Lo spettro di Alessia
di
DemoneDelsilenzio
genere
dominazione
Poi il fruscio delle tende cessò e l'unico rumore nella stanza rimase il respiro nasale e affannoso della ragazza, lo sguardo fisso sulle lame. Di queste una era puntata nella sua direzione, immobile come una tigre acquattata e pronta a colpire.
***
Dedicato a te. Se solo avessimo avuto più tempo a disposizione.
***
"Quando pensi di tornare tesoro?". la voce di Alessia suonava malinconica attraverso le casse dell'autoradio di Vittorio. Sentiva in sottofondo il ticchettio della pioggia mentre l'uomo guidava lungo la statale a più di 300 km di distanza.
"Non lo so ancora Piccola, il tempo necessario a sistemare il casino che Alberto ha combinato". La sua voce era distaccata, probabilmente concentrato a non sbandare in mezzo alle pozze di fango che dai bordi della strada strisciavano a lambire le gomme della sua BMW.
"Vuoi che ti aspetti alzata?".
"No, vai pure a dormire. Ho paura che ci vorrà più tempo del previsto."
Alessia sospirò, poi aggiunse:
"D'accordo, sii prudente mi raccomando. Ti amo".
"Lo sarò, anche io". La chiamata si interruppe e Alessia rimase a fissare il cellulare: il viso di Vittorio le sorrideva dal piccolo schermo e lei lo ricambiò prima di riporlo con cura sul comodino.
Quella notte dormì un sonno agitato, col vento che sferzava la sua casetta in piena campagna. Alessia aveva 35 anni, fidanzata con Vittorio che ne aveva un paio di più. Da 2 anni si erano trasferiti in affitto e grazie allo stipendio di entrambi riuscivano a mantenere uno stile di vita benestante.
Lei era impiegata d'ufficio per una ditta di marketing, lui lavorava come responsabile qualità per una multinazionale e spesso doveva partire di punto in bianco per visitare le varie sedi sparse per il paese.
Alessia era una ragazza snella, viso candido, capelli neri e occhi scuri. Di carattere timido e introverso, era l'esatto opposto di Vittorio. Lui era decisamente più espansivo, quasi spavaldo. Si erano conosciuti al mare qualche anno prima e lei inizialmente lo aveva respinto: lo considerava uno sciupa femmine, uno di quegli uomini che passano da un letto all'altro senza nemmeno togliersi le macchie di rossetto dal collo.
Lui però le aveva fatto una corte serrata e dopo le prime esitazioni lei aveva scoperto che in realtà era molto poco avvezzo alla "poligamia", e che anzi era seriamente intenzionato ad avere una relazione stabile con lei.
Col tempo il loro rapporto si era cementato e l'amore era sbocciato come un fiore. A letto lui era passionale e si curava sempre che lei arrivasse più volte all'orgasmo, prima di godere a sua volta e lasciarsi cadere al suo fianco, stremato.
Mesi prima una collega aveva consigliato ad Alessia "50 sfumature di Grigio" e lei lo aveva comprato e letto avidamente. Quella lettura aveva acceso in lei la fantasia della dominazione e, parlandone con Vittorio, aveva scoperto che anche a lui sarebbe piaciuto provare.
Inizialmente avevano sperimentato qualche giochetto soft con qualche "attrezzo del mestiere" racimolato per casa: corde, mollette da bucato, spatola da cucina.
Poi avevano iniziato ad ordinare qualche cosa da internet e ogni tanto Alessia finiva ammanettata e sculacciata, chiamandolo "Padrone" e supplicandolo di essere scopata selvaggiamente.
Fra di loro c'era un'intesa fuori dal comune: persino quando lui la imbavagliava, con un semplice sguardo era in grado di comunicargli quando aveva raggiunto il limite o quando lui poteva spingersi ancora un pochino oltre. E l'uomo aveva imparato a leggere il suo stato d'animo dalla sua espressione ed era capace di farle raggiungere picchi di piacere che mai nessun altro era stato in grado di farle provare.
Quando Alessia si svegliò il mattino dopo Vittorio non era ancora rincasato. Accigliata prese il telefono e vide che sul display erano elencate almeno una decina di chiamate senza risposta.
Il vento aveva soffiato forte e non aveva udito la vibrazione dell'apparecchio. Con le dita tremanti compose il numero della madre del suo fidanzato, che aveva cercato invano di mettersi in contatto con lei per tutta la notte.
Quando la comunicazione venne stabilita sentì dall'altro capo una serie di singhiozzi attutiti. Rispose Antonio, il padre di Vittorio che con voce rotta le disse:
"Ho una terribile notizia da darti: stanotte Vittorio ha avuto un incidente con la macchina".
Alessia fu colpita così violentemente da quelle parole che, sotto shock, lasciò cadere l'apparecchio. Pensò si trattasse di uno scherzo, o solo di un sogno. Con mano tremante raccolse il telefonino e sentì Antonio che le spiegava che i soccorsi avevano tardato ad arrivare per via della pioggia e che purtroppo non c'era stato nulla da fare.
Lei urlò con quanto fiato aveva in corpo e scagliò con tutta la sua forza l'apparecchio contro al muro. Si gettò sul letto tirando pugni al materasso e scalciando come un cavallo imbizzarrito.
Pianse per ore avvinghiata alla coperta che fino alla notte prima aveva ospitato il corpo del suo amore e rimase in quella posizione esanime fino alla sera successiva.
La notizia si era sparsa perché sentì più di una volta il campanello suonare. Lo udiva in lontananza e non si alzò per andare ad aprire. Non voleva vedere nessuno, non voleva sentire nessuno farle le condoglianze o mettersi a piangere sulla sua spalla.
Solo la sera riuscì a trascinarsi in cucina e vide che davanti alla porta era seduta una persona. Sbirciò fuori e riconobbe la sua amica del cuore, Jenny.
Lei rimase tutta la notte a tenerle compagnia e parlarono finché entrambe non crollarono sfinite sul tavolo.
***
Le settimane passavano e Alessia non dava segni di miglioramento. Aveva ripreso a fumare, beveva fino a ubriacarsi, restava chiusa in casa per giornate intere senza aprire nemmeno le persiane.
Soltanto Jenny riusciva a farle spiccicare qualche parola, chiamandola di tanto in tanto sul telefono di fortuna che era riuscita a procurarle.
Fortunatamente per lei il suo capo conosceva bene sua madre e le disse che comprendeva il suo dolore e che poteva stare a casa tutto il tempo che voleva finché non si fosse ripresa. tutti furono molto gentili, ma questo non contribuì in maniera significativa a fare si che Alessia si riavesse dalla tragedia.
Una sera di luglio se ne stava in camera da letto a cavalcioni di una sedia: fissava il muro con sguardo vacuo, un unico pensiero per la testa.
Era da giorni che ci pensava e ora sapeva che lo avrebbe fatto. Ingurgitò un'altra sorsata di vodka e guardò con sguardo pensieroso la corda oscillare in mezzo alla stanza.
Il cappio con il nodo scorsoio era piuttosto rudimentale, ma Alessia sapeva in cuor suo che sarebbe stato sufficiente. Bevve un'altra sorsata, poi si alzò in piedi e scaraventò la bottiglia contro al muro.
"Al diavolo". disse a mezza voce guardando la parete bianca macchiata irreparabilmente.
Con aria solenne salì sullo sgabello e afferrò la corda: era spessa e ruvida al tatto. Fissata alla trave del soffitto, anche strattonandola non dava segno di cedere. La cosa peggiore che poteva immaginare era di restare agonizzante per terra perché non aveva retto il peso dell'urto.
Si infilò la corda attorno al collo delicato e per un attimo le scorsero davanti agli occhi le immagini del suo fidanzato - o in questi casi del suo padrone - mentre la legava. Ma questa volta non c'era trepidante attesa per l'ennesima trovata sadomaso,, solo una landa brulla senza più nulla che vi crescesse. Vedeva il vuoto davanti a sé, solo disperazione.
Con l'alcol che iniziava a farsi sentire dentro di lei, si mise in posizione in punta di piedi sullo sgabello. Infilò le mani nei jeans perché non tentassero, in preda all'istinto, di salvarla da quell'ultimo disperato grido che stava per lanciare al mondo.
Sapeva che se voleva soffrire il meno possibile si sarebbe dovuta buttare in avanti affinché il nodo le rompesse l'osso del collo in modo netto, per cui si inclinò e lo sgabello rimase in bilico su due gambe.
Con la testa che iniziava a girarle rivide in un caleidoscopio la sua vita, i momenti belli e quelli brutti. Ripiombò nella stanza da letto per un ultimo addio alla sua triste esistenza, mentre sentiva lo sgabello sgusciarle via da sotto ai piedi e vedeva il pavimento balzarle addosso.
Chiuse gli occhi e sentì un forte schiocco: il dolore esplose nella sua testa come un petardo in un garage. Poi tutto divenne buio.
Si era immaginata mille volte come sarebbe stata la morte: tunnel oscuri con un bagliore in lontananza, praterie sterminate di nuvole bianche o caverne piene di lava e di tizi nudi color rosso. Invece c'era solo oscurità. E dolore, tanto dolore.
Aprì gli occhi e a fatica riuscì a mettere a fuoco il pavimento della sua stanza. Tentò di muoversi ma le sue mani erano ancora avvinghiate nei pantaloni. Si mise a sedere con fatica e si tastò il collo.
Fra le sue dita la corda era stretta poco più di quanto potrebbe essere stretta una sciarpa. Non sentiva ossa fuori posto, anche se le doleva tutto in quella zona probabilmente a causa dell'abrasione. Però la testa e la faccia le facevano male e il naso perdeva sangue.
