Lui..
di
Simone Turner
genere
pulp
Aldo non riusciva a respirare per via del grosso cazzo che gli ostruiva la gola. Quanto tempo era trascorso, giorni, settimane? Non osava chiederlo. L’ultima volta che aveva parlato, solo per chiedere un sorso d’acqua, era stato frustato fino a un passo dalla morte.
«I culi non parlano,» aveva ringhiato una voce nel suo orecchio. «È questo che sei ora, un culo, un buco, e servi solo per essere scopato. Annuisci se hai capito.»
Aldo aveva annuito, poi dopo essere stato appeso al soffitto per i polsi l’avevano frustato, davanti e dietro, e allora aveva gridato fino a perdere la voce.
Molto tempo prima, in un'altra vita, era stato un ragazzo normale. Con una bella casa, un padre, una madre e una sorella più grande, la scuola e un lavoro di paio d’ore a settimana al Quieto, una caffetteria in centro. Era lì che l’avevano preso, mentre rientrava di sera dopo un turno più lungo del solito. L’avevano semplicemente rapito sul ciglio della strada, nessun testimone, nessun indizio. Avevano guidato per ore, con Aldo legato e bendato sul retro del loro furgone. Non si erano nemmeno presi la briga di imbavagliarlo. «Grida e sei morto, frocio» aveva ringhiato uno di loro. Fu sufficiente per metterlo a tacere. Non gli avevano mai chiesto il suo nome, e non gli avevano rivelato il loro. Immaginò che fossero almeno in quattro o forse cinque, dal suono delle loro voci. Alla fine l’avevano chiuso in una cantina, sostituendo la benda con un cappuccio di pelle nera che gli copriva il viso dal naso in su.
Era completamente cieco, e anche il suo udito era attutito dal cuoio spesso e caldo.
«Vi… vi prego,» aveva supplicato. «Vi prego non fatemi del male, farò qualsiasi cosa.»
«Sì, lo farai,» concordò una voce, la stessa del furgone. «Farai qualsiasi cosa, e ti faremo comunque del male.»
«Perché?»
«Perché ci piace,» disse semplicemente la voce. «Ora sta zitto, frocio.»
Con la maschera sul viso aveva perso quasi completamente la cognizione del tempo. L'avevano stuprato quella prima notte, tutti, e ognuno più di una volta. Avevano infilato il cazzo in profondità nel suo buco del culo, senza curarsi di lubrificarlo.
Ora giaceva disteso su una struttura metallica, con le caviglie incatenate al pavimento, spalancate, e il ventre premuto contro una barra di metallo. Aveva le mani e gli avambracci legati strettamente con lacci di pelle, fino ai gomiti, e gli facevano male le spalle. Un anello di metallo, infilato nella parte superiore del suo cappuccio, era attaccato a un gancio nel soffitto e gli bloccava la testa inclinata all'indietro in un'angolazione dolorosa. Era incatenato alla struttura in modo che la sua bocca e il culo fossero accessibili per i suoi aguzzini.
Dopo un'eternità, il cazzo che gli ostruiva la gola vomitò un torrente di sperma salato ed Aldo soffocò tossendo, rischiando di rimettere tutto. Pregò che lo lasciassero in pace, o almeno che si si fossero stancati di fargli male per il momento, ma non era così. Invece di lasciarlo solo, l’uomo lo liberò dalla struttura e lo trascinò su un piano di legno, dove lo spinse giù, serrandole le caviglie agli anelli posti negli angoli. Tutto il peso gravava sulle sue braccia strettamente legate, ma si costrinse a tacere mentre sentiva le dita dell'uomo tastargli il buco del culo.
«Hai davvero un bel culo,» disse lui mentre lo accarezzava, poi spinse dentro con forza due dita. Aldo si contorse mentre quelle dita prepotenti esploravano le sue pieghe interne. L’uomo aggiunse un terzo dito, poi un quarto, e i suoi modi divennero ancora più insistenti, più rudi.
Aldo ripensò al suo fidanzato Giacomo, a quanto era stato gentile quando aveva preso la sua verginità, sussurrandole dolcemente all’orecchio quanto stesse bene con lui. Si perse nei suoi ricordi mentre l'uomo allargava sempre di più la sua carne. E si riscosse con una smorfia solo quando lui poggiò la testa sul suo inguine afferrando il suo cazzo con i denti. Lo morse prima usando gli incisivi, poi, girando la testa, afferrò il pene tra i molari, stringendolo finché non gridò. Calde lacrime scorsero dai suoi occhi sotto il cappuccio di cuoio che l’accecava.
