Una lenta discesa Cap.1
di
Istrice59
genere
dominazione
“Sempre affascinante signorina Fabrizia!”
Quel complimento giunse inatteso, quasi la spaventò e trasmise a Fabrizia una sensazione bivalente: da un lato sorpresa, perché il giovane che glielo aveva fatto non aveva mai azzardato approcci e nemmeno tentativi di avvicinamento, dall’ altro soddisfazione, quella soddisfazione tipicamente femminile nel ricevere complimenti, che ha il potere di dare una specie di scarica elettrica e che inorgoglisce immediatamente chi ha l’ occasione di provarla.
Fabrizia si voltò, guardò il giovane che le sorrideva e restituì un sorriso educato, ma non riuscì a trattenere una certa malizia che non sfuggì al baldo collega.
Aveva già notato, per i locali della ditta in cui lavorava, quel ragazzo, assunto da qualche mese come operaio specializzato: scuro di carnagione, capelli neri corti, fisico asciutto senza le esasperazioni di lunghe sedute in palestra, occhi neri e naso affilato in un viso che non nascondeva le sue origini mediorientali ereditate dal padre, ma stemperate da quelle occidentali di parte materna, si era mostrato subito molto riservato, attento al suo lavoro, intenzionato a fare bella figura con i suoi responsabili e con il proprietario; non lo si vedeva spesso ad intrattenersi con gli altri colleghi, tantomeno con le colleghe, alcune delle quali non avevano tardato a mettergli gli occhi addosso con la speranza, non troppo velata di farsi corteggiare, ma questo non gli impediva di essere gentile e cortese con chi gli rivolgeva la parola e con chi gli era a stretto contatto per ragioni operative.
Non era comunque nelle sue intenzioni ( né nelle sue caratteristiche caratteriali ), a differenza di altre donne, avvicinare o provare a farsi avvicinare da lui. Era serenamente fidanzata, viveva con soddisfazione il suo rapporto di coppia di quel momento e soprattutto era sempre stata fortemente convinta, e altrettanto ferma nella pratica, che non era opportuno avere relazioni, anche se veloci e superficiali, nell’ ambito lavorativo. Inoltre il suo ruolo di responsabile amministrativa, stimata e considerata, non poteva essere messo a rischio, tantopiù che lei lo svolgeva con un certo distacco nei confronti dei colleghi: le piaceva trasmettere imbarazzo e accorgersi che molti di essi erano in difficoltà di fronte a lei e le si rivolgevano con timore e attenzione; d’ altronde, anche fuori dall’ ambiente lavorativo, non le dispiaceva mettere in soggezione le persone con cui si trovava e poco le importava che poi, lontane da lei, queste non lesinassero critiche e commenti maligni e volgari.
Fabrizia era una donna di trentasette anni; attenta alla cura del suo corpo e della sua figura portava bene i suoi anni e risultava piacente e interessante destando interesse e desiderio negli uomini che incontrava o conosceva. Magra, capelli neri, viso affusolato con due occhi azzurri che erano il primo richiamo per chi la osservava, un fisico interessante arricchito da due seni ancora sodi e da un sedere sempre fasciato da gonne e pantaloni attillati che ne mettevano in risalto la forma e la consistenza, amava vestire in ogni stagione in modo elegante non tralasciando mai qualche accorgimento per creare intrigo e provocare reazione.
Viveva una relazione stabile e soddisfacente con un coetaneo, Andrea, dirigente d’ azienda affermato e benestante, con cui non si faceva mancare nulla né in termini economici né in esperienze; si erano conosciuti circa due anni prima e presto avevano capito che quella infatuazione improvvisa poteva trasformarsi in una relazione più stabile da cui entrambi avrebbero potuto trarre giovamento.
Dal punto di vista sentimentale Fabrizia aveva avuto diverse esperienze precedenti: due storie durate alcuni anni con uomini più anziani di lei, qualche storiella veloce fatta di tanto sesso e poco amore, una amicizia un po’ più che particolare con una ragazza conosciuta in un villaggio vacanze e un rapporto durato alcuni mesi, quando aveva più o meno venticinque anni, del quale non aveva piacere di parlare neppure con le persone più care, ma che l’ aveva profondamente segnata e dal quale era uscita con molta difficoltà e con ferite che non si erano ancora completamente rimarginate. Ogni tanto quei mesi le tornavano alla mente, si intromettevano nei suoi pensieri e le procuravano contemporaneamente fastidio, angoscia, ma inevitabilmente anche qualche brivido di eccitazione dei quali dopo si vergognava, si dispiaceva, ma che non poteva nascondere a sé stessa.
Aveva conosciuto Vincenzo pochi mesi dopo avere traslocato in un nuovo appartamento; in quello a fianco del suo, rimasto libero per pochi giorni, era venuto ad abitare un giovane dallo sguardo antipatico, poco incline a convenevoli, abbastanza maleducato; un tipo pieno di sé, presuntuoso e freddo che non dava confidenza e che sembrava neppure accorgersi di lei quando si incontravano sul pianerottolo.
Era quasi sempre accompagnato da ragazze carine ed appariscenti, talvolta da donne mature e Fabrizia, abituata ad essere corteggiata, a potere scegliere i suoi accompagnatori e a decidere se dare o no soddisfazione ai suoi spasimanti si ritrovò presto a pendere dalle labbra di questo altezzoso personaggio. Non si capacitava del fatto che lui non le desse retta e iniziò a trovare svariati pretesti per destare la sua attenzione e per incontrarlo nei momenti in cui riteneva di essere più attraente e accattivante.
Un giorno, mentre stava rientrando a casa, vide che lui stava entrando nel portone, corse per incontrarlo, malgrado i tacchi alti e la gonna stretta, e lo raggiunse quando aveva già richiuso la porta dell’ ascensore; l’ aprì di scatto e con il fiato grosso disse:
“Non mi aspetta? Le farò mica paura?”
Lui, sorpreso, ma per nulla imbarazzato, rispose:
“Difficile che io abbia paura e tantomeno di una ragazzina invasata.”
Fabrizia restò sorpresa da questa frase, avrebbe voluto insultarlo, almeno reagire, ma non lo fece, anzi gli sorrise maliziosamente e come la più ingenua delle adolescenti aggiunse:
“E’ tanto che volevo incontrarla da solo, ma lei è sempre in compagnia…… Comunque mi presento: io mi chiamo Fabrizia, e lei?”
“Vincenzo” rispose lui in modo secco, e, accortosi immediatamente dell’ attimo di debolezza della ragazza che aveva di fronte, affondò perentoriamente l’ assalto trovando la resistenza del burro nei confronti di una lama tagliente.
“Sarai per caso gelosa di uno sconosciuto? Non posso crederlo, tantopiù se a dirmelo è una bella figa che avrà la coda degli spasimanti!! Comunque questa sera sono libero e, se davvero è come dici, ti suono il campanello tra un’ ora e ti porto fuori. Ok?”
Fabrizia rimase inebetita, un vortice di emozioni e di sensazioni si era impossessato del suo stomaco e della sua testa, non sapeva cosa rispondere, non riusciva a parlare e così, quando giunse al piano ed aprì la porta per uscire, si ritrovò la mano di lui che le tastava il culo e la sua voce che le diceva:
“Mi raccomando, usala bene questa ora perché, per uscire con me, devi essere al meglio. A dopo”.
Lui rientrò nel suo appartamento e Fabrizia si ritrovò confusa e sbalordita, a rovistare nella borsa alla ricerca delle chiavi, con il volto in fiamme e un senso di stordimento in testa. Quando le trovò e riuscì ad entrare cominciò a fare mente locale su quello che improvvisamente le era successo. Mai avrebbe permesso ad un uomo una tale confidenza, mai avrebbe subito senza reagire, mai si era ritrovata così debole, indifesa, incapace di rispondere e di riprendere in mano la situazione; proprio per quel motivo avrebbe dovuto rimanere in casa, lasciare perdere e invece si ritrovò a pensare a come sarebbe stata la serata e a prepararsi per la stessa con una particolare eccitazione.
Si svestì, entrò nella doccia e, dopo essersi lavata e profumata, passò a scegliere l’ abbigliamento: optò per una gonna al ginocchio particolarmente stretta e fasciante, una giacca indossata direttamente sulla pelle e un paio di scarpe con il tacco alto; sotto, completino di pizzo e calze autoreggenti. Niente di eccessivamente provocante, ma quel tanto da destare desiderio e curiosità.
Un’ ora dopo era pronta e attese Vincenzo che non suonava il campanello; iniziò ad innervosirsi e pensò che non era abituata ad aspettare un uomo. Dopo venti minuti lui suonò, lei aprì la porta immediatamente e uscì. Lo guardò, era vestito in modo molto sportivo, troppo rispetto a lei, con una maglietta attillata, jeans e giubbotto di pelle con scarpe da ginnastica, e si sentì fuori posto così elegantina e truccata.
“Ci siamo fatte belle; d’altra parte per cuccare voi donne fate così.”
“Guarda che io sono sempre elegante, lo faccio per me stessa.” rispose Fabrizia seccata.
“Ma piantala!” ribatté lui.
E di nuovo appoggiò la mano aperta sul suo culo per spingerla in ascensore.
“Su, cammina, che stasera ti faccio divertire così poi tu fai divertire me.” E beffardo le sorrise.
In macchina chiacchierarono del più e del meno finché arrivarono davanti ad uno dei ristoranti più eleganti della città; Fabrizia non c’ era mai stata, ma aveva sempre avuto il desiderio di entrare e rimase sorpresa di quella scelta.