Si guardò intorno e si accorse che era l'alba: un tenue bagliore colorava la stanza di rosa.
Perplessa esaminò la corda che avrebbe dovuto spezzare la sua vita e constatò che il nodo che aveva fatto sull'architrave non si era sciolto, ma la fune si era spezzata in prossimità di esso.
Restò a fissare incredula il moncherino che pendeva dal soffitto, quando la luce del primo sole fece brillare qualcosa sul pavimento: un piccolo coccio di bottiglia, della stessa che lei aveva frantumato contro al muro la sera prima. Lo raccolse con mano tremante e lo esaminò più da vicino.
I bordi erano taglienti e su un lato c'era ancora attaccato un brandello di etichetta con la "V" di vodka in rilievo. Rimase immobile mentre il suo cervello, ottenebrato dalla sbornia e dal dolore per l'impatto, cercava di venire a capo della matassa.
Il frammento di vetro era l'unico così distante da dove la bottiglia giaceva in mille pezzi, com'era possibile che l'urto contro al muro l'avesse fatto arrivare così lontano. E inoltre, era plausibile che quell'unica scaglia avesse reciso la corda facendo sì che si spezzasse sotto al suo peso?.
Si distese a letto troppo sconvolta per poter anche solo pensare di medicarsi il naso ferito e il volto tumefatto dall'urto. Rimase come in trance per quasi 8 ore, fissando a tratti il soffitto a tratti la finestra ancora aperta, lasciando che i pensieri le scivolassero attorno come l'acqua lambisce un sasso in un fiume, accarezzandolo velocemente prima di lasciarselo alle spalle.
Non parlò mai del suo tentato suicidio né con Jenny né tanto meno coi suoi genitori. Sapeva che li avrebbe spinti a preoccuparsi al punto da farla ricoverare in qualche clinica, imbottita di psicofarmaci e visitata due volte al giorno da un tizio che le avrebbe posto domande su come si sentisse e come vedeva la vita oggi.
Spinta da questa unica consapevolezza, Alessia decise che era venuto il momento di voltare pagina. Avrebbe cambiato lavoro, cambiato casa e magari anche paese. Si sarebbe circondata di animali e, magari dopo alcuni anni, avrebbe provato a cercare l'amore in qualche altro uomo che non le ricordasse troppo il suo lui scomparso.
Arrivò agosto, poi settembre. Era trascorso anche ottobre senza che attuasse nessuno dei suoi piani. Si era semplicemente lasciata trasportare dagli eventi, uscendo di tanto in tanto con la sua amica del cuore per qualche serata fra donne.
L'ultima di queste era stata una trovata di Cinzia, un'amica di Jenny, che aveva proposto di trascorrere Halloween da lei in montagna. Avrebbero festeggiato in paese e poi avrebbero dormito nella sua baita a oltre mille metri di quota.
La serata fu magnifica e Alessia riuscì persino a ridere di gusto un paio di volte alle battute oscene di Cinzia, che era la donna più uomo che avesse mai conosciuto. La compagnia era così piacevole che si attardò tutto il pomeriggio del primo ottobre e riuscì ad arrivare a casa solamente a notte inoltrata.
Percorrendo il vialetto notò un movimento al piano superiore: alzò la vista e vide le tende sventolare fuori dalla finestra spalancata. Dall'interno poteva vedere un tenue bagliore pulsante.
Temendo che qualcuno fosse entrato in casa prese ad elaborare alla velocità del vento tutti i possibili scenari.
Se avesse chiamato la Polizia e si fosse scoperto che in casa c'era sua madre che era venuta a trovarla sarebbe stata redarguita o peggio multata. Se poi fosse stata lei ad aver dimenticato accesa la televisione e la finestra aperta, si sarebbe sentita malissimo, anche se era stata sempre meticolosa prima di partire.
D'altronde se si fosse fatta sentire e in casa c'erano dei malviventi, avrebbe potuto essere aggredita. Si guardò attorno ma non vide nessuna traccia di auto per chilometri e chilometri. Prima di chiamare la Polizia doveva sincerarsi della situazione.
Così si fece coraggio ed entrò, sperando di riuscire a capire cosa stesse succedendo. Attraversò il piano terra deserto e arrivò silenziosa come un gatto al piano di sopra, brandendo una padella che aveva raccolto dal tavolo della cucina.
Sull'ultimo gradino della scala vide che la luce proveniva dalla sua camera e che c'era qualcosa che si muoveva all'interno. Con la padella stretta fra le mani tremanti si accostò alla porta e sbirciò dentro.
Quello che vide la lasciò senza fiato e quasi ruzzolò giù per la scala per lo stupore.
All'interno della stanza c'erano decine di candele accese, disposte in cerchio e fluttuanti a mezz'aria come sospese da un candelabro invisibile. I lumi fluttuavano ondeggianti in un ritmo lento, come in una specie di danza sognante.
Con il cuore in gola Alessia varcò la porta e osservò esterrefatta la sua camera da letto illuminata alla fioca luce delle candele. C'era qualcosa di magico, probabilmente diabolico, ma nonostante andasse oltre la sua concezione di ciò che era normale, lei non riusciva ad essere del tutto spaventata.
"Chi...chi c'è?" chiese con voce tremante. La porta alle sue spalle si mosse silenziosa e Alessia sobbalzò solo al *CLACK* metallico della serratura che si chiudeva.
La padella le cadde di mano quando qualcosa nella penombra le morse un polso. Urlò e si divincolò, ma la morsa metallica non si mosse di un millimetro. La mano libera tastò il braccio e si serrò contro un bracciale freddo, che scattò imprigionandole anche l'altro polso. Alla tenue luce delle candele vide le manette scintillare come due bocche diaboliche e lei si lasciò sfuggire:
"Ma che diavoloooofffff". L'esclamazione fu soffocata da un oggetto che le era volato in bocca, come un pipistrello impaurito che sbatte contro una finestra. Alessia sentì la palla di gomma annidarsi fra il palato e la lingua e la cinghia si serrò dietro la sua nuca con sorprendente rapidità.
Rimase in piedi al centro del cerchio luminoso, gli occhi spalancati per la sorpresa. Il suo respiro era rapido e sibilante attraverso le narici.
Quando la coperta del letto prese vita lanciò un urlo anche se aveva la bocca ostruita dalla palla. Fu afferrata e sbattuta sul materasso, le ginocchia sul pavimento, e qui venne immobilizzata dalla coperta.
Chiuse gli occhi tremante e avvertì il suo vestito scostarsi, come se una folata di vento gentile glielo stesse scompigliando. Percepì l'aria che entrava dalla finestra accarezzarle le natiche nude.
Dopo un breve istante si udì un suono secco, come un fulmine che colpisce un'antenna: e il dolore esplose nel fondo-schiena di Alessia, che urlò per la terza volta.
Si girò giusto in tempo per vedere la padella vorticare per aria come brandita da un giocatore di baseball pronto a battere una palla curva.
*PAK* sentì il suo sedere esplodere di nuovo per l'impatto e lo sentì arrossarsi.
La tortura continuò per alcuni inesorabili secondi. Come se la forza misteriosa che animava gli oggetti la stesse mettendo alla prova. Ad Alessia tornarono in mente i momenti del suo tentato suicidio, il frammento della bottiglia con la lettera "V", la corda recisa e infine quella situazione.
Intuendo i suoi pensieri la padella si fermò e rimase sospesa per aria.
"Amore sei tu vero?" pensò Alessia, il cuore che le palpitava a mille.
*PAK* la padella le schiaffeggiò una natica con forza facendola sobbalzare.
"Perdonami: Padrone sei tu vero?" si corresse lei. Per tutta risposta la padella si limitò a fluttuare placida sopra di lei.
"Sei tornato per me? Dimmi cosa vuoi che faccia! Oh mi sei mancato così tanto" avrebbe voluto dire lei, ma le uscì un "mmmafffo...effe...fei".
La padella sembrò capire lo stesso, tanto che rimase per qualche istante sospesa. Poi calò e colpì nuovamente il posteriore di Alessia, questa volta con enfasi particolare.
Alessia intuì: quel gioco era sempre piaciuto al suo ragazzo. Amava sentirla contare le frustate che riceveva, fintanto che la voce non si spezzava e i singhiozzi non iniziavano a toglierle il fiato.
"uo" scandì lei ad alta voce. Si sentiva stupida a pronunciare come una bambina, ma la palla non le permetteva di essere più chiara.
La padella iniziò a percuoterla ritmicamente e ad ogni impatto lei proclamava ad alta voce il conteggio.
"PAK...ue...PAK...fre...PAKfuaffro..."
Il tormento continuò per una ventina di colpi mentre lei contava sempre più penosamente, sbavando e tirando su con il naso. Se era davvero Vittorio non aveva perso il suo smalto, la percuoteva con la stessa sadica passione con la quale la martoriava in vita.
D'un tratto la coperta la lasciò andare e le manette la sollevarono dal letto di peso. Si lasciò guidare docilmente per la stanza finché non venne spinta in modo deciso contro l'armadio di legno.
Qui i vincoli si fissarono sopra la sua testa e lei rimase in punta di piedi, inerme, a fissare la stanza illuminata dalle candele. Pensò che tutti quei lumi sembravano degli spettatori accorsi al circo per gustarsi uno spettacolo, quando vide il baluginio di una lama volteggiare davanti al suo naso.
Sgomenta Alessia guardò un set di coltelli da cucina affilati come rasoi volteggiare davanti alla sua faccia. Con gli occhi resi enormi dalla sorpresa e dall'ansia, sentì le lame accarezzarle la pelle nuda delle braccia, delle ascelle e del collo. Poi scesero più in basso stimolandole le parti interne delle cosce e le caviglie con piccole carezze delle estremità appuntite.
