Le sante mogli 1

di
genere
tradimenti

Era il solito martedì sera, a casa dell'Ingegner Pontirolli. Domenica, la colf, aveva la sua giornata libera che, a suo dire, avrebbe trascorso da sua madre, in un paesino in collina, per tornare, come sempre, solo l'indomani. Gino Pontirolli sedeva sulla sua poltrona preferita, sorseggiando un whisky di puro malto on the rocks.
Sua moglie, Margherita Vigna, poco discosta, sul divano, leggeva un libro, sottolineandone le parti che reputava più interessanti.
Sullo schermo del televisore si susseguivano immagini prive di suono, che l'ingegnere guardava con palese disinteresse, concentrandosi, piuttosto, sul suo orologio. Continuava a lanciare occhiate al quadrante come se aspettasse l'ora di qualcosa.... o di qualcuno. Di quando in quando, si passava, nervosamente, una mano tra i radi capelli bianchi: dimostrava qualche anno in più dei suoi 66.
Margherita, invece, continuava ad essere una bella donna, nonostante anche lei avesse appena superato il confine dei 60. L'ampia gonna offriva una generosa panoramica delle sue gambe affusolate e toniche, di cui lei non si curava, sicura di essere sola in casa col marito. Ma la sua bellezza partiva dal volto: una pelle ancora elastica rendeva quasi inutile quel filo di trucco che usava per rimarcare i suoi occhi grandi ed il suo sguardo intenso, il rossetto, color crema, sembrava voler togliere alle labbra quell'appeal, che invece conservavano appieno. Ed il seno... il suo seno: rigoglioso, che si ostinava a sfidare il passare del tempo e che si muoveva ritmicamente, per effetto della respirazione, sotto la camicia trasparente, che mostrava il suo essere senza reggiseno. Era una bella donna per tutti, senza differenza d'età.

