Il Sicario cap. 1 - Collana Il Dravor Vol. IV
di
Koss
genere
dominazione
Il Segreto di Isabella – Qualche mese prima
Aro era un commerciante di pelli, benestante, ma non ricco, aveva una casa con un po’ di terreno intorno, giusto per garantirsi un po’ di privacy alla periferia di Kuanta, in un quartiere che non era un granché. Gli teneva in ordine la casa solo una schiava nera di età indefinibile, che forse aveva cinquanta anni abbondanti, grassa e brutta.
Aro però, in quegli ultimi mesi se la stava passando decisamente meglio di quanto il suo lavoro gli avrebbe permesso. Aveva acquistato una carrozza ed un paio di cavalli per trainarla e uno schiavo per fargli da cocchiere e tuttofare. Con discrezione frequentava i buoni locali di Kuanta e i migliori bordelli della città. Non aveva una compagna, ma lo si vedeva spesso in giro con qualche donna discreta. Niente di eccezionale, vedove di commercianti o commercianti loro stesse. Ma Aro non si metteva insieme a nessuna.
Aro aveva una cinquantina d’anni ed era figlio di un fotografo, quando esistevano ancora le macchine fotografiche e quel mestiere. Quando quella tecnologia era sparita, il padre di Aro si era dato al commercio e aveva creato quell’azienda di pellami che poi il figlio, alla sua morte, aveva ereditato, oltre alla casa in cui viveva.
Quando il padre era morto, sei mesi prima, Aro aveva scartabellato tra le sue cose. Un mucchio di cianfrusaglie che erano finite in discarica. Ma tra tutte quelle cianfrusaglie c’erano centinaia di fotografie. Ad Aro le foto piacevano, avevano anche un valore, come tutte le cose di pregio della vecchia epoca: antiquariato. C’erano molti ricchi che gli avrebbero offerto denaro per le foto migliori. Quindi si mise ad esaminarle con cura. Uno degli ultimi scatti ritraeva una giovane donna con un collare ad un’asta di schiavi. Doveva essere una delle prime schiave vendute con quella modalità. La foto, quando Aro la scoprì, aveva più di venticinque anni. Aro vedendola rimase a bocca aperta. Non poteva crederci. Come mai suo padre non gliene aveva mai parlato e soprattutto perché non l’aveva usata. Probabilmente non si era neanche reso conto del soggetto e forse se ne era dimenticato.
La troia, anche dopo tanto tempo era bella. E soprattutto era ricca, doveva avere sui quarantasette anni ed era vedova da qualche anno. La preda perfetta pensò Aro.
Chi sa come era andata ai tempi meditava Aro. Forse Kunta l’aveva comprata, poi le aveva levato il collare e l’aveva fatta riapparire da qualche altra parte e infine l’aveva fatta sua compagna. All’epoca le cose erano ancora molto confuse, non esistevano ancora registri delle proprietà e tanto meno degli schiavi ed era tutto ancora in movimento. Le regole e i registri sarebbero arrivati qualche anno dopo, con la nascita dell’impero e di un minimo di burocrazia ed ordine. Rimaneva il fatto che Isa da schiava era diventata una donna libera e una delle donne più ricche dell’impero.
Più o meno era andata in quel modo. Kunta quel giorno era al mercato degli schiavi, non cercava una bella schiava, ma un medico per il suo esercito. Lui era il capo, ma era Host il guerriero che comandava il suo esercito. Kunta aveva visto quella giovane donna, bella, austera, perfetta e impaurita mortalmente. Se ne era innamorato immediatamente. L’aveva comprata e l’aveva mandata in una delle sue proprietà liberandola, ma pregandola di non muoversi da quel posto. – Qui sei al sicuro, ma per il tuo bene non ti muovere da qui. - Poi l’aveva corteggiata per mesi e Isa riconoscente l’aveva apprezzato diventando sua. La loro era stata una unione basata sull’amore e sul rispetto.
Aro era brutto, occhi piccoli e un naso grosso, labbra grosse e bocca larga, era alto, ma grasso, flaccido e trasandato, però era forte, caricava e scaricava ogni giorno balle di pellicce. Ed era scaltro, molto scaltro, negli affari non era granché, ma aveva imparato a galleggiare. Quello era il colpo di fortuna della sua vita. Doveva trovare il modo di rimanere solo con lei per dieci minuti. Per qualche giorno Aro fece la fatica di sorvegliarla. Si appostò sul guado di un fiumiciattolo appena fuori dalla sua proprietà, dove c’era l’unico ponte che collegava il feudo alla strada per Kuanta e scoprì così che lei, quasi ogni mattina, andava in città da sola con il suo calesse, per affari o per incontrare qualche amica. Era una donna che amava il lusso, se doveva fare bella figura non rinunciava alla carrozza, ma era anche una donna energica ed indipendente e, da quando i banditi erano stati debellati, le strade erano sicure.