Le guardò allontanarsi al centro della stanza dove si misero in fila, disponendosi come un plotone di esecuzione. La padella la colpì ripetutamente su una coscia finché Alessia non allargò le gambe fino a formare una Y rovesciata.
Poi il fruscio delle tende cessò e l'unico rumore nella stanza rimase il respiro nasale e affannoso della ragazza, lo sguardo fisso sulle lame. Di queste una era puntata nella sua direzione, immobile come una tigre acquattata e pronta a colpire.
Ci fu un sibilo e un sordo *STUNK* e il coltello si conficcò nell'armadio proprio sotto l'ascella sinistra di Alessia. Lei urlò di sorpresa e per lo spavento, ma rimase immobile.
"Padrone no ti prego, farò tutto quello che desideri!" urlò attraverso la palla, gli occhi pieni di lacrime.
Per tutta risposta un altro coltello partì sibilando dalla postazione e si conficcò con violenza. Lei abbassò lo sguardo e vide il suo vestitino trafitto all'altezza del suo fianco, la punta del coltello saldamente conficcata nel legno e nella stoffa.
Quando rialzò lo sguardo vide una terza lama passarle a meno di un dito di distanza dal suo occhio sinistro, piantandosi saldamente di fianco al suo orecchio. Si vide riflessa nell'acciaio, il terrore nei suoi occhi, la fronte grondante sudore.
"Ti prego Padrone, basta!". Ma una quarta lama le baciò docilmente il collo proprio dove lui era solito posare le sue labbra quando stavano a letto.
Dopo un breve istante due coltelli si piantarono saldamente fra le sue gambe mantenendole divaricate. Un soffio di vento le alzò la gonna e con un brusco movimento le sue mutandine calarono di qualche centimetro mettendo in evidenza la pelle rosea del suo pube contro lo scuro legno dell'armadio.
Col respiro affannoso Alessia rimase impotente a guardare l'ultima lama schiantarsi con un secco *STUNK* fra le sue labbra. Un brivido la percorse per intero e le sue ginocchia cedettero lasciandola cadere e sorretta unicamente dalle manette saldamente ancorate sopra la sua testa.
Rimase con gli occhi chiusi in quella posizione, l'unico movimento era il tremore del suo corpo.
Poi le lame la liberarono dal loro freddo abbraccio e Alessia sentì la cinghia dietro la sua nuca allentarsi e liberarle la bocca dalla palla. Respirando a pieni polmoni l'aria fresca, Alessia sentì anche che i polsi erano stati rilasciati dal morso implacabile dell'acciaio, e le braccia le ricaddero lungo i fianchi.
Per un attimo pensò che tutto quello poteva essere uno scherzo della sua mente. Sentiva il legno alle sue spalle e pensò che era semplicemente caduta dalla scala e ora giaceva sdraiata sul pavimento del pianterreno, magari in una pozza di sangue.
Aprì gli occhi e il suo sguardo abbracciò nuovamente il circolo delle candele sospese. Ce n'erano di bianche, rosse, nere e persino blu; le riconobbe come sue. Alessia amava le candele e nel corso degli anni ne aveva comprate a dozzine nei mercatini. Anche quando faceva l'amore con il suo ragazzo era solita accenderne almeno un paio. Sosteneva che fossero romantiche e creavano l'atmosfera,e lui l'aveva sempre assecondata.
Si guardò intorno ma non vide nient'altro che facesse intuire il prossimo desiderio del fantasma. Il letto era sfatto come lo aveva lasciato un paio di giorni prima e...e quelle cos'erano?
Si avvicinò di un passo e vide delle corde ammucchiate sul pavimento: riconobbe la fune con la quale aveva tentato di togliersi la vita qualche settimana prima. Era stata tagliata e ora i pezzi giacevano davanti ai suoi piedi nudi.
D'un tratto le corde presero vita, attorcigliandosi le une contro le altre come un cesto di serpenti a sonagli. Le vide strisciare nella sua direzione e per un attimo Alessia fu tentata di girarsi e correr via urlando.
I serpenti le cinsero i piedi nudi e risalirono lungo le sue cosce come tronchi d'albero. Lei li sentì sotto al vestito e trattenne a stento l'impulso di urlare di disgusto. Due di loro le avvolsero le caviglie, mentre altre due risalirono la sua pancia e la sua schiena raggiungendo le spalle. Le scostarono i lembi del vestito e lo fecero cadere ai suoi piedi. Poi fu la volta del reggiseno di pizzo nero che portava ancora dalla festa della sera precedente, che si sganciò e cadde soffice per terra, lasciando che i suoi seni venissero carezzati dalla brezza della notte.
Le corde strisciarono sulle sue braccia e le avvolsero i polsi come dei bracciali, imprigionando in spire concentriche perfette la pelle dei suoi avambracci.
Le mutandine scesero lungo le cosce e raggiunsero le caviglie, dove le corde si fecero da parte per lasciarle passare.
Alessia rimase in piedi, completamente nuda e con lo sguardo fisso. Non capiva il senso di tutto questo, finché un sonoro colpo alle sue natiche la fece sobbalzare, mandandola in ginocchio sul letto.
"Padrone cosa desideri che faccia?" mormorò lei, gli occhi chini sul materasso.
Per tutta risposta un'altra padellata la spedì distesa a pancia in giù. Come attratte da una potente calamita, le estremità delle corde che partivano dai legacci dei suoi polsi e delle sue caviglie, strisciarono verso le sponde del letto, attorcigliandosi con perfetta sincronia e immobilizzandola saldamente.
Ora la ragazza giaceva a faccia in giù, le gambe e le braccia divaricate in una X perfetta. Le natiche e la schiena alla mercé del soffio della notte. Girò lo sguardo e con la coda dell'occhio intravide un oggetto informe bianco fluttuare a mezz'aria sopra la sua testa.
Il suo soffice tocco le fece capire che Vittorio aveva aperto uno dei suoi cassetti ed estratto una delle sue sciarpe di seta bianca. La sentì avvolgere il suo collo con movimenti sinuosi, strisciando e contorcendosi, a tratti stringendo fino a toglierle il respiro.
Poi le cinse il viso e le bendò gli occhi, lasciandole liberi il naso e la bocca per respirare. Alessia fu resa cieca e immobile, e fu in quel momento che iniziò a provare una forte eccitazione. Si inumidì le labbra con trepidante attesa, pronta a qualsiasi cosa avesse in serbo per lei quell'angelo venuto da chissà dove.
"Padrone sono tua, prendimi e usami a tuo piacimento!" Disse lei, la voce intrisa di passione e desiderio.
Per tutta risposta lo spirito tacque e lei rimase in quella posizione per diversi lunghi minuti. Avvertì un sottile bruciore e si chiese che cosa fosse.
Era una sensazione alla base della spina dorsale, come un pizzicotto che scemava dopo una manciata di secondi. Ne avvertì tre o quattro, poi capì.
Una delle candele blu si era staccata dal candelabro invisibile e galleggiava ad una spanna dalla sua schiena. ogni tanto riversava sulla sua pelle delicata qualche goccia di cera, che solidificava quasi subito e lasciava un puntino color blu cielo rotondo come un gioiello.
"Oh..." sospirò Alessia stringendo le lenzuola sotto le sue dita.
La cera calda le pizzicava la pelle, mordicchiandola come un folletto dispettoso. Alessia tentava di muoversi per sottrarsi a quella stuzzicante sensazione, ma le corde le negavano saldamente i movimenti. Impotente venne cosparsa da piccole scaglie blu su tutta la schiena e lei gemette di fastidio e di desiderio al tempo stesso.
Sentì la candela accarezzarle con la base la pelle della schiena, muovendosi qua e là fra i piccoli grumi di cera raffreddata. La sentì scivolarle sulle natiche con movimenti a spirale sempre più stretti, finché non avvertì un lieve solletico proprio all'altezza delle labbra.
La sentì infilarsi per un paio di centimetri e muoversi con lenti ed esasperanti spasmi. Udiva i suoni umidi del suo sesso bagnato e quel suono la fece rabbrividire di piacere.
Poi la candela uscì e risalì per il suo sedere fino a sfiorarle la sua "entrata di servizio". Sentì il suo ano contrarsi per quello che Alessia intuiva sarebbe accaduto. Accolse la base della candela dentro il suo sfintere e l'anello si chiuse saldamente attorno ad essa mentre sprofondava in lei.
Si immaginò la scena e ridacchiò vedendosi in quella posizione, con l'asta blu fuoriuscirle dalle natiche. Sapeva però che avrebbe dovuto stare perfettamente immobile se non voleva scottarsi e d'un tratto sentì uno schiocco sopra la sua testa.
"Cosa diavolo..." pensò lei mentre un secondo schiocco riecheggiava secco nella stanza. Poi sentì il cuoio di una delle sue cinture morderle con violenza la schiena e una contrazione involontaria scosse tutto il suo corpo.
Sentì un forte bruciore in mezzo alle gambe e un grido le uscì dalla bocca, soffocato in parte dalle lenzuola. Si ricordò della candela conficcata nel suo retto e si impose di restare perfettamente immobile.
Ma la seconda frustata che si abbatté sulla sua pelle resa sensibile dalla cera fu più brutale della prima e lei fu di nuovo scossa prima dallo spasmo e poi dal bruciore del suo sesso.
"Oh Padrone ti prego, basta! Ti supplico di fermarti!" implorò lei. Il bruciore del suo sesso si fece insopportabile e una terza sferzata le strappò un grido che questa volta si perse fuori dalla finestra nella notte, nitido e cristallino come il richiamo di un'acquila.