Respirò affannosamente quando l’uomo rilasciò il suo cazzo, rilassandosi per il momentaneo sollievo. Ben presto però scoprì che era stato un errore, perché l'uomo all’improvviso spinse l’intera mano nel suo buco del culo già disteso al limite. Cominciò a deflorarlo vigorosamente, prima spingendo dentro la mano fino al polso, più in profondità ad ogni spinta, e poi sempre più a fondo fino ad oltrepassare il retto.
Ci volle molto tempo prima che l’uomo si stancasse di quel gioco. Aldo si contorse e lottò contro le sue spinte, ma non c'era niente che potesse fare affinché quel sadico desistesse. Alla fine tirò fuori la mano e si ripulì sul suo petto.
«Ecco fatto, frocio, hai il permesso di ringraziarmi.»
Aldo singhiozzò per il dolore e l'umiliazione. Doveva ringraziarlo per aver fatto a pezzi le sue parti interne?
«Gra.. Grazie,» biascicò nonostante tutto, in agonia.
«Ben detto, frocio.» Disse lui chinandosi, e lo baciò con passione sulle labbra. «È un piacere farti male,» proseguì soddisfatto, quasi dolcemente. «Sei un bravo schiavo.»
Poi lo gettò nella gabbia, un piccolo spazio appena sufficiente a farlo inginocchiare. Allacciò i polsi con un cappio al collare di cuoio che indossava, e lo chiuse dentro. Aldo sapeva che la tregua non sarebbe durata, così fece del suo meglio per dormire un po' in quella posizione scomoda e dolorosa, inginocchiato sulle barre d'acciaio che attraversavano il fondo della gabbia. Sospettava che fosse una cuccia per cani di qualche tipo, ma era solo un’ipotesi dato che era stato bendato per tutto il tempo. Dopo pochi minuti, nonostante tutto, scivolò in un sonno agitato.
Sembrava passato solo un secondo quando fu svegliato. Venne tirato fuori dalla gabbia e gli sbatterono la bocca contro l'inguine di uno dei suoi tormentatori.
«Hai due minuti per farmi venire, frocio.»
Solo due minuti. E il suo cazzo non era nemmeno duro.
Aldo avvolse freneticamente le sue labbra attorno all’asta flaccida, succhiando furiosamente, mentre usava le mani legate per strofinare le palle dell'uomo. Riuscì a farlo eccitare molto in fretta - il tempo trascorso qui aveva fatto di lui un eccellente succhiacazzi, se non altro - la saliva gli colava sul mento mentre succhiava disperatamente. In breve il cazzo dell’uomo gli vomitò quello che sembrava un secchio pieno di sperma giù per la gola, e lui riuscì a ingoiare ogni goccia.
L'uomo gli schiaffeggiò la faccia con il suo cazzo che si stava già ammorbidendo, e per un attimo fu fiducioso.
«Due minuti, dodici secondi,» sentenziò la voce, ed Aldo singhiozzò sconfitto. «Peccato, frocio, ora dovremo punirti.»
Lo trascinò di nuovo verso il piano, costringendolo ad inginocchiarsi e poggiare il petto sulla superfice di legno. I suoi capezzoli erano stati adorabili quando lo avevano portato lì per la prima volta: piccoli, morbidi e paffuti bottoni rosa. Non riusciva a sopportare il pensiero di quello che dovevano essere diventati, coperti di lividi e bruciature per le frustate e giochi con le sigarette con cui i suoi aguzzini amavano intrattenersi. Ormai non poteva più nemmeno vedere il suo corpo, tantomeno ispezionare i danni che gli avevano inflitto.
In quel momento sentii i suoi capezzoli che venivano tirati, pizzicati e allungati da dita forti e ruvide. Qualcosa di affilato e freddo premette sulla superfice delicata e sensibile della pelle distesa. Un chiodo. Volevano inchiodare i suoi capezzoli al piano. Emise un lamento di protesta e istintivamente cercò di allontanarsi, ma un secondo paio di mani gli afferrò le spalle da dietro, tenendolo fermo in posizione. Il martello colpi ancora e ancora con un rumore sordo, battendo sui grossi chiodi finché ognuno dei suoi capezzoli non fu saldamente fissato al piano di legno. Era aldilà del dolore, e gridò disperato fino a diventare rauco.