Aro si appostò sul suo ronzino proprio al termine del ponte, lì lei doveva rallentare e la salutò. – Buongiorno Madame, solo due parole per cortesia – esordì in tono contrito e dimesso.
Isa fermò il calesse, conosceva quell’uomo di vista, non aveva nessuna ragione di preoccuparsi, era infastidita, ma le sembrava assurdo tirare diritta come se non l’avesse visto e non le avesse parlato. Però lo guardò arcigna, come a dire: su, forza, non ho tempo da perdere con uno come te.
Aro avvicinò il cavallo al calesse, l’affiancò e tirò fuori dalla tasca della giacca la foto.
Lei fece per prenderla, ma Aro ritirò la mano indietro. Cambiò tono dandole del tu. – No, non puoi averla, guardala, ma senza toccarla. –
Come si permetteva quel cafone di parlarle a quel modo, poi Isa ebbe un terribile presentimento. Lui le aveva messo la foto davanti agli occhi. Isa vide e sbiancò, cercò di riscuotersi e bluffare, ma ribolliva di rabbia e la paura stava diventando terrore.
– Chi è quella? – rispose in tono arrogante, ma la voce tremò, era terrorizzata, anche se tentava di negare.
- Sei tu troia – rispose Aro duro, sprezzante e sicuro, - sei una lurida schiava. –
- Ti farò incatenare e impiccare – rispose rabbiosa Isabella, - tu non sai chi sono e non sai che Host, il Grande Drav, è un mio amico. –
- So chi sei tu, so chi è il Grande Drav e so quanti nemici avete, altrettanto potenti, che non vedono l’ora di scoprire chi sei, fartela pagare e prendersi tutto quello che hai. –
Isa sapeva che era tutto vero, negli affari lei e Kunta si erano fatti tanti amici, ma anche tanti nemici. Era potente, una delle donne più potenti di tutto il Dravor, ma nei tanti anni a fianco di Kunta si erano fatti molti nemici, nessuno osava venire allo scoperto, ma ora che era sola e con quella foto in mano non si sarebbero fatti scrupoli e l’avrebbero rovinata. Sapeva che come minimo rischiava e con lei rischiava anche la figlia. La figlia di una schiava era una schiava. Le avrebbero tolto tutto e chi sa che fine avrebbero fatto entrambe. Il suo incubo era finire in un bordello con la figlia. Tutti questi pensieri le passarono per la mente in un attimo. Forse non sarebbero arrivati a quel punto, ma chi poteva sapere, ma sicuramente Kora, se fosse andata bene, sarebbe diventata la kalsna di qualcuno. Non poteva rischiare.
- Cosa vuoi? – il tono era arrogante, ma cercò di iniziare una trattativa, solo che partiva da una posizione di estrema debolezza.
Aro aveva infatti le idee chiarissime, lui era arrivato preparato, e non aveva intenzione di trattare un bel niente.
- Voglio te troia, sarai la mia kalsna ed ogni mese mi darai mille tel. –
- Bastardo – rispose Isa d’impulso.
Lui le rise in faccia e le disse – seguimi, inizierai a servire già questa mattina. –
Uscirono dalla strada ed il calesse seguì il cavallo su un sentiero fino ad una piccola ed isolata radura. Isa era disperata, ma non vedeva via d’uscita. Nel breve tratto di strada che percorsero ebbe modo di pensare, ma non era lucida.
Mille tel al mese erano una bella somma, ma per lei non erano granché, quello poteva starci pensava, nell’attesa di trovare una soluzione per eliminare il problema.
Quello che non voleva era cedere il suo corpo a quell’essere ripugnante, quello doveva assolutamente evitarlo.
Aro aveva fatto bene i suoi conti. Poteva chiedere molto di più e tutto in una volta, ma a lui non interessava diventare immediatamente ricco, non avrebbe saputo come giustificare quell’improvvisa ricchezza. Il Dravor era un sistema chiuso e molto controllato, una ricchezza spropositata avrebbe generato un’infinità di domande. Lui voleva una rendita a vita che gli permettesse di vivere nell’agio. Piano, piano avrebbe trovato una casa più grande e più bella, in un quartiere più elegante e avrebbe preso qualche altro schiavo, anche una bella e giovane kalsna, ma soprattutto voleva Isa, quella troia arrogante e schizzinosa sarebbe finita ai suoi piedi e lui se la sarebbe goduta a lungo, era matura, ma ancora giovane e si manteneva bene. Gli avrebbe dato soddisfazione ancora per molti anni.
