Divisa in due 6. Divagazioni
di
Istrice59
genere
dominazione
Passata la sbornia di quelle due giornate trascorse soprattutto a fare sesso, nelle quali per la prima volta Davide aveva provato l’ ebbrezza di inculare Gabriella e lei aveva tratto da ciò grande godimento, e delle quali non avevano ( soprattutto lei ) dovuto pagare pegno, le opportunità non si ripresentarono e così si dovettero accontentare di qualche momento in auto e di qualche occasione vissuta in casa quando il tempo era meno tiranno.
In macchina, per ragioni di spazio, si limitavano a baci, carezze, palpeggiamenti e leccate ed era soprattutto Davide a godere dei meravigliosi lavoretti di bocca di Gabriella che mai gli negava il piacere di un pompino e raramente evitava di leccare e succhiare quell’ uccello del quale andava matta
.
In un paio di occasioni corsero incoscientemente il rischio di incontrarsi a casa di lei mentre Basilio era assente e si amarono, incuranti del fatto che potesse rientrare; sul letto dove Gabriella dormiva abitualmente con il marito e dove spesso faceva l’ amore con lui, scoparono con passione e si diedero ogni tipo di piacere: le mani e le lingue non lasciarono scoperto alcuno spazio dei loro corpi, le carezze furono audaci, si leccarono, si baciarono e godettero con grande intensità inconsapevolmente eccitati da quell’ enorme pericolo che incombeva su di loro.
Con più tranquillità si trovavano a casa di lui, specialmente al mattino prima di andare insieme al lavoro: a seconda del tempo a disposizione scopavano o si davano solo qualche bacio esaltando un’ eccitazione già presente che doveva essere soddisfatta in tempi successivi; a volte il letto li accoglieva, altre preferivano il tavolo da cucina o la poltrona del salotto, altre ancora restavano in piedi per poi chinarsi, ora lui ora lei, tra le gambe dell’ altro per leccare e succhiare in posizione di grande disponibilità e di manifesta inferiorità.
Davide si eccitava da morire a vedere Gabriella in ginocchio davanti a lui mentre lo guardava e simultaneamente gli succhiava il cazzo; gli piaceva vederla muovere la lingua sul suo sesso e osservarla con il cazzo in bocca specialmente quando non si aiutava con le mani e avrebbe voluto che quel piacere durasse all’ infinito. Per questo talvolta si interrompeva e, invertendo le posizioni, si metteva lui a leccarle il clitoride, l’ inguine, le grandi labbra, infilando la lingua e le dita nella sua vagina: sapeva che con la lingua la faceva impazzire dal piacere e non smetteva neanche quando lei stringeva le gambe e rischiava di perdere l’ equilibrio; continuava a stuzzicarle il clitoride con la punta della lingua e la faceva godere così anche più volte di seguito: quei gemiti, quei versi lo esaltavano e provava soddisfazione nel vederla raggiungere l’ orgasmo ripetutamente per poi restare stremata e senza forze solo desiderosa di ricambiare quello stesso enorme piacere.
Se c’ era maggiore disponibilità di tempo Davide la spingeva sulla poltrona e la prendeva da dietro: entrava dentro piano piano, ma agevolato dal fatto che lei era già bagnata, e cominciava a scoparla con passione spingendo il suo sesso fino in fondo, sbattendo con il suo corpo contro le natiche di Gabriella, roteando dentro di lei perché sentisse maggiore piacere; la teneva per i fianchi e lei, chinata in avanti, affondava la faccia sul sedile della poltrona oppure, inginocchiata sulla stessa, si appoggiava sullo schienale. Ad entrambi piaceva quella posizione e godevano, oltre che di un piacere fisico, anche di uno mentale.
Nei momenti di pausa a Gabriella piaceva raccontare a Davide di piccoli fatterelli che le capitavano e che dimostravano il suo essere ancora piacente e l’ interesse che destava negli uomini che incontrava; non era per farlo ingelosire, né per valutare le reazioni che poteva avere, ma solo un’ ingenua soddisfazione e una vanità molto femminile nel sentirsi ancora desiderata. E ne aveva motivo: magra, con due tette invitanti anche se non grosse, un fisico in cui le curve modellavano ancora perfettamente il suo corpo, gambe affusolate, forse solo un po’ sottili, un sedere sodo e pronunciato che si notava sia con la gonna che con i pantaloni, capelli castani tendenti al rosso in quel periodo pettinati a caschetto, vestita sempre in modo giovanile e talvolta sexy, dimostrava certamente dieci anni di meno rispetto ai suoi quarantaquattro e non poteva passare inosservata.
Così le capitava di incrociare per strada l’ uomo maturo che le dedicava un sorriso di compiacimento, la coppia di amici che, essendo in due, lanciavano fischi e qualche verso, ma anche chi, più educatamente, le diceva: “Complimenti!”
Capitò anche, un giorno che aveva una gonna corta con degli spacchetti davanti, che, in attesa di un autobus insieme ad una coppia sconosciuta, si sentì osservata da lui e squadrata da lei: l’ uomo le sorrise e poco dopo sentì distintamente la donna che diceva:
“Guarda come va in giro quella, vuol fare la ragazzina e sembra solo una puttana!”
L’ uomo accanto non rispose, appena riuscì guardò Gabriella e alzò gli occhi al cielo come a compatire chi aveva con sé e si rammaricò di non conoscere quella donna attraente e giovanile; lei colse quella forma di complimento e la nota di invidia della donna e non diede peso alle sue parole.
Un’ altra volta un ragazzo si affiancò ad un semaforo alla sua auto, abbassò il finestrino, le strizzò l’occhio e le disse solo:
“Ciao, splendida!”,
poi andò via lasciandola sorpresa ed emozionata per quelle parole. Solo i clacson di chi suonava per la sua sosta prolungata la risvegliarono da quel momento di sogno e di entusiasmo.
Davide aveva una reazione contraddittoria nell’ ascoltare questi racconti: ascoltava, sorrideva e non manifestava a Gabriella né insofferenza, né fastidio; dentro provava una velata forma di gelosia mischiata alla soddisfazione di sentire quella donna, che lui considerava sua, fatta oggetto di complimenti da parte di altri. Questa sensazione fu particolarmente intensa quando Gabriella gli raccontò questo fatterello.
Una mattina erano arrivati a casa sua tre uomini a consegnare il vino che suo marito aveva ordinato in un paesino direttamente ad una azienda vinicola; Basilio non c’ era e così, dopo avere aperto, scese per accompagnarli in cantina: si trovò davanti un ragazzino molto giovane, avrà avuto diciassette anni, e due uomini, uno prestante, moro, sulla trentina, ed un altro, più anziano, pelato, grassottello, ma molto loquace. Disse loro che suo marito era assente, ma che tanto sapevano quello che dovevano fare, al che quello anzianotto rispose: “E certo che lo sappiamo quello che dovremmo fare visto che non c’ è il marito, ah, ah.” Gabriella non rispose, ma, per non sembrare sgarbata, sorrise. L’ altro, preso coraggio, aggiunse:
“Allora dove ci porta, bella signora?”
“In cantina, naturalmente, venite, vi faccio vedere”
Ma anche in quel caso aveva sbagliato le parole.
“Dai ragazzi, che la signora ha da farci vedere!”
continuò l’ uomo sempre più caricato dalla situazione che si andava creando.
Gabriella era in imbarazzo, non voleva rispondere male per non passare da maleducata e perché, in fondo, erano solo battute di spirito, ma temeva che la situazione peggiorasse e non fosse più in grado di controllarla.
Inoltre, non aspettando quella visita, era vestita in modo inadatto: certamente non elegante o coinvolgente, piuttosto “da casa”, ma la gonnellina era leggera e la camicetta semitrasparente; comunque fece strada ben sapendo che gli occhi dei tre erano a perlustrare il suo corpo e indicò dove dovevano sistemare damigiane e bottiglie. Avrebbe voluto tornare in casa e salutarli a lavoro finito, ma non si fidava a lasciarli soli e così rimase lì; i tre cominciarono a scaricare e trasportare e intanto la guardavano.
“Non ha niente per noi, bella signora?” chiese quello moro,
“Da bere……….”
aggiunse quello che sembrava essere il capo.
“Certo, salgo un attimo in casa, va bene birra?”
“Molto bene, grazie” risposero i tre,
“Vuole che l’ accompagni?”
abbozzò il pelatino, ma Gabriella fu pronta a rispondere:
“No, grazie, faccio da sola. Torno tra poco.”
Salì in casa prese le bottiglie di birra, le appoggiò su un vassoio con i bicchieri e ridiscese in cantina dove c’ erano solo il giovane e l’ uomo più anziano, il terzo era probabilmente uscito per andare a scaricare dal furgone. Non aveva ancora oltrepassato la porta della cantina che l’ uomo la accolse dicendo:
“Serve una mano?”
e approfittando del fatto che teneva in mano il vassoio le diede una leggera, ma insistita palpata al sedere; sorpresa, Gabriella rischiò di fare cadere bottiglie e bicchieri, ma ancora una volta non reagì, vide solo il ragazzo che sorrideva e non capì se era per il movimento strano che aveva dovuto fare per evitare che il vassoio volasse in terra o perché aveva colto il gesto del suo capo.
Aprì le bottiglie e i tre, nel frattempo era arrivato anche il terzo, bevvero chiedendo se voleva fare loro compagnia; rifiutò l’ invito motivandolo con l’ ora mattutina e poco dopo il ragazzo e l’ uomo giovane ripresero i loro giri per scaricare la merce; appena furono usciti il terzo le si avvicinò, le afferrò prepotentemente una chiappa e la palpò da sopra la gonna che d’ altronde non opponeva grossi ostacoli. Le bisbigliò ad un orecchio:
“Non provare ad urlare, faresti solo una figura di merda con i vicini! E poi non voglio mica violentarti, mi accontento di toccarti un po’.”
Inebetita, confusa, ma inconsciamente eccitata da ciò che stava accadendo, Gabriella lasciò che l’ uomo infilasse la mano sotto la gonna e le tastasse il culo, provando ad infilare un dito sotto le sue mutandine: la trovò bagnata e le disse:
“Già pronta, eh? L’ ho sempre detto io che le donne di città sono più zoccole. Ti piace farti toccare eh? L’ ho capito subito che sei un po’ puttana, pensa se lo dicessi a tuo marito: ma sono un signore, mi basta averti dato questa tastata e aver capito di che razza sei!”
E tolta la mano da sotto la gonna le diede un piccolo buffetto su una guancia.