«Ecco fatto,» disse finalmente una voce. «Bene, ora apri la bocca, frocio.»
Un attimo dopo sentì il flusso di piscio colpire la lingua, e scorrere velocemente fino in gola. Deglutì con entusiasmo: era l'unica cosa che gli era stato permesso di bere da quando era arrivato, e ormai aveva smesso di esserne disgustato. In effetti, non vedeva l'ora che qualcuno si degnasse di farlo, e ne adorava ogni singola goccia. Era tutto ciò che lo teneva in vita. A volte gli davano da mangiare, gli mettevano in bocca una poltiglia dal gusto orribile. Non sopportava il pensiero di cosa fosse, eppure mangiava con gratitudine.
Era certo che alla fine l'avrebbero ucciso, ma in qualche modo continuava a sperare – sperava che infine avessero pietà di lui, o che qualcuno magari potesse salvarlo. Sebbene inginocchiato lì, dovunque fosse, con i capezzoli inchiodato a un pezzo di legno e i sensi intorpiditi dalla spessa maschera di cuoio, iniziasse a dubitare che sarebbe mai accaduto.
L'uomo dietro di lui lo fece sollevare e allargare le gambe. Sentì il suo cazzo duro premere contro la coscia, prima che lui lo spingesse contro il suo buco del culo per poi iniziare subito a scoparlo, brutalmente. Singhiozzò, mentre ogni spinta gli lacerava i capezzoli e il suo sangue caldo scorreva sui chiodi. Il dolore era incredibile, lo investiva a ondate, finché alla fine svenne, mentre il cazzo gli scopava inesorabilmente il buco del culo contuso e dolorante.
Si svegliò che era ancora inchiodato al piano, sentiva diverse mani vagare sul suo corpo, sul suo petto tumefatto, le natiche e il ventre. In quanti erano? Avrebbero potuto essere tre uomini, oppure dieci. Uno ad uno lo montarono, scopandogli la bocca e il culo. E alla fine qualcuno gli inserì un oggetto metallico nel buco del culo.
«È una pera,» lo informò una voce divertita. «Nei secoli bui veniva usata per torturare i prigionieri. Si apre di un centimetro ogni volta che giro questo piccolo pomello qui, e volendo può allargare il tuo buco del culo oltre il suo limite». E così dicendo diede una svolta, facendo allargare il mostruoso oggetto. Aldo grugni intorno al cazzo nella sua bocca. Sentì una mano torcergli un capezzolo trafitto, e poi un'altra svolta al dispositivo infernale nel suo buco del culo, che stava iniziando a strappargli le carni.
Una bocca si posò sul suo pene, leccando, succhiando e mordendo brutalmente. Gli risucchiò il cazzo in bocca, e morse con forza. Aldo avverti il suo buco del culo cedere mentre lo allargavano ulteriormente. Ma un'altra sensazione iniziò a montare dentro di lui - non era piacere, quanto un sovraccarico sensoriale, e iniziò a tremare e contorcersi mentre un orgasmo si diffondeva attraverso il suo corpo torturato.
«Ehi, guardate, il frocetto sta godendo!» Alcuni degli uomini risero. «Gli piace!»
Lacrime di umiliazione iniziarono a scorrere sotto il cappuccio. No, non gli piaceva tutto questo. Ma non osò parlare.
L'uomo tra le sue gambe smise di masticare il suo cazzo per un istante e alzò lo sguardo.
«Gli piace, eh? Vediamo se gli piace anche questo.» E aprì la pera nel suo ano fino al limite. Aldo gridò come un ossesso, e si contorse sul piano mentre la sua carne veniva lacerata.
Quando le sue urla si placarono, gli uomini smisero di ridere. Uno di loro rimosse la pera, e cominciò a strofinare qualcosa che pizzicava sul suo buco del culo. Aldo piagnucolava dal dolore ma era troppo esausto per fare altro che sussultare in risposta al bruciore.
«Sta zitto, frocio,» disse uno degli uomini. «Non vorrai un'infezione, Vero?»
Tutti risero.
«Già, frocio,» Disse uno eccitato. «Poi non sarebbe più molto divertente.»
«Non sarebbe più tanto carino.» Disse un altro.