Appena fuori dall’ automobile lui la strinse sui fianchi, ma, immediatamente, scese con la mano a tastarle il sedere, lo soppesò, lo strinse e, contemporaneamente, salutò il maitre e si fece indicare il posto prenotato. Senza togliere la mano dal suo culo, la condusse attraverso la sala fino al tavolo; lei, come inebetita, non si ribellò, ma sentì su di sé gli sguardi di tutte le persone che erano sedute a cenare.
Vincenzo, cogliendo il suo irrigidirsi, le disse:
“Non vorrai mica farmi fare brutta figura proprio qui?”
e, datale una leggera pacca, l’ aiutò a sedersi.
“Davvero bello sodo quel culetto, ho proprio voglia di conoscerlo……………Ma c’ è tempo, ora pensiamo a cenare”.
Fabrizia era sempre più confusa: quei modi la disturbavano, ma le procuravano una sensazione particolare che la stava trascinando verso un gioco sconosciuto, pericoloso, ma inebriante.
Poco dopo sentì la mano di Vincenzo sulla coscia: gliela afferrò con forza, la strinse, poi scese fino a raggiungere l’ orlo della gonna per poi tentare di sollevarla; era stretta e ci furono difficoltà.
“Tirala su tu, fino a mezza coscia, voglio vedere che calze hai messo.” le disse.
“Mah…”
“Tirala su, ho detto.”
Lei si guardò intorno e con imbarazzo si sollevò e fece salire la gonna fino al bordo delle autoreggenti.
“Più su!”
E lei la fece salire fino a scoprire il tratto di coscia che restava nudo coprendosi subito con il tovagliolo.
“Toglilo, ho detto che voglio vederti.” intimò Vincenzo.
Lei arrossì, capì che qualcuno si era già accorto di quel particolare movimento, ma si sentì eccitata e già bagnata. Lui le accarezzò la coscia, la strinse e fece salire la mano verso la figa e la trovò umida.
“Già bagnata, eh? Fai tante storie e poi ti piace, sei come tutte le altre. Allora resta così.”
Poco dopo si presentò il cameriere per versare da bere e notò quella scena che osservò con distacco professionale, ma anche con interesse.
Quando se ne fu andato Vincenzo le disse:
“Sei bagnata, va in bagno, togliti le mutandine e portamele.”
Lei si alzò, fece scendere la gonna e si avviò verso il bagno. Entrò nella cabina, si tolse gli slip, uscì e prima di ritornare al tavolo si guardò allo specchio: era paonazza, eccitata, ormai preda di un uomo che, in un attimo, si era impossessato di lei. Si ritoccò il trucco, tornò in sala e, sedutasi, passò i suoi slip nelle mani di Vincenzo che le mise in tasca.
“Brava, sei una brava puttanella, mi piaci, ma hai dimenticato di risollevare la gonna. Fallo immediatamente.”
Era incredibile come modificasse il tono della voce trasformandolo, nella stessa frase, da gentile a perentorio. Fabrizia non riusciva a non ubbidirgli e, nuovamente, sollevò la gonna sotto gli occhi divertiti di camerieri e commensali.
Terminarono la cena e uscirono: era convinta di sentire ancora la mano di Vincenzo sul suo sedere, invece lui la prese delicatamente sottobraccio.
“Ti va di andare a ballare? O hai voglia di altro? No, va, decido io, andiamo a ballare, sei capace?”
“Sì, mi piace molto e sono anche piuttosto brava.”
“Ok.”
La portò nella discoteca più alla moda della città, entrarono, c’ era molta gente, ma riuscirono a sedersi; ordinarono da bere, lui le accarezzò una gamba, poi la trascinò sulla pista ed iniziarono a ballare: Fabrizia si muoveva in modo agile e sensuale, sembrava provocarlo, ma Vincenzo, provetto ballerino, era su un altro livello e in più di una occasione si voltò verso altre ragazze e ballò con loro. Anzi, più lei si avvicinava, più cercava di farsi notare, più lui si distraeva, salvo ritornare da lei appena si accorgeva che si stava innervosendo o si stava rivolgendo ad altri: la abbracciava, le sorrideva e la riportava al bancone del bar.
Bevvero parecchio e lui non la toccò mai in modo volgare: la sfiorava, la guardava, la faceva ingelosire, insomma la voleva portare ad uno stadio di eccitazione massima. E ci riuscì.
Quando lei, un po’ allegra, seduta sul divanetto, portò la sua mano sulla gamba di lui, risalendo fino all’ inguine dove si imbatté nel cazzo alquanto duro e, maliziosa, gli sorrise, facendo scorrere la lingua sulle labbra, Vincenzo capì che era giunto il momento di affondare il colpo.
“Sei eccitata vero? Te lo leggo negli occhi che hai voglia di cazzo. E allora andiamo.”
La prese per mano, si avviarono all’ uscita e con forza le afferrò una chiappa dandole un robusto pizzicotto. Lei si scostò con un piccolo brivido e lui riafferrandola le disse:
“Buona troietta, non farti notare da tutti.”
Uscirono sul piazzale e andarono verso l’ automobile che Vincenzo, previdente, aveva sistemato lontano dall’ ingresso in un posto non troppo illuminato.
Subito le tastò il culo, le infilò una mano nella scollatura della giacca, le afferrò una tetta e gliela strinse.
“Allora adesso mi fai divertire tu, fammi vedere se sei brava come a ballare.”
Le liberò il seno dal reggiseno, le sbottonò la giacca e glielo leccò e succhiò mentre infilava la mano sotto la gonna; arrivò presto alla sua figa, libera sotto la gonna e già bagnata, e, senza preamboli, le infilò dentro un dito a cui presto ne aggiunse un altro.
Fabrizia fremeva e si eccitò ancora di più quando Vincenzo iniziò ad accarezzarle, con delicatezza prima e sicurezza dopo, il clitoride. Glielo toccava, lo pizzicava, lo accarezzava, per poi stringerlo e pizzicarlo nuovamente; la sentiva gemere e contorcersi sotto quei tocchi e mugolare:
“Ahhhhhhhh, siiiiiiiii, ancora, siiiii, cosìììììì, mi fai impazzire, ahhhhhhhh, sì,sì, fammi godereeee…..”.
Lui la toccava, aggiunse un terzo dito nella sua figa e disse:
“Sei proprio troia, e bella aperta per giunta. Ti piace il cazzo, vero? Ne hai già presi di randelli da come sento la tua sorca!”. E le strizzò una tetta.
“Ma non crederai di godere così in fretta.” E smise di accarezzarle il clitoride.
“No! Continua, ti prego, fammi godere, non lasciarmi così, dopo farò tutto quello che vorrai.”
“Non ci siamo capiti, puttanella, tu fai quello che voglio lo stesso e poi deciderò io se farti godere o no. Avanti, fammi vedere come lo succhi. E attenta, guai a te se sento un dente.”
La spinse giù, lei si chinò e gli fece scendere la lampo per afferrare il suo membro.
“Non ci siamo capiti. Tu stai in ginocchio davanti al mio cazzo.”
Fabrizia si inginocchiò, estrasse quella mazza dura e pulsante nella sua mano e la prese in bocca. Era davvero grosso e aveva qualche difficoltà a tenerlo in bocca, ma fece del suo meglio.
Era lì, in un parcheggio, con le tette di fuori, a succhiare, in ginocchio, il cazzo di un uomo e si sentiva eccitatissima.
“Lecca, fammi sentire la lingua!” si sentì dire.
E ubbidiente tirò fuori la lingua e la fece passare sull’ asta, sulla punta, sul filetto. Leccava e infilava la punta della lingua nel buchetto in punta, poi ricominciava a leccare con la lingua piatta facendola scorrere su e giù. Poi Vincenzo tirò fuori i coglioni dai pantaloni e le intimò:
“Lecca anche le palle, per bene. Mi piace sentire la tua lingua.”
Fabrizia leccò con gusto quei testicoli gonfi, sentì i peli solleticarle le labbra e il cazzo di lui appoggiato sul viso. Poi li prese in bocca uno per volta e li succhiò avida e golosa.
“Buongustaia! Guarda come succhi bene. Continua così, sì,sì.”
Lui si stava eccitando, sentiva crescere l’ orgasmo, ma non voleva affatto godere. Allora le tolse il pene dalla bocca e tenendolo in mano iniziò a passarglielo sul viso: lo strofinava sulle guance, sulla fronte, sul naso e sulle labbra; glielo passò tra i capelli e poi ancora sul volto; poi prese a picchiarglielo sulle guance e sul naso come se la schiaffeggiasse con il cazzo, glielo sbatté sulla bocca e le ordinò:
“Succhialo, succhialo troia, prendilo tutto in bocca, veloce!”
Glielo infilò in bocca e lei prese a succhiarlo con un movimento intenso e rapido. Sentì a quel punto dei passi che si avvicinavano, provò a smettere, ma lui non glielo permise e affondò ancora di più il suo membro nella bocca di lei.
“Succhia ho detto, non ti distrarre.”
“Mmmmmmmmm, ohhhhhh,mmmmmm” bofonchiò lei, ma nulla cambiò. Provò a vedere di chi fossero quei passi, ma solo di sfuggita intravide tre figure, probabilmente maschili che passavano; capì che dei tre, invece, una era una donna quando la sentì dire:
“Avete visto? Lì c’ è una che sta facendo un pompino!”
“Sì, l’ abbiamo vista, quella è più zoccola di te, fortunato lui che se lo sta facendo succhiare”
“Certo che deve essere davvero troia per fare pompe in un parcheggio!”
E se ne andarono.
Fabrizia continuò a succhiare fino a quando Vincenzo non la sollevò per distenderla sul cofano dell’ auto; le sollevò la gonna e la scopò con intensità.