Ora il suo corpo era costantemente percorso da contrazioni: la cera calda le stava mandando letteralmente a fuoco la vagina e sentiva la candela iniziarle a fuoriuscire dall'ano. Terrorizzata iniziò ad urlare e una raffica di frustate si abbatterono con ferocia sulla sua pelle martoriata.
"Basta, basta, basta ti prego!".
Di botto le sferzate terminarono e Alessia rimase tremante distesa a faccia in giù. Sentì la candela sfilarsi dalla sua guaina e avvertì il suo ano richiudersi dietro l'intruso.
Poi avvertì nuovamente la pressione dell'oggetto contro lo sfintere e la sentì di nuovo fare largo dentro di lei. Lo sentì sprofondare e poi riemergere con movimenti lenti e ripetuti.
Un piacere sordido cominciò a farsi largo in mezzo al dolore che le procurava la schiena bruciata e martoriata. Soffici gemiti di piacere le scaturirono dalla bocca mentre quel piccolo oggetto, spesso come un dito, le violavano dolcemente il suo sedere.
Ma la piccola estasi durò giusto il tempo perché Alessia sentisse le corde lasciar andare le sponde del letto. Sentì la candela guizzare fuori dal suo ano e venne letteralmente sollevata di peso per essere girata come un arrosto. Le mani le furono strattonate dietro la schiena e sentì le corde avvinghiarsi l'una attorno all'altra, immobilizzandola. Poi venne scaraventata sul letto supina con un tonfo sordo.
Sentì che le gambe venivano nuovamente legate alle sponde e divaricate fino al limite concesso da Madre Natura.
Rimase in quella posizione per un eterno minuto, mentre cercava invano di divincolarsi dai legacci. Con gli occhi chiusi e bendati, avvertì dei movimenti all'altezza del suo ombelico.
Percepì il pizzicore della cera sulla pelle fra l'ombelico e il pube. Avvertì la cera calda tracciarle un rivolo dalla base del monticello fino al solco circolare che sprofondava al centro della sua pancia, e strinse i denti per quella sensazione mista di fastidio e eccitazione.
Poi sentì il suo capezzolo sinistro sfiorato da qualcosa di duro. Con movimenti circolari la candela le disegnò una spirale invisibile su tutto il seno. Con la voce percorsa dai brividi di piacere lei sussurrò.
"Padrone ti prego, non sui capezzoli. Farò tutto ciò che vuoi, ma non mettermi la cera lì...lo sai quanto sono sensibili...".
Era vero, i capezzoli di Alessia erano straordinariamente sensibili. Una volta ad un party in piscina un suo amico le aveva passato un bicchiere freddo sul seno per scherzo: dal bikini si era stagliato nitido il profilo a punta del capezzolo,e più lei se lo massaggiava e più questo si ergeva contro il tessuto sintetico.
Alla fine lei era scappata in bagno e vi si era nascosta per una mezz'ora buona finché il suo seno aveva ripreso la sua consueta rotondità. ma la avevano presa in giro per mesi.
Alessia urlò quando un dolore lancinante le punse il seno, raggiungendola al cervello e provocandole uno spasmo. Sentì il calore rovente della cera pulsare sul capezzolo e scivolare lungo la collinetta. Il letto scricchiolò mentre la ragazza tendeva con tutta la forza le corde che le legavano le gambe.
Si divincolò come un animale catturato, mentre una seconda goccia di cera bollente le piombava sul capezzolo, ormai completamente eretto.
"Aaaaaahhhhh oddio noooo!" urlò lei contorcendosi. "Basta Padrone bastaaaaahh!".
Nella sua bocca aperta cadde qualcosa che la riempì completamente. Le mutandine soffocarono le sue urla di dolore mentre altra cera calda colorava di blu i suoi capezzoli rosa scuro.
Il corpo di Alessia sbatteva con violenza sul letto e in mezzo alle convulsioni lei non sentì l'oggetto duro scivolare in mezzo alle sue gambe e cercare a tentoni la sua vagina.
Lei lo percepì come un piacevole segnale solo quando, con risoluta lentezza, l'oggetto penetrò dentro di lei per qualche centimetro.
La sua vagina lo accolse, le labbra si separarono per lasciarlo passare, mentre un piacevole senso di calore faceva scemare il dolore che Alessia avvertiva all'altezza dei seni.
Sentì l'oggetto duro entrare dentro di lei e poi uscire. Le dimensioni considerevoli le provocarono scintille di piacere erotico nel cervello, tanto che strabuzzò gli occhi ancora bendati dalla sciarpa di seta.
"Mmmmmhhhffffff!" disse lei con la bocca ostruita mentre l'intruso la penetrava ora ad un ritmo costante, lento e cadenzato.
Il suo corpo iniziò ad accompagnare quell'invasione con sempre maggior trasporto, assecondando i suoi movimenti che di momento in momento si facevano più rapidi.
D'un tratto la sciarpa allentò la sua presa e scivolò sulla sua guancia. Alessia poté vedere l'oggetto che la stava spingendo verso il ciglio di un orgasmo di proporzioni bibliche.
Intravide il manico della padella entrare ed uscire da dietro il monticello del suo pube. Ne vedeva il manico scintillare bagnato alla luce delle candele. La sua bocca emise un gemito gutturale mentre la testa le ricadeva indietro e il suo respiro si faceva affannoso.
Alessia sentì l'orgasmo arrivare come un'onda e chiuse gli occhi.
Ma il manico smise di penetrarla e lei rimase lì, impotente e desiderosa, in preda a brividi di piacere.
Mugolò indignata e supplicò attraverso il bavaglio perché lui la finisse. ma tutto rimase immobile e il piacere cominciò a scemare. Aprì gli occhi e vide che tutto intorno era buio. Le ci volle qualche istante perché i suoi occhi si riabituassero alla penombra.
Alla luce della luna intravide le candele spente posate qua e là sui mobili della stanza. Vide la padella giacere inerme fra le sue gambe, fredda come se fosse appena uscita dall'armadio.
Stupefatta, ci mise quasi un minuto buono a riprendersi dallo shock. Era sola, immobilizzata e vogliosa come non lo era mai stata. Iniziò silenziosamente a piangere e calde lacrime iniziarono a rigarle le guance e a macchiare il telo sotto di lei.
Il pianto in breve crebbe d'intensità fino a raggiungere un ululato sordo, trattenuto dalla stoffa che ancora ingombrava la sua bocca.
Alessia ora urlava il suo nome, si divincolava e straziava le corde che la tenevano ancora legata.
"DOVE SEI" urlava dentro la sua testa e contro al bavaglio. "DOVE SEI FINITO!".
La furia durò pochi istanti, poi l'amarezza colò nel suo corpo e la ragazza si abbandonò alla disperazione. Non riusciva a credere che tutto fosse stato un semplice scherzo della sua mente. Lo desiderava, lo rivoleva li con lei, a torturarla anche a morte.
Fu a quel punto che la luce la accecò: di scatto le candele si riaccesero, le fiamme più alte di prima. Alessia urlò per la sorpresa mentre il manico della padella la impalò come uno spiedo, ancora bagnato del suo liquido lubrificante.
Il suo cervello inciampò e cadde, colto alla sprovvista da quell'inatteso colpo di scena e lei perse definitivamente il controllo.
Con un urlo diede sfogo al suo orgasmo che la investì, trascinandola in un turbine di fiammelle vorticanti. Sentiva l'oggetto dilaniarla e la sua schiena inarcarsi.
Strabuzzò gli occhi e mentre precipitava nel baratro del piacere il suo cervello registrò un ultimo particolare, tutte le candele erano chine su di lei e vomitavano la loro cera bollente sulla sua pancia nuda.
Il dolore si mischiò al piacere dell'orgasmo e il mulinello che ne scaturì la sommerse. Il respiro le si mozzò e Alessia svenne.
***
Il sole la colpiva in pieno volto e lei fece per girarsi. Sentì che i suoi movimenti erano impacciati e si divincolò. Le corde che la legavano opposero una tenue resistenza, graffiandola pigramente con le loro fibre.
Si accarezzò il ventre e lo sentì costellato di residui di cera ormai solidificati. Si girò dando la schiena alla finestra e, con lo sguardo perso nel vuoto, li staccò ad uno ad uno facendoli cadere per terra.
La sua mano afferrò la padella e la esaminò distrattamente: il manico era incrostato del suo orgasmo ormai secco. emanava un profumo che la fece rabbrividire. Chiuse gli occhi e lo strinse a sé, ripercorrendo gli eventi di quella notte.
Nella stanza era sparita ogni traccia del suo fidanzato, sempre ammesso che fosse stato lui quella notte. Le candele giacevano spente e indurite su tutti i mobili. Sotto al comodino c'erano ancora le manette e la ballgag.
Nei giorni successivi Alessia si chiese costantemente se quello fosse stato un addio; alla fine giunse alla conclusione che probabilmente lui era potuto finalmente passare all'aldilà e questo la rese terribilmente triste, seppur serena.
Ricominciò a mangiare e ad andare al lavoro. Non parlò a nessuno di quello che le era successo, anche se più di una volta fu tentata di rompere il silenzio con Jenny che non riusciva a capacitarsi del suo improvviso miglioramento.
Iniziò a praticare dello sport e alla sera, quando tornava a casa esausta, finiva col crollare a letto esanime senza che i ricordi potessero tornare a tormentarla.
Solamente ogni tanto si concedeva il lusso di ritornare con la mente a quella notte di follia: quando ciò accadeva, recuperava dal comodino la padella e traeva piacere con il suo manico, mormorando il suo nome e quanto lo amasse. La eccitava in maniera smisurata che avesse potuto esaudire un'ultima volta la sua fantasia più spinta: quella di dominarla.
