Meltemi: il vento dell'innocenza

di
genere
sentimentali

La sabbia, sotto i suoi piedi nudi, era fresca e lieve, carezzevole e delicata, piacevolmente cedevole.
Il bambino correva sulla spiaggia solitaria, felice e spensierato, gli occhi rivolti verso l’alto, a quel gioco meraviglioso che accendeva la sua fantasia.
Il vento gonfiava il suo aquilone, lo sollevava e lo spingeva impetuoso, ed il filo stretto nella piccola mano tirava e vibrava, come mosso da vita propria.
Il bambino guardava l’aquilone verde e giallo ondeggiare, virare improvvisamente e poi restare, quasi fosse un miracolo, per qualche attimo immobile e fiero sullo sfondo del cielo azzurro.
E poi, con un fremito, lo osservava roteare di nuovo impazzito, fino a scendere quasi in picchiata verso il terreno, per poi risalire, audace e maestoso.
La lunga striscia di nastri intrecciati dai colori dell’arcobaleno gli sembrava essere la coda di un qualche fantastico animale volante, ma anche la strana appendice di una misteriosa astronave aliena.
Il vento era il suo unico alleato, il suo amico più stretto e fidato.
Il meltemi, il vento del nord, soffiava sempre, teso e fresco, a volte violento, a volte così tranquillo da essere brezza.
Era il motore del suo giocattolo preferito, l’anima di quei pezzi di stoffa colorati: era la vita tenuta al guinzaglio dai suoi giovani e ancora piccoli muscoli.
Il meltemi abbracciava il suo aquilone, e lo portava su, verso l’azzurro, verso l’infinito, verso…

…verso quel capanno.
La rimessa delle barche per il breve e dolce inverno dell’isola.
L’uomo le teneva una mano premuta sulla bocca, spingendola violentemente verso quel capanno.
L’altro era più avanti e, guardingo, già trafficava con la serratura della porta.
L’avevano presa poco prima, sulla strada costiera.
Lei tornava a casa, al piccolo villaggio proprio dietro la curva, un chilometro scarso più avanti.
L’auto le si era accostata, fermandosi con il motore acceso; l’uomo aveva finto di chiederle un’informazione, che ora lei non ricordava nemmeno quale fosse.
L’altro, invece, era sceso e, rapidamente, l’aveva afferrata, stringendola in una morsa implacabile, spingendola sul sedile posteriore dell’auto.
Lei aveva cercato di urlare, di ribellarsi, ma la sorpresa e la paura di una ragazza di soli quindici anni le avevano serrato la gola, impedendole ogni reazione.
Il terrore l’aveva pervasa, paralizzandola.
E adesso, forzata senza difficoltà la porta, l’avevano spinta rudemente nel capanno.
Le canoe e le piccole imbarcazioni ingombravano l’ampio locale.
Lettini da sole e sedie di plastica erano accatastati in un angolo; qualche salvagente e alcuni remi erano appoggiati ad un muro.
Le due uniche finestre, oscurate da pesanti stoffe.
In quella penombra i due uomini l’avevano gettata a terra, come fosse uno straccio…

…straccio.
Sì, sembrava proprio uno straccio, simile a quelli che la mamma stendeva ad asciugare al sole.
Ora l’aquilone stava cadendo in picchiata, proprio come uno straccio afferrato da un vento cattivo e tempestoso.
Per un istante sembrò riprendere quota, per poi ricominciare la caduta, come fosse impazzito.
Il bambino dette più filo, nella speranza che il suo giocattolo riprendesse il volo, che tornasse a librarsi nell’aria, che il meltemi avesse pietà, e lo portasse nuovamente con sé nel cielo.
Lui voleva che l’aquilone andasse nuovamente in alto, a volare tra i gabbiani, dalle grida acute e stridenti.
Perchè lui, con i gabbiani, ingaggiava lunghe sfide.
Cercava sempre di far volare l’aquilone più in alto degli uccelli.
Ma ogni volta che un gabbiano sembrava raggiunto da quel pezzo di stoffa colorata, un altro gabbiano volava ancora più in alto.
Non riusciva mai a superarli tutti.
Ora, però, quel suo meraviglioso giocattolo continuava a precipitare, disegnando strane traiettorie, come fosse ubriaco…