“Ti scopo, puttana, mi piace scoparti, mi sa che sei proprio brava a prendere cazzi, se vuoi te ne farò fare una bella cura. Toh, prendi, prendi” e la scopava con violenza.
Lei gemeva, mugolava, ma quando era sul punto di godere lui estrasse il membro e la fece nuovamente inginocchiare davanti a sé.
“Bastardo, perché l’ hai tolto? Stavo godendo. Ridammelo, ti scongiuro, non puoi fare così.”
Lo schiaffo arrivò sulla sua guancia non violento, ma secco.
“Non permetterti di insultarmi, troia! Decido io, non hai ancora capito? Quindi quella bocca usala per succhiare.”
Glielo ricacciò in gola e cominciò a spingere. Non era più un pompino, era come se la stesse scopando in bocca.
“Succhia, puttana, succhia. Sei proprio una zoccola e da zoccola devi essere trattata.”
Andò avanti ancora qualche minuto poi le venne in bocca con uno schizzo intenso.
“Ingoia!” le intimò.
Poi lo tolse dalla bocca e schizzò altre due volte sulla sua faccia: lo sperma, denso, le arrivò sugli occhi, nel naso, sulle guance e tra i capelli, imbrattandole il viso e disfacendo parzialmente il trucco. A quel punto glielo rimise in bocca.
“Puliscilo, non voglio sporcarmi rivestendomi. Su, così, per bene, usa la lingua. E brava questa cagna che mi lecca il cazzo!”
Quando ebbe finito Fabrizia provò a ripulirsi il volto, ma Vincenzo non glielo permise; lo sperma le colava sulle guance, nel collo, correndo verso il solco tra i seni.
“Resta così, ti pulirai a casa. Voglio guardarti così, hai l’ aria della troia. Pensa se incontriamo qualche vicino di casa: non potrà che pensare che sei una grande maiala e magari da domani ci proverà anche lui. Comunque sei stata brava, adesso torniamo a casa e ti scopo fino a farti godere. Sali.”
Fabrizia salì sulla macchina. Era eccitata, voleva sentirsi riempire, voleva un cazzo dentro e non provò nessuna umiliazione per quello che aveva subito.
Entrando nel palazzo non incontrarono nessuno e quindi salirono nell’ appartamento di lei.
Ormai lo sperma si era seccato e Fabrizia sentiva la pelle tirare; si guardò allo specchio e notò, evidenti, i segni bianchi che le segnavano il viso, lui se ne accorse e, prendendoglielo tra le dita di una mano, lo strinse, le si avvicinò e guardandola negli occhi le disse:
“Va a lavarti, zozzona, e poi torna a prendere la tua razione di cazzo!”
Mentre lei andava in bagno, Vincenzo andò a sedersi sul divano, poi si versò da bere con la disinvoltura di un normale frequentatore della casa e accese la televisione; tornò verso il divano, si spogliò completamente e si sdravaccò. Dopo qualche minuto Fabrizia ritornò, truccata e vestita di tutto punto e si sorprese nel vedere lui assolutamente nudo: la stava osservando, anzi scrutando, e ancora una volta lei non seppe cosa dire e cosa fare lasciando spazio a lui.
“Pronta per un altro giro? Allora mettiti a quattro zampe e vieni qui da me sculettando.”
Non obiettò, si mise a quattro zampe e andò verso di lui. Subito lui l’ apostrofò:
“Ma sei scema? Con la gonna e la giacca? Hai mai visto una cagna vestita così? Svestiti, tieni solo le calze e le scarpe e ricomincia.”
Fece come Vincenzo le aveva detto e, rimessasi carponi, si avviò verso di lui.
“Muovi il culo, cagna. Almeno quello visto che non hai la coda!”
Lei scodinzolò, arrivò da lui e si fermò.
“Chi ti ha detto di fermarti? Continua a camminare.” E, contemporaneamente, le diede uno sculaccione sul sedere. Lei camminava e ogni volta che gli passava vicino lui la sculacciava, talvolta leggermente, talvolta con violenza lasciandole i segni delle dita e arrossandole il culo che cominciò a bruciare.
“Adesso vieni a leccarmelo, tiralo su!” disse lui, ma Fabrizia vide che il suo sesso era già svettante e tosto; lo leccò e lo succhiò, poi lui la prese, la mise sul divano e la penetrò. Scopava con impeto tenendole le gambe divaricate e pompando senza interruzioni.
“Ti piace il cazzo, vero? Dimmelo che ti piace.”
“Sì, mi piace, dammelo tutto. Scopami, scopami, scopamiiiiiiii!”
Era invasata, si dimenava, urlava e continuava a chiedergli di non smettere. Lui la rivoltò, la fece appoggiare con la testa sul divano e ricominciò a scoparla a pecorina. L’ afferrava per i capelli, si aggrappava alle sue tette, la teneva per i fianchi e intanto scopava senza sosta. Lei godette più di una volta, era stremata, ma lui continuava.
“Prendilo, puttana, godi con il mio cazzo, prendilo tutto.”
Ad un certo punto si sollevò, le afferrò la testa, gliela portò verso il suo cazzo e glielo infilò in bocca dove riversò una serie di schizzi costringendola ad ingoiare tutta la sborra.
“Bevilo tutto, ingoia questa sborra, ingozzati di sperma, troia, e ringraziami che non ti sono venuto dentro.”
Lei ingoiò tutto e poi si accasciò per terra: era stremata, distrutta, con la figa che bruciava e doleva, scarmigliata ed incapace di muoversi.
Vincenzo andò in bagno, si rivestì, tornò in sala, le diede un bacio affettuoso, poi le disse:
“Se vuoi ti porto sul letto. Altrimenti vado a casa. Comunque scopi bene, se hai voglia chiamami che un’ altra ripassata te la do volentieri.”
Fabrizia gli sorrise, ma non rispose e Vincenzo se ne andò chiudendo delicatamente la porta.
Per alcuni giorni non si rividero e non si sentirono; Vincenzo era troppo orgoglioso per dimostrare il suo interesse e Fabrizia non era ancora uscita dallo stordimento di quella serata: stordimento fisico che passò mentre rimase quello interiore. Non riusciva a vivere quell’ esperienza come passeggera, come lo era stato altre volte, ma aveva paura di ritrovarsi in una situazione di sudditanza e contemporaneamente avrebbe voluto che Vincenzo la cercasse.
Fu ancora il caso a farli incontrare in un negozio vicino a casa.
“Non mi hai più chiamato. Ti sei già dimenticato di me?” esordì lei.
“E’ molto difficile che io chiami una donna; in genere sono loro a cercarmi; comunque non mi sono dimenticato di come scopi, se è quello che ti interessa.”
Parlava a voce alta e due donne si voltarono squadrando Fabrizia che, come al solito, non reagì.
“Se vuoi vengo a trovarti domani sera, stasera esco con la mia fidanzata!” aggiunse ridendo.
“Va bene, ti aspetto.”
“Perfetto. Ciao.” E se ne andò lasciando Fabrizia nel negozio, oggetto degli sguardi e dei commenti delle due donne. Ma lei non se ne curava: pensava alle sue parole domandandosi se quella fidanzata esistesse veramente e, ipotizzando che fosse così, si sentì un po’ gelosa, ma anche soddisfatta di potere essere il soggetto prescelto per il tradimento.
La sera successiva Vincenzo arrivò presto, volutamente troppo presto: Fabrizia si stava ancora preparando e non poté evitare di andargli ad aprire ancora non a posto. Aveva addosso soltanto le calze e le mutandine, il trucco a metà, e si buttò un accappatoio addosso.
“Già qui? Non sono ancora pronta. Aspettami dai, faccio in un attimo.”
“Ma a me sembri prontissima, anzi mi sa che queste sono di troppo.” rispose lui indicando le mutandine.
“Dai, non fare lo sciocco; lasciami finire.”
“Ma per cosa devi prepararti? Per scopare, no? Quindi resta come sei, anzi togliti le mutande e vieni da me in sala.” le disse e le sfilò l’ accappatoio.
Fabrizia ubbidì, si levò lo slippino e andò da lui. Cominciò a fargli qualche moina, a comportarsi da gattina in calore, sbaciucchiandolo e accarezzandolo.
“Smettila di fare la fidanzatina, mi piaci di più quando fai la troia!” le disse lui mettendole una mano tra le cosce e infilandole brutalmente due dita nella figa.
“Come sempre già pronta e bagnata.” disse lui, trovandola umida nel sesso, “sei proprio una cagna in calore.”
Rovistò con le dita nel suo sesso, ne infilò un terzo, poi un quarto dopodiché le diede quelle dita da succhiare, cosa che lei fece senza obiettare. Leccò tutti i suoi umori finché lui non infilò nuovamente le dita nella sua figa e gliele diede ancora da leccare; ripeté diverse volte l’ operazione e nel frattempo le stringeva le tette e le pizzicava i capezzoli con l’ altra mano.
Fabrizia era eccitata, voleva godere e lo disse a Vincenzo.
“Sempre impaziente! Sei davvero una zoccola. Ma devi imparare ad aspettare e soprattutto a ricordarti che devi dare piacere a me, non a te stessa; sono le puttane che fanno godere gli uomini, non gli uomini che fanno godere le puttane! Quindi adesso succhiami il cazzo per benino.”
Lei scivolò sul tappeto, si inginocchiò tra le sue gambe e iniziò un lento, profondo pompino. Leccava quel cazzo a lingua piatta facendola scorrere sull’ asta, sul prepuzio, sul glande; leccava con la punta cercando i punti che sapeva essere più sensibili per gli uomini; leccava le piccole gocce di liquido spermatico che vedeva fuoriuscire dal buchetto; leccava le palle per poi succhiarle riempiendosi la bocca con quelle; scese con la lingua più in giù sfiorando l’ ano, poi risalì e prese in bocca quel membro grosso e violaceo; sapeva di buono, sapeva di sesso e Fabrizia lo succhiò con passione ed impegno.
