La preda cap. 2
di
Koss
genere
dominazione
Anna ed Alberto
Il giorno prima Alberto aveva incontrato Anna. L’appuntamento era in galleria, scambiarono qualche parola e poi con più calma andarono a chiacchierare in una sala da tè. Si sedettero in un angolo della sala riparati da un tavolino. Entrambi si studiarono per qualche momento. Lui era alto e ben piantato, i quarant’anni erano portati egregiamente, i capelli castani non avevano un filo grigio. Sulla bocca grande e carnosa spiccavano un bel paio di baffi, il naso era anch’esso grosso, l’insieme lo rendeva simpatico a prima vista. Gli occhiali di tartaruga gli davano un’aria intellettuale che alle signore non dispiaceva, vestiva in modo sportivo: pantaloni di velluto e giacca di tweed, sotto un gilè ed una camicia di flanella, le scarpe erano comode. La camminata indolente e dinoccolata unita all’abbigliamento volutamente trasandato ne davano una rappresentazione mite, niente di più sbagliato, dentro era molto duro e cinico. Lei invece era una ragazza molto a modo, aveva ventisette anni, ma era talmente seria che ne dimostrava qualcuno in più. Indossava calze nere, nere erano anche le scarpe, con un discreto, ma non esagerato, tacco a spillo. Fu dal basso che partì l’esame di Alberto, risalendo si accorse che non era bellissima. La ragazza aveva un corpo tornito che sulle anche si allargava come un’anfora e dopo i fianchi tornava a stringersi in vita per esplodere nuovamente sul seno traboccante. Il viso era di un ovale regolare, ma niente di eccezionale, la bocca era piccola e gli occhi erano castani. I capelli anch’essi castani erano riccioli e le ricadevano sulle spalle perfettamente. Era molto curata. Vestiva in modo elegante e severo, allo stesso tempo emanava una notevole carica erotica, si intuiva che era ricca. Il tailleur era firmato ed il maglioncino nero la fasciava deliziosamente, indossava dei gioielli: una fine collana di perle, orecchini piccoli e poco appariscenti, così come l’anellino che portava all’indice, ma di valore. Appetitosa, fantasticò Alberto e schifosamente ricca. Lei era a disagio, ma in grado di dominarsi e di padroneggiare la situazione, non era poco per una candidata schiava alla sua prima esperienza. Un po’ nervosa però lo era, si accese una sigaretta e sedendosi accavallò le gambe, quei pochi e consueti gesti la rassicurarono. Questa sua sicurezza mise invece a disagio Alberto che stupidamente le sorrise. Fu lei a parlare per prima dopo che ebbero ordinato da bere: un tè per lei ed un aperitivo per lui. Gli diede del lei. – Ho delle condizioni da porle, se le accetterà mi metterò ai suoi ordini, altrimenti ognuno per la sua strada. Che ne dice? -
Non andava come aveva previsto, ma rispose con una certa tranquillità.
- Lei è troppo diretta, non dovremmo prima vedere se ci piacciamo … intendo dire .. fisicamente, o nel carattere, o per lo stile ... - Anche lui le aveva dato del lei e per il momento erano su un terreno di parità.
Lei sbatté per un attimo gli occhi e poi gli rispose: - lei mi sta bene, è come me l’immaginavo, altrimenti sarei già andata via. Ed io a lei vado bene? –
Diretta e veloce, Alberto incassava. – Sì, la prima impressione è buona, ma ho bisogno di maggior tempo per dire che è ok. – Smisero di parlare mentre il cameriere li serviva, Alberto ne approfittò per cercare di capire chi poteva essere quella ragazza, aveva detto che era una donna in vista, almeno così le aveva riferito Mirella, ma per lui era una perfetta sconosciuta.
- Bene, allora posso esporle le mie condizioni. -
- L’ascolto – rispose laconico Alberto.