Finito il loro lavoro i tre se ne andarono salutando gentilmente e il pelatino non fece alcun riferimento a ciò che era successo. Lei rimase un po’ stupita per come aveva lasciato fare quell’ uomo, si sentì un po’ in colpa verso Basilio e soprattutto verso Davide, ma si riprese pensando che in fondo non era stato niente di particolarmente grave: peccato che quella piccola libertà se l’ era presa il meno attraente dei tre!
Anche in ufficio Gabriella non passava inosservata e frequentemente raccoglieva complimenti, lusinghe, tentativi di approccio e commenti a volte divertenti, a volte volgari; alcuni colleghi negli anni avevano provato a farle il filo e con qualcuno di loro c’ era scappata una serata, un’ uscita o un periodo, mai troppo lungo, in cui avevano avuto una relazione; raramente aveva concesso loro di scoparla e il più delle volte gli spasimanti avevano dovuto accontentarsi di qualche bacio e qualche toccatina più o meno intima.
Tra questi c’ era uno a cui Gabriella non aveva mai dato soddisfazione: non le piaceva, ma ogni volta che lo incontrava la faceva sentire in forte soggezione, in parte perché era un dirigente della società, in parte per il suo modo di fare pungente, scostante, ma contemporaneamente amichevole.
Da sempre gli si rivolgeva dandogli del lei mentre lui non aveva mai avuto dubbi nel darle del tu, come del resto faceva con tutte le donne di livello professionale, di cultura, di ceto inferiore al suo. Gabriella sperava sempre di non incontrarlo e, quando ciò avveniva, cercava di non rimanere sola con lui, anche se ciò non tratteneva lui dal manifestare apprezzamenti o dal lanciare messaggi allusivi; quando invece si ritrovavano da soli, specialmente in ascensore, Livio non perdeva l’ occasione per allungare le mani o sul sedere o sulle tette di Gabriella e per tentare un approccio più marcato:
“Sempre sode queste tette, quand’ è che me le fai vedere?”
oppure:
“Hai un culo a cui manca solo la parola, se esci una sera con me ti assicuro che lo faccio cantare!”
o ancora:
“Sei proprio una gran figa, ogni volta che ti vedo mi fai arrapare, vuoi sentire come me lo hai fatto venire duro? Un giorno o l’ altro dovrai dirmi di sì e uscire con me così te lo faccio conoscere.”
Gabriella cercava sempre di sdrammatizzare e di rispondere con un’ altra battuta o con un sorriso, ma periodicamente Livio si faceva più insistente e pressante con i suoi inviti a cui diventava difficile continuare a dire di no.
Ma Gabriella temeva che Livio nascondesse qualcosa e non si sarebbe mai sentita tranquilla ad uscire con lui per cui tergiversava; un giorno poi confidandosi con un collega ed amico di vecchia data fu messa in guardia dal cedere a qualsiasi tipo di avance di Livio. “Mi raccomando, Gabriella, non farti convincere, Livio è pericoloso, usa le donne per il suo piacere, le cerca sottomesse e succubi della sua personalità per divertirsi e per umiliarle. Non cadere nella sua trappola: inoltre, spesso si trova con un suo amico, più severo e più cattivo di lui per trascorrere la giornata o la sera ai danni della donna di turno.” “Ma come fai a sapere tutto questo?”
“Vedi, Livio mi stima dal punto di vista professionale e quindi mi racconta volentieri di sé; inoltre, una volta ha voluto che lo accompagnassi ad uno di questi incontri, assicurandomi che sarebbe stato divertente ed eccitante; io non volevo: da un lato ero curioso ma, sapendo già dai suoi racconti alcuni dettagli,ero preoccupato che la situazione degenerasse, però lui insistette. Trovò, con la sua perversione, un compromesso: per la prima volta non avrei partecipato, ma avrei assistito da dietro uno specchio a ciò che avveniva e la volta successiva,lui era certo, sarei stato io a chiedergli di partecipare.”
“E cosa avvenne?” chiese Gabriella timorosa, ma curiosa di conoscere i dettagli di quella storia.
“Te lo racconto solo se mi prometti che, a costo di rispondergli male, non darai mai soddisfazione a Livio di uscire con lui; a parte che dopo che ti avrò detto tutto sarai tu a non voler correre rischi, ma ti voglio bene e mi preoccupo per te.”
“OK, sta tranquillo, non devi temere, sarò attenta e prudente.”
E così l’ amico cominciò a raccontare.
-Alcuni giorni prima di quello in cui era stato organizzato l’ incontro Livio mi diede una copia delle chiavi di casa sua e mi mostrò in quale stanza avrei dovuto entrare e in quale lui avrebbe organizzato i suoi giochi: lì c’ era uno specchio, che riempiva quasi interamente una parete, che nell’ altra stanza diventava un vetro per cui da lì sembrava di essere a teatro: si poteva osservare pacificamente ciò che succedeva al di là della parete senza possibilità alcuna di essere visto o sentito.
Capì presto che non ero il primo a beneficiare di quella possibilità: Livio era solito invitare persone anche a pagamento per assistere a quegli spettacolini.
Mi disse anche di trovarmi ad una certa ora in un bar dove, però, non avrei dovuto salutarlo né fare capire che lo conoscevo e da cui avrei dovuto uscire prima di lui per raggiungere anticipatamente la sua abitazione.
Il giorno prestabilito mi recai in quel bar ed entrai: era un locale non eccessivamente illuminato, con luci soffuse e una musica soft che faceva da sottofondo; c’ erano dei tavolini bassi con poltrone intorno, altri tavolini a cui gli avventori si avvicinavano stando in piedi e dei divani per chi si voleva intrattenere più a lungo specialmente nelle ore serali; c’ era poi un lungo bancone con seggiolini alti come trespoli per chi generalmente si trovava da solo o era nell’ attesa di qualcuno.
Decisi di sedermi su una poltroncina e ordinai da bere; il mio sguardo fu presto attratto da una figura femminile interessante ed attraente che non poteva passare inosservata: era una donna di circa trentacinque anni che, seduta su uno degli sgabelli alti, sorseggiava un aperitivo e si guardava intorno con circospezione e timore. Indossava un impermeabile, tenuto aperto, sotto il quale si vedeva un vestito di raso nero, che le arrivava, se in piedi, sopra il ginocchio, con una discreta scollatura a v che metteva in risalto i seni e due sottili bretelline che proseguivano verso le spalle; le calze erano scure e le scarpe avevano un cinturino che le avvolgeva le caviglie ed un tacco a spillo di almeno dodici o tredici centimetri; al collo aveva un collarino di velluto nero che contribuiva a darle fascino e a renderla sexy. I capelli erano neri, mossi e lei continuava a toccarli come per smorzare il nervosismo e la tensione che visibilmente manifestava; era bella, conturbante, sola e diversi uomini avevano provato ad avvicinarla, ma lei non aveva dato retta a nessuno e aveva continuato a fissare la porta cercando di mascherare l’ imbarazzo creatole dai complimenti più pesanti.
Continuai a guardarla senza assolutamente immaginare, ma neanche sperare, che sarebbe stata proprio lei la protagonista assoluta della serata.
A un tratto entrò Livio in compagnia di un altro uomo che avrà avuto quarantacinque - cinquant’ anni, più alto di lui, capelli grigi ondulati, lo sguardo da duro e l’ atteggiamento brillante tipico di coloro che sanno di avere successo con le donne senza doverle mai corteggiare; notai l’ impercettibile scatto che ebbe la donna seduta al banco del bar, ma non notai nessuna reazione in Livio e solo uno sguardo ammiccante da parte dell’ altro uomo.
I due si sedettero ad un tavolino a fianco del mio e cominciarono a chiacchierare tra di loro; notai per prima cosa un orribile braccialetto che l’ altro uomo, che capì chiamarsi Remo, portava al polso: era di oro massiccio e dalle maglie pendeva un piccolo fallo in erezione, davvero di cattivo gusto, ma sintomatico del personaggio che lo portava.
Dopo discorsi banali e di nessun interesse Livio alzò il tono della voce, probabilmente perché io potessi sentire, e disse al suo amico:
“Remo, stasera credo proprio che ci divertiremo e non potrai lamentarti di quello che ti offrirò.”
“Lo spero, Livio, sai però che sono alquanto esigente e, soprattutto con te che mi sei amico, non ho problemi a formulare critiche e a esprimere la mia insoddisfazione; tanto non ti offendi, ma se davvero rimarrò soddisfatto puoi stare tranquillo che ricambierò appena possibile la cortesia. Ma, bando alle ciance, dimmi di questa tua amica.”
“Mah, vedi, non è proprio un’ amica, anche perché ad un’ amica non riserverei questi trattamenti, è una collega, o meglio un’ impiegata che lavora nella mia stessa azienda, a cui ho fatto il filo per un po’ di tempo; lei, dopo qualche iniziale tentennamento, ha ceduto e da allora fa tutto quello che voglio.”
“In che senso tutto quello che vuoi?”
“In tutti i sensi, soprattutto nel senso del sesso.”
“Ma come ci sei riuscito? Io non ho problemi da questo punto di vista, ma non mi ricordo casi simili capitati a te.”
“E’ vero, ma con il tempo ho fatto esperienza, e poi nel ruolo che ricopro oggi è molto più facile di quando ero giovane anche se sono meno attraente e meno aitante.”
“E bravo il mio amico Livio! Raccontami, allora.”
“Vedi, è strano, senza pretendere, senza forzare, senza minacce e senza ricatti questa fa ogni cosa che voglio; mi ha solo chiesto, dopo la prima volta che ha scopato con me, di non parlarne in ufficio e di non sputtanarla; perché io faccia questo è disposta a tutto e io ne approfitto: non faccio parola se non con persone a lei sconosciute, come te, e mi godo la sua disponibilità e la sua sudditanza. E mi diverto un sacco!”
“Eccezionale!”
“Pensa che è sposata, ha una bambina, e per di più insegna catechismo e frequenta la sua parrocchia: è soprattutto lì che non vorrebbe mai che venissero a conoscenza della sua doppia vita, ma io non ho motivo per andarglielo a raccontare.”
“Ma è bellissimo, mi sto già arrapando! Però, Livio, dimmi la verità perché la storia della catechista mi puzza un po’: è davvero carina o un cesso?”
“Caro Remo, prima di tutto dovresti fidarti, comunque vediamo ………….. ti basterebbe se fosse come quella che è seduta da sola al bar?”