“E brava la nostra succhiacazzi, vedo che te la stai proprio godendo. Succhia bella, continua così, non ti fermare.”
Continuò quel pompino fino a quando lui non le tolse il sesso dalla bocca, la girò sul divano e la prese da dietro. La scopava e la sculacciava, la scopava e le stritolava i seni, la scopava per poi uscire da lei e poterle risbattere dentro il suo uccello.
“Scopami, scopami così, chiavami, riempimi tutta.”
“Certo che ti scopo, troia. Anzi, adesso ti faccio un altro servizietto adatto alla puttana che sei.” Così le tolse il suo sesso dalla figa, si abbassò per sputarle sull’ ano un po’ di saliva e, senza darle troppo tempo per reagire, glielo infilò nel culo. Lei urlò per il dolore e per la sorpresa, ma lui continuò e con due colpi fu completamente dentro il suo sfintere. Incominciò a spingere e a pompare dentro di lei che si lamentava e aveva ormai le lacrime che le bagnavano gli occhi. La stava inculando con violenza, quasi con rabbia e non pareva intenzionato a smettere.
“Ti piace nel culo, puttana? Voglio sentirtelo dire che ti piace, forza dimmelo.”
“Sì, sì.”
“Sì cosa? Non capisco.”
“Sì, mi piace, mi piace.”
“Cosa ti piace?”
“Mi piace il tuo cazzo.”
“Dove ti piace?”
“Mi piace nel culo, mi piace che mi inculi, sì inculami, inculami, incula la tua puttana!” Ormai non aveva più freni, era completamente invasata e nulla l’ avrebbe fermata. Vincenzo, ovviamente lo capì immediatamente ed estrasse il suo uccello dal culo di lei che fece uno schiocco come di bottiglia stappata.
“Allora cos’ è che vuoi? Chiedimelo, voglio sentirtelo chiedere.”
“Voglio che me lo metti nel culo.”
“Più precisa e, soprattutto, più educata, non ti hanno insegnato le buone maniere?” e così dicendo le mollò una sculacciata che la fece sobbalzare.
“Per piacere, mettimi il cazzo nel culo. Riempimi, inculami per favore!”
“Eccolo qui, prendilo nel culo, troia!” E dopo un’ altra forte sculacciata la sodomizzò in un solo colpo. Fabrizia restò senza fiato, poi si riprese e godette. Godette della sodomizzazione come non le era mai successo, le piacque quel cazzo che le sfondava il sedere e lasciò che Vincenzo proseguisse a pompare. Andò avanti per quasi un quarto d’ ora finché le rovesciò nell’ intestino schizzi di sborra. Quando uscì da lei il buchetto di Fabrizia era rosso e dilatato e non aveva intenzione di richiudersi.
“Ciao rotta in culo, mi sa che per un po’ ti siederai con difficoltà; ma ne valeva la pena, non credi? Vedi che non era il caso di vestirsi? Ci vediamo, ciao.” E rivestitosi se ne ritornò a casa.
Ogni volta passava del tempo prima che si rivedessero, ma ogni volta il copione era lo stesso: si ritrovavano, lui era gentile, talvolta generoso quando erano solo loro due per strada o al momento dell’ incontro; poi si trasformava, si divertiva ad umiliarla in mezzo alla gente con frasi e palpeggiamenti, le faceva assumere comportamenti ai limiti della decenza e il sesso era sempre violento: parolacce, crudezze e sempre modi duri nel possederla. Non tralasciava mai di farla godere, spesso anche più di una volta, ma non mancavano sculacciate, pompini profondi e soprattutto sesso anale. Talvolta le legava le mani, le bendava gli occhi e la scopava come voleva; poi se ne andava e non si faceva vivo per giorni o settimane. Fabrizia non riusciva a smettere, accettava tutto, di essere il “suo buco personale”, come le aveva detto un giorno, e chissà fino a quando avrebbe accettato quella situazione.
Invece di smettere lo decise Vincenzo, stancatosi oramai di quel giocattolo e pronto a cercarsene un altro.
Come in altre occasioni un giorno, incontrandola, le disse di prepararsi per benino e di passare a prenderlo (nel frattempo lui aveva nuovamente traslocato).
Fabrizia fece di tutto per piacergli e per sorprenderlo: gonna con spacco vertiginoso che lasciava vedere attaccatura dell’ autoreggente e ogni tanto anche la coscia nuda, camicetta alquanto sbottonata con reggiseno in vista, niente slip e scarpe con tacco a spillo; sopra, un cappotto per mantenere la sorpresa e passare inosservata uscendo di casa.
Arrivò da Vincenzo eccitata e piena di voglia pregustando una serata di sesso e suonò il campanello, ma non ottenne risposta; risuonò e, tra il preoccupato e l’ irritato suonò ancora, ma solo al quarto squillo la porta si aprì: apparve Vincenzo, scarmigliato e affannato, completamente nudo.
“Che cazzo vuoi?”
“Mah, non dovevamo vederci?”
“Chi te lo ha detto?”
“Tu, oggi pomeriggio, quando ci siamo visti, non ti ricordi?”
“Ma che cazzo vuoi che mi ricordi! Ho incontrato una mia amica, siamo venuti qui e abbiamo cominciato a scopare. E’ davvero fantastica, mi fa dimenticare tutto. Vuoi conoscerla?”
“Stronzo, perché mi tratti così?”
Lo schiaffo la colpì improvviso e violento sulla guancia sinistra.
“Ti ho già detto altre volte di non provare mai ad offendermi, vedo che non hai ancora imparato.”
“Scusami.” rispose immediatamente lei, preoccupata di irritarlo.
“Ma davvero dovevamo vederci; guarda come mi ero preparata per te?” e togliendosi il cappotto si mostrò nel suo abbigliamento provocante.
“Come ti eri preparata? Da troia, come sempre, perché tu sei una troia, una che va in giro a farsi scopare, che le piace prenderlo nel culo e si veste da troia perché, così, si sente a suo agio. Ma io mi sono stufato, mi sono stufato della tua figa, della tua bocca, del tuo culo, mi sono stufato di te; vattene, trovati un altro cazzo che ti faccia godere e lasciami stare.”
Fabrizia era sconvolta, non si aspettava una reazione di quel genere, non se l’ aspettava in quel momento, non era preparata. E si ritrovò muta, incapace di reagire; si sentiva impotente, spaurita, con lo spettro della solitudine. Provò a reagire:
“Non cacciarmi così, tienimi con te, farò tutto quello che vorrai……..” e l’ affanno lasciò presto lo spazio a qualche lacrima; proprio in quel momento arrivò la ragazza che era in compagnia di Vincenzo e Fabrizia sentì il cuore che le arrivava in gola quasi a soffocarla.
Era la gelosia che avanzava prepotentemente e la faceva stare male. Osservò quella ragazza e subito, d’ istinto, prima ancora che aprisse bocca non le piacque; era una ragazzina stereotipata, tipo modella, biondina, abbronzata, con un fisico invidiabile, ma privo di personalità.
“Cosa vuole questa stronza Vinc?” disse con accento inglese.
“Niente Cindy, è una rompicoglioni, ma adesso va a casa, vero che vai a casa?”
“Perché mi cacci? Preferisci lei? Che cos’ ha più di me?” Ormai Fabrizia non si controllava più, non riusciva a fermarsi, ad evitare di peggiorare la situazione.
“Ma Vinc, chi è questa? Mi vuoi spiegare? Mi sto incazzando e se non mi rispondi me ne vado immediatamente; non mi piacciono queste situazioni.” ribadì l’ inglese con il suo accento che alle orecchie di Fabrizia suonava come uno stridore.
“Te l’ ho detto, Cindy, è una che mi rompe, che vuol farsi scopare. Guarda, ti faccio vedere se non ci credi.” E detto questo afferrò Fabrizia le bloccò i polsi con una mano, poi le sbottonò la camicetta, le sollevò la gonna e la mostrò alla biondina.
“Hai visto come va in giro?”
E brutalmente infilò due dita nella figa di Fabrizia.
“Ti piace? Era questo che volevi? Eccone un altro.” E infilò un terzo dito rovistando brutalmente dentro di lei.
A questo punto dentro Fabrizia scattò qualcosa di improvviso, come una molla; si divincolò da lui, afferrò il suo cappotto e urlando:
“Lasciami, lasciami andare, stai con questa bambola deficiente.” fuggì via correndo giù per le scale. Sentì ancora vagamente la voce di Vincenzo che diceva:
“Hai visto tesoro? Ti ho detto che era una pazza!”
Ma ormai era lontana. Non avrebbe mai più incontrato Vincenzo; per qualche giorno stette male, soffrì, poi prese coscienza di come si era ridotta e promise a sé stessa che non sarebbe più caduta in una situazione analoga.
Il tempo passò, Fabrizia ebbe altre storie, altri amori, storie di sesso e innamoramenti di diversa durata, ma non incontrò più uomini come Vincenzo. Ne conobbe di affettuosi e di protettivi, di superficiali e di egoisti, ma nessuno che la trattò come quel giovane. Ogni tanto, però, quella storia le tornava alla mente, ripercorreva le tappe di quel periodo della sua vita e si stupiva di non averlo rimosso; anzi, con il passare degli anni l’ aspetto negativo si era affievolito e con l’ istintivo fastidio rimaneva una certa eccitazione, un desiderio nascosto e indecifrabile di ritrovarsi a rivivere alcune di quelle sensazioni: poi subentrava la razionalità, si dava della stupida e scacciava quel pensiero.