Isabella scese dal calesse, voleva cercare di farlo ragionare, ma appena mise i piedi a terra si sentì dire – spogliati troia. –
- Come osi – provo ancora a ribattere Isa, lei pendolava tra l’arroganza, l’intimidazione e le sue capacità dialettiche per convincerlo a trattare. Lui invece era forte di quello che aveva in mano e non aveva nessuna intenzione di discutere. Discutere, Aro lo sapeva, avrebbe significato scendere a qualche compromesso. Forse più soldi, ma non lei. Quindi lui fece precipitare la situazione, le fu addosso, un ceffone la mandò lunga distesa sul prato e Isa gridò. Fine dei ragionamenti.
Aro pensò di aver fatto una cazzata, le sarebbe rimasto il livido, invece nessuno se ne doveva accorgere. Il danno era fatto, la sua troia si sarebbe dovuta inventare una scusa, una caduta dal calesse era una scusa che poteva andare bene. Lui aveva intenzione di frustarla e strapazzarla, ma il viso non lo doveva toccare. Rimediò immediatamente prendendola a calci sulla pancia, sui fianchi e sulle natiche, si chinò su di lei e le strizzò un seno, poi le artigliò un capezzolo e la fece ululare. Isa era tramortita, sentiva male dappertutto. Era incapace di difendersi da quella furia.
- Devi fare quello che ti dico troia, altrimenti ti rendo irriconoscibile e tutti sapranno quello che sei. Ti rovino e tu e quella puttana di tua figlia finirete in un bordello per schiavi. –
Isa si arrese, quelle ultime minacce non potevano essere vere, ma lei non se la sentiva di andare a verificarle. Appena lui le diede un attimo di respiro, sotto uno sguardo implacabile, iniziò a spogliarsi, tutto tranne che prenderle e comunque i vestiti erano già strappati.
La legò ad un albero con la schiena rivolta al tronco, i polsi tirati indietro e legati ad abbracciare l’albero, fece lo stesso con le caviglie, queste ultime furono tirate tanto indietro da farla protendere in avanti, trattenuta all’albero solo dai polsi, con le gambe aperte.
- Bella vacca – commentò Aro rimirandola, poi si avvicinò e le strinse il seno, artigliò i capezzoli e Isa gemette. – Ti prego… -
Lui strizzò più forte. – Rispetto cagna, io sono il tuo Padrone. Parla quando sei interrogata e rivolgiti a me come si deve. – Aro continuava a strizzare.
- Padrone, per favore, mi fa male. Pietà. – Isa si era piegata, non aveva la forza e la volontà di resistergli.
Aro teneva in mano una lunga frusta da carrettiere e guardava la sua nuova schiava, mai, neanche nei suoi sogni migliori, aveva pensato di potersi fare una come Isabella. Aro se la mangiava con gli occhi, quella bella e matura femmina, dalle gambe lunghe e tornite, statuaria e con molti spigoli, ma anche tante curve, il corpo pastoso e sensuale, fianchi ampi e morbidi, il culo opulento e soffice, le tette superbe. Era sua. Aro si eccitò della paura della schiava, si avvicinò alla preda. Isabella tremava in un modo indecente ed incontrollabile. – Non è ancora successo niente e già tremi – l’irrise Aro alitando sul volto di Isa. Le sputò in faccia. Lei trattenne un conato di vomito, lui indietreggiò e le passò l’impugnatura della frusta tra le gambe. Lei si irrigidì, ma lui insistette. La massaggiò sulla vulva, Isabella tremò di paura, vergogna, non poteva stringere le cosce ed il manico scivolò dentro di lei.
Mai aveva immaginato che potesse succedere una cosa del genere, eppure la sua fica si stava bagnando. Arrossì, si morse il labbro, cercò di non guardare il suo carnefice, cercò di rimanere inerte e mostrarsi disgustata, ma il suo corpo la stava tradendo e Aro sorridendo se ne rese conto.