- Sono una donna nota, per carità, non sono una diva, ma mio padre è un importante industriale e io sono la sua unica figlia, il mio nome vero lo conoscerà presto, ma per lei io sono e sarò sempre Anna. Questa avventura, così io la definisco, se andrà avanti, non la dovrà mai conoscere nessuno e nessuno dovrà mai sapere della mia vera identità. Mi creda ho i mezzi per assicurarmi che sia così. – Il tono era tranquillo e si vedeva che non intendeva minacciarlo, ma le parole erano inequivocabili e pesanti, mentre parlava guardava diritto negli occhi Alberto che era abbastanza frastornato ed iniziava ad arrabbiarsi. Lei invece proseguì abbastanza tranquilla.
- Secondo. Durante i nostri incontri lei avrà molto potere su di me, ma sarà responsabile, oltre che della mia privacy anche della mia salute. I segni che eventualmente lascerà sul mio corpo dovranno sparire nel giro di qualche giorno. – Questo era già più accettabile - decise Alberto.
- Terzo. Più in là le farò sapere se ai nostri incontri accetterò che partecipino altre persone, che comunque dovranno sempre essere a me gradite. Se questi incontri ci saranno, indosserò una mascherina per proteggere la mia identità. Per ora non lo desidero e comunque voglio prima vedere come funzioniamo noi due. – Era una limitazione seccante, ma ragionevole, quello che ad Alberto non piaceva era il tono con qui le formulava. Fossero state delle umili richieste o meglio ancora delle suppliche le avrebbe prese in considerazione con animo migliore. Iniziava a chiedersi, al di là dell’identità, chi era quella ragazza?
- Quarto ed ultimo. Io sono una donna molto impegnata, lavoro ed ho un fidanzato, non ho quindi molto tempo da dedicarle. Diciamo due sere alla settimana e quando potrò un week-end, probabilmente una volta al mese. Come sappiamo lei ha una schiava e probabilmente altre donne, avrà quindi modo di non sentire la mia mancanza.-
Sicura come una domatrice, pensò Alberto, ora era, oltre che incazzato, incuriosito ed eccitato, per il momento doveva stare al gioco di quella puttanella arrogante.
- Mi chiamo Alberto Bianchi, ed è il mio vero nome. Le sue sono condizioni tutte accettabili, e se troveremo un accordo le rispetterò tutte, non ha niente da temere, ma anch’io ho le mie. -
Lei non lo fece neanche terminare. – Le esponga, se sono ragionevoli le accetterò. -
- Prima devo verificare se, condizioni a parte, lei è all’altezza dell’impegno. -
Lei lo guardò con attenzione. – Mi dica. -
Alberto si consentì una pausa, poi guardandola negli occhi cambiò registro e le disse: - vai in bagno, levati le mutandine e ritorna qui. -
Anna arrossì e per la prima volta non lo guardò più direttamente. Mormorò un va bene, si alzò, prese la borsetta e dondolando inizialmente insicura sui tacchi, ma poi con maggiore scioltezza, si diresse in bagno. Alberto guardandola di spalle si concesse finalmente un sorriso e si disse: - veramente appetitosa, ma molto problematica. Però penso che ne valga la pena. -
Quando ritornò era più sicura, ma evitò di guardarlo negli occhi come aveva fatto fino a quel momento. Si sedette ed accavallò le gambe.
- No cara – disse lui, - metti entrambi i piedi a terra ed allarga leggermente le ginocchia, quindi dammi le mutandine. – Ancora una volta lei arrossì violentemente, ma obbedì. Aprì la borsetta e cercando di non farsi notare gli porse le mutande, erano molto fini e sul pube, notò Alberto, un po’ umide. – Bene – disse lui mettendosele in tasca, - ora parleremo come un padrone fa con una schiava. Io farò le domande e le richieste che per te saranno ordini e tu mi risponderai sollecita ed umile, e quando ti appellerai a me lo farai con i nomi di Padrone o Signore. -
Il tono era lieve ed amabile, nessuno nei tavoli intorno sapeva cosa stava succedendo tra loro due e neanche lo immaginava, sembrava la discussione di una coppia che aveva deciso di trascorrere un piacevole pomeriggio in compagnia.