…ubriaco.
L’uomo era sicuramente ubriaco.
Lei lo percepiva dal suo odore.
Vino. Sudore. Tabacco.
Era un odore ripugnante.
L’uomo aveva una risata che la terrorizzava, che scuoteva ogni singola parte del suo corpo, permeandola di quel terrore animale che assale la preda, la vittima designata di carnefici più forti e cattivi.
Ora mani fameliche la toccavano, la palpavano insistenti, senza ritegno alcuno.
La frugavano impazienti.
Brutali e arroganti.
Riandò con la mente alla mano di Christos, il suo giovane fidanzato, ancora timido ed impacciato ogni volta che le sfiorava le labbra con le sue, accarezzandole il viso con tenerezza.
Aveva nostalgia di quella carezza, della gentilezza di Christos e dell’amore che provava per lui.
Tornò brutalmente al presente.
Le mani che ora la toccavano insistenti le davano invece la nausea.
Con orrore la ragazza si accorse che il suo maglioncino era stato strappato…

…strappato.
Nel suo folle volo, l’aquilone era caduto sul tetto del capanno e si era strappato, infilzandosi su un ferro arrugginito e sporgente.
Il bambino riavvolse velocemente il filo attorno al rocchetto e, quando lo riuscì nuovamente a tendere, lo tirò verso di se.
L’aquilone venne inesorabilmente stracciato dal ferro.
La sua delicata tela si squarciò davanti agli occhi sgomenti del piccolo.
Non sapeva più cosa fare: disperato, come solo un bambino può esserlo, e con il viso inondato di lacrime…

…lacrime.
Non si era accorta di piangere, perché piangeva in silenzio.
Era la sua anima che si scioglieva in lacrime cocenti, di dolore e di umiliazione.
L’avevano spogliata con gesti violenti e rabbiosi, e mentre l’altro la teneva inchiodata a terra, l’uomo si era calato i pantaloni, scoprendosi davanti a lei.
Sapeva cosa sarebbe accaduto, capiva come sarebbe finita.
Tante volte aveva immaginato la sua prima volta.
L’aveva temuta e l’aveva desiderata.
A volte, pensandoci, si sentiva ancora una bambina.
Ma poi, guardandosi allo specchio, vedendo il suo corpo ormai di donna, le veniva il desiderio di sapere come sarebbe stato, quali sentimenti sarebbero esplosi nel suo cuore impazzito, con quanto amore avrebbe abbracciato l’uomo che l’avesse presa per la prima volta.
E, in cuor suo, lei aveva sperato che quell’uomo fosse proprio Christos.
Ma ora, e con ribrezzo crescente, vedeva il pene del suo aguzzino, un pene grosso e rigido, così minaccioso nella sua erezione.
Sentiva crescere dentro di sé un terrore agghiacciante, tanto terribile da bloccarle il respiro.
La mamma.
Il papà.
La sua casa.
Era tutto cancellato, annientato.
La sua vita, tranquilla e serena, non c’era più.
In un attimo tutto era sparito.
Anche l’altro che la teneva bloccata si era aperto i pantaloni e, sdraiato accanto a lei, le strofinava il pene contro la sua coscia nuda.
Ansimava pesantemente, insultandola e dandole della puttana, della troia.
E lei non capiva il perché di quell’odio, di quelle frasi cattive e malevoli, che la lasciavano tremante, sperduta e senza fiato…