Le 22,00!
Tre figure poco definite si delinearono attraverso la grande vetrata. Gino si passò la mano tra i capelli per l'ennesima volta, ingoiando un bel sorso di distillato, continuando a fissare quelle sagome che, lentamente ed in maniera guardinga, si avvicinavano. Margherita continuava a leggere, senza avvedersi di nulla.
I tre arrivarono a ridosso della vetrata: ora Gino poteva distinguere chiaramente le teste coperte dai passamontagna. Si aggiusto sulla poltrona, proprio mentre il primo dei tre spalancava la porta e si precipitava a chiudere la bocca di Margherita, che era balzata in piedi, lasciando cadere il libro, pronta ad urlare. Gli altri due si avvicinarono a Gino, che li guardava inebetito: senza che opponesse resistenza lo legarono alla poltrona con delle funi che avevano con loro. Gli strinsero un fazzoletto intorno alla bocca, costringendolo ad aprirla e a serrare il tessuto coi denti.
Poi, tutti e tre, si fecero addosso a Margherita. “Se prometti di fare la brava e di non urlare, ti lascio libera!” le disse quello che le teneva tappata la bocca. Lei assentì col capo e lui la lasciò andare. Sedette sul tavolino e la invitò a riprendere il suo posto sul divano. “Sai: ci chiedevamo se, oltre ad essere bella, sai anche scopare bene. Io sono convinto di sì. Vogliamo solo fare un po' di sesso con te. Vedrai che non te ne pentirai. E se sarai brava con noi, noi lo saremo con voi e ce ne andremo senza farvi alcun male. Promesso. Sarai brava con noi?” Margherita assentì nuovamente. Il suo volto era una maschera di terrore, ma si alzò e cominciò a spogliarsi, lentamente. Quando sfilò la camicia, tutti e tre gli invasori esplosero in un'esclamazione entusiastica e i voltarono a guardare il povero Gino, che, legato come un salame, assisteva impotente alla scena. La donna sfilò la gonna, mostrando le belle e lunghe gambe ed il magnifico culo con solo un piccolo accenno di cellulite. “Aspetta!” la fermò quello che sembrava essere il capo “Le mutandine voglio sfilartele io! Posso?”
La sua voce non aveva nulla di imperioso o di violento, ma Margherita scelse di non contrariarlo ed accettò che l'uomo le si avvicnasse e che fosse lui ad abbassargli le mutande. Cosa sarebbe cambiato, in fin dei conti? L'uomo posò le sue labbra sul ventre della donna, in un bacio delicatissimo, mentre le sue mani si avvicinavano con altrettanta delicatezza al bordo dei suoi slip. Lui la guardò negli occhi: “Non avere paura! “ le sussurrò, in maniera così flebile che nessuno riuscì a sentire la sua voce, ma Margherita ne lesse il labiale. Come lesse la sua richiesta di baciarle i capezzoli: avrebbe voluto rispondere di no, ma che senso aveva? Che razza di stupro era, quello? Sentiva la lingua dell'uomo scivolare addosso ai suoi seni e sentiva di non riuscire a non provare piacere, il che le procurava un forte senso di repulsione, che aumentò quando anche gli altri due le si avvicinarono e cominciarono ad accarezzare il suo corpo con altrettanta dolcezza. Quando la testa di uno dei tre si avvicinò troppo alla sua bocca, fu lei a cercarla e a far saettare la sua lingua fra le labbra di lui. Si stava eccitando! Il suo corpo non riusciva ad essere indifferente alle mani di quelli che stavano violando la sua intimità. Provava ad imporsi di essere schifata ed atterrita, ma la verità era che quanto più quegli uomini si stringevano a lei, senza mai essere troppo invadenti, chiedendo sempre il suo permesso per spingersi oltre, tanto più lei sentiva il desiderio crescere e la sua fica tornare a inumidirsi di umori copiosi, come non le succedeva ormai da tempo. Non furono loro a chiederlo, ma il suo busto si torse e si piegò fino a consentire alla sua bocca di raggiungere il cazzo di uno dei tre e accoglierlo tra le sue labbra, lasciandolo scivolare fin quasi a sfiorare le corde vocali. Erano giovani, quei mascalzoni, decisamente ben dotati e gentili. Margherita non volse mai lo sguardo verso Gino, mentre, silenziosa, si alzava, ma solo per accomodarsi sul cazzo di quello che sedeva alla sua destra, sul divano, facendoselo scivolare nella fica fino in fondo. Per la prima volta non riuscì a trattenere un gemito di piacere, che cercò di smorzare subito, mordendosi il labbro inferiore, fin quasi a farlo sanguinare.
Avrebbe voluto incitarli ad assumere loro l'iniziativa, ma come avrebbe fatto a dire a se stessa di essere ancora vittima di uno stupro. Ma lei non era una sprovveduta e aveva anche una certa esperienza: sapeva quello che quegli strani violentatori avrebbero voluto da lei e sapeva anche che le sarebbe piaciuto. Si mosse sopra quel cazzo con tutta la maestria di cui era capace, fino a che lui la implorò: “Nel culo: ti prego fattelo mettere in culo!” Lei si sollevò, ancora una volta come se ubbidisse al loro volere. Si posizionò il cazzo sullo sfintere e se lo fece scivolare nell'intestino, con grande calma, per non sentire troppo dolore e per eccitare ancora di più quegli uomini. Quando ebbe dentro quel cazzo fino alla base, allargò oscenamente le gambe, fingendo di perdere l'equilibrio e stendendosi all'indietro. Un altro non si lasciò sfuggire il momento e, repentinamente, le infilzò la figa, cominciando un meraviglioso duetto, che lei non potè non gradire. Gino, immobilizzato sulla sua poltrona, grondava sudore, senza staccare un attimo gli occhi dalla scena che si consumava davanti a lui: avvertiva, più che sentire, il leggero mugolio che la moglie, sempre più coinvolta, non riusciva più a trattenere. I tre stupratori, evidentemente molto giovani, non accennavano a saziarsi: pur avendo avuto già un orgasmo, di cui il corpo di Margherita conservava le tracce, si alternavano ad occupare tutti i buchi della donna. Ora non chiedevano più: si proponevano e si disponevano alle tacite proposte della donna. Dopo più di due ore, dopo essere venuti una volta di più, i tre si rivestirono velocemente. Poi apostrofarono la donna: “Ora tu aspetti mezz'ora, qui seduta. Poi lo potrai liberare. Non prima di mezz'ora, altrimenti saremo costretti a punirti.” Margherita annuì col capo e seguì con lo sguardo i tre che si allontanavano indisturbati da dove erano arrivati. Rimase seduta sulla sua poltrona, senza neanche rivestirsi, la testa bassa tra le mani non lasciava indovinare i sentimenti che si affollavano nel suo cervello, mentre il suo corpo si muoveva come un mantice, sotto la spinta di un respiro affannato.