Remo si voltò e senza esitazione rispose:
“Cazzo, ci sarebbe da leccarsi le dita e non solo quelle.”
“Ebbene, allora comincia a leccartele perché è lei.”
Remo rimase per un attimo senza parole e Livio ne approfittò per fare un cenno con le dita alla donna che si alzò e li raggiunse al tavolo salutando entrambi con un sorriso che non riusciva a nascondere la sua timidezza.
Livio si rivolse alla donna e le disse:
“Ciao, Adriana, questo è Remo, un mio amico che trascorrerà la serata con noi. Vieni, adesso, siediti con noi, vuoi bere qualcosa?”
Lei accettò e ringraziò, si presentò a Remo e si sedette in mezzo ai due uomini; Remo la osservava e quasi la spogliava con gli occhi mentre le lanciava sguardi maliziosi e occhiate spudorate, lei era in imbarazzo e non sapeva cosa rispondere. Fu Livio che ruppe il ghiaccio, le posò una mano sulla coscia e le disse:
“Tutto bene? Nessun problema per uscire questa sera?”
“Nessuno.” Rispose, senza dilungarsi, Adriana che non si sentiva portata a dare subito confidenza allo sconosciuto che si trovava lì.
Ma Livio non si trattenne e ricominciò:
“Cosa hai detto a tuo marito, che avevi una lezione di catechismo?”
Arrossendo Adriana rispose:
“No, ho detto che c’ era una riunione.”
“Di che cosa? Del Consiglio Parrocchiale? Non vergognarti, anche Remo è cattolico e non si scandalizza per queste cose.”
“Sì, ho detto che c’ era un incontro in parrocchia.”
“Brava, mi piaci anche per questo. Remo, vedrai stasera la nostra suorina come si trasformerà; vero Adriana che farai vedere al mio amico come sai diventare una perfetta e disponibilissima puttana?”
“Sì Livio, lo sai che faccio sempre quello che vuoi e che non voglio mai deluderti.”
Livio le strinse la coscia che stava accarezzando e poco dopo anche Remo fece la stessa cosa sull’ altra gamba. Lei li lasciava fare e non obiettò nemmeno quando i due le aprirono le gambe, tirandone ognuno una verso di sé, né quando intrufolarono le mani sotto il vestito per accarezzarle le gambe e le cosce fino a salire all’ attaccatura delle autoreggenti. In fondo erano abbastanza visibili e a qualcuno dei presenti la scena non era sfuggita, ma nessuno dei tre sembrò dare peso a quella eventualità.
Fu ancora Livio a parlare:
“Che te ne pare allora, Remo?”
“Una bella manzetta” rispose l’ altro, e dando a lei un buffetto sulla guancia le disse:
“Ho proprio voglia di scoprire le tue specialità perché sono certo che ci sai fare: lo sguardo è più da porcella che da catechista.”
Poi le sfiorò i capelli, le riaccarezzò le gambe e fu in quel momento che colsi uno sguardo di Livio: capì che era venuto il momento di andarmene per raggiungere la sua casa prima del loro arrivo.
Uscì e arrivai là dopo una decina di minuti, entrai nella camera che sarebbe stata il mio punto di osservazione e aspettai il loro arrivo. Livio mi aveva preparato la poltrona, una sedia, un tavolino e anche qualcosa da mangiare e da bere, ma ero certo che non avrei assaggiato quasi niente. Un quarto d’ ora dopo il rumore delle chiavi nella serratura fu il segnale che lo spettacolo stava per incominciare.
I tre entrarono e si diressero immediatamente nella stanza al di là dello specchio con i due uomini che non persero tempo e cominciarono immediatamente a tastare il culo della donna da sopra e da sotto il vestito. Poi Livio invitò l’ amico a sistemarsi sul divano e disse:
“Stai lì comodo, per adesso; cominceremo con il farti vedere qualcosa, tanto per scaldare l’ ambiente, come si suole dire.”
E presa Adriana si sistemò alle sue spalle e le accarezzò le tette, poi fece scendere le spalline del vestito sulle braccia e i seni non coperti dal reggiseno apparvero nella loro totale nudità: erano due seni di discrete dimensioni, tondi e sodi, sufficientemente eretti, con i capezzoli chiari ed estesi e Livio li afferrò dai lati, li avvicinò tra di loro, li mostrò all’ amico e li strinse con una certa energia; poi risollevò le spalline del vestito e portò le mani tra le gambe di lei, le alzò la gonna e scostò le mutandine per fare ammirare a Remo una fica curata nella depilazione e alquanto invitante. Quindi la girò, la fece chinare, le sollevò il vestito da dietro in modo che in quella posizione il suo sedere fosse in bella mostra: le diede una pacca su una natica, poi le abbassò il perizoma e le passò le dita sulla fica e sul buchetto, infine le allargò le chiappe per evidenziare all’ ospite i due buchi ben esposti. Risollevato il perizoma e riabbassato il vestito si rivolse a Remo:
“Soddisfatto? E’ tutto di tuo gusto?”
“All’ apparenza mi sembra ottima, ma aspetto di vederla all’ opera.”
“E allora datti da fare!” disse Livio alla donna.
Adriana si avvicinò all’ altro uomo, si inginocchiò tra le sue gambe, gli slacciò la cintura, gli abbassò la cerniera dei pantaloni e con la mano fece uscire il suo uccello sufficientemente eretto; lo sentì ingrossarsi fra le dita e notò immediatamente che era di dimensioni notevoli, decisamente superiori a quelle a cui era abituata; lo accarezzò delicatamente, ma Remo non apprezzò molto:
“Ehi, puttanella, guarda che le seghe, se voglio, me le faccio da solo, per cui vedi di darti da fare con la bocca.”
Lei ubbidì immediatamente e prese a leccargli la cappella facendo scorrere la lingua su di essa, per poi scendere su tutta l’ asta fino ai testicoli: leccò anche quelli tenendo sempre la lingua piatta e completamente fuori dalla bocca come se fossero due palline di gelato e dopo avere ripercorso con la lingua la strada dell’ andata prese in bocca quel grosso uccello e lo succhiò; muoveva su e giù la testa e lui la lasciava fare guardandola, come d’ altra parte la guardava Livio, con compiacimento.
“Succhia, troia, succhia per bene, senza fermarti, devi farlo diventare grosso e duro perché ti possa scopare e inculare per bene. E guardami mentre succhi, mi piaci con la bocca piena di cazzo.”
Lei alzò lo sguardo e abbozzando un sorriso continuò a succhiare non riuscendo però ad inghiottire che una parte di quel membro grosso e lungo. Proseguì a succhiare, a leccare e a baciare il sesso di Remo fino a quando lui non le tolse dalla bocca l’ oggetto delle attenzioni e le disse:
“Adesso ti do qualche altra cosa da leccare!”
Si tolse le scarpe, si sfilò le calze e le avvicinò un piede alla bocca.
“Leccami i piedi, cagna, e muovi bene la lingua, la voglio vedere sempre fuori dalla bocca, proprio come quella di una cagna!”
Lei gli leccò tutta la pianta, poi le dita una per una e infine infilò la lingua fra le dita leccando tutti e quattro gli interstizi; lo stesso trattamento lo riservò all’ altro piede per la soddisfazione di Remo che alla fine rimise i piedi per terra. Aveva la lingua e i muscoli della faccia indolenziti, ma lui le fece abbassare la testa fino a terra:
“Ora succhi tutte e dieci le dita, una alla volta e con calma: non c’ è fretta.”
Lei iniziò a succhiare le dita del primo piede e Remo con l’ altro le teneva la testa schiacciata fino a quando riteneva che potesse cambiare dito.
Quando ebbe finito rimase nella stessa posizione, Livio le si avvicinò, le scoprì le natiche, le sfilò il perizoma e le accarezzò la fica introducendo due dita dentro di essa; muoveva le dita e intanto le stuzzicava il clitoride e Adriana cominciò a bagnarsi. Livio non lasciò passare inosservato questo fatto:
“Ti stai già bagnando, sei sempre pronta, vero?”
“Sì, lo sai che quando mi tocchi mi fai impazzire. Non smettere, mi piace da morire!”
“Guarda che sei tu che devi ubbidire, non noi. Godrai quando e se lo vorrò io.”
“Ti prego, caro, fammi godere e farò tutto quello che vuoi, tutto quello che ti piace.”
“Non hai capito: tu farai lo stesso tutto quello che voglio, anzi che vogliamo, anche se adesso non ti faccio godere.”
E quando si accorse che gli umori erano ancora più copiosi tolse la mano e la lasciò in preda alla voglia inappagata. Lei avrebbe fatto qualunque cosa per poter soddisfare la sua eccitazione, ma rimase ferma ad aspettare; Liviò si allontanò e Remo le prese il viso tra le dita per baciarla in bocca in modo ruvido.
Quando tornò, Livio le tolse il vestito lasciandola solo con scarpe e calze mentre lui e Remo erano ancora completamente vestiti, tirò fuori dalla tasca due cazzi di gomma e con uno solleticò il sesso di Adriana: glielo fece passare sul clitoride, sulle grandi labbra e poi glielo infilò poco per volta dentro. Lo fece entrare ed uscire, la scopò con quel sesso di gomma, la fece gemere, poi glielo lasciò dentro e prese l’ altro, più piccolo, ma apparentemente meno morbido; fece per iniziare la stessa operazione precedente nei riguardi del suo buchetto, ma Remo si alzò dicendo:
“No, Livio, il culo lascialo a me.”
“E’ tutto tuo, amico mio, fanne ciò che vuoi.”
Remo sputò un po’ di saliva sul buchetto di Adriana e fece scorrere il dildo gradualmente nel suo sedere; quando fu dentro per metà lo sfilò e ricominciò dall’ inizio ripetendo più volte quell’ operazione: lei fremeva, si muoveva, non riusciva a contenere la sua eccitazione anche perché contemporaneamente Remo muoveva il cazzo che lei aveva nella fica.
Poi la lasciò con i due buchi pieni, si alzò e con Livio commentò l’ immagine che avevano davanti:
“Guarda che troia, la nostra catechista: nuda, con due cazzi finti nella fica e nel culo, bagnata per l’ eccitazione, a quattro zampe, pronta a tutto. E noi di tutto le faremo!”
Si avvicinò a lei e le disse:
“Vero che farai di tutto?”
“Sì, ma fatemi godere.”
“Ancora? Sempre con la stessa richiesta e per di più vaga. Cos’ è che vuoi?”
“Voglio godere, ho voglia di voi.”