***
Dedicato a te. Se solo avessimo avuto più tempo a disposizione.
***
"Quando pensi di tornare tesoro?". la voce di Alessia suonava malinconica attraverso le casse dell'autoradio di Vittorio. Sentiva in sottofondo il ticchettio della pioggia mentre l'uomo guidava lungo la statale a più di 300 km di distanza.
"Non lo so ancora Piccola, il tempo necessario a sistemare il casino che Alberto ha combinato". La sua voce era distaccata, probabilmente concentrato a non sbandare in mezzo alle pozze di fango che dai bordi della strada strisciavano a lambire le gomme della sua BMW.
"Vuoi che ti aspetti alzata?".
"No, vai pure a dormire. Ho paura che ci vorrà più tempo del previsto."
Alessia sospirò, poi aggiunse:
"D'accordo, sii prudente mi raccomando. Ti amo".
"Lo sarò, anche io". La chiamata si interruppe e Alessia rimase a fissare il cellulare: il viso di Vittorio le sorrideva dal piccolo schermo e lei lo ricambiò prima di riporlo con cura sul comodino.
Quella notte dormì un sonno agitato, col vento che sferzava la sua casetta in piena campagna. Alessia aveva 35 anni, fidanzata con Vittorio che ne aveva un paio di più. Da 2 anni si erano trasferiti in affitto e grazie allo stipendio di entrambi riuscivano a mantenere uno stile di vita benestante.
Lei era impiegata d'ufficio per una ditta di marketing, lui lavorava come responsabile qualità per una multinazionale e spesso doveva partire di punto in bianco per visitare le varie sedi sparse per il paese.
Alessia era una ragazza snella, viso candido, capelli neri e occhi scuri. Di carattere timido e introverso, era l'esatto opposto di Vittorio. Lui era decisamente più espansivo, quasi spavaldo. Si erano conosciuti al mare qualche anno prima e lei inizialmente lo aveva respinto: lo considerava uno sciupa femmine, uno di quegli uomini che passano da un letto all'altro senza nemmeno togliersi le macchie di rossetto dal collo.
Lui però le aveva fatto una corte serrata e dopo le prime esitazioni lei aveva scoperto che in realtà era molto poco avvezzo alla "poligamia", e che anzi era seriamente intenzionato ad avere una relazione stabile con lei.
Col tempo il loro rapporto si era cementato e l'amore era sbocciato come un fiore. A letto lui era passionale e si curava sempre che lei arrivasse più volte all'orgasmo, prima di godere a sua volta e lasciarsi cadere al suo fianco, stremato.
Mesi prima una collega aveva consigliato ad Alessia "50 sfumature di Grigio" e lei lo aveva comprato e letto avidamente. Quella lettura aveva acceso in lei la fantasia della dominazione e, parlandone con Vittorio, aveva scoperto che anche a lui sarebbe piaciuto provare.
Inizialmente avevano sperimentato qualche giochetto soft con qualche "attrezzo del mestiere" racimolato per casa: corde, mollette da bucato, spatola da cucina.
Poi avevano iniziato ad ordinare qualche cosa da internet e ogni tanto Alessia finiva ammanettata e sculacciata, chiamandolo "Padrone" e supplicandolo di essere scopata selvaggiamente.
Fra di loro c'era un'intesa fuori dal comune: persino quando lui la imbavagliava, con un semplice sguardo era in grado di comunicargli quando aveva raggiunto il limite o quando lui poteva spingersi ancora un pochino oltre. E l'uomo aveva imparato a leggere il suo stato d'animo dalla sua espressione ed era capace di farle raggiungere picchi di piacere che mai nessun altro era stato in grado di farle provare.
Quando Alessia si svegliò il mattino dopo Vittorio non era ancora rincasato. Accigliata prese il telefono e vide che sul display erano elencate almeno una decina di chiamate senza risposta.
Il vento aveva soffiato forte e non aveva udito la vibrazione dell'apparecchio. Con le dita tremanti compose il numero della madre del suo fidanzato, che aveva cercato invano di mettersi in contatto con lei per tutta la notte.
Quando la comunicazione venne stabilita sentì dall'altro capo una serie di singhiozzi attutiti. Rispose Antonio, il padre di Vittorio che con voce rotta le disse:
"Ho una terribile notizia da darti: stanotte Vittorio ha avuto un incidente con la macchina".
Alessia fu colpita così violentemente da quelle parole che, sotto shock, lasciò cadere l'apparecchio. Pensò si trattasse di uno scherzo, o solo di un sogno. Con mano tremante raccolse il telefonino e sentì Antonio che le spiegava che i soccorsi avevano tardato ad arrivare per via della pioggia e che purtroppo non c'era stato nulla da fare.
Lei urlò con quanto fiato aveva in corpo e scagliò con tutta la sua forza l'apparecchio contro al muro. Si gettò sul letto tirando pugni al materasso e scalciando come un cavallo imbizzarrito.
Pianse per ore avvinghiata alla coperta che fino alla notte prima aveva ospitato il corpo del suo amore e rimase in quella posizione esanime fino alla sera successiva.
La notizia si era sparsa perché sentì più di una volta il campanello suonare. Lo udiva in lontananza e non si alzò per andare ad aprire. Non voleva vedere nessuno, non voleva sentire nessuno farle le condoglianze o mettersi a piangere sulla sua spalla.
Solo la sera riuscì a trascinarsi in cucina e vide che davanti alla porta era seduta una persona. Sbirciò fuori e riconobbe la sua amica del cuore, Jenny.
Lei rimase tutta la notte a tenerle compagnia e parlarono finché entrambe non crollarono sfinite sul tavolo.
***
Le settimane passavano e Alessia non dava segni di miglioramento. Aveva ripreso a fumare, beveva fino a ubriacarsi, restava chiusa in casa per giornate intere senza aprire nemmeno le persiane.
Soltanto Jenny riusciva a farle spiccicare qualche parola, chiamandola di tanto in tanto sul telefono di fortuna che era riuscita a procurarle.
Fortunatamente per lei il suo capo conosceva bene sua madre e le disse che comprendeva il suo dolore e che poteva stare a casa tutto il tempo che voleva finché non si fosse ripresa. tutti furono molto gentili, ma questo non contribuì in maniera significativa a fare si che Alessia si riavesse dalla tragedia.
Una sera di luglio se ne stava in camera da letto a cavalcioni di una sedia: fissava il muro con sguardo vacuo, un unico pensiero per la testa.
Era da giorni che ci pensava e ora sapeva che lo avrebbe fatto. Ingurgitò un'altra sorsata di vodka e guardò con sguardo pensieroso la corda oscillare in mezzo alla stanza.
Il cappio con il nodo scorsoio era piuttosto rudimentale, ma Alessia sapeva in cuor suo che sarebbe stato sufficiente. Bevve un'altra sorsata, poi si alzò in piedi e scaraventò la bottiglia contro al muro.
"Al diavolo". disse a mezza voce guardando la parete bianca macchiata irreparabilmente.
Con aria solenne salì sullo sgabello e afferrò la corda: era spessa e ruvida al tatto. Fissata alla trave del soffitto, anche strattonandola non dava segno di cedere. La cosa peggiore che poteva immaginare era di restare agonizzante per terra perché non aveva retto il peso dell'urto.
Si infilò la corda attorno al collo delicato e per un attimo le scorsero davanti agli occhi le immagini del suo fidanzato - o in questi casi del suo padrone - mentre la legava. Ma questa volta non c'era trepidante attesa per l'ennesima trovata sadomaso,, solo una landa brulla senza più nulla che vi crescesse. Vedeva il vuoto davanti a sé, solo disperazione.
Con l'alcol che iniziava a farsi sentire dentro di lei, si mise in posizione in punta di piedi sullo sgabello. Infilò le mani nei jeans perché non tentassero, in preda all'istinto, di salvarla da quell'ultimo disperato grido che stava per lanciare al mondo.
Sapeva che se voleva soffrire il meno possibile si sarebbe dovuta buttare in avanti affinché il nodo le rompesse l'osso del collo in modo netto, per cui si inclinò e lo sgabello rimase in bilico su due gambe.
Con la testa che iniziava a girarle rivide in un caleidoscopio la sua vita, i momenti belli e quelli brutti. Ripiombò nella stanza da letto per un ultimo addio alla sua triste esistenza, mentre sentiva lo sgabello sgusciarle via da sotto ai piedi e vedeva il pavimento balzarle addosso.
Chiuse gli occhi e sentì un forte schiocco: il dolore esplose nella sua testa come un petardo in un garage. Poi tutto divenne buio.
Si era immaginata mille volte come sarebbe stata la morte: tunnel oscuri con un bagliore in lontananza, praterie sterminate di nuvole bianche o caverne piene di lava e di tizi nudi color rosso. Invece c'era solo oscurità. E dolore, tanto dolore.
Aprì gli occhi e a fatica riuscì a mettere a fuoco il pavimento della sua stanza. Tentò di muoversi ma le sue mani erano ancora avvinghiate nei pantaloni. Si mise a sedere con fatica e si tastò il collo.
Fra le sue dita la corda era stretta poco più di quanto potrebbe essere stretta una sciarpa. Non sentiva ossa fuori posto, anche se le doleva tutto in quella zona probabilmente a causa dell'abrasione. Però la testa e la faccia le facevano male e il naso perdeva sangue.
Si guardò intorno e si accorse che era l'alba: un tenue bagliore colorava la stanza di rosa.