«Ma per ora è ancora un bravo frocio, no?» Disse un terzo. Colpendolo forte sul petto, poi iniziò a pisciargli sul viso mentre gli altri ridevano ancora più forte.
«I culi non parlano,» aveva ringhiato una voce nel suo orecchio. «È questo che sei ora, un culo, un buco, e servi solo per essere scopato. Annuisci se hai capito.»
Aldo aveva annuito, poi dopo essere stato appeso al soffitto per i polsi l’avevano frustato, davanti e dietro, e allora aveva gridato fino a perdere la voce.
Molto tempo prima, in un'altra vita, era stato un ragazzo normale. Con una bella casa, un padre, una madre e una sorella più grande, la scuola e un lavoro di paio d’ore a settimana al Quieto, una caffetteria in centro. Era lì che l’avevano preso, mentre rientrava di sera dopo un turno più lungo del solito. L’avevano semplicemente rapito sul ciglio della strada, nessun testimone, nessun indizio. Avevano guidato per ore, con Aldo legato e bendato sul retro del loro furgone. Non si erano nemmeno presi la briga di imbavagliarlo. «Grida e sei morto, frocio» aveva ringhiato uno di loro. Fu sufficiente per metterlo a tacere. Non gli avevano mai chiesto il suo nome, e non gli avevano rivelato il loro. Immaginò che fossero almeno in quattro o forse cinque, dal suono delle loro voci. Alla fine l’avevano chiuso in una cantina, sostituendo la benda con un cappuccio di pelle nera che gli copriva il viso dal naso in su.
Era completamente cieco, e anche il suo udito era attutito dal cuoio spesso e caldo.
«Vi… vi prego,» aveva supplicato. «Vi prego non fatemi del male, farò qualsiasi cosa.»
«Sì, lo farai,» concordò una voce, la stessa del furgone. «Farai qualsiasi cosa, e ti faremo comunque del male.»
«Perché?»
«Perché ci piace,» disse semplicemente la voce. «Ora sta zitto, frocio.»
Con la maschera sul viso aveva perso quasi completamente la cognizione del tempo. L'avevano stuprato quella prima notte, tutti, e ognuno più di una volta. Avevano infilato il cazzo in profondità nel suo buco del culo, senza curarsi di lubrificarlo.
Ora giaceva disteso su una struttura metallica, con le caviglie incatenate al pavimento, spalancate, e il ventre premuto contro una barra di metallo. Aveva le mani e gli avambracci legati strettamente con lacci di pelle, fino ai gomiti, e gli facevano male le spalle. Un anello di metallo, infilato nella parte superiore del suo cappuccio, era attaccato a un gancio nel soffitto e gli bloccava la testa inclinata all'indietro in un'angolazione dolorosa. Era incatenato alla struttura in modo che la sua bocca e il culo fossero accessibili per i suoi aguzzini.
Dopo un'eternità, il cazzo che gli ostruiva la gola vomitò un torrente di sperma salato ed Aldo soffocò tossendo, rischiando di rimettere tutto. Pregò che lo lasciassero in pace, o almeno che si si fossero stancati di fargli male per il momento, ma non era così. Invece di lasciarlo solo, l’uomo lo liberò dalla struttura e lo trascinò su un piano di legno, dove lo spinse giù, serrandole le caviglie agli anelli posti negli angoli. Tutto il peso gravava sulle sue braccia strettamente legate, ma si costrinse a tacere mentre sentiva le dita dell'uomo tastargli il buco del culo.
«Hai davvero un bel culo,» disse lui mentre lo accarezzava, poi spinse dentro con forza due dita. Aldo si contorse mentre quelle dita prepotenti esploravano le sue pieghe interne. L’uomo aggiunse un terzo dito, poi un quarto, e i suoi modi divennero ancora più insistenti, più rudi.
Aldo ripensò al suo fidanzato Giacomo, a quanto era stato gentile quando aveva preso la sua verginità, sussurrandole dolcemente all’orecchio quanto stesse bene con lui. Si perse nei suoi ricordi mentre l'uomo allargava sempre di più la sua carne. E si riscosse con una smorfia solo quando lui poggiò la testa sul suo inguine afferrando il suo cazzo con i denti. Lo morse prima usando gli incisivi, poi, girando la testa, afferrò il pene tra i molari, stringendolo finché non gridò. Calde lacrime scorsero dai suoi occhi sotto il cappuccio di cuoio che l’accecava.