“Non ho capito: cosa vuoi precisamente di noi? I nostri cazzi?”
”Sì.”
“Allora chiedi bene.”
“Voglio i vostri cazzi.”
Remo l’ afferrò per i capelli e le sollevò la testa:
“Non te l’ hanno insegnata l’ educazione? Ripeti!”
“Ho voglia dei vostri cazzi, per favore.”
“Così va meglio. Adesso vedremo se darteli, tanto mi pare che godi ugualmente anche con quelli finti. Glieli diamo i nostri cazzi, Livio?”
“Sì, Remo, diamoglieli.”
“Allora facciamo così: continui a tenere i due buchi pieni di cazzi finti e ci succhi i nostri; vieni qui, Livio, e tu mettiti in ginocchio!”
Le avvicinarono i due cazzi alla bocca e glieli diedero da leccare; lei passava dall’ uno all’ altro succhiando e leccando, mentre ne succhiava uno si sentiva l’ altro sulle guance che premeva, che si strusciava, che la schiaffeggiava. Era inebriata dal piacere, eccitata e si sentiva senza limiti, le piaceva essere al centro dell’ attenzione di due uomini, pronta ad ubbidire ed ad esaudire le loro voglie. Leccava e succhiava quei due cazzi e si sentiva oramai la faccia inumidita dai loro umori:
“Sì, datemi i vostri cazzi, riempitemi, scopatemi, sono tutta per voi!”
“Certo che sei tutta per noi” rispose Remo “la nostra puttana, dillo un po’.”
“Sono la vostra puttana, sono la vostra porca, sono la vostra serva. Pronta per voi.”
Remo scostò leggermente Livio, infilò il suo cazzo nella bocca di Adriana e cominciò a scoparla in bocca.
“Ecco, serva, serva del cazzo, ti riempio la bocca, quella bocca da pompinara che ti ritrovi. Succhia, succhia e guai a te se sento i denti.”
La scopava in bocca con violenza e lei faticò a contenere i conati di vomito: quel sesso così grosso le riempiva la bocca, le sembrava arrivare in gola e le toglieva il respiro. Remo rallentò l’ azione, ma non le diede tregua: le lasciò l’ uccello dentro la bocca e con pollice e indice le strinse il naso per non farla respirare; le teneva chiuse le narici stringendo con forza e le teneva la testa ferma sul suo cazzo finché non la sentiva fremere freneticamente e strabuzzare gli occhi; allora le liberava la bocca ma continuava a tenerle stretto il naso nella morsa delle sue dita; poi tornava a riempirle la bocca con il suo sesso pulsante e ormai violaceo.
“Livio, è davvero una gran troia la tua amica, una vera succhiacazzi. Adesso con il tuo permesso la faccio bere ah, ah, ah.”
Poco dopo, liberatole il naso dalla presa, Remo venne nella sua bocca, le intimò di ingoiare il suo sperma e mentre lei deglutiva le riversò altri due o tre schizzi di sperma sulla faccia.
“Che puttana che sei, dovresti guardarti con la faccia ricoperta di sborra. Adesso te la do tutta da leccare e da ingoiare, sai maiala?”
e con un dito raccolse alcune volte lo sperma dal suo viso e glielo diede in bocca da leccare.
“Sei proprio una maiala, non ne lasci neanche una goccia, mi verrebbe voglia di annegarti nella sborra, zoccola!”
e inaspettatamente le diede un ceffone sulla guancia.
Livio era eccitatissimo, senza avvertirla le sfilò i due dildi dalla fica e dal culo in modo che in entrambi i casi si sentisse come uno schiocco, poi si posizionò dietro di lei e la scopò a pecorina.
“Sì, scopami, sono tutta tua, farò sempre ogni cosa che vuoi! Non sputtanarmi, Livio, e sarò sempre la tua schiava fedele, pronta a farti felice; ma scopami come sai fare tu e non lasciarmi in questo stato di eccitazione.”
Livio la scopava con passione, senza darle tregua, lei gemeva, si dimenava per quanto poteva e rimase sorpresa quando si ritrovò il cazzo di Remo vicino alla bocca, ma non esitò a riprenderlo in bocca. I colpi di Livio la spingevano contro il sesso di Remo e lei si sentiva felice e quasi impazzita di desiderio con quei due cazzi che la riempivano contemporaneamente.
Finalmente godette e poco dopo anche Livio venne, dopo essersi sfilato da lei e aver preferito sborrare nella sua bocca; lei raccolse tutto lo sperma e lo inghiottì senza disperderne nulla.
A quel punto i due uomini si tolsero gli ultimi vestiti che avevano ancora addosso e si stravaccarono sul divano per rilassarsi un po’ e per riprendere le forze; Adriana fece per raggiungerli, ma Remo la bloccò:
“Dove vai? Tu rimani per terra, sei una cagna e non puoi stare sul divano. Le cagne stanno per terra e tu da brava cagna stai lì a quattro zampe, ferma finché non ti dico che puoi muoverti.”
Lei si posizionò come lui le aveva ordinato e lui riprese:
“Hai goduto, vero, cagna?”
“Sì, è stato bellissimo.”
“Ma tu non dovevi ancora godere, volevo vederti sfregare contro i muri per godere, cagna, volevo sentirti supplicare, ma sarà per un’ altra volta. Mi fai rabbia sai, troia? Come fa una come te a mascherarsi da santa pur essendo così puttana? Fosse per me ti farei scopare con i cani per farti godere, ma Livio è troppo buono. Scoperesti con i cani tu?”
Adriana non rispose, lui si avvicinò e le diede uno schiaffo:
“Ti ho fatto una domanda, vuoi rispondere?”
E lei, impaurita, disse, senza neanche ragionare:
“Sì.”
“Sei proprio una vacca! Hai sentito, Livio, la santarellina? Scoperebbe anche con i cani: se lo sapevo portavo Ted, il mio mastino.”
“Piantala, Remo, non esagerare. C’ è un limite che sai che non voglio mai superare: Adriana è disponibile, è puttana, ma non esageriamo, ok?”
“Va bene, Livio, però, se è puttana, adesso voglio farle il culo. Me lo dai il culo, puttana?”
Lei lo guardò, sorrise e con un espressione che avrebbe arrapato un morto gli disse:
“Certo, è tutto per te e per il tuo cazzo.”
Remo si alzò immediatamente, la sollevò, la mise chinata sul tavolo a novanta gradi e in preda ad una eccitazione smisurata la sodomizzò con un colpo solo, secco, violento che fece urlare Adriana per il dolore.
“Lo volevi nel culo, zoccola, e adesso ce l’ hai tutto dentro. Godi, godi anche con il culo, che un cazzo così non l’ hai mai provato, vero?”
“E’ grossissimo, mi riempie tutta, mi fa male ma mi piace. Continua!”
Remo proseguì a scoparla nel culo e lei, passato il dolore provò un piacere mai sperimentato. Si accorgeva che stava godendo con il culo e che quella inculata la stava inebriando; muoveva le anche per assecondare il movimento di lui e per permettergli di entrare il più possibile nel suo sfintere. Remo le tolse improvvisamente l’ uccello dal retto, apprezzò e commentò il suo buco dilatato per la penetrazione e poi entrò di nuovo per incularla ancora.
“Ti piace nel culo, maiala?”
“Sì, mi piace da impazzire, inculami, spaccami, rompimi tutta.”
E Remo non se lo fece ripetere: la sodomizzò con tutta la sua forza e davvero credette di spaccarle il culo: più spingeva e più lei gemeva, più l’ inculava e più lei chiedeva di essere riempita.
Quando le tolse il cazzo dallo sfintere il buco era rosso e completamente dilatato e Remo pensò che per alcuni giorni la donna avrebbe avuto difficoltà a sedersi ed anche a camminare, ma non era ancora soddisfatto. Glielo diede da leccare:
“Puliscimelo, troia, non mi piace avere l’ uccello sporco di merda!”
e lei glielo leccò e glielo succhiò lasciandolo perfettamente pulito e lucido.
Si sentiva estremamente porca in quei momenti, sapeva di fare cose degne delle peggiori puttane, ma le piaceva sentirsi usata, consumata, totale oggetto nelle mani di chi stava godendo di lei e del suo divenire serva sessuale.
“Adesso facciamo un bel giochino, vieni con me.”
La prese per mano, la condusse sul divano, si sdraiò e la fece mettere a smorzacandela su di lui. La scopò tastandole le tette, poi le divaricò le chiappe mettendo in mostra il suo buco del culo aperto dalla precedente battaglia e disse a Livio:
“Avanti, qui c’ è posto per tutti e due!”
Adriana provò a lamentarsi, dicendo che non l’ aveva mai fatto, ma Remo rispose:
“C’ è sempre una prima volta.”
Livio si avvicinò e senza difficoltà entrò nel culo di lei: non era certo la prima volta che lo faceva, ma gli sembrò una caverna, tanto era dilatato, anche se sentiva al di là di quella sottile membrana l’ uccello di Remo che riempiva la fica.
I due trovarono presto il ritmo giusto e proseguirono in quella doppia penetrazione a lungo. Adriana era stremata, ma continuava a godere e a chiedere ai due uomini di non smettere: era come un circolo vizioso, più raggiungeva orgasmi più ne desiderava e era ormai completamente fuori di sé.
I due si scambiarono di posizione cosicché Livio scopò Adriana in fica e Remo riprese ad incularla distruggendole definitivamente il buchetto. Quindi, quasi insieme, i due raggiunsero l’ orgasmo e vennero dentro di lei riempiendole di sperma entrambi i buchi per poi lasciarla in una posizione in cui potevano ammirare la loro sborra che usciva e colava lungo le gambe e sopra le calze.
“Sei stata bravissima!” le disse Livio, “una vera puttana, come sempre: sta tranquilla che non dirò mai a nessuno che ti conosce di questa tua seconda vita perché sono troppo fortunato a goderne i benefici.”
“Grazie Livio, sei un tesoro, farei qualsiasi cosa per te.”
“Allora la prossima volta porto Ted, se davvero fai tutto!” la canzonò Remo, ma Livio,
dopo avergli detto di piantarla, fece raggiungere ad Adriana l’ ultimo intenso orgasmo accarezzandole con le dita il clitoride in modo delicato e leggero.
Poi la guardò e le disse:
“Credo che sia ora che ti accompagni a casa, la riunione in parrocchia non penso possa durare di più.”
Adriana guardò l’ ora: era tardissimo, andò in bagno, si lavò, si rivestì, si rifece il trucco e uscì bellissima anche se distrutta.