Perplessa esaminò la corda che avrebbe dovuto spezzare la sua vita e constatò che il nodo che aveva fatto sull'architrave non si era sciolto, ma la fune si era spezzata in prossimità di esso.
Restò a fissare incredula il moncherino che pendeva dal soffitto, quando la luce del primo sole fece brillare qualcosa sul pavimento: un piccolo coccio di bottiglia, della stessa che lei aveva frantumato contro al muro la sera prima. Lo raccolse con mano tremante e lo esaminò più da vicino.
I bordi erano taglienti e su un lato c'era ancora attaccato un brandello di etichetta con la "V" di vodka in rilievo. Rimase immobile mentre il suo cervello, ottenebrato dalla sbornia e dal dolore per l'impatto, cercava di venire a capo della matassa.
Il frammento di vetro era l'unico così distante da dove la bottiglia giaceva in mille pezzi, com'era possibile che l'urto contro al muro l'avesse fatto arrivare così lontano. E inoltre, era plausibile che quell'unica scaglia avesse reciso la corda facendo sì che si spezzasse sotto al suo peso?.
Si distese a letto troppo sconvolta per poter anche solo pensare di medicarsi il naso ferito e il volto tumefatto dall'urto. Rimase come in trance per quasi 8 ore, fissando a tratti il soffitto a tratti la finestra ancora aperta, lasciando che i pensieri le scivolassero attorno come l'acqua lambisce un sasso in un fiume, accarezzandolo velocemente prima di lasciarselo alle spalle.
Non parlò mai del suo tentato suicidio né con Jenny né tanto meno coi suoi genitori. Sapeva che li avrebbe spinti a preoccuparsi al punto da farla ricoverare in qualche clinica, imbottita di psicofarmaci e visitata due volte al giorno da un tizio che le avrebbe posto domande su come si sentisse e come vedeva la vita oggi.
Spinta da questa unica consapevolezza, Alessia decise che era venuto il momento di voltare pagina. Avrebbe cambiato lavoro, cambiato casa e magari anche paese. Si sarebbe circondata di animali e, magari dopo alcuni anni, avrebbe provato a cercare l'amore in qualche altro uomo che non le ricordasse troppo il suo lui scomparso.
Arrivò agosto, poi settembre. Era trascorso anche ottobre senza che attuasse nessuno dei suoi piani. Si era semplicemente lasciata trasportare dagli eventi, uscendo di tanto in tanto con la sua amica del cuore per qualche serata fra donne.
L'ultima di queste era stata una trovata di Cinzia, un'amica di Jenny, che aveva proposto di trascorrere Halloween da lei in montagna. Avrebbero festeggiato in paese e poi avrebbero dormito nella sua baita a oltre mille metri di quota.
La serata fu magnifica e Alessia riuscì persino a ridere di gusto un paio di volte alle battute oscene di Cinzia, che era la donna più uomo che avesse mai conosciuto. La compagnia era così piacevole che si attardò tutto il pomeriggio del primo ottobre e riuscì ad arrivare a casa solamente a notte inoltrata.
Percorrendo il vialetto notò un movimento al piano superiore: alzò la vista e vide le tende sventolare fuori dalla finestra spalancata. Dall'interno poteva vedere un tenue bagliore pulsante.
Temendo che qualcuno fosse entrato in casa prese ad elaborare alla velocità del vento tutti i possibili scenari.
Se avesse chiamato la Polizia e si fosse scoperto che in casa c'era sua madre che era venuta a trovarla sarebbe stata redarguita o peggio multata. Se poi fosse stata lei ad aver dimenticato accesa la televisione e la finestra aperta, si sarebbe sentita malissimo, anche se era stata sempre meticolosa prima di partire.
D'altronde se si fosse fatta sentire e in casa c'erano dei malviventi, avrebbe potuto essere aggredita. Si guardò attorno ma non vide nessuna traccia di auto per chilometri e chilometri. Prima di chiamare la Polizia doveva sincerarsi della situazione.
Così si fece coraggio ed entrò, sperando di riuscire a capire cosa stesse succedendo. Attraversò il piano terra deserto e arrivò silenziosa come un gatto al piano di sopra, brandendo una padella che aveva raccolto dal tavolo della cucina.
Sull'ultimo gradino della scala vide che la luce proveniva dalla sua camera e che c'era qualcosa che si muoveva all'interno. Con la padella stretta fra le mani tremanti si accostò alla porta e sbirciò dentro.
Quello che vide la lasciò senza fiato e quasi ruzzolò giù per la scala per lo stupore.
All'interno della stanza c'erano decine di candele accese, disposte in cerchio e fluttuanti a mezz'aria come sospese da un candelabro invisibile. I lumi fluttuavano ondeggianti in un ritmo lento, come in una specie di danza sognante.
Con il cuore in gola Alessia varcò la porta e osservò esterrefatta la sua camera da letto illuminata alla fioca luce delle candele. C'era qualcosa di magico, probabilmente diabolico, ma nonostante andasse oltre la sua concezione di ciò che era normale, lei non riusciva ad essere del tutto spaventata.
"Chi...chi c'è?" chiese con voce tremante. La porta alle sue spalle si mosse silenziosa e Alessia sobbalzò solo al *CLACK* metallico della serratura che si chiudeva.
La padella le cadde di mano quando qualcosa nella penombra le morse un polso. Urlò e si divincolò, ma la morsa metallica non si mosse di un millimetro. La mano libera tastò il braccio e si serrò contro un bracciale freddo, che scattò imprigionandole anche l'altro polso. Alla tenue luce delle candele vide le manette scintillare come due bocche diaboliche e lei si lasciò sfuggire:
"Ma che diavoloooofffff". L'esclamazione fu soffocata da un oggetto che le era volato in bocca, come un pipistrello impaurito che sbatte contro una finestra. Alessia sentì la palla di gomma annidarsi fra il palato e la lingua e la cinghia si serrò dietro la sua nuca con sorprendente rapidità.
Rimase in piedi al centro del cerchio luminoso, gli occhi spalancati per la sorpresa. Il suo respiro era rapido e sibilante attraverso le narici.
Quando la coperta del letto prese vita lanciò un urlo anche se aveva la bocca ostruita dalla palla. Fu afferrata e sbattuta sul materasso, le ginocchia sul pavimento, e qui venne immobilizzata dalla coperta.
Chiuse gli occhi tremante e avvertì il suo vestito scostarsi, come se una folata di vento gentile glielo stesse scompigliando. Percepì l'aria che entrava dalla finestra accarezzarle le natiche nude.
Dopo un breve istante si udì un suono secco, come un fulmine che colpisce un'antenna: e il dolore esplose nel fondo-schiena di Alessia, che urlò per la terza volta.
Si girò giusto in tempo per vedere la padella vorticare per aria come brandita da un giocatore di baseball pronto a battere una palla curva.
*PAK* sentì il suo sedere esplodere di nuovo per l'impatto e lo sentì arrossarsi.
La tortura continuò per alcuni inesorabili secondi. Come se la forza misteriosa che animava gli oggetti la stesse mettendo alla prova. Ad Alessia tornarono in mente i momenti del suo tentato suicidio, il frammento della bottiglia con la lettera "V", la corda recisa e infine quella situazione.
Intuendo i suoi pensieri la padella si fermò e rimase sospesa per aria.
"Amore sei tu vero?" pensò Alessia, il cuore che le palpitava a mille.
*PAK* la padella le schiaffeggiò una natica con forza facendola sobbalzare.
"Perdonami: Padrone sei tu vero?" si corresse lei. Per tutta risposta la padella si limitò a fluttuare placida sopra di lei.
"Sei tornato per me? Dimmi cosa vuoi che faccia! Oh mi sei mancato così tanto" avrebbe voluto dire lei, ma le uscì un "mmmafffo...effe...fei".
La padella sembrò capire lo stesso, tanto che rimase per qualche istante sospesa. Poi calò e colpì nuovamente il posteriore di Alessia, questa volta con enfasi particolare.
Alessia intuì: quel gioco era sempre piaciuto al suo ragazzo. Amava sentirla contare le frustate che riceveva, fintanto che la voce non si spezzava e i singhiozzi non iniziavano a toglierle il fiato.
"uo" scandì lei ad alta voce. Si sentiva stupida a pronunciare come una bambina, ma la palla non le permetteva di essere più chiara.
La padella iniziò a percuoterla ritmicamente e ad ogni impatto lei proclamava ad alta voce il conteggio.
"PAK...ue...PAK...fre...PAKfuaffro..."
Il tormento continuò per una ventina di colpi mentre lei contava sempre più penosamente, sbavando e tirando su con il naso. Se era davvero Vittorio non aveva perso il suo smalto, la percuoteva con la stessa sadica passione con la quale la martoriava in vita.
D'un tratto la coperta la lasciò andare e le manette la sollevarono dal letto di peso. Si lasciò guidare docilmente per la stanza finché non venne spinta in modo deciso contro l'armadio di legno.
Qui i vincoli si fissarono sopra la sua testa e lei rimase in punta di piedi, inerme, a fissare la stanza illuminata dalle candele. Pensò che tutti quei lumi sembravano degli spettatori accorsi al circo per gustarsi uno spettacolo, quando vide il baluginio di una lama volteggiare davanti al suo naso.
Sgomenta Alessia guardò un set di coltelli da cucina affilati come rasoi volteggiare davanti alla sua faccia. Con gli occhi resi enormi dalla sorpresa e dall'ansia, sentì le lame accarezzarle la pelle nuda delle braccia, delle ascelle e del collo. Poi scesero più in basso stimolandole le parti interne delle cosce e le caviglie con piccole carezze delle estremità appuntite.