Quel complimento giunse inatteso, quasi la spaventò e trasmise a Fabrizia una sensazione bivalente: da un lato sorpresa, perché il giovane che glielo aveva fatto non aveva mai azzardato approcci e nemmeno tentativi di avvicinamento, dall’ altro soddisfazione, quella soddisfazione tipicamente femminile nel ricevere complimenti, che ha il potere di dare una specie di scarica elettrica e che inorgoglisce immediatamente chi ha l’ occasione di provarla.
Fabrizia si voltò, guardò il giovane che le sorrideva e restituì un sorriso educato, ma non riuscì a trattenere una certa malizia che non sfuggì al baldo collega.
Aveva già notato, per i locali della ditta in cui lavorava, quel ragazzo, assunto da qualche mese come operaio specializzato: scuro di carnagione, capelli neri corti, fisico asciutto senza le esasperazioni di lunghe sedute in palestra, occhi neri e naso affilato in un viso che non nascondeva le sue origini mediorientali ereditate dal padre, ma stemperate da quelle occidentali di parte materna, si era mostrato subito molto riservato, attento al suo lavoro, intenzionato a fare bella figura con i suoi responsabili e con il proprietario; non lo si vedeva spesso ad intrattenersi con gli altri colleghi, tantomeno con le colleghe, alcune delle quali non avevano tardato a mettergli gli occhi addosso con la speranza, non troppo velata di farsi corteggiare, ma questo non gli impediva di essere gentile e cortese con chi gli rivolgeva la parola e con chi gli era a stretto contatto per ragioni operative.
Non era comunque nelle sue intenzioni ( né nelle sue caratteristiche caratteriali ), a differenza di altre donne, avvicinare o provare a farsi avvicinare da lui. Era serenamente fidanzata, viveva con soddisfazione il suo rapporto di coppia di quel momento e soprattutto era sempre stata fortemente convinta, e altrettanto ferma nella pratica, che non era opportuno avere relazioni, anche se veloci e superficiali, nell’ ambito lavorativo. Inoltre il suo ruolo di responsabile amministrativa, stimata e considerata, non poteva essere messo a rischio, tantopiù che lei lo svolgeva con un certo distacco nei confronti dei colleghi: le piaceva trasmettere imbarazzo e accorgersi che molti di essi erano in difficoltà di fronte a lei e le si rivolgevano con timore e attenzione; d’ altronde, anche fuori dall’ ambiente lavorativo, non le dispiaceva mettere in soggezione le persone con cui si trovava e poco le importava che poi, lontane da lei, queste non lesinassero critiche e commenti maligni e volgari.
Fabrizia era una donna di trentasette anni; attenta alla cura del suo corpo e della sua figura portava bene i suoi anni e risultava piacente e interessante destando interesse e desiderio negli uomini che incontrava o conosceva. Magra, capelli neri, viso affusolato con due occhi azzurri che erano il primo richiamo per chi la osservava, un fisico interessante arricchito da due seni ancora sodi e da un sedere sempre fasciato da gonne e pantaloni attillati che ne mettevano in risalto la forma e la consistenza, amava vestire in ogni stagione in modo elegante non tralasciando mai qualche accorgimento per creare intrigo e provocare reazione.
Viveva una relazione stabile e soddisfacente con un coetaneo, Andrea, dirigente d’ azienda affermato e benestante, con cui non si faceva mancare nulla né in termini economici né in esperienze; si erano conosciuti circa due anni prima e presto avevano capito che quella infatuazione improvvisa poteva trasformarsi in una relazione più stabile da cui entrambi avrebbero potuto trarre giovamento.
Dal punto di vista sentimentale Fabrizia aveva avuto diverse esperienze precedenti: due storie durate alcuni anni con uomini più anziani di lei, qualche storiella veloce fatta di tanto sesso e poco amore, una amicizia un po’ più che particolare con una ragazza conosciuta in un villaggio vacanze e un rapporto durato alcuni mesi, quando aveva più o meno venticinque anni, del quale non aveva piacere di parlare neppure con le persone più care, ma che l’ aveva profondamente segnata e dal quale era uscita con molta difficoltà e con ferite che non si erano ancora completamente rimarginate. Ogni tanto quei mesi le tornavano alla mente, si intromettevano nei suoi pensieri e le procuravano contemporaneamente fastidio, angoscia, ma inevitabilmente anche qualche brivido di eccitazione dei quali dopo si vergognava, si dispiaceva, ma che non poteva nascondere a sé stessa.
Aveva conosciuto Vincenzo pochi mesi dopo avere traslocato in un nuovo appartamento; in quello a fianco del suo, rimasto libero per pochi giorni, era venuto ad abitare un giovane dallo sguardo antipatico, poco incline a convenevoli, abbastanza maleducato; un tipo pieno di sé, presuntuoso e freddo che non dava confidenza e che sembrava neppure accorgersi di lei quando si incontravano sul pianerottolo.
Era quasi sempre accompagnato da ragazze carine ed appariscenti, talvolta da donne mature e Fabrizia, abituata ad essere corteggiata, a potere scegliere i suoi accompagnatori e a decidere se dare o no soddisfazione ai suoi spasimanti si ritrovò presto a pendere dalle labbra di questo altezzoso personaggio. Non si capacitava del fatto che lui non le desse retta e iniziò a trovare svariati pretesti per destare la sua attenzione e per incontrarlo nei momenti in cui riteneva di essere più attraente e accattivante.
Un giorno, mentre stava rientrando a casa, vide che lui stava entrando nel portone, corse per incontrarlo, malgrado i tacchi alti e la gonna stretta, e lo raggiunse quando aveva già richiuso la porta dell’ ascensore; l’ aprì di scatto e con il fiato grosso disse:
“Non mi aspetta? Le farò mica paura?”
Lui, sorpreso, ma per nulla imbarazzato, rispose:
“Difficile che io abbia paura e tantomeno di una ragazzina invasata.”
Fabrizia restò sorpresa da questa frase, avrebbe voluto insultarlo, almeno reagire, ma non lo fece, anzi gli sorrise maliziosamente e come la più ingenua delle adolescenti aggiunse:
“E’ tanto che volevo incontrarla da solo, ma lei è sempre in compagnia…… Comunque mi presento: io mi chiamo Fabrizia, e lei?”
“Vincenzo” rispose lui in modo secco, e, accortosi immediatamente dell’ attimo di debolezza della ragazza che aveva di fronte, affondò perentoriamente l’ assalto trovando la resistenza del burro nei confronti di una lama tagliente.
“Sarai per caso gelosa di uno sconosciuto? Non posso crederlo, tantopiù se a dirmelo è una bella figa che avrà la coda degli spasimanti!! Comunque questa sera sono libero e, se davvero è come dici, ti suono il campanello tra un’ ora e ti porto fuori. Ok?”
Fabrizia rimase inebetita, un vortice di emozioni e di sensazioni si era impossessato del suo stomaco e della sua testa, non sapeva cosa rispondere, non riusciva a parlare e così, quando giunse al piano ed aprì la porta per uscire, si ritrovò la mano di lui che le tastava il culo e la sua voce che le diceva:
“Mi raccomando, usala bene questa ora perché, per uscire con me, devi essere al meglio. A dopo”.
Lui rientrò nel suo appartamento e Fabrizia si ritrovò confusa e sbalordita, a rovistare nella borsa alla ricerca delle chiavi, con il volto in fiamme e un senso di stordimento in testa. Quando le trovò e riuscì ad entrare cominciò a fare mente locale su quello che improvvisamente le era successo. Mai avrebbe permesso ad un uomo una tale confidenza, mai avrebbe subito senza reagire, mai si era ritrovata così debole, indifesa, incapace di rispondere e di riprendere in mano la situazione; proprio per quel motivo avrebbe dovuto rimanere in casa, lasciare perdere e invece si ritrovò a pensare a come sarebbe stata la serata e a prepararsi per la stessa con una particolare eccitazione.
Si svestì, entrò nella doccia e, dopo essersi lavata e profumata, passò a scegliere l’ abbigliamento: optò per una gonna al ginocchio particolarmente stretta e fasciante, una giacca indossata direttamente sulla pelle e un paio di scarpe con il tacco alto; sotto, completino di pizzo e calze autoreggenti. Niente di eccessivamente provocante, ma quel tanto da destare desiderio e curiosità.
Un’ ora dopo era pronta e attese Vincenzo che non suonava il campanello; iniziò ad innervosirsi e pensò che non era abituata ad aspettare un uomo. Dopo venti minuti lui suonò, lei aprì la porta immediatamente e uscì. Lo guardò, era vestito in modo molto sportivo, troppo rispetto a lei, con una maglietta attillata, jeans e giubbotto di pelle con scarpe da ginnastica, e si sentì fuori posto così elegantina e truccata.
“Ci siamo fatte belle; d’altra parte per cuccare voi donne fate così.”
“Guarda che io sono sempre elegante, lo faccio per me stessa.” rispose Fabrizia seccata.
“Ma piantala!” ribatté lui.
E di nuovo appoggiò la mano aperta sul suo culo per spingerla in ascensore.
“Su, cammina, che stasera ti faccio divertire così poi tu fai divertire me.” E beffardo le sorrise.
In macchina chiacchierarono del più e del meno finché arrivarono davanti ad uno dei ristoranti più eleganti della città; Fabrizia non c’ era mai stata, ma aveva sempre avuto il desiderio di entrare e rimase sorpresa di quella scelta.