I tre se ne andarono e anch’ io potei tornare a casa: era stato uno spettacolo stravolgente, inimmaginabile, ma terribilmente eccitante.
Ma tu; Gabriella, non metterti nella condizione di fare la fine di Adriana.-
In macchina, per ragioni di spazio, si limitavano a baci, carezze, palpeggiamenti e leccate ed era soprattutto Davide a godere dei meravigliosi lavoretti di bocca di Gabriella che mai gli negava il piacere di un pompino e raramente evitava di leccare e succhiare quell’ uccello del quale andava matta
.
In un paio di occasioni corsero incoscientemente il rischio di incontrarsi a casa di lei mentre Basilio era assente e si amarono, incuranti del fatto che potesse rientrare; sul letto dove Gabriella dormiva abitualmente con il marito e dove spesso faceva l’ amore con lui, scoparono con passione e si diedero ogni tipo di piacere: le mani e le lingue non lasciarono scoperto alcuno spazio dei loro corpi, le carezze furono audaci, si leccarono, si baciarono e godettero con grande intensità inconsapevolmente eccitati da quell’ enorme pericolo che incombeva su di loro.
Con più tranquillità si trovavano a casa di lui, specialmente al mattino prima di andare insieme al lavoro: a seconda del tempo a disposizione scopavano o si davano solo qualche bacio esaltando un’ eccitazione già presente che doveva essere soddisfatta in tempi successivi; a volte il letto li accoglieva, altre preferivano il tavolo da cucina o la poltrona del salotto, altre ancora restavano in piedi per poi chinarsi, ora lui ora lei, tra le gambe dell’ altro per leccare e succhiare in posizione di grande disponibilità e di manifesta inferiorità.
Davide si eccitava da morire a vedere Gabriella in ginocchio davanti a lui mentre lo guardava e simultaneamente gli succhiava il cazzo; gli piaceva vederla muovere la lingua sul suo sesso e osservarla con il cazzo in bocca specialmente quando non si aiutava con le mani e avrebbe voluto che quel piacere durasse all’ infinito. Per questo talvolta si interrompeva e, invertendo le posizioni, si metteva lui a leccarle il clitoride, l’ inguine, le grandi labbra, infilando la lingua e le dita nella sua vagina: sapeva che con la lingua la faceva impazzire dal piacere e non smetteva neanche quando lei stringeva le gambe e rischiava di perdere l’ equilibrio; continuava a stuzzicarle il clitoride con la punta della lingua e la faceva godere così anche più volte di seguito: quei gemiti, quei versi lo esaltavano e provava soddisfazione nel vederla raggiungere l’ orgasmo ripetutamente per poi restare stremata e senza forze solo desiderosa di ricambiare quello stesso enorme piacere.
Se c’ era maggiore disponibilità di tempo Davide la spingeva sulla poltrona e la prendeva da dietro: entrava dentro piano piano, ma agevolato dal fatto che lei era già bagnata, e cominciava a scoparla con passione spingendo il suo sesso fino in fondo, sbattendo con il suo corpo contro le natiche di Gabriella, roteando dentro di lei perché sentisse maggiore piacere; la teneva per i fianchi e lei, chinata in avanti, affondava la faccia sul sedile della poltrona oppure, inginocchiata sulla stessa, si appoggiava sullo schienale. Ad entrambi piaceva quella posizione e godevano, oltre che di un piacere fisico, anche di uno mentale.
Nei momenti di pausa a Gabriella piaceva raccontare a Davide di piccoli fatterelli che le capitavano e che dimostravano il suo essere ancora piacente e l’ interesse che destava negli uomini che incontrava; non era per farlo ingelosire, né per valutare le reazioni che poteva avere, ma solo un’ ingenua soddisfazione e una vanità molto femminile nel sentirsi ancora desiderata. E ne aveva motivo: magra, con due tette invitanti anche se non grosse, un fisico in cui le curve modellavano ancora perfettamente il suo corpo, gambe affusolate, forse solo un po’ sottili, un sedere sodo e pronunciato che si notava sia con la gonna che con i pantaloni, capelli castani tendenti al rosso in quel periodo pettinati a caschetto, vestita sempre in modo giovanile e talvolta sexy, dimostrava certamente dieci anni di meno rispetto ai suoi quarantaquattro e non poteva passare inosservata.
Così le capitava di incrociare per strada l’ uomo maturo che le dedicava un sorriso di compiacimento, la coppia di amici che, essendo in due, lanciavano fischi e qualche verso, ma anche chi, più educatamente, le diceva: “Complimenti!”
Capitò anche, un giorno che aveva una gonna corta con degli spacchetti davanti, che, in attesa di un autobus insieme ad una coppia sconosciuta, si sentì osservata da lui e squadrata da lei: l’ uomo le sorrise e poco dopo sentì distintamente la donna che diceva:
“Guarda come va in giro quella, vuol fare la ragazzina e sembra solo una puttana!”
L’ uomo accanto non rispose, appena riuscì guardò Gabriella e alzò gli occhi al cielo come a compatire chi aveva con sé e si rammaricò di non conoscere quella donna attraente e giovanile; lei colse quella forma di complimento e la nota di invidia della donna e non diede peso alle sue parole.
Un’ altra volta un ragazzo si affiancò ad un semaforo alla sua auto, abbassò il finestrino, le strizzò l’occhio e le disse solo:
“Ciao, splendida!”,
poi andò via lasciandola sorpresa ed emozionata per quelle parole. Solo i clacson di chi suonava per la sua sosta prolungata la risvegliarono da quel momento di sogno e di entusiasmo.
Davide aveva una reazione contraddittoria nell’ ascoltare questi racconti: ascoltava, sorrideva e non manifestava a Gabriella né insofferenza, né fastidio; dentro provava una velata forma di gelosia mischiata alla soddisfazione di sentire quella donna, che lui considerava sua, fatta oggetto di complimenti da parte di altri. Questa sensazione fu particolarmente intensa quando Gabriella gli raccontò questo fatterello.
Una mattina erano arrivati a casa sua tre uomini a consegnare il vino che suo marito aveva ordinato in un paesino direttamente ad una azienda vinicola; Basilio non c’ era e così, dopo avere aperto, scese per accompagnarli in cantina: si trovò davanti un ragazzino molto giovane, avrà avuto diciassette anni, e due uomini, uno prestante, moro, sulla trentina, ed un altro, più anziano, pelato, grassottello, ma molto loquace. Disse loro che suo marito era assente, ma che tanto sapevano quello che dovevano fare, al che quello anzianotto rispose: “E certo che lo sappiamo quello che dovremmo fare visto che non c’ è il marito, ah, ah.” Gabriella non rispose, ma, per non sembrare sgarbata, sorrise. L’ altro, preso coraggio, aggiunse:
“Allora dove ci porta, bella signora?”
“In cantina, naturalmente, venite, vi faccio vedere”
Ma anche in quel caso aveva sbagliato le parole.
“Dai ragazzi, che la signora ha da farci vedere!”
continuò l’ uomo sempre più caricato dalla situazione che si andava creando.
Gabriella era in imbarazzo, non voleva rispondere male per non passare da maleducata e perché, in fondo, erano solo battute di spirito, ma temeva che la situazione peggiorasse e non fosse più in grado di controllarla.
Inoltre, non aspettando quella visita, era vestita in modo inadatto: certamente non elegante o coinvolgente, piuttosto “da casa”, ma la gonnellina era leggera e la camicetta semitrasparente; comunque fece strada ben sapendo che gli occhi dei tre erano a perlustrare il suo corpo e indicò dove dovevano sistemare damigiane e bottiglie. Avrebbe voluto tornare in casa e salutarli a lavoro finito, ma non si fidava a lasciarli soli e così rimase lì; i tre cominciarono a scaricare e trasportare e intanto la guardavano.
“Non ha niente per noi, bella signora?” chiese quello moro,
“Da bere……….”
aggiunse quello che sembrava essere il capo.
“Certo, salgo un attimo in casa, va bene birra?”
“Molto bene, grazie” risposero i tre,
“Vuole che l’ accompagni?”
abbozzò il pelatino, ma Gabriella fu pronta a rispondere:
“No, grazie, faccio da sola. Torno tra poco.”
Salì in casa prese le bottiglie di birra, le appoggiò su un vassoio con i bicchieri e ridiscese in cantina dove c’ erano solo il giovane e l’ uomo più anziano, il terzo era probabilmente uscito per andare a scaricare dal furgone. Non aveva ancora oltrepassato la porta della cantina che l’ uomo la accolse dicendo:
“Serve una mano?”
e approfittando del fatto che teneva in mano il vassoio le diede una leggera, ma insistita palpata al sedere; sorpresa, Gabriella rischiò di fare cadere bottiglie e bicchieri, ma ancora una volta non reagì, vide solo il ragazzo che sorrideva e non capì se era per il movimento strano che aveva dovuto fare per evitare che il vassoio volasse in terra o perché aveva colto il gesto del suo capo.
Aprì le bottiglie e i tre, nel frattempo era arrivato anche il terzo, bevvero chiedendo se voleva fare loro compagnia; rifiutò l’ invito motivandolo con l’ ora mattutina e poco dopo il ragazzo e l’ uomo giovane ripresero i loro giri per scaricare la merce; appena furono usciti il terzo le si avvicinò, le afferrò prepotentemente una chiappa e la palpò da sopra la gonna che d’ altronde non opponeva grossi ostacoli. Le bisbigliò ad un orecchio:
“Non provare ad urlare, faresti solo una figura di merda con i vicini! E poi non voglio mica violentarti, mi accontento di toccarti un po’.”
Inebetita, confusa, ma inconsciamente eccitata da ciò che stava accadendo, Gabriella lasciò che l’ uomo infilasse la mano sotto la gonna e le tastasse il culo, provando ad infilare un dito sotto le sue mutandine: la trovò bagnata e le disse:
“Già pronta, eh? L’ ho sempre detto io che le donne di città sono più zoccole. Ti piace farti toccare eh? L’ ho capito subito che sei un po’ puttana, pensa se lo dicessi a tuo marito: ma sono un signore, mi basta averti dato questa tastata e aver capito di che razza sei!”
E tolta la mano da sotto la gonna le diede un piccolo buffetto su una guancia.
Finito il loro lavoro i tre se ne andarono salutando gentilmente e il pelatino non fece alcun riferimento a ciò che era successo. Lei rimase un po’ stupita per come aveva lasciato fare quell’ uomo, si sentì un po’ in colpa verso Basilio e soprattutto verso Davide, ma si riprese pensando che in fondo non era stato niente di particolarmente grave: peccato che quella piccola libertà se l’ era presa il meno attraente dei tre!