Le guardò allontanarsi al centro della stanza dove si misero in fila, disponendosi come un plotone di esecuzione. La padella la colpì ripetutamente su una coscia finché Alessia non allargò le gambe fino a formare una Y rovesciata.
Poi il fruscio delle tende cessò e l'unico rumore nella stanza rimase il respiro nasale e affannoso della ragazza, lo sguardo fisso sulle lame. Di queste una era puntata nella sua direzione, immobile come una tigre acquattata e pronta a colpire.
Ci fu un sibilo e un sordo *STUNK* e il coltello si conficcò nell'armadio proprio sotto l'ascella sinistra di Alessia. Lei urlò di sorpresa e per lo spavento, ma rimase immobile.
"Padrone no ti prego, farò tutto quello che desideri!" urlò attraverso la palla, gli occhi pieni di lacrime.
Per tutta risposta un altro coltello partì sibilando dalla postazione e si conficcò con violenza. Lei abbassò lo sguardo e vide il suo vestitino trafitto all'altezza del suo fianco, la punta del coltello saldamente conficcata nel legno e nella stoffa.
Quando rialzò lo sguardo vide una terza lama passarle a meno di un dito di distanza dal suo occhio sinistro, piantandosi saldamente di fianco al suo orecchio. Si vide riflessa nell'acciaio, il terrore nei suoi occhi, la fronte grondante sudore.
"Ti prego Padrone, basta!". Ma una quarta lama le baciò docilmente il collo proprio dove lui era solito posare le sue labbra quando stavano a letto.
Dopo un breve istante due coltelli si piantarono saldamente fra le sue gambe mantenendole divaricate. Un soffio di vento le alzò la gonna e con un brusco movimento le sue mutandine calarono di qualche centimetro mettendo in evidenza la pelle rosea del suo pube contro lo scuro legno dell'armadio.
Col respiro affannoso Alessia rimase impotente a guardare l'ultima lama schiantarsi con un secco *STUNK* fra le sue labbra. Un brivido la percorse per intero e le sue ginocchia cedettero lasciandola cadere e sorretta unicamente dalle manette saldamente ancorate sopra la sua testa.
Rimase con gli occhi chiusi in quella posizione, l'unico movimento era il tremore del suo corpo.
Poi le lame la liberarono dal loro freddo abbraccio e Alessia sentì la cinghia dietro la sua nuca allentarsi e liberarle la bocca dalla palla. Respirando a pieni polmoni l'aria fresca, Alessia sentì anche che i polsi erano stati rilasciati dal morso implacabile dell'acciaio, e le braccia le ricaddero lungo i fianchi.
Per un attimo pensò che tutto quello poteva essere uno scherzo della sua mente. Sentiva il legno alle sue spalle e pensò che era semplicemente caduta dalla scala e ora giaceva sdraiata sul pavimento del pianterreno, magari in una pozza di sangue.
Aprì gli occhi e il suo sguardo abbracciò nuovamente il circolo delle candele sospese. Ce n'erano di bianche, rosse, nere e persino blu; le riconobbe come sue. Alessia amava le candele e nel corso degli anni ne aveva comprate a dozzine nei mercatini. Anche quando faceva l'amore con il suo ragazzo era solita accenderne almeno un paio. Sosteneva che fossero romantiche e creavano l'atmosfera,e lui l'aveva sempre assecondata.
Si guardò intorno ma non vide nient'altro che facesse intuire il prossimo desiderio del fantasma. Il letto era sfatto come lo aveva lasciato un paio di giorni prima e...e quelle cos'erano?
Si avvicinò di un passo e vide delle corde ammucchiate sul pavimento: riconobbe la fune con la quale aveva tentato di togliersi la vita qualche settimana prima. Era stata tagliata e ora i pezzi giacevano davanti ai suoi piedi nudi.
D'un tratto le corde presero vita, attorcigliandosi le une contro le altre come un cesto di serpenti a sonagli. Le vide strisciare nella sua direzione e per un attimo Alessia fu tentata di girarsi e correr via urlando.
I serpenti le cinsero i piedi nudi e risalirono lungo le sue cosce come tronchi d'albero. Lei li sentì sotto al vestito e trattenne a stento l'impulso di urlare di disgusto. Due di loro le avvolsero le caviglie, mentre altre due risalirono la sua pancia e la sua schiena raggiungendo le spalle. Le scostarono i lembi del vestito e lo fecero cadere ai suoi piedi. Poi fu la volta del reggiseno di pizzo nero che portava ancora dalla festa della sera precedente, che si sganciò e cadde soffice per terra, lasciando che i suoi seni venissero carezzati dalla brezza della notte.
Le corde strisciarono sulle sue braccia e le avvolsero i polsi come dei bracciali, imprigionando in spire concentriche perfette la pelle dei suoi avambracci.
Le mutandine scesero lungo le cosce e raggiunsero le caviglie, dove le corde si fecero da parte per lasciarle passare.
Alessia rimase in piedi, completamente nuda e con lo sguardo fisso. Non capiva il senso di tutto questo, finché un sonoro colpo alle sue natiche la fece sobbalzare, mandandola in ginocchio sul letto.
"Padrone cosa desideri che faccia?" mormorò lei, gli occhi chini sul materasso.
Per tutta risposta un'altra padellata la spedì distesa a pancia in giù. Come attratte da una potente calamita, le estremità delle corde che partivano dai legacci dei suoi polsi e delle sue caviglie, strisciarono verso le sponde del letto, attorcigliandosi con perfetta sincronia e immobilizzandola saldamente.
Ora la ragazza giaceva a faccia in giù, le gambe e le braccia divaricate in una X perfetta. Le natiche e la schiena alla mercé del soffio della notte. Girò lo sguardo e con la coda dell'occhio intravide un oggetto informe bianco fluttuare a mezz'aria sopra la sua testa.
Il suo soffice tocco le fece capire che Vittorio aveva aperto uno dei suoi cassetti ed estratto una delle sue sciarpe di seta bianca. La sentì avvolgere il suo collo con movimenti sinuosi, strisciando e contorcendosi, a tratti stringendo fino a toglierle il respiro.
Poi le cinse il viso e le bendò gli occhi, lasciandole liberi il naso e la bocca per respirare. Alessia fu resa cieca e immobile, e fu in quel momento che iniziò a provare una forte eccitazione. Si inumidì le labbra con trepidante attesa, pronta a qualsiasi cosa avesse in serbo per lei quell'angelo venuto da chissà dove.
"Padrone sono tua, prendimi e usami a tuo piacimento!" Disse lei, la voce intrisa di passione e desiderio.
Per tutta risposta lo spirito tacque e lei rimase in quella posizione per diversi lunghi minuti. Avvertì un sottile bruciore e si chiese che cosa fosse.
Era una sensazione alla base della spina dorsale, come un pizzicotto che scemava dopo una manciata di secondi. Ne avvertì tre o quattro, poi capì.
Una delle candele blu si era staccata dal candelabro invisibile e galleggiava ad una spanna dalla sua schiena. ogni tanto riversava sulla sua pelle delicata qualche goccia di cera, che solidificava quasi subito e lasciava un puntino color blu cielo rotondo come un gioiello.
"Oh..." sospirò Alessia stringendo le lenzuola sotto le sue dita.
La cera calda le pizzicava la pelle, mordicchiandola come un folletto dispettoso. Alessia tentava di muoversi per sottrarsi a quella stuzzicante sensazione, ma le corde le negavano saldamente i movimenti. Impotente venne cosparsa da piccole scaglie blu su tutta la schiena e lei gemette di fastidio e di desiderio al tempo stesso.
Sentì la candela accarezzarle con la base la pelle della schiena, muovendosi qua e là fra i piccoli grumi di cera raffreddata. La sentì scivolarle sulle natiche con movimenti a spirale sempre più stretti, finché non avvertì un lieve solletico proprio all'altezza delle labbra.
La sentì infilarsi per un paio di centimetri e muoversi con lenti ed esasperanti spasmi. Udiva i suoni umidi del suo sesso bagnato e quel suono la fece rabbrividire di piacere.
Poi la candela uscì e risalì per il suo sedere fino a sfiorarle la sua "entrata di servizio". Sentì il suo ano contrarsi per quello che Alessia intuiva sarebbe accaduto. Accolse la base della candela dentro il suo sfintere e l'anello si chiuse saldamente attorno ad essa mentre sprofondava in lei.
Si immaginò la scena e ridacchiò vedendosi in quella posizione, con l'asta blu fuoriuscirle dalle natiche. Sapeva però che avrebbe dovuto stare perfettamente immobile se non voleva scottarsi e d'un tratto sentì uno schiocco sopra la sua testa.
"Cosa diavolo..." pensò lei mentre un secondo schiocco riecheggiava secco nella stanza. Poi sentì il cuoio di una delle sue cinture morderle con violenza la schiena e una contrazione involontaria scosse tutto il suo corpo.
Sentì un forte bruciore in mezzo alle gambe e un grido le uscì dalla bocca, soffocato in parte dalle lenzuola. Si ricordò della candela conficcata nel suo retto e si impose di restare perfettamente immobile.
Ma la seconda frustata che si abbatté sulla sua pelle resa sensibile dalla cera fu più brutale della prima e lei fu di nuovo scossa prima dallo spasmo e poi dal bruciore del suo sesso.
"Oh Padrone ti prego, basta! Ti supplico di fermarti!" implorò lei. Il bruciore del suo sesso si fece insopportabile e una terza sferzata le strappò un grido che questa volta si perse fuori dalla finestra nella notte, nitido e cristallino come il richiamo di un'acquila.