Respirò affannosamente quando l’uomo rilasciò il suo cazzo, rilassandosi per il momentaneo sollievo. Ben presto però scoprì che era stato un errore, perché l'uomo all’improvviso spinse l’intera mano nel suo buco del culo già disteso al limite. Cominciò a deflorarlo vigorosamente, prima spingendo dentro la mano fino al polso, più in profondità ad ogni spinta, e poi sempre più a fondo fino ad oltrepassare il retto.
Ci volle molto tempo prima che l’uomo si stancasse di quel gioco. Aldo si contorse e lottò contro le sue spinte, ma non c'era niente che potesse fare affinché quel sadico desistesse. Alla fine tirò fuori la mano e si ripulì sul suo petto.
«Ecco fatto, frocio, hai il permesso di ringraziarmi.»
Aldo singhiozzò per il dolore e l'umiliazione. Doveva ringraziarlo per aver fatto a pezzi le sue parti interne?
«Gra.. Grazie,» biascicò nonostante tutto, in agonia.
«Ben detto, frocio.» Disse lui chinandosi, e lo baciò con passione sulle labbra. «È un piacere farti male,» proseguì soddisfatto, quasi dolcemente. «Sei un bravo schiavo.»
Poi lo gettò nella gabbia, un piccolo spazio appena sufficiente a farlo inginocchiare. Allacciò i polsi con un cappio al collare di cuoio che indossava, e lo chiuse dentro. Aldo sapeva che la tregua non sarebbe durata, così fece del suo meglio per dormire un po' in quella posizione scomoda e dolorosa, inginocchiato sulle barre d'acciaio che attraversavano il fondo della gabbia. Sospettava che fosse una cuccia per cani di qualche tipo, ma era solo un’ipotesi dato che era stato bendato per tutto il tempo. Dopo pochi minuti, nonostante tutto, scivolò in un sonno agitato.
Sembrava passato solo un secondo quando fu svegliato. Venne tirato fuori dalla gabbia e gli sbatterono la bocca contro l'inguine di uno dei suoi tormentatori.
«Hai due minuti per farmi venire, frocio.»
Solo due minuti. E il suo cazzo non era nemmeno duro.
Aldo avvolse freneticamente le sue labbra attorno all’asta flaccida, succhiando furiosamente, mentre usava le mani legate per strofinare le palle dell'uomo. Riuscì a farlo eccitare molto in fretta - il tempo trascorso qui aveva fatto di lui un eccellente succhiacazzi, se non altro - la saliva gli colava sul mento mentre succhiava disperatamente. In breve il cazzo dell’uomo gli vomitò quello che sembrava un secchio pieno di sperma giù per la gola, e lui riuscì a ingoiare ogni goccia.
L'uomo gli schiaffeggiò la faccia con il suo cazzo che si stava già ammorbidendo, e per un attimo fu fiducioso.
«Due minuti, dodici secondi,» sentenziò la voce, ed Aldo singhiozzò sconfitto. «Peccato, frocio, ora dovremo punirti.»
Lo trascinò di nuovo verso il piano, costringendolo ad inginocchiarsi e poggiare il petto sulla superfice di legno. I suoi capezzoli erano stati adorabili quando lo avevano portato lì per la prima volta: piccoli, morbidi e paffuti bottoni rosa. Non riusciva a sopportare il pensiero di quello che dovevano essere diventati, coperti di lividi e bruciature per le frustate e giochi con le sigarette con cui i suoi aguzzini amavano intrattenersi. Ormai non poteva più nemmeno vedere il suo corpo, tantomeno ispezionare i danni che gli avevano inflitto.
In quel momento sentii i suoi capezzoli che venivano tirati, pizzicati e allungati da dita forti e ruvide. Qualcosa di affilato e freddo premette sulla superfice delicata e sensibile della pelle distesa. Un chiodo. Volevano inchiodare i suoi capezzoli al piano. Emise un lamento di protesta e istintivamente cercò di allontanarsi, ma un secondo paio di mani gli afferrò le spalle da dietro, tenendolo fermo in posizione. Il martello colpi ancora e ancora con un rumore sordo, battendo sui grossi chiodi finché ognuno dei suoi capezzoli non fu saldamente fissato al piano di legno. Era aldilà del dolore, e gridò disperato fino a diventare rauco.