Anche in ufficio Gabriella non passava inosservata e frequentemente raccoglieva complimenti, lusinghe, tentativi di approccio e commenti a volte divertenti, a volte volgari; alcuni colleghi negli anni avevano provato a farle il filo e con qualcuno di loro c’ era scappata una serata, un’ uscita o un periodo, mai troppo lungo, in cui avevano avuto una relazione; raramente aveva concesso loro di scoparla e il più delle volte gli spasimanti avevano dovuto accontentarsi di qualche bacio e qualche toccatina più o meno intima.
Tra questi c’ era uno a cui Gabriella non aveva mai dato soddisfazione: non le piaceva, ma ogni volta che lo incontrava la faceva sentire in forte soggezione, in parte perché era un dirigente della società, in parte per il suo modo di fare pungente, scostante, ma contemporaneamente amichevole.
Da sempre gli si rivolgeva dandogli del lei mentre lui non aveva mai avuto dubbi nel darle del tu, come del resto faceva con tutte le donne di livello professionale, di cultura, di ceto inferiore al suo. Gabriella sperava sempre di non incontrarlo e, quando ciò avveniva, cercava di non rimanere sola con lui, anche se ciò non tratteneva lui dal manifestare apprezzamenti o dal lanciare messaggi allusivi; quando invece si ritrovavano da soli, specialmente in ascensore, Livio non perdeva l’ occasione per allungare le mani o sul sedere o sulle tette di Gabriella e per tentare un approccio più marcato:
“Sempre sode queste tette, quand’ è che me le fai vedere?”
oppure:
“Hai un culo a cui manca solo la parola, se esci una sera con me ti assicuro che lo faccio cantare!”
o ancora:
“Sei proprio una gran figa, ogni volta che ti vedo mi fai arrapare, vuoi sentire come me lo hai fatto venire duro? Un giorno o l’ altro dovrai dirmi di sì e uscire con me così te lo faccio conoscere.”
Gabriella cercava sempre di sdrammatizzare e di rispondere con un’ altra battuta o con un sorriso, ma periodicamente Livio si faceva più insistente e pressante con i suoi inviti a cui diventava difficile continuare a dire di no.
Ma Gabriella temeva che Livio nascondesse qualcosa e non si sarebbe mai sentita tranquilla ad uscire con lui per cui tergiversava; un giorno poi confidandosi con un collega ed amico di vecchia data fu messa in guardia dal cedere a qualsiasi tipo di avance di Livio. “Mi raccomando, Gabriella, non farti convincere, Livio è pericoloso, usa le donne per il suo piacere, le cerca sottomesse e succubi della sua personalità per divertirsi e per umiliarle. Non cadere nella sua trappola: inoltre, spesso si trova con un suo amico, più severo e più cattivo di lui per trascorrere la giornata o la sera ai danni della donna di turno.” “Ma come fai a sapere tutto questo?”
“Vedi, Livio mi stima dal punto di vista professionale e quindi mi racconta volentieri di sé; inoltre, una volta ha voluto che lo accompagnassi ad uno di questi incontri, assicurandomi che sarebbe stato divertente ed eccitante; io non volevo: da un lato ero curioso ma, sapendo già dai suoi racconti alcuni dettagli,ero preoccupato che la situazione degenerasse, però lui insistette. Trovò, con la sua perversione, un compromesso: per la prima volta non avrei partecipato, ma avrei assistito da dietro uno specchio a ciò che avveniva e la volta successiva,lui era certo, sarei stato io a chiedergli di partecipare.”
“E cosa avvenne?” chiese Gabriella timorosa, ma curiosa di conoscere i dettagli di quella storia.
“Te lo racconto solo se mi prometti che, a costo di rispondergli male, non darai mai soddisfazione a Livio di uscire con lui; a parte che dopo che ti avrò detto tutto sarai tu a non voler correre rischi, ma ti voglio bene e mi preoccupo per te.”
“OK, sta tranquillo, non devi temere, sarò attenta e prudente.”
E così l’ amico cominciò a raccontare.
-Alcuni giorni prima di quello in cui era stato organizzato l’ incontro Livio mi diede una copia delle chiavi di casa sua e mi mostrò in quale stanza avrei dovuto entrare e in quale lui avrebbe organizzato i suoi giochi: lì c’ era uno specchio, che riempiva quasi interamente una parete, che nell’ altra stanza diventava un vetro per cui da lì sembrava di essere a teatro: si poteva osservare pacificamente ciò che succedeva al di là della parete senza possibilità alcuna di essere visto o sentito.
Capì presto che non ero il primo a beneficiare di quella possibilità: Livio era solito invitare persone anche a pagamento per assistere a quegli spettacolini.
Mi disse anche di trovarmi ad una certa ora in un bar dove, però, non avrei dovuto salutarlo né fare capire che lo conoscevo e da cui avrei dovuto uscire prima di lui per raggiungere anticipatamente la sua abitazione.
Il giorno prestabilito mi recai in quel bar ed entrai: era un locale non eccessivamente illuminato, con luci soffuse e una musica soft che faceva da sottofondo; c’ erano dei tavolini bassi con poltrone intorno, altri tavolini a cui gli avventori si avvicinavano stando in piedi e dei divani per chi si voleva intrattenere più a lungo specialmente nelle ore serali; c’ era poi un lungo bancone con seggiolini alti come trespoli per chi generalmente si trovava da solo o era nell’ attesa di qualcuno.
Decisi di sedermi su una poltroncina e ordinai da bere; il mio sguardo fu presto attratto da una figura femminile interessante ed attraente che non poteva passare inosservata: era una donna di circa trentacinque anni che, seduta su uno degli sgabelli alti, sorseggiava un aperitivo e si guardava intorno con circospezione e timore. Indossava un impermeabile, tenuto aperto, sotto il quale si vedeva un vestito di raso nero, che le arrivava, se in piedi, sopra il ginocchio, con una discreta scollatura a v che metteva in risalto i seni e due sottili bretelline che proseguivano verso le spalle; le calze erano scure e le scarpe avevano un cinturino che le avvolgeva le caviglie ed un tacco a spillo di almeno dodici o tredici centimetri; al collo aveva un collarino di velluto nero che contribuiva a darle fascino e a renderla sexy. I capelli erano neri, mossi e lei continuava a toccarli come per smorzare il nervosismo e la tensione che visibilmente manifestava; era bella, conturbante, sola e diversi uomini avevano provato ad avvicinarla, ma lei non aveva dato retta a nessuno e aveva continuato a fissare la porta cercando di mascherare l’ imbarazzo creatole dai complimenti più pesanti.
Continuai a guardarla senza assolutamente immaginare, ma neanche sperare, che sarebbe stata proprio lei la protagonista assoluta della serata.
A un tratto entrò Livio in compagnia di un altro uomo che avrà avuto quarantacinque - cinquant’ anni, più alto di lui, capelli grigi ondulati, lo sguardo da duro e l’ atteggiamento brillante tipico di coloro che sanno di avere successo con le donne senza doverle mai corteggiare; notai l’ impercettibile scatto che ebbe la donna seduta al banco del bar, ma non notai nessuna reazione in Livio e solo uno sguardo ammiccante da parte dell’ altro uomo.
I due si sedettero ad un tavolino a fianco del mio e cominciarono a chiacchierare tra di loro; notai per prima cosa un orribile braccialetto che l’ altro uomo, che capì chiamarsi Remo, portava al polso: era di oro massiccio e dalle maglie pendeva un piccolo fallo in erezione, davvero di cattivo gusto, ma sintomatico del personaggio che lo portava.
Dopo discorsi banali e di nessun interesse Livio alzò il tono della voce, probabilmente perché io potessi sentire, e disse al suo amico:
“Remo, stasera credo proprio che ci divertiremo e non potrai lamentarti di quello che ti offrirò.”
“Lo spero, Livio, sai però che sono alquanto esigente e, soprattutto con te che mi sei amico, non ho problemi a formulare critiche e a esprimere la mia insoddisfazione; tanto non ti offendi, ma se davvero rimarrò soddisfatto puoi stare tranquillo che ricambierò appena possibile la cortesia. Ma, bando alle ciance, dimmi di questa tua amica.”
“Mah, vedi, non è proprio un’ amica, anche perché ad un’ amica non riserverei questi trattamenti, è una collega, o meglio un’ impiegata che lavora nella mia stessa azienda, a cui ho fatto il filo per un po’ di tempo; lei, dopo qualche iniziale tentennamento, ha ceduto e da allora fa tutto quello che voglio.”
“In che senso tutto quello che vuoi?”
“In tutti i sensi, soprattutto nel senso del sesso.”
“Ma come ci sei riuscito? Io non ho problemi da questo punto di vista, ma non mi ricordo casi simili capitati a te.”
“E’ vero, ma con il tempo ho fatto esperienza, e poi nel ruolo che ricopro oggi è molto più facile di quando ero giovane anche se sono meno attraente e meno aitante.”
“E bravo il mio amico Livio! Raccontami, allora.”
“Vedi, è strano, senza pretendere, senza forzare, senza minacce e senza ricatti questa fa ogni cosa che voglio; mi ha solo chiesto, dopo la prima volta che ha scopato con me, di non parlarne in ufficio e di non sputtanarla; perché io faccia questo è disposta a tutto e io ne approfitto: non faccio parola se non con persone a lei sconosciute, come te, e mi godo la sua disponibilità e la sua sudditanza. E mi diverto un sacco!”
“Eccezionale!”
“Pensa che è sposata, ha una bambina, e per di più insegna catechismo e frequenta la sua parrocchia: è soprattutto lì che non vorrebbe mai che venissero a conoscenza della sua doppia vita, ma io non ho motivo per andarglielo a raccontare.”
“Ma è bellissimo, mi sto già arrapando! Però, Livio, dimmi la verità perché la storia della catechista mi puzza un po’: è davvero carina o un cesso?”
“Caro Remo, prima di tutto dovresti fidarti, comunque vediamo ………….. ti basterebbe se fosse come quella che è seduta da sola al bar?”
Remo si voltò e senza esitazione rispose:
“Cazzo, ci sarebbe da leccarsi le dita e non solo quelle.”
“Ebbene, allora comincia a leccartele perché è lei.”