Appena fuori dall’ automobile lui la strinse sui fianchi, ma, immediatamente, scese con la mano a tastarle il sedere, lo soppesò, lo strinse e, contemporaneamente, salutò il maitre e si fece indicare il posto prenotato. Senza togliere la mano dal suo culo, la condusse attraverso la sala fino al tavolo; lei, come inebetita, non si ribellò, ma sentì su di sé gli sguardi di tutte le persone che erano sedute a cenare.
Vincenzo, cogliendo il suo irrigidirsi, le disse:
“Non vorrai mica farmi fare brutta figura proprio qui?”
e, datale una leggera pacca, l’ aiutò a sedersi.
“Davvero bello sodo quel culetto, ho proprio voglia di conoscerlo……………Ma c’ è tempo, ora pensiamo a cenare”.
Fabrizia era sempre più confusa: quei modi la disturbavano, ma le procuravano una sensazione particolare che la stava trascinando verso un gioco sconosciuto, pericoloso, ma inebriante.
Poco dopo sentì la mano di Vincenzo sulla coscia: gliela afferrò con forza, la strinse, poi scese fino a raggiungere l’ orlo della gonna per poi tentare di sollevarla; era stretta e ci furono difficoltà.
“Tirala su tu, fino a mezza coscia, voglio vedere che calze hai messo.” le disse.
“Mah…”
“Tirala su, ho detto.”
Lei si guardò intorno e con imbarazzo si sollevò e fece salire la gonna fino al bordo delle autoreggenti.
“Più su!”
E lei la fece salire fino a scoprire il tratto di coscia che restava nudo coprendosi subito con il tovagliolo.
“Toglilo, ho detto che voglio vederti.” intimò Vincenzo.
Lei arrossì, capì che qualcuno si era già accorto di quel particolare movimento, ma si sentì eccitata e già bagnata. Lui le accarezzò la coscia, la strinse e fece salire la mano verso la figa e la trovò umida.
“Già bagnata, eh? Fai tante storie e poi ti piace, sei come tutte le altre. Allora resta così.”
Poco dopo si presentò il cameriere per versare da bere e notò quella scena che osservò con distacco professionale, ma anche con interesse.
Quando se ne fu andato Vincenzo le disse:
“Sei bagnata, va in bagno, togliti le mutandine e portamele.”
Lei si alzò, fece scendere la gonna e si avviò verso il bagno. Entrò nella cabina, si tolse gli slip, uscì e prima di ritornare al tavolo si guardò allo specchio: era paonazza, eccitata, ormai preda di un uomo che, in un attimo, si era impossessato di lei. Si ritoccò il trucco, tornò in sala e, sedutasi, passò i suoi slip nelle mani di Vincenzo che le mise in tasca.
“Brava, sei una brava puttanella, mi piaci, ma hai dimenticato di risollevare la gonna. Fallo immediatamente.”
Era incredibile come modificasse il tono della voce trasformandolo, nella stessa frase, da gentile a perentorio. Fabrizia non riusciva a non ubbidirgli e, nuovamente, sollevò la gonna sotto gli occhi divertiti di camerieri e commensali.
Terminarono la cena e uscirono: era convinta di sentire ancora la mano di Vincenzo sul suo sedere, invece lui la prese delicatamente sottobraccio.
“Ti va di andare a ballare? O hai voglia di altro? No, va, decido io, andiamo a ballare, sei capace?”
“Sì, mi piace molto e sono anche piuttosto brava.”
“Ok.”
La portò nella discoteca più alla moda della città, entrarono, c’ era molta gente, ma riuscirono a sedersi; ordinarono da bere, lui le accarezzò una gamba, poi la trascinò sulla pista ed iniziarono a ballare: Fabrizia si muoveva in modo agile e sensuale, sembrava provocarlo, ma Vincenzo, provetto ballerino, era su un altro livello e in più di una occasione si voltò verso altre ragazze e ballò con loro. Anzi, più lei si avvicinava, più cercava di farsi notare, più lui si distraeva, salvo ritornare da lei appena si accorgeva che si stava innervosendo o si stava rivolgendo ad altri: la abbracciava, le sorrideva e la riportava al bancone del bar.
Bevvero parecchio e lui non la toccò mai in modo volgare: la sfiorava, la guardava, la faceva ingelosire, insomma la voleva portare ad uno stadio di eccitazione massima. E ci riuscì.
Quando lei, un po’ allegra, seduta sul divanetto, portò la sua mano sulla gamba di lui, risalendo fino all’ inguine dove si imbatté nel cazzo alquanto duro e, maliziosa, gli sorrise, facendo scorrere la lingua sulle labbra, Vincenzo capì che era giunto il momento di affondare il colpo.
“Sei eccitata vero? Te lo leggo negli occhi che hai voglia di cazzo. E allora andiamo.”
La prese per mano, si avviarono all’ uscita e con forza le afferrò una chiappa dandole un robusto pizzicotto. Lei si scostò con un piccolo brivido e lui riafferrandola le disse:
“Buona troietta, non farti notare da tutti.”
Uscirono sul piazzale e andarono verso l’ automobile che Vincenzo, previdente, aveva sistemato lontano dall’ ingresso in un posto non troppo illuminato.
Subito le tastò il culo, le infilò una mano nella scollatura della giacca, le afferrò una tetta e gliela strinse.
“Allora adesso mi fai divertire tu, fammi vedere se sei brava come a ballare.”
Le liberò il seno dal reggiseno, le sbottonò la giacca e glielo leccò e succhiò mentre infilava la mano sotto la gonna; arrivò presto alla sua figa, libera sotto la gonna e già bagnata, e, senza preamboli, le infilò dentro un dito a cui presto ne aggiunse un altro.
Fabrizia fremeva e si eccitò ancora di più quando Vincenzo iniziò ad accarezzarle, con delicatezza prima e sicurezza dopo, il clitoride. Glielo toccava, lo pizzicava, lo accarezzava, per poi stringerlo e pizzicarlo nuovamente; la sentiva gemere e contorcersi sotto quei tocchi e mugolare:
“Ahhhhhhhh, siiiiiiiii, ancora, siiiii, cosìììììì, mi fai impazzire, ahhhhhhhh, sì,sì, fammi godereeee…..”.
Lui la toccava, aggiunse un terzo dito nella sua figa e disse:
“Sei proprio troia, e bella aperta per giunta. Ti piace il cazzo, vero? Ne hai già presi di randelli da come sento la tua sorca!”. E le strizzò una tetta.
“Ma non crederai di godere così in fretta.” E smise di accarezzarle il clitoride.
“No! Continua, ti prego, fammi godere, non lasciarmi così, dopo farò tutto quello che vorrai.”
“Non ci siamo capiti, puttanella, tu fai quello che voglio lo stesso e poi deciderò io se farti godere o no. Avanti, fammi vedere come lo succhi. E attenta, guai a te se sento un dente.”
La spinse giù, lei si chinò e gli fece scendere la lampo per afferrare il suo membro.
“Non ci siamo capiti. Tu stai in ginocchio davanti al mio cazzo.”
Fabrizia si inginocchiò, estrasse quella mazza dura e pulsante nella sua mano e la prese in bocca. Era davvero grosso e aveva qualche difficoltà a tenerlo in bocca, ma fece del suo meglio.
Era lì, in un parcheggio, con le tette di fuori, a succhiare, in ginocchio, il cazzo di un uomo e si sentiva eccitatissima.
“Lecca, fammi sentire la lingua!” si sentì dire.
E ubbidiente tirò fuori la lingua e la fece passare sull’ asta, sulla punta, sul filetto. Leccava e infilava la punta della lingua nel buchetto in punta, poi ricominciava a leccare con la lingua piatta facendola scorrere su e giù. Poi Vincenzo tirò fuori i coglioni dai pantaloni e le intimò:
“Lecca anche le palle, per bene. Mi piace sentire la tua lingua.”
Fabrizia leccò con gusto quei testicoli gonfi, sentì i peli solleticarle le labbra e il cazzo di lui appoggiato sul viso. Poi li prese in bocca uno per volta e li succhiò avida e golosa.
“Buongustaia! Guarda come succhi bene. Continua così, sì,sì.”
Lui si stava eccitando, sentiva crescere l’ orgasmo, ma non voleva affatto godere. Allora le tolse il pene dalla bocca e tenendolo in mano iniziò a passarglielo sul viso: lo strofinava sulle guance, sulla fronte, sul naso e sulle labbra; glielo passò tra i capelli e poi ancora sul volto; poi prese a picchiarglielo sulle guance e sul naso come se la schiaffeggiasse con il cazzo, glielo sbatté sulla bocca e le ordinò:
“Succhialo, succhialo troia, prendilo tutto in bocca, veloce!”
Glielo infilò in bocca e lei prese a succhiarlo con un movimento intenso e rapido. Sentì a quel punto dei passi che si avvicinavano, provò a smettere, ma lui non glielo permise e affondò ancora di più il suo membro nella bocca di lei.
“Succhia ho detto, non ti distrarre.”
“Mmmmmmmmm, ohhhhhh,mmmmmm” bofonchiò lei, ma nulla cambiò. Provò a vedere di chi fossero quei passi, ma solo di sfuggita intravide tre figure, probabilmente maschili che passavano; capì che dei tre, invece, una era una donna quando la sentì dire:
“Avete visto? Lì c’ è una che sta facendo un pompino!”
“Sì, l’ abbiamo vista, quella è più zoccola di te, fortunato lui che se lo sta facendo succhiare”
“Certo che deve essere davvero troia per fare pompe in un parcheggio!”
E se ne andarono.
Fabrizia continuò a succhiare fino a quando Vincenzo non la sollevò per distenderla sul cofano dell’ auto; le sollevò la gonna e la scopò con intensità.
“Ti scopo, puttana, mi piace scoparti, mi sa che sei proprio brava a prendere cazzi, se vuoi te ne farò fare una bella cura. Toh, prendi, prendi” e la scopava con violenza.