Ora il suo corpo era costantemente percorso da contrazioni: la cera calda le stava mandando letteralmente a fuoco la vagina e sentiva la candela iniziarle a fuoriuscire dall'ano. Terrorizzata iniziò ad urlare e una raffica di frustate si abbatterono con ferocia sulla sua pelle martoriata.
"Basta, basta, basta ti prego!".
Di botto le sferzate terminarono e Alessia rimase tremante distesa a faccia in giù. Sentì la candela sfilarsi dalla sua guaina e avvertì il suo ano richiudersi dietro l'intruso.
Poi avvertì nuovamente la pressione dell'oggetto contro lo sfintere e la sentì di nuovo fare largo dentro di lei. Lo sentì sprofondare e poi riemergere con movimenti lenti e ripetuti.
Un piacere sordido cominciò a farsi largo in mezzo al dolore che le procurava la schiena bruciata e martoriata. Soffici gemiti di piacere le scaturirono dalla bocca mentre quel piccolo oggetto, spesso come un dito, le violavano dolcemente il suo sedere.
Ma la piccola estasi durò giusto il tempo perché Alessia sentisse le corde lasciar andare le sponde del letto. Sentì la candela guizzare fuori dal suo ano e venne letteralmente sollevata di peso per essere girata come un arrosto. Le mani le furono strattonate dietro la schiena e sentì le corde avvinghiarsi l'una attorno all'altra, immobilizzandola. Poi venne scaraventata sul letto supina con un tonfo sordo.
Sentì che le gambe venivano nuovamente legate alle sponde e divaricate fino al limite concesso da Madre Natura.
Rimase in quella posizione per un eterno minuto, mentre cercava invano di divincolarsi dai legacci. Con gli occhi chiusi e bendati, avvertì dei movimenti all'altezza del suo ombelico.
Percepì il pizzicore della cera sulla pelle fra l'ombelico e il pube. Avvertì la cera calda tracciarle un rivolo dalla base del monticello fino al solco circolare che sprofondava al centro della sua pancia, e strinse i denti per quella sensazione mista di fastidio e eccitazione.
Poi sentì il suo capezzolo sinistro sfiorato da qualcosa di duro. Con movimenti circolari la candela le disegnò una spirale invisibile su tutto il seno. Con la voce percorsa dai brividi di piacere lei sussurrò.
"Padrone ti prego, non sui capezzoli. Farò tutto ciò che vuoi, ma non mettermi la cera lì...lo sai quanto sono sensibili...".
Era vero, i capezzoli di Alessia erano straordinariamente sensibili. Una volta ad un party in piscina un suo amico le aveva passato un bicchiere freddo sul seno per scherzo: dal bikini si era stagliato nitido il profilo a punta del capezzolo,e più lei se lo massaggiava e più questo si ergeva contro il tessuto sintetico.
Alla fine lei era scappata in bagno e vi si era nascosta per una mezz'ora buona finché il suo seno aveva ripreso la sua consueta rotondità. ma la avevano presa in giro per mesi.
Alessia urlò quando un dolore lancinante le punse il seno, raggiungendola al cervello e provocandole uno spasmo. Sentì il calore rovente della cera pulsare sul capezzolo e scivolare lungo la collinetta. Il letto scricchiolò mentre la ragazza tendeva con tutta la forza le corde che le legavano le gambe.
Si divincolò come un animale catturato, mentre una seconda goccia di cera bollente le piombava sul capezzolo, ormai completamente eretto.
"Aaaaaahhhhh oddio noooo!" urlò lei contorcendosi. "Basta Padrone bastaaaaahh!".
Nella sua bocca aperta cadde qualcosa che la riempì completamente. Le mutandine soffocarono le sue urla di dolore mentre altra cera calda colorava di blu i suoi capezzoli rosa scuro.
Il corpo di Alessia sbatteva con violenza sul letto e in mezzo alle convulsioni lei non sentì l'oggetto duro scivolare in mezzo alle sue gambe e cercare a tentoni la sua vagina.
Lei lo percepì come un piacevole segnale solo quando, con risoluta lentezza, l'oggetto penetrò dentro di lei per qualche centimetro.
La sua vagina lo accolse, le labbra si separarono per lasciarlo passare, mentre un piacevole senso di calore faceva scemare il dolore che Alessia avvertiva all'altezza dei seni.
Sentì l'oggetto duro entrare dentro di lei e poi uscire. Le dimensioni considerevoli le provocarono scintille di piacere erotico nel cervello, tanto che strabuzzò gli occhi ancora bendati dalla sciarpa di seta.
"Mmmmmhhhffffff!" disse lei con la bocca ostruita mentre l'intruso la penetrava ora ad un ritmo costante, lento e cadenzato.
Il suo corpo iniziò ad accompagnare quell'invasione con sempre maggior trasporto, assecondando i suoi movimenti che di momento in momento si facevano più rapidi.
D'un tratto la sciarpa allentò la sua presa e scivolò sulla sua guancia. Alessia poté vedere l'oggetto che la stava spingendo verso il ciglio di un orgasmo di proporzioni bibliche.
Intravide il manico della padella entrare ed uscire da dietro il monticello del suo pube. Ne vedeva il manico scintillare bagnato alla luce delle candele. La sua bocca emise un gemito gutturale mentre la testa le ricadeva indietro e il suo respiro si faceva affannoso.
Alessia sentì l'orgasmo arrivare come un'onda e chiuse gli occhi.
Ma il manico smise di penetrarla e lei rimase lì, impotente e desiderosa, in preda a brividi di piacere.
Mugolò indignata e supplicò attraverso il bavaglio perché lui la finisse. ma tutto rimase immobile e il piacere cominciò a scemare. Aprì gli occhi e vide che tutto intorno era buio. Le ci volle qualche istante perché i suoi occhi si riabituassero alla penombra.
Alla luce della luna intravide le candele spente posate qua e là sui mobili della stanza. Vide la padella giacere inerme fra le sue gambe, fredda come se fosse appena uscita dall'armadio.
Stupefatta, ci mise quasi un minuto buono a riprendersi dallo shock. Era sola, immobilizzata e vogliosa come non lo era mai stata. Iniziò silenziosamente a piangere e calde lacrime iniziarono a rigarle le guance e a macchiare il telo sotto di lei.
Il pianto in breve crebbe d'intensità fino a raggiungere un ululato sordo, trattenuto dalla stoffa che ancora ingombrava la sua bocca.
Alessia ora urlava il suo nome, si divincolava e straziava le corde che la tenevano ancora legata.
"DOVE SEI" urlava dentro la sua testa e contro al bavaglio. "DOVE SEI FINITO!".
La furia durò pochi istanti, poi l'amarezza colò nel suo corpo e la ragazza si abbandonò alla disperazione. Non riusciva a credere che tutto fosse stato un semplice scherzo della sua mente. Lo desiderava, lo rivoleva li con lei, a torturarla anche a morte.
Fu a quel punto che la luce la accecò: di scatto le candele si riaccesero, le fiamme più alte di prima. Alessia urlò per la sorpresa mentre il manico della padella la impalò come uno spiedo, ancora bagnato del suo liquido lubrificante.
Il suo cervello inciampò e cadde, colto alla sprovvista da quell'inatteso colpo di scena e lei perse definitivamente il controllo.
Con un urlo diede sfogo al suo orgasmo che la investì, trascinandola in un turbine di fiammelle vorticanti. Sentiva l'oggetto dilaniarla e la sua schiena inarcarsi.
Strabuzzò gli occhi e mentre precipitava nel baratro del piacere il suo cervello registrò un ultimo particolare, tutte le candele erano chine su di lei e vomitavano la loro cera bollente sulla sua pancia nuda.
Il dolore si mischiò al piacere dell'orgasmo e il mulinello che ne scaturì la sommerse. Il respiro le si mozzò e Alessia svenne.
***
Il sole la colpiva in pieno volto e lei fece per girarsi. Sentì che i suoi movimenti erano impacciati e si divincolò. Le corde che la legavano opposero una tenue resistenza, graffiandola pigramente con le loro fibre.
Si accarezzò il ventre e lo sentì costellato di residui di cera ormai solidificati. Si girò dando la schiena alla finestra e, con lo sguardo perso nel vuoto, li staccò ad uno ad uno facendoli cadere per terra.
La sua mano afferrò la padella e la esaminò distrattamente: il manico era incrostato del suo orgasmo ormai secco. emanava un profumo che la fece rabbrividire. Chiuse gli occhi e lo strinse a sé, ripercorrendo gli eventi di quella notte.
Nella stanza era sparita ogni traccia del suo fidanzato, sempre ammesso che fosse stato lui quella notte. Le candele giacevano spente e indurite su tutti i mobili. Sotto al comodino c'erano ancora le manette e la ballgag.
Nei giorni successivi Alessia si chiese costantemente se quello fosse stato un addio; alla fine giunse alla conclusione che probabilmente lui era potuto finalmente passare all'aldilà e questo la rese terribilmente triste, seppur serena.
Ricominciò a mangiare e ad andare al lavoro. Non parlò a nessuno di quello che le era successo, anche se più di una volta fu tentata di rompere il silenzio con Jenny che non riusciva a capacitarsi del suo improvviso miglioramento.
Iniziò a praticare dello sport e alla sera, quando tornava a casa esausta, finiva col crollare a letto esanime senza che i ricordi potessero tornare a tormentarla.
Solamente ogni tanto si concedeva il lusso di ritornare con la mente a quella notte di follia: quando ciò accadeva, recuperava dal comodino la padella e traeva piacere con il suo manico, mormorando il suo nome e quanto lo amasse. La eccitava in maniera smisurata che avesse potuto esaudire un'ultima volta la sua fantasia più spinta: quella di dominarla.
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