…fiato.
Era senza fiato.
La corsa fino al villaggio a chiamare il papà, a spiegargli che il suo bell’aquilone si era rotto, e che voleva recuperarlo per farlo volare di nuovo, magari rattoppato, magari ricucito dalla mamma.
Ora stavano tornando sulla spiaggia, lui ed il papà, ed anche i due pescatori che stavano pulendo le reti con suo padre.
Lui avanti, come un cucciolo irrequieto, e loro dietro, tranquilli e scherzosi.
Davanti al capanno, davanti all’aquilone ferito, gli tornò la voglia di piangere, di gridare…

…gridare.
Voleva gridare.
Voleva urlare tutto il suo ribrezzo per quel pene che le strisciava sulla coscia, che si muoveva frenetico sulla sua pelle, caldo e viscido come un serpente.
Quando si sentì schizzata, sporcata da quel liquido denso ed appiccicoso, un urlo di puro orrore le salì in gola.
Ma la voce sembrava non voler uscire.
L’uomo davanti a lei si era inginocchiato e, tenendole le esili gambe spalancate, aveva appoggiato quella mostruosità paonazza e pulsante alla sua intimità indifesa, alla sua carne tenera e morbida, alla sua innocenza che stava per essere strappata via per sempre.
E allora, finalmente, urlò, con un grido…

…grido.
Quel grido improvviso lo aveva raggelato.
Era stato un urlo lungo e straziante, come quelli dei mostri che si sognava la notte, quando fuori il vento ululava ed il mare era in tempesta, quando i suoi genitori lo portavano nel letto grande, in mezzo a loro, per confortarlo, per coccolarlo e per togliergli tutte le paure.
Non aveva capito da dove venisse quel grido, ma la sua anima di bambino era stata afferrata da un subitaneo terrore.
Il papà ed i due pescatori si erano messi a correre, lasciandolo lì, da solo, davanti all’aquilone profanato, urlandogli di non muoversi per nessuna ragione al mondo.
E lui non si era mosso, impietrito e sconvolto da quanto stava accadendo.
Quando udì lo schianto…

…schianto.
Con uno schianto poderoso la porta del capanno si spalancò facendo entrare la luce del giorno e, con essa, la speranza.
Vide altri uomini, sentì urla rabbiose e colpi sferrati, imprecazioni e bestemmie.
Poi mani che la alzavano, la sollevavano, mani delicate ed attente, dure e callose, ma gentili e premurose; e poi si trovò fuori, al sole e al vento.
Il meltemi ed il rumore delle onde.
Le grida dei gabbiani.
La vita che tornava, la paura che l’abbandonava.
L’ultima cosa che vide, prima di perdere i sensi, fu un aquilone tristemente strappato…

…strappato.
Il suo aquilone si era strappato e quindi, visto che lui aveva salvato la sua figliola dagli uomini cattivi, lui gli regalava questo nuovo aquilone, in segno di riconoscenza e di affetto.
Era più bello e più grande di quello che si era rotto e, meraviglia delle meraviglie, aveva la forma di una superba aquila reale.
Era stato molto gentile quel signore: lui non aveva ben capito perché piangesse e perché lo abbracciasse mentre gli dava l’aquilone nuovo, come non aveva capito cosa fosse realmente successo l’altro giorno al capanno…

…capanno.
Lo guardava con un misto di apprensione e di sfida.
Il suo nuovo aquilone non sarebbe caduto su quel tetto.
Mai e poi mai.
Corse lungo la spiaggia fino a che il suo nuovo giocattolo spiccò il volo, leggero e regale, abbracciato amorevolmente dal meltemi.
Volteggiò in ampi cerchi, per puntare poi verso l’infinito blu del cielo.
Lo guardò salire sempre di più, orgoglioso di quello splendido aquilone.
Ed ora ne era certo.
Era sicuro che la sua aquila sarebbe salita più in alto dei gabbiani.

Fine

diagorasrodos@libero.it
scritto il
2011-01-12
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