Lei gemeva, mugolava, ma quando era sul punto di godere lui estrasse il membro e la fece nuovamente inginocchiare davanti a sé.
“Bastardo, perché l’ hai tolto? Stavo godendo. Ridammelo, ti scongiuro, non puoi fare così.”
Lo schiaffo arrivò sulla sua guancia non violento, ma secco.
“Non permetterti di insultarmi, troia! Decido io, non hai ancora capito? Quindi quella bocca usala per succhiare.”
Glielo ricacciò in gola e cominciò a spingere. Non era più un pompino, era come se la stesse scopando in bocca.
“Succhia, puttana, succhia. Sei proprio una zoccola e da zoccola devi essere trattata.”
Andò avanti ancora qualche minuto poi le venne in bocca con uno schizzo intenso.
“Ingoia!” le intimò.
Poi lo tolse dalla bocca e schizzò altre due volte sulla sua faccia: lo sperma, denso, le arrivò sugli occhi, nel naso, sulle guance e tra i capelli, imbrattandole il viso e disfacendo parzialmente il trucco. A quel punto glielo rimise in bocca.
“Puliscilo, non voglio sporcarmi rivestendomi. Su, così, per bene, usa la lingua. E brava questa cagna che mi lecca il cazzo!”
Quando ebbe finito Fabrizia provò a ripulirsi il volto, ma Vincenzo non glielo permise; lo sperma le colava sulle guance, nel collo, correndo verso il solco tra i seni.
“Resta così, ti pulirai a casa. Voglio guardarti così, hai l’ aria della troia. Pensa se incontriamo qualche vicino di casa: non potrà che pensare che sei una grande maiala e magari da domani ci proverà anche lui. Comunque sei stata brava, adesso torniamo a casa e ti scopo fino a farti godere. Sali.”
Fabrizia salì sulla macchina. Era eccitata, voleva sentirsi riempire, voleva un cazzo dentro e non provò nessuna umiliazione per quello che aveva subito.
Entrando nel palazzo non incontrarono nessuno e quindi salirono nell’ appartamento di lei.
Ormai lo sperma si era seccato e Fabrizia sentiva la pelle tirare; si guardò allo specchio e notò, evidenti, i segni bianchi che le segnavano il viso, lui se ne accorse e, prendendoglielo tra le dita di una mano, lo strinse, le si avvicinò e guardandola negli occhi le disse:
“Va a lavarti, zozzona, e poi torna a prendere la tua razione di cazzo!”
Mentre lei andava in bagno, Vincenzo andò a sedersi sul divano, poi si versò da bere con la disinvoltura di un normale frequentatore della casa e accese la televisione; tornò verso il divano, si spogliò completamente e si sdravaccò. Dopo qualche minuto Fabrizia ritornò, truccata e vestita di tutto punto e si sorprese nel vedere lui assolutamente nudo: la stava osservando, anzi scrutando, e ancora una volta lei non seppe cosa dire e cosa fare lasciando spazio a lui.
“Pronta per un altro giro? Allora mettiti a quattro zampe e vieni qui da me sculettando.”
Non obiettò, si mise a quattro zampe e andò verso di lui. Subito lui l’ apostrofò:
“Ma sei scema? Con la gonna e la giacca? Hai mai visto una cagna vestita così? Svestiti, tieni solo le calze e le scarpe e ricomincia.”
Fece come Vincenzo le aveva detto e, rimessasi carponi, si avviò verso di lui.
“Muovi il culo, cagna. Almeno quello visto che non hai la coda!”
Lei scodinzolò, arrivò da lui e si fermò.
“Chi ti ha detto di fermarti? Continua a camminare.” E, contemporaneamente, le diede uno sculaccione sul sedere. Lei camminava e ogni volta che gli passava vicino lui la sculacciava, talvolta leggermente, talvolta con violenza lasciandole i segni delle dita e arrossandole il culo che cominciò a bruciare.
“Adesso vieni a leccarmelo, tiralo su!” disse lui, ma Fabrizia vide che il suo sesso era già svettante e tosto; lo leccò e lo succhiò, poi lui la prese, la mise sul divano e la penetrò. Scopava con impeto tenendole le gambe divaricate e pompando senza interruzioni.
“Ti piace il cazzo, vero? Dimmelo che ti piace.”
“Sì, mi piace, dammelo tutto. Scopami, scopami, scopamiiiiiiii!”
Era invasata, si dimenava, urlava e continuava a chiedergli di non smettere. Lui la rivoltò, la fece appoggiare con la testa sul divano e ricominciò a scoparla a pecorina. L’ afferrava per i capelli, si aggrappava alle sue tette, la teneva per i fianchi e intanto scopava senza sosta. Lei godette più di una volta, era stremata, ma lui continuava.
“Prendilo, puttana, godi con il mio cazzo, prendilo tutto.”
Ad un certo punto si sollevò, le afferrò la testa, gliela portò verso il suo cazzo e glielo infilò in bocca dove riversò una serie di schizzi costringendola ad ingoiare tutta la sborra.
“Bevilo tutto, ingoia questa sborra, ingozzati di sperma, troia, e ringraziami che non ti sono venuto dentro.”
Lei ingoiò tutto e poi si accasciò per terra: era stremata, distrutta, con la figa che bruciava e doleva, scarmigliata ed incapace di muoversi.
Vincenzo andò in bagno, si rivestì, tornò in sala, le diede un bacio affettuoso, poi le disse:
“Se vuoi ti porto sul letto. Altrimenti vado a casa. Comunque scopi bene, se hai voglia chiamami che un’ altra ripassata te la do volentieri.”
Fabrizia gli sorrise, ma non rispose e Vincenzo se ne andò chiudendo delicatamente la porta.
Per alcuni giorni non si rividero e non si sentirono; Vincenzo era troppo orgoglioso per dimostrare il suo interesse e Fabrizia non era ancora uscita dallo stordimento di quella serata: stordimento fisico che passò mentre rimase quello interiore. Non riusciva a vivere quell’ esperienza come passeggera, come lo era stato altre volte, ma aveva paura di ritrovarsi in una situazione di sudditanza e contemporaneamente avrebbe voluto che Vincenzo la cercasse.
Fu ancora il caso a farli incontrare in un negozio vicino a casa.
“Non mi hai più chiamato. Ti sei già dimenticato di me?” esordì lei.
“E’ molto difficile che io chiami una donna; in genere sono loro a cercarmi; comunque non mi sono dimenticato di come scopi, se è quello che ti interessa.”
Parlava a voce alta e due donne si voltarono squadrando Fabrizia che, come al solito, non reagì.
“Se vuoi vengo a trovarti domani sera, stasera esco con la mia fidanzata!” aggiunse ridendo.
“Va bene, ti aspetto.”
“Perfetto. Ciao.” E se ne andò lasciando Fabrizia nel negozio, oggetto degli sguardi e dei commenti delle due donne. Ma lei non se ne curava: pensava alle sue parole domandandosi se quella fidanzata esistesse veramente e, ipotizzando che fosse così, si sentì un po’ gelosa, ma anche soddisfatta di potere essere il soggetto prescelto per il tradimento.
La sera successiva Vincenzo arrivò presto, volutamente troppo presto: Fabrizia si stava ancora preparando e non poté evitare di andargli ad aprire ancora non a posto. Aveva addosso soltanto le calze e le mutandine, il trucco a metà, e si buttò un accappatoio addosso.
“Già qui? Non sono ancora pronta. Aspettami dai, faccio in un attimo.”
“Ma a me sembri prontissima, anzi mi sa che queste sono di troppo.” rispose lui indicando le mutandine.
“Dai, non fare lo sciocco; lasciami finire.”
“Ma per cosa devi prepararti? Per scopare, no? Quindi resta come sei, anzi togliti le mutande e vieni da me in sala.” le disse e le sfilò l’ accappatoio.
Fabrizia ubbidì, si levò lo slippino e andò da lui. Cominciò a fargli qualche moina, a comportarsi da gattina in calore, sbaciucchiandolo e accarezzandolo.
“Smettila di fare la fidanzatina, mi piaci di più quando fai la troia!” le disse lui mettendole una mano tra le cosce e infilandole brutalmente due dita nella figa.
“Come sempre già pronta e bagnata.” disse lui, trovandola umida nel sesso, “sei proprio una cagna in calore.”
Rovistò con le dita nel suo sesso, ne infilò un terzo, poi un quarto dopodiché le diede quelle dita da succhiare, cosa che lei fece senza obiettare. Leccò tutti i suoi umori finché lui non infilò nuovamente le dita nella sua figa e gliele diede ancora da leccare; ripeté diverse volte l’ operazione e nel frattempo le stringeva le tette e le pizzicava i capezzoli con l’ altra mano.
Fabrizia era eccitata, voleva godere e lo disse a Vincenzo.
“Sempre impaziente! Sei davvero una zoccola. Ma devi imparare ad aspettare e soprattutto a ricordarti che devi dare piacere a me, non a te stessa; sono le puttane che fanno godere gli uomini, non gli uomini che fanno godere le puttane! Quindi adesso succhiami il cazzo per benino.”
Lei scivolò sul tappeto, si inginocchiò tra le sue gambe e iniziò un lento, profondo pompino. Leccava quel cazzo a lingua piatta facendola scorrere sull’ asta, sul prepuzio, sul glande; leccava con la punta cercando i punti che sapeva essere più sensibili per gli uomini; leccava le piccole gocce di liquido spermatico che vedeva fuoriuscire dal buchetto; leccava le palle per poi succhiarle riempiendosi la bocca con quelle; scese con la lingua più in giù sfiorando l’ ano, poi risalì e prese in bocca quel membro grosso e violaceo; sapeva di buono, sapeva di sesso e Fabrizia lo succhiò con passione ed impegno.
