Imparerai. {Pt. 4}

di
genere
dominazione

Scolo ancora il tuo piacere e mi giro sulla schiena, vista al soffitto crema tenue, e per un attimo sparisci anche tu.
Si, sono sola.
Se mi sento usata? Se mi sento vittima? Sorrido di queste parole, scuotendo un po' la testa.
Se potessi far capire che tipo di carnefice sono io... Nella testa mi risuona il monologo Gaberiano nella mia tanto amata "Lona", come diceva? "L'hai deciso tu che sono il padrone. Io non sono violento. Tu sei violenta. Perché, la violenza la si fa solo con il fucile? E la violenza passiva, la violenza non agressiva?"
La verità, è che i fili li ho sempre fatti vibrare io. Ogni colpo, ogni pompino, ogni frustata, ogni corda è stata in nome mio. Sono la consapevole regista di un teatrino in cui tu, sei attore non protagonista.
Ricordo quando mi facesti arrivare alle lacrime, con in gola il tuo cazzo duro, e la mano ingessata al mio collo, che non mi dava via di scampo. Ricordo il mio sguardo tirato all'insù, perso nel tuo abbassarsi degli occhi,e ti guardavo sentire come fossimo uno.
Ricordo che ero rossa come il reggiseno che portavo, tanto era il fiato che veniva a mancare, e quando mancava ormai poco al punto massimo, mi sono aggrappata alle tue gambe,tenendoti lì. E ti ho spinto, per entrare ancora di più. Muovendo la lingua sulla base, e poi stropicciando gli occhi, fino ad allora fissi nei tuoi come incatenati.
Sono io, a volere tutto questo.
Tu sei il padrone di regola, ma io padrona di scelta. Io l'ho scelto, il livido sul fianco testimone delle tue dita.
Ho scelto il segno del tuo morso, ho scelto il nome che mi hai dato, ho scelto te.
L'odore del caffè mi riporta sul tappeto, sei in cucina e ti sento armeggiare, mi sfilo il tuo gioco dal culo e mi alzo.
Ho le ginocchia sbucciate, "cattiva bambina", mi prendo un po'in giro.
Mi fermo sulla soglia della porta e ti vedo tirare fuori due tazzine, prepari tutto con la tua calma metodica di chi sa che tutto andrà proprio come vuole lui.
"Adoro quella camicia. Vuoi una mano?"
Mi guardi di sottecchi, infastidito, e cerchi lo zucchero.
"No. Siediti."
"Sto bene qui."
Click. Ho aperto il collare, la fibbia stride.
Ti irrigidisci.
Questa volta tieni tu lo sguardo assente.
Adesso sei distante.

Poso il collare sul tavolo, e mi avvicino alla tua schiena. Quei 10 cm in più di me sembrano una salita infinita, quando sono in ginocchio, ora sembrano solo le altezze di un albero sotto le cui fronde vorrei riposare.
Ti tocco i fianchi, adoro le punte dell'osso che spuntano da li.
Mi avvicino ancora, puoi sentire i miei capezzoli ancora turgidi titillare la tua schiena.
Sbatti la zuccheriera di cattiveria sulla cucina, e diventi ancor più teso.
"Cosa cazzo ti prende? Ne abbiamo già discusso."

Non ti mollo.
"Non era questo ciò che volevamo, tu non puoi farlo."

Ti stringo.
"Staccati, adesso!!" Urli, per la prima volta da quanto?

Ti bacio la schiena, ancora avvinghiata.

Sembri quasi ruggire, mentre ti giri e mi imponi una separazione, per spingermi e addossarmi al tavolo. Un attimo, di eterno, asfissiante contatto visivo. Ti lanci su di me, spalanco le gambe, mi cingi le guance con entrambe le mani, e mi baci.
Con la lingua sembri voler invadere ogni centimetro, mi baci con la sete di chi non ha mai trovato oasi, in mezzo alla sabbia. Bagnato, famelico, rosso, sporcato di rosa.
Continuiamo a mangiarci a vicenda, un cannibalismo vorace, mentre ti strappo la camicia di dosso, siamo pelle su pelle. Niente artifici, niente di niente. Solo carne, solo sangue, solo noi.
Ti percorro la schiena con le mani, come se non avessi mai toccato altri corpi, tu mi stringi il viso come se lasciando la presa dovessi svanire.
Le mie dita navigano fino a destinazione, ti abbasso i pantaloni quanto basta, ti abbraccio con le gambe, ed eccoci uno.
Il tuo bacio diventa un ansimare nella mia bocca, uno scambio di respiri e mai c'è stato ossigeno più vero. Sei sempre forte, sempre profondo, e io inizio a correre verso il piacere.
"Ti prego, restiamo qui" ti sussurro, rotta dai gemiti.
Sento montare l'ascesa dell'orgasmo più potente mai provato, la tua mano scemde dalla guancia al collo ma non mi stringe.
Ancora uno, due, tre colpi, e vengo in silenzio, fermando il respiro, senza suono alcuno se non il tuo stesso venire all'unisono con me.
Ti fermi, ti accasci su di me che da seduta, mi ritrovo sdraiata sul tavolo, con te abbandonato sopra.
Riprendi fiato,la.mano ancora al mio collo, le mie gambe ancora alla tua vita.
Sei immobile, adesso.
Sei perso, e io con te.

Mi stringi la mano che riposa ancora al mio collo.
"Io non so amare a quel modo", mi dici, lieve e debole, quasi piagnucolante.
"Imparerai, a tue spese, e a mio divertimento" rispondo con un tono ridente e soffuso, allentando la tua presa e stringendo la stessa mano.

scritto il
2018-01-12
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