«Ecco fatto,» disse finalmente una voce. «Bene, ora apri la bocca, frocio.»
Un attimo dopo sentì il flusso di piscio colpire la lingua, e scorrere velocemente fino in gola. Deglutì con entusiasmo: era l'unica cosa che gli era stato permesso di bere da quando era arrivato, e ormai aveva smesso di esserne disgustato. In effetti, non vedeva l'ora che qualcuno si degnasse di farlo, e ne adorava ogni singola goccia. Era tutto ciò che lo teneva in vita. A volte gli davano da mangiare, gli mettevano in bocca una poltiglia dal gusto orribile. Non sopportava il pensiero di cosa fosse, eppure mangiava con gratitudine.
Era certo che alla fine l'avrebbero ucciso, ma in qualche modo continuava a sperare – sperava che infine avessero pietà di lui, o che qualcuno magari potesse salvarlo. Sebbene inginocchiato lì, dovunque fosse, con i capezzoli inchiodato a un pezzo di legno e i sensi intorpiditi dalla spessa maschera di cuoio, iniziasse a dubitare che sarebbe mai accaduto.
L'uomo dietro di lui lo fece sollevare e allargare le gambe. Sentì il suo cazzo duro premere contro la coscia, prima che lui lo spingesse contro il suo buco del culo per poi iniziare subito a scoparlo, brutalmente. Singhiozzò, mentre ogni spinta gli lacerava i capezzoli e il suo sangue caldo scorreva sui chiodi. Il dolore era incredibile, lo investiva a ondate, finché alla fine svenne, mentre il cazzo gli scopava inesorabilmente il buco del culo contuso e dolorante.
Si svegliò che era ancora inchiodato al piano, sentiva diverse mani vagare sul suo corpo, sul suo petto tumefatto, le natiche e il ventre. In quanti erano? Avrebbero potuto essere tre uomini, oppure dieci. Uno ad uno lo montarono, scopandogli la bocca e il culo. E alla fine qualcuno gli inserì un oggetto metallico nel buco del culo.
«È una pera,» lo informò una voce divertita. «Nei secoli bui veniva usata per torturare i prigionieri. Si apre di un centimetro ogni volta che giro questo piccolo pomello qui, e volendo può allargare il tuo buco del culo oltre il suo limite». E così dicendo diede una svolta, facendo allargare il mostruoso oggetto. Aldo grugni intorno al cazzo nella sua bocca. Sentì una mano torcergli un capezzolo trafitto, e poi un'altra svolta al dispositivo infernale nel suo buco del culo, che stava iniziando a strappargli le carni.
Una bocca si posò sul suo pene, leccando, succhiando e mordendo brutalmente. Gli risucchiò il cazzo in bocca, e morse con forza. Aldo avverti il suo buco del culo cedere mentre lo allargavano ulteriormente. Ma un'altra sensazione iniziò a montare dentro di lui - non era piacere, quanto un sovraccarico sensoriale, e iniziò a tremare e contorcersi mentre un orgasmo si diffondeva attraverso il suo corpo torturato.
«Ehi, guardate, il frocetto sta godendo!» Alcuni degli uomini risero. «Gli piace!»
Lacrime di umiliazione iniziarono a scorrere sotto il cappuccio. No, non gli piaceva tutto questo. Ma non osò parlare.
L'uomo tra le sue gambe smise di masticare il suo cazzo per un istante e alzò lo sguardo.
«Gli piace, eh? Vediamo se gli piace anche questo.» E aprì la pera nel suo ano fino al limite. Aldo gridò come un ossesso, e si contorse sul piano mentre la sua carne veniva lacerata.
Quando le sue urla si placarono, gli uomini smisero di ridere. Uno di loro rimosse la pera, e cominciò a strofinare qualcosa che pizzicava sul suo buco del culo. Aldo piagnucolava dal dolore ma era troppo esausto per fare altro che sussultare in risposta al bruciore.
«Sta zitto, frocio,» disse uno degli uomini. «Non vorrai un'infezione, Vero?»
Tutti risero.
«Già, frocio,» Disse uno eccitato. «Poi non sarebbe più molto divertente.»
«Non sarebbe più tanto carino.» Disse un altro.
«Ma per ora è ancora un bravo frocio, no?» Disse un terzo. Colpendolo forte sul petto, poi iniziò a pisciargli sul viso mentre gli altri ridevano ancora più forte.
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