“E brava la nostra succhiacazzi, vedo che te la stai proprio godendo. Succhia bella, continua così, non ti fermare.”
Continuò quel pompino fino a quando lui non le tolse il sesso dalla bocca, la girò sul divano e la prese da dietro. La scopava e la sculacciava, la scopava e le stritolava i seni, la scopava per poi uscire da lei e poterle risbattere dentro il suo uccello.
“Scopami, scopami così, chiavami, riempimi tutta.”
“Certo che ti scopo, troia. Anzi, adesso ti faccio un altro servizietto adatto alla puttana che sei.” Così le tolse il suo sesso dalla figa, si abbassò per sputarle sull’ ano un po’ di saliva e, senza darle troppo tempo per reagire, glielo infilò nel culo. Lei urlò per il dolore e per la sorpresa, ma lui continuò e con due colpi fu completamente dentro il suo sfintere. Incominciò a spingere e a pompare dentro di lei che si lamentava e aveva ormai le lacrime che le bagnavano gli occhi. La stava inculando con violenza, quasi con rabbia e non pareva intenzionato a smettere.
“Ti piace nel culo, puttana? Voglio sentirtelo dire che ti piace, forza dimmelo.”
“Sì, sì.”
“Sì cosa? Non capisco.”
“Sì, mi piace, mi piace.”
“Cosa ti piace?”
“Mi piace il tuo cazzo.”
“Dove ti piace?”
“Mi piace nel culo, mi piace che mi inculi, sì inculami, inculami, incula la tua puttana!” Ormai non aveva più freni, era completamente invasata e nulla l’ avrebbe fermata. Vincenzo, ovviamente lo capì immediatamente ed estrasse il suo uccello dal culo di lei che fece uno schiocco come di bottiglia stappata.
“Allora cos’ è che vuoi? Chiedimelo, voglio sentirtelo chiedere.”
“Voglio che me lo metti nel culo.”
“Più precisa e, soprattutto, più educata, non ti hanno insegnato le buone maniere?” e così dicendo le mollò una sculacciata che la fece sobbalzare.
“Per piacere, mettimi il cazzo nel culo. Riempimi, inculami per favore!”
“Eccolo qui, prendilo nel culo, troia!” E dopo un’ altra forte sculacciata la sodomizzò in un solo colpo. Fabrizia restò senza fiato, poi si riprese e godette. Godette della sodomizzazione come non le era mai successo, le piacque quel cazzo che le sfondava il sedere e lasciò che Vincenzo proseguisse a pompare. Andò avanti per quasi un quarto d’ ora finché le rovesciò nell’ intestino schizzi di sborra. Quando uscì da lei il buchetto di Fabrizia era rosso e dilatato e non aveva intenzione di richiudersi.
“Ciao rotta in culo, mi sa che per un po’ ti siederai con difficoltà; ma ne valeva la pena, non credi? Vedi che non era il caso di vestirsi? Ci vediamo, ciao.” E rivestitosi se ne ritornò a casa.
Ogni volta passava del tempo prima che si rivedessero, ma ogni volta il copione era lo stesso: si ritrovavano, lui era gentile, talvolta generoso quando erano solo loro due per strada o al momento dell’ incontro; poi si trasformava, si divertiva ad umiliarla in mezzo alla gente con frasi e palpeggiamenti, le faceva assumere comportamenti ai limiti della decenza e il sesso era sempre violento: parolacce, crudezze e sempre modi duri nel possederla. Non tralasciava mai di farla godere, spesso anche più di una volta, ma non mancavano sculacciate, pompini profondi e soprattutto sesso anale. Talvolta le legava le mani, le bendava gli occhi e la scopava come voleva; poi se ne andava e non si faceva vivo per giorni o settimane. Fabrizia non riusciva a smettere, accettava tutto, di essere il “suo buco personale”, come le aveva detto un giorno, e chissà fino a quando avrebbe accettato quella situazione.
Invece di smettere lo decise Vincenzo, stancatosi oramai di quel giocattolo e pronto a cercarsene un altro.
Come in altre occasioni un giorno, incontrandola, le disse di prepararsi per benino e di passare a prenderlo (nel frattempo lui aveva nuovamente traslocato).
Fabrizia fece di tutto per piacergli e per sorprenderlo: gonna con spacco vertiginoso che lasciava vedere attaccatura dell’ autoreggente e ogni tanto anche la coscia nuda, camicetta alquanto sbottonata con reggiseno in vista, niente slip e scarpe con tacco a spillo; sopra, un cappotto per mantenere la sorpresa e passare inosservata uscendo di casa.
Arrivò da Vincenzo eccitata e piena di voglia pregustando una serata di sesso e suonò il campanello, ma non ottenne risposta; risuonò e, tra il preoccupato e l’ irritato suonò ancora, ma solo al quarto squillo la porta si aprì: apparve Vincenzo, scarmigliato e affannato, completamente nudo.
“Che cazzo vuoi?”
“Mah, non dovevamo vederci?”
“Chi te lo ha detto?”
“Tu, oggi pomeriggio, quando ci siamo visti, non ti ricordi?”
“Ma che cazzo vuoi che mi ricordi! Ho incontrato una mia amica, siamo venuti qui e abbiamo cominciato a scopare. E’ davvero fantastica, mi fa dimenticare tutto. Vuoi conoscerla?”
“Stronzo, perché mi tratti così?”
Lo schiaffo la colpì improvviso e violento sulla guancia sinistra.
“Ti ho già detto altre volte di non provare mai ad offendermi, vedo che non hai ancora imparato.”
“Scusami.” rispose immediatamente lei, preoccupata di irritarlo.
“Ma davvero dovevamo vederci; guarda come mi ero preparata per te?” e togliendosi il cappotto si mostrò nel suo abbigliamento provocante.
“Come ti eri preparata? Da troia, come sempre, perché tu sei una troia, una che va in giro a farsi scopare, che le piace prenderlo nel culo e si veste da troia perché, così, si sente a suo agio. Ma io mi sono stufato, mi sono stufato della tua figa, della tua bocca, del tuo culo, mi sono stufato di te; vattene, trovati un altro cazzo che ti faccia godere e lasciami stare.”
Fabrizia era sconvolta, non si aspettava una reazione di quel genere, non se l’ aspettava in quel momento, non era preparata. E si ritrovò muta, incapace di reagire; si sentiva impotente, spaurita, con lo spettro della solitudine. Provò a reagire:
“Non cacciarmi così, tienimi con te, farò tutto quello che vorrai……..” e l’ affanno lasciò presto lo spazio a qualche lacrima; proprio in quel momento arrivò la ragazza che era in compagnia di Vincenzo e Fabrizia sentì il cuore che le arrivava in gola quasi a soffocarla.
Era la gelosia che avanzava prepotentemente e la faceva stare male. Osservò quella ragazza e subito, d’ istinto, prima ancora che aprisse bocca non le piacque; era una ragazzina stereotipata, tipo modella, biondina, abbronzata, con un fisico invidiabile, ma privo di personalità.
“Cosa vuole questa stronza Vinc?” disse con accento inglese.
“Niente Cindy, è una rompicoglioni, ma adesso va a casa, vero che vai a casa?”
“Perché mi cacci? Preferisci lei? Che cos’ ha più di me?” Ormai Fabrizia non si controllava più, non riusciva a fermarsi, ad evitare di peggiorare la situazione.
“Ma Vinc, chi è questa? Mi vuoi spiegare? Mi sto incazzando e se non mi rispondi me ne vado immediatamente; non mi piacciono queste situazioni.” ribadì l’ inglese con il suo accento che alle orecchie di Fabrizia suonava come uno stridore.
“Te l’ ho detto, Cindy, è una che mi rompe, che vuol farsi scopare. Guarda, ti faccio vedere se non ci credi.” E detto questo afferrò Fabrizia le bloccò i polsi con una mano, poi le sbottonò la camicetta, le sollevò la gonna e la mostrò alla biondina.
“Hai visto come va in giro?”
E brutalmente infilò due dita nella figa di Fabrizia.
“Ti piace? Era questo che volevi? Eccone un altro.” E infilò un terzo dito rovistando brutalmente dentro di lei.
A questo punto dentro Fabrizia scattò qualcosa di improvviso, come una molla; si divincolò da lui, afferrò il suo cappotto e urlando:
“Lasciami, lasciami andare, stai con questa bambola deficiente.” fuggì via correndo giù per le scale. Sentì ancora vagamente la voce di Vincenzo che diceva:
“Hai visto tesoro? Ti ho detto che era una pazza!”
Ma ormai era lontana. Non avrebbe mai più incontrato Vincenzo; per qualche giorno stette male, soffrì, poi prese coscienza di come si era ridotta e promise a sé stessa che non sarebbe più caduta in una situazione analoga.
Il tempo passò, Fabrizia ebbe altre storie, altri amori, storie di sesso e innamoramenti di diversa durata, ma non incontrò più uomini come Vincenzo. Ne conobbe di affettuosi e di protettivi, di superficiali e di egoisti, ma nessuno che la trattò come quel giovane. Ogni tanto, però, quella storia le tornava alla mente, ripercorreva le tappe di quel periodo della sua vita e si stupiva di non averlo rimosso; anzi, con il passare degli anni l’ aspetto negativo si era affievolito e con l’ istintivo fastidio rimaneva una certa eccitazione, un desiderio nascosto e indecifrabile di ritrovarsi a rivivere alcune di quelle sensazioni: poi subentrava la razionalità, si dava della stupida e scacciava quel pensiero.
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