Remo rimase per un attimo senza parole e Livio ne approfittò per fare un cenno con le dita alla donna che si alzò e li raggiunse al tavolo salutando entrambi con un sorriso che non riusciva a nascondere la sua timidezza.
Livio si rivolse alla donna e le disse:
“Ciao, Adriana, questo è Remo, un mio amico che trascorrerà la serata con noi. Vieni, adesso, siediti con noi, vuoi bere qualcosa?”
Lei accettò e ringraziò, si presentò a Remo e si sedette in mezzo ai due uomini; Remo la osservava e quasi la spogliava con gli occhi mentre le lanciava sguardi maliziosi e occhiate spudorate, lei era in imbarazzo e non sapeva cosa rispondere. Fu Livio che ruppe il ghiaccio, le posò una mano sulla coscia e le disse:
“Tutto bene? Nessun problema per uscire questa sera?”
“Nessuno.” Rispose, senza dilungarsi, Adriana che non si sentiva portata a dare subito confidenza allo sconosciuto che si trovava lì.
Ma Livio non si trattenne e ricominciò:
“Cosa hai detto a tuo marito, che avevi una lezione di catechismo?”
Arrossendo Adriana rispose:
“No, ho detto che c’ era una riunione.”
“Di che cosa? Del Consiglio Parrocchiale? Non vergognarti, anche Remo è cattolico e non si scandalizza per queste cose.”
“Sì, ho detto che c’ era un incontro in parrocchia.”
“Brava, mi piaci anche per questo. Remo, vedrai stasera la nostra suorina come si trasformerà; vero Adriana che farai vedere al mio amico come sai diventare una perfetta e disponibilissima puttana?”
“Sì Livio, lo sai che faccio sempre quello che vuoi e che non voglio mai deluderti.”
Livio le strinse la coscia che stava accarezzando e poco dopo anche Remo fece la stessa cosa sull’ altra gamba. Lei li lasciava fare e non obiettò nemmeno quando i due le aprirono le gambe, tirandone ognuno una verso di sé, né quando intrufolarono le mani sotto il vestito per accarezzarle le gambe e le cosce fino a salire all’ attaccatura delle autoreggenti. In fondo erano abbastanza visibili e a qualcuno dei presenti la scena non era sfuggita, ma nessuno dei tre sembrò dare peso a quella eventualità.
Fu ancora Livio a parlare:
“Che te ne pare allora, Remo?”
“Una bella manzetta” rispose l’ altro, e dando a lei un buffetto sulla guancia le disse:
“Ho proprio voglia di scoprire le tue specialità perché sono certo che ci sai fare: lo sguardo è più da porcella che da catechista.”
Poi le sfiorò i capelli, le riaccarezzò le gambe e fu in quel momento che colsi uno sguardo di Livio: capì che era venuto il momento di andarmene per raggiungere la sua casa prima del loro arrivo.
Uscì e arrivai là dopo una decina di minuti, entrai nella camera che sarebbe stata il mio punto di osservazione e aspettai il loro arrivo. Livio mi aveva preparato la poltrona, una sedia, un tavolino e anche qualcosa da mangiare e da bere, ma ero certo che non avrei assaggiato quasi niente. Un quarto d’ ora dopo il rumore delle chiavi nella serratura fu il segnale che lo spettacolo stava per incominciare.
I tre entrarono e si diressero immediatamente nella stanza al di là dello specchio con i due uomini che non persero tempo e cominciarono immediatamente a tastare il culo della donna da sopra e da sotto il vestito. Poi Livio invitò l’ amico a sistemarsi sul divano e disse:
“Stai lì comodo, per adesso; cominceremo con il farti vedere qualcosa, tanto per scaldare l’ ambiente, come si suole dire.”
E presa Adriana si sistemò alle sue spalle e le accarezzò le tette, poi fece scendere le spalline del vestito sulle braccia e i seni non coperti dal reggiseno apparvero nella loro totale nudità: erano due seni di discrete dimensioni, tondi e sodi, sufficientemente eretti, con i capezzoli chiari ed estesi e Livio li afferrò dai lati, li avvicinò tra di loro, li mostrò all’ amico e li strinse con una certa energia; poi risollevò le spalline del vestito e portò le mani tra le gambe di lei, le alzò la gonna e scostò le mutandine per fare ammirare a Remo una fica curata nella depilazione e alquanto invitante. Quindi la girò, la fece chinare, le sollevò il vestito da dietro in modo che in quella posizione il suo sedere fosse in bella mostra: le diede una pacca su una natica, poi le abbassò il perizoma e le passò le dita sulla fica e sul buchetto, infine le allargò le chiappe per evidenziare all’ ospite i due buchi ben esposti. Risollevato il perizoma e riabbassato il vestito si rivolse a Remo:
“Soddisfatto? E’ tutto di tuo gusto?”
“All’ apparenza mi sembra ottima, ma aspetto di vederla all’ opera.”
“E allora datti da fare!” disse Livio alla donna.
Adriana si avvicinò all’ altro uomo, si inginocchiò tra le sue gambe, gli slacciò la cintura, gli abbassò la cerniera dei pantaloni e con la mano fece uscire il suo uccello sufficientemente eretto; lo sentì ingrossarsi fra le dita e notò immediatamente che era di dimensioni notevoli, decisamente superiori a quelle a cui era abituata; lo accarezzò delicatamente, ma Remo non apprezzò molto:
“Ehi, puttanella, guarda che le seghe, se voglio, me le faccio da solo, per cui vedi di darti da fare con la bocca.”
Lei ubbidì immediatamente e prese a leccargli la cappella facendo scorrere la lingua su di essa, per poi scendere su tutta l’ asta fino ai testicoli: leccò anche quelli tenendo sempre la lingua piatta e completamente fuori dalla bocca come se fossero due palline di gelato e dopo avere ripercorso con la lingua la strada dell’ andata prese in bocca quel grosso uccello e lo succhiò; muoveva su e giù la testa e lui la lasciava fare guardandola, come d’ altra parte la guardava Livio, con compiacimento.
“Succhia, troia, succhia per bene, senza fermarti, devi farlo diventare grosso e duro perché ti possa scopare e inculare per bene. E guardami mentre succhi, mi piaci con la bocca piena di cazzo.”
Lei alzò lo sguardo e abbozzando un sorriso continuò a succhiare non riuscendo però ad inghiottire che una parte di quel membro grosso e lungo. Proseguì a succhiare, a leccare e a baciare il sesso di Remo fino a quando lui non le tolse dalla bocca l’ oggetto delle attenzioni e le disse:
“Adesso ti do qualche altra cosa da leccare!”
Si tolse le scarpe, si sfilò le calze e le avvicinò un piede alla bocca.
“Leccami i piedi, cagna, e muovi bene la lingua, la voglio vedere sempre fuori dalla bocca, proprio come quella di una cagna!”
Lei gli leccò tutta la pianta, poi le dita una per una e infine infilò la lingua fra le dita leccando tutti e quattro gli interstizi; lo stesso trattamento lo riservò all’ altro piede per la soddisfazione di Remo che alla fine rimise i piedi per terra. Aveva la lingua e i muscoli della faccia indolenziti, ma lui le fece abbassare la testa fino a terra:
“Ora succhi tutte e dieci le dita, una alla volta e con calma: non c’ è fretta.”
Lei iniziò a succhiare le dita del primo piede e Remo con l’ altro le teneva la testa schiacciata fino a quando riteneva che potesse cambiare dito.
Quando ebbe finito rimase nella stessa posizione, Livio le si avvicinò, le scoprì le natiche, le sfilò il perizoma e le accarezzò la fica introducendo due dita dentro di essa; muoveva le dita e intanto le stuzzicava il clitoride e Adriana cominciò a bagnarsi. Livio non lasciò passare inosservato questo fatto:
“Ti stai già bagnando, sei sempre pronta, vero?”
“Sì, lo sai che quando mi tocchi mi fai impazzire. Non smettere, mi piace da morire!”
“Guarda che sei tu che devi ubbidire, non noi. Godrai quando e se lo vorrò io.”
“Ti prego, caro, fammi godere e farò tutto quello che vuoi, tutto quello che ti piace.”
“Non hai capito: tu farai lo stesso tutto quello che voglio, anzi che vogliamo, anche se adesso non ti faccio godere.”
E quando si accorse che gli umori erano ancora più copiosi tolse la mano e la lasciò in preda alla voglia inappagata. Lei avrebbe fatto qualunque cosa per poter soddisfare la sua eccitazione, ma rimase ferma ad aspettare; Liviò si allontanò e Remo le prese il viso tra le dita per baciarla in bocca in modo ruvido.
Quando tornò, Livio le tolse il vestito lasciandola solo con scarpe e calze mentre lui e Remo erano ancora completamente vestiti, tirò fuori dalla tasca due cazzi di gomma e con uno solleticò il sesso di Adriana: glielo fece passare sul clitoride, sulle grandi labbra e poi glielo infilò poco per volta dentro. Lo fece entrare ed uscire, la scopò con quel sesso di gomma, la fece gemere, poi glielo lasciò dentro e prese l’ altro, più piccolo, ma apparentemente meno morbido; fece per iniziare la stessa operazione precedente nei riguardi del suo buchetto, ma Remo si alzò dicendo:
“No, Livio, il culo lascialo a me.”
“E’ tutto tuo, amico mio, fanne ciò che vuoi.”
Remo sputò un po’ di saliva sul buchetto di Adriana e fece scorrere il dildo gradualmente nel suo sedere; quando fu dentro per metà lo sfilò e ricominciò dall’ inizio ripetendo più volte quell’ operazione: lei fremeva, si muoveva, non riusciva a contenere la sua eccitazione anche perché contemporaneamente Remo muoveva il cazzo che lei aveva nella fica.
Poi la lasciò con i due buchi pieni, si alzò e con Livio commentò l’ immagine che avevano davanti:
“Guarda che troia, la nostra catechista: nuda, con due cazzi finti nella fica e nel culo, bagnata per l’ eccitazione, a quattro zampe, pronta a tutto. E noi di tutto le faremo!”
Si avvicinò a lei e le disse:
“Vero che farai di tutto?”
“Sì, ma fatemi godere.”
“Ancora? Sempre con la stessa richiesta e per di più vaga. Cos’ è che vuoi?”
“Voglio godere, ho voglia di voi.”
“Non ho capito: cosa vuoi precisamente di noi? I nostri cazzi?”
”Sì.”
“Allora chiedi bene.”
“Voglio i vostri cazzi.”
Remo l’ afferrò per i capelli e le sollevò la testa:
“Non te l’ hanno insegnata l’ educazione? Ripeti!”