Trascorsa la mezz'ora che le era stata imposta, Margherita si alzò e slegò il marito. “Dobbiamo fare denuncia!” affermò, senza troppa convinzione, al punto che la sua sembrò più una domanda che una affermazione. “Ma sei matta? Una denuncia! Meglio lasciar cadere la cosa: ci metteremmo in un casino enorme e rischieremmo anche la vendetta di quelli!” “Cosa dovremmo fare, secondo te?” “Nulla! Assolutamente nulla: vedrai che non li vedremo più. Ora dobbiamo solo superare questa brutta esperienza.” “Faremo come vuoi!” chiuse, velocemente, Margherita.

A dire il vero, la vita tornò ad una, almeno apparente, normalità. E giunse di nuovo il martedì: nel soggiorno la scena era la stessa di una settimana prima, con Gino impaziente e Margherita a leggere. Allo stesso modo, tornarono quei tre ed allo stesso modo legarono Gino e scoparono Margherita: Era palese che nel gruppo si manifestasse un'intesa che coinvolgeva la donna, mentre Gino sudava. Di nuovo andarono via e di nuovo Margherita attese mezz'ora prima di slegare Gino. Lo guardò negli occhi, senza parlare. “Meglio non fare la denuncia: si stancheranno. Vedrai!” Lei gli sorrise: “”Hai ragione, amore! Poi, in fin dei conti, sono gentili. Ci sarebbe potuta andare peggio!”

Quando per il terzo martedì di fila i tre si introdussero nella casa, Margherita li bloccò: “Se volete che io faccia la brava e non gridi, non dovete legarlo. Anche lui prometterà di fare il bravo e di rimanere seduto lì a guardare, come le altre volte. Promesso che non faremo denuncia, neanche dopo. Ci state a queste condizioni?” I tre si guardarono e poi si voltarono a guardare Gino, che restava impassibile e muto. Intanto Margherita aveva cominciato a spogliarsi: i tre si lasciarono attirare dallo spettacolo di quel corpo ancora così desiderabile e riversarono su quello tutte le loro attenzioni. Margherita, stavolta, non si trattenne dall'esternare il piacere che il suo corpo provava, i suoi gemiti si levavano alti, mentre riceveva dentro di sé i membri di quei giovani uomini, che, come sempre, si muovevano gentili e rispettosi , mai violenti o prepotenti. Margherita non avrebbe potuto desiderare amanti migliori e ci teneva a farlo sapere a loro, ma anche a Gino, che non si tratteneva da usare le mani, libere, per accarezzarsi un pacco, che, però, rimaneva piatto. Quando l'amplesso si concluse e tutti si considerarono appagati, mentre i tre, stavolta senza fretta, si rivestivano, Margherita chiese: “Vi va un caffé?” Non attese risposta e attraverso la stanza, mentre gli occhi di tutti erano incapaci di staccarsi dal suo culo.

Il giovedì successivo, i due coniugi erano di nuovo soli: Margherita aveva concesso un giorno di permesso speciale a domenica. La donna si alzò e preparò il caffé. Portò in tavola 5 tazze fumanti, suscitando l'interesse di Gino: “Aspettiamo qualcuno?” “Certo, amore! Oggi, i tuoi amici, li ho invitati io. Non ti dispiace, vero?” Gino rise, cingendo la mogle ed attirandola in un bacio, mentre i tre giovani, stavolta senza passamontagna, entravano in casa, pronti a compiere il loro dovere.
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2018-09-17
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