- Va bene – rispose Anna dopo un attimo d’incertezza.
- Non va bene – la riprese lui sussurrando, - devi rispondere sì Signore o sì Padrone. Potrai evitare questi termini solo in presenza di altri, in questo caso mi darai del lei e solo in questo caso lo farò anch’io. -
Lei si morse le labbra e rispose nel modo giusto. – Sì padrone. -
- Bene, sei intelligente, questo facilita sempre le cose. Ora mettiti una mano tra le gambe, ma prima sposta la poltroncina in modo che nessuno ti possa vedere. – Aspettò che lo facesse e poi riprese. – Accarezzati lentamente, languidamente. Intanto raccontami i motivi che ti hanno portato qui. Perché vuoi quest’avventura, è così che l’hai chiamata. -
Ora lei era davvero a disagio, la sua mano e solo quella si muoveva lievemente tra le gambe, molto in basso, ma Alberto non le faceva pressione perché risalisse più in alto, con voce impersonale iniziò a parlare. – Fin da ragazzina ho sentito il bisogno di essere maltrattata, umiliata, annullata, tutto ciò poi è entrato in relazione con le mie fantasie sessuali, ma non ho mai trovato il coraggio di metterle in pratica. Anzi, con grande sforzo di volontà ho sempre fatto il contrario. Oggi sono una manager. E’ vero, lo sono nell’azienda di mio padre, ma mi creda nonostante sia così giovane l’ho meritato, lui non mi ha mai regalato niente. E’ per questo che sono così dura. In azienda nessuno si sogna di mettermi i bastoni tra le ruote, ma non perché sono la figlia di papà, ma perché in questi due anni ho dimostrato di essere brava. Dopo la laurea sono stata per due anni negli Stati Uniti, per un master ed uno stage. Lì sono andata vicina ad avere un’esperienza di questo tipo, ma poi non ho avuto il coraggio e mi sono tirata indietro. Per me è un’ossessione ed ora ho deciso di averla. Chi sa, forse mi servirà a guarire da questa che reputo un’insana passione, ma che è ormai diventata il mio tormento continuo. -
Mentre parlava la mano era risalita verso l’alto delle cosce e con rabbia aveva pizzicato la morbida carne bianca oltre il bordo delle calze. Solo Alberto riusciva a vedere quello che faceva, il tavolino che avevano davanti li proteggeva da sguardi indiscreti. Anna parlava di sé come se fosse in trance. Lui allungò discretamente una mano e la posò su quella di lei spingendola ancora più in alto, quindi la spostò direttamente sulle gambe della ragazza. Ora erano in due ad accarezzare quelle cosce tornite e succulente. Alberto la sfiorò molto in alto, sentì il sugo che le colava tra le gambe, poi la guardò in viso e vide il labbro della ragazza tremare. L’osservò meglio, era sudata ed il petto era gonfio ed ansimante, poteva avere un orgasmo da un momento all’altro e se aveva capito bene il tipo nessuno le avrebbe potuto impedire di urlare. La pizzicò a sangue nell’interno morbido delle cosce per scuoterla e alzandosi le disse: - andiamo. -
Lei ancora molle e malferma sulle gambe si rese infine conto di quello che stava per succederle, si mise l’impermeabile e docilmente lo seguì.
L’autunno si faceva sentire, il pallido sole pomeridiano era sparito e l’umido imperversava anche in centro. Lui la prese a braccetto e per un po’ passeggiarono in silenzio per le strade dietro alla Scala, lei stava riprendendo il controllo di sé stessa, sentiva il fresco tra le cosce e sulla fica nuda, ma era piacevole. – Padrone posso parlare. – Imparava in fretta.
- Certo – rispose lui.
- Quali sono le sue condizioni. -
- Nessuna – sorrise lui. Sorrise anche lei e si strinse all’uomo.
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