“Ho voglia dei vostri cazzi, per favore.”
“Così va meglio. Adesso vedremo se darteli, tanto mi pare che godi ugualmente anche con quelli finti. Glieli diamo i nostri cazzi, Livio?”
“Sì, Remo, diamoglieli.”
“Allora facciamo così: continui a tenere i due buchi pieni di cazzi finti e ci succhi i nostri; vieni qui, Livio, e tu mettiti in ginocchio!”
Le avvicinarono i due cazzi alla bocca e glieli diedero da leccare; lei passava dall’ uno all’ altro succhiando e leccando, mentre ne succhiava uno si sentiva l’ altro sulle guance che premeva, che si strusciava, che la schiaffeggiava. Era inebriata dal piacere, eccitata e si sentiva senza limiti, le piaceva essere al centro dell’ attenzione di due uomini, pronta ad ubbidire ed ad esaudire le loro voglie. Leccava e succhiava quei due cazzi e si sentiva oramai la faccia inumidita dai loro umori:
“Sì, datemi i vostri cazzi, riempitemi, scopatemi, sono tutta per voi!”
“Certo che sei tutta per noi” rispose Remo “la nostra puttana, dillo un po’.”
“Sono la vostra puttana, sono la vostra porca, sono la vostra serva. Pronta per voi.”
Remo scostò leggermente Livio, infilò il suo cazzo nella bocca di Adriana e cominciò a scoparla in bocca.
“Ecco, serva, serva del cazzo, ti riempio la bocca, quella bocca da pompinara che ti ritrovi. Succhia, succhia e guai a te se sento i denti.”
La scopava in bocca con violenza e lei faticò a contenere i conati di vomito: quel sesso così grosso le riempiva la bocca, le sembrava arrivare in gola e le toglieva il respiro. Remo rallentò l’ azione, ma non le diede tregua: le lasciò l’ uccello dentro la bocca e con pollice e indice le strinse il naso per non farla respirare; le teneva chiuse le narici stringendo con forza e le teneva la testa ferma sul suo cazzo finché non la sentiva fremere freneticamente e strabuzzare gli occhi; allora le liberava la bocca ma continuava a tenerle stretto il naso nella morsa delle sue dita; poi tornava a riempirle la bocca con il suo sesso pulsante e ormai violaceo.
“Livio, è davvero una gran troia la tua amica, una vera succhiacazzi. Adesso con il tuo permesso la faccio bere ah, ah, ah.”
Poco dopo, liberatole il naso dalla presa, Remo venne nella sua bocca, le intimò di ingoiare il suo sperma e mentre lei deglutiva le riversò altri due o tre schizzi di sperma sulla faccia.
“Che puttana che sei, dovresti guardarti con la faccia ricoperta di sborra. Adesso te la do tutta da leccare e da ingoiare, sai maiala?”
e con un dito raccolse alcune volte lo sperma dal suo viso e glielo diede in bocca da leccare.
“Sei proprio una maiala, non ne lasci neanche una goccia, mi verrebbe voglia di annegarti nella sborra, zoccola!”
e inaspettatamente le diede un ceffone sulla guancia.
Livio era eccitatissimo, senza avvertirla le sfilò i due dildi dalla fica e dal culo in modo che in entrambi i casi si sentisse come uno schiocco, poi si posizionò dietro di lei e la scopò a pecorina.
“Sì, scopami, sono tutta tua, farò sempre ogni cosa che vuoi! Non sputtanarmi, Livio, e sarò sempre la tua schiava fedele, pronta a farti felice; ma scopami come sai fare tu e non lasciarmi in questo stato di eccitazione.”
Livio la scopava con passione, senza darle tregua, lei gemeva, si dimenava per quanto poteva e rimase sorpresa quando si ritrovò il cazzo di Remo vicino alla bocca, ma non esitò a riprenderlo in bocca. I colpi di Livio la spingevano contro il sesso di Remo e lei si sentiva felice e quasi impazzita di desiderio con quei due cazzi che la riempivano contemporaneamente.
Finalmente godette e poco dopo anche Livio venne, dopo essersi sfilato da lei e aver preferito sborrare nella sua bocca; lei raccolse tutto lo sperma e lo inghiottì senza disperderne nulla.
A quel punto i due uomini si tolsero gli ultimi vestiti che avevano ancora addosso e si stravaccarono sul divano per rilassarsi un po’ e per riprendere le forze; Adriana fece per raggiungerli, ma Remo la bloccò:
“Dove vai? Tu rimani per terra, sei una cagna e non puoi stare sul divano. Le cagne stanno per terra e tu da brava cagna stai lì a quattro zampe, ferma finché non ti dico che puoi muoverti.”
Lei si posizionò come lui le aveva ordinato e lui riprese:
“Hai goduto, vero, cagna?”
“Sì, è stato bellissimo.”
“Ma tu non dovevi ancora godere, volevo vederti sfregare contro i muri per godere, cagna, volevo sentirti supplicare, ma sarà per un’ altra volta. Mi fai rabbia sai, troia? Come fa una come te a mascherarsi da santa pur essendo così puttana? Fosse per me ti farei scopare con i cani per farti godere, ma Livio è troppo buono. Scoperesti con i cani tu?”
Adriana non rispose, lui si avvicinò e le diede uno schiaffo:
“Ti ho fatto una domanda, vuoi rispondere?”
E lei, impaurita, disse, senza neanche ragionare:
“Sì.”
“Sei proprio una vacca! Hai sentito, Livio, la santarellina? Scoperebbe anche con i cani: se lo sapevo portavo Ted, il mio mastino.”
“Piantala, Remo, non esagerare. C’ è un limite che sai che non voglio mai superare: Adriana è disponibile, è puttana, ma non esageriamo, ok?”
“Va bene, Livio, però, se è puttana, adesso voglio farle il culo. Me lo dai il culo, puttana?”
Lei lo guardò, sorrise e con un espressione che avrebbe arrapato un morto gli disse:
“Certo, è tutto per te e per il tuo cazzo.”
Remo si alzò immediatamente, la sollevò, la mise chinata sul tavolo a novanta gradi e in preda ad una eccitazione smisurata la sodomizzò con un colpo solo, secco, violento che fece urlare Adriana per il dolore.
“Lo volevi nel culo, zoccola, e adesso ce l’ hai tutto dentro. Godi, godi anche con il culo, che un cazzo così non l’ hai mai provato, vero?”
“E’ grossissimo, mi riempie tutta, mi fa male ma mi piace. Continua!”
Remo proseguì a scoparla nel culo e lei, passato il dolore provò un piacere mai sperimentato. Si accorgeva che stava godendo con il culo e che quella inculata la stava inebriando; muoveva le anche per assecondare il movimento di lui e per permettergli di entrare il più possibile nel suo sfintere. Remo le tolse improvvisamente l’ uccello dal retto, apprezzò e commentò il suo buco dilatato per la penetrazione e poi entrò di nuovo per incularla ancora.
“Ti piace nel culo, maiala?”
“Sì, mi piace da impazzire, inculami, spaccami, rompimi tutta.”
E Remo non se lo fece ripetere: la sodomizzò con tutta la sua forza e davvero credette di spaccarle il culo: più spingeva e più lei gemeva, più l’ inculava e più lei chiedeva di essere riempita.
Quando le tolse il cazzo dallo sfintere il buco era rosso e completamente dilatato e Remo pensò che per alcuni giorni la donna avrebbe avuto difficoltà a sedersi ed anche a camminare, ma non era ancora soddisfatto. Glielo diede da leccare:
“Puliscimelo, troia, non mi piace avere l’ uccello sporco di merda!”
e lei glielo leccò e glielo succhiò lasciandolo perfettamente pulito e lucido.
Si sentiva estremamente porca in quei momenti, sapeva di fare cose degne delle peggiori puttane, ma le piaceva sentirsi usata, consumata, totale oggetto nelle mani di chi stava godendo di lei e del suo divenire serva sessuale.
“Adesso facciamo un bel giochino, vieni con me.”
La prese per mano, la condusse sul divano, si sdraiò e la fece mettere a smorzacandela su di lui. La scopò tastandole le tette, poi le divaricò le chiappe mettendo in mostra il suo buco del culo aperto dalla precedente battaglia e disse a Livio:
“Avanti, qui c’ è posto per tutti e due!”
Adriana provò a lamentarsi, dicendo che non l’ aveva mai fatto, ma Remo rispose:
“C’ è sempre una prima volta.”
Livio si avvicinò e senza difficoltà entrò nel culo di lei: non era certo la prima volta che lo faceva, ma gli sembrò una caverna, tanto era dilatato, anche se sentiva al di là di quella sottile membrana l’ uccello di Remo che riempiva la fica.
I due trovarono presto il ritmo giusto e proseguirono in quella doppia penetrazione a lungo. Adriana era stremata, ma continuava a godere e a chiedere ai due uomini di non smettere: era come un circolo vizioso, più raggiungeva orgasmi più ne desiderava e era ormai completamente fuori di sé.
I due si scambiarono di posizione cosicché Livio scopò Adriana in fica e Remo riprese ad incularla distruggendole definitivamente il buchetto. Quindi, quasi insieme, i due raggiunsero l’ orgasmo e vennero dentro di lei riempiendole di sperma entrambi i buchi per poi lasciarla in una posizione in cui potevano ammirare la loro sborra che usciva e colava lungo le gambe e sopra le calze.
“Sei stata bravissima!” le disse Livio, “una vera puttana, come sempre: sta tranquilla che non dirò mai a nessuno che ti conosce di questa tua seconda vita perché sono troppo fortunato a goderne i benefici.”
“Grazie Livio, sei un tesoro, farei qualsiasi cosa per te.”
“Allora la prossima volta porto Ted, se davvero fai tutto!” la canzonò Remo, ma Livio,
dopo avergli detto di piantarla, fece raggiungere ad Adriana l’ ultimo intenso orgasmo accarezzandole con le dita il clitoride in modo delicato e leggero.
Poi la guardò e le disse:
“Credo che sia ora che ti accompagni a casa, la riunione in parrocchia non penso possa durare di più.”
Adriana guardò l’ ora: era tardissimo, andò in bagno, si lavò, si rivestì, si rifece il trucco e uscì bellissima anche se distrutta.
I tre se ne andarono e anch’ io potei tornare a casa: era stato uno spettacolo stravolgente, inimmaginabile, ma terribilmente eccitante.
Ma tu; Gabriella, non metterti nella condizione di fare la fine di Adriana.-
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