Un brivido lungo tutto il corpo e sotto gli scalzi piedi. Si alzò sulle punte per proteggere i talloni gelati, ma così costrinse i capezzoli a strusciare lungo il vetro gelato, ed emanò un gemito di piacere e dolore. Divaricò le gambe per non perdere l'equilibrio e, senza volerlo, si rese conto di avere assunto una posizione molto eccitante, sia per lei, sia per chi l'avesse ammirata da dietro. Mai l'umiliazione e l'eccitazione si erano così sincronizzate. Per giunta quella posizione, con il freddo della notte, la tonificava. Sensazione davvero forte!
Persa per qualche minuto in questa percezione del suo corpo, il suo sguardo dopo si spostò sui resti di rovine romane che dal suo balcone poteva ammirare. Inevitabile collegare quelle pietre all'idea di schiavitù, quasi come scherzo beffardo del destino a quella visione esterna.
Dall'esterno venne, ancora più beffarda, l'inquietante consapevolezza che il suo incantevole corpo potesse essere visto, malgrado la notte fonda, anche davanti,da fuori! Quindi si precipitò a letto e si avvolse nelle coperte colta da vergogna e rinsavito pudore.

“No, a quella scogliera non ci andrò mai!” pensò. Questo fu il pensiero che la accompagnò tra le braccia di Morfeo, sotto le coperte, nuda...

(continua)
scritto il
2016-11-30
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