La mano libera di Aro prese possesso del corpo di Isa, dal seno discese sul didietro, verso il culo e poi sulle cosce, mentre il manico della frusta penetrava dentro Isa e ne usciva bagnato. Isabella inizialmente si era dimenata cercando di sottrarsi a quell’invasione, poi quando capì che era inutile e controproducente si arrese e si lasciò fare. Lui se lei si agitava strizzava e faceva male, se invece stava calma era meno violento.
La troia è calda, probabilmente non scopa da anni e non vede l’ora, pensava Aro.
Aro non poteva più aspettare, buttò la frusta per terra e raccolse il traboccante seno di Isa in entrambe le mani. Le sue mani grandi e callose non riuscivano comunque a contenere le grosse tette della schiava.
Le mani di Aro stringevano e Isabella gemeva per il male, ma era inutile negarlo Isabella gemeva anche di piacere. Isabella si tratteneva, ma stava iniziando a colare ed il suo corpo era sempre più caldo. – Brava cagna – le disse Aro, spingendo il bacino sulla fica della schiava e sfregando, l’arnese era ancora dentro i pantaloni, ma si faceva sentire. Aro artigliava le tette di Isabella e la mordeva.
Isa era in carne, morbida e profumata. Isabella era stordita e impotente. Paura e terrore, rabbia ed impotenza, disgusto, ma anche piacere. Lui la stava manovrando e portando dove mai sarebbe andata. Ebbe un attimo di lucidità, la dignità era finita, ora pensava cavarsela. Forse, pensava, se mi fotte poi finisce. Ma Aro cambiò registro sorprendendola ancora una volta.
- Offriti troia – le ordinò Aro. Isabella, riluttante, eseguì l’ordine spingendo il bacino in avanti e facilitando l’accesso alla fica che era già tremendamente esposta. La mano destra del suo nuovo Padrone s’impossessò della fregna. Isabella mugolò e continuò quando la mano l’accarezzò lungo la vulva. Forse mostrare le sue voglie l’avrebbe convinto a fotterla e finirla. Lui la umiliò.
– Sei peggio di una cagna in calore, ti basta un attimo per allargare le cosce e godere, devi controllare i tuoi sensi, devi arrivare a godere quando lo voglio io. –
Sentendo quelle parole Isabella sprofondò nello sconforto, aveva perso la partita. Se resisteva la picchiava, se si lasciava andare l’umiliava. Aro smise di accarezzarla, ma le intimò di non muoversi. Le gambe erano tenute larghe dalle corde, il seno era proteso in avanti. Lei ora sperava che lui si accontentasse solo di penetrarla, era ributtante, ma quello poteva subirlo, quello che invece l’avrebbe fatta impazzire era se avesse tentato di baciarla sulla bocca.
Isabella tratteneva il fiato ed aspettava, ritornò ad avere paura. Isa desiderava stringere le gambe per proteggersi la fica, ma era impossibile. Quando vide che lui raccoglieva la frusta da terra impazzì. Isabella dapprima non capì, poi quando gli vide spuntare quel ghigno animalesco sul volto si spaventò. Ora era terrorizzata e tremava come una foglia, non era mai stata frustata, neanche quando, a suo tempo, l’avevano catturata gli schiavisti. Quelli ne avevano intuito il valore e l’avevano trattata bene, almeno da quel punto di vista.
Non si frustavano le donne libere, la frusta era per le schiave, ma Aro gliel’aveva detto, lei era ora la sua schiava, ed era quello che stava per succederle.
– Te ne darò un po’, voglio che tu capisca bene quello che sei diventata. Devi capire che sei una schiava, anche se lo sapremo solo io e te, fino a quando farai la brava. Devi capire che mi appartieni, che farai tutto quello che ti ordinerò. –
- Padrone, non lo fate, vi obbedirò, ma non lo fate. – Isabella terrorizzata implorava, aveva perso ogni briciolo di dignità, ma Aro voleva comunque segnarla e farle capire che neanche le sue suppliche potevano fermarlo. Quella era la prima volta e lei doveva capire, una volta per tutte. In modo che da lì in poi avrebbe ubbidito sempre, senza esitazione.
Dopo qualche frustata Aro si riscaldò, non voleva essere pesante, ma l’eccitazione gli prese la mano. Isabella aveva accolto le prime frustate gridando più per la paura che per il dolore vero e proprio, ma quando vide e soprattutto sentì che il ritmo cambiava gridò terrorizzata ed invocò pietà. La frusta le aveva segnato le cosce, il seno, il busto. Aro si impose di fermarsi. Era sudato ed eccitato, si stava divertendo. Isa si mise a piangere, provò ad invocare pietà e poi pianse disperata.
Gliene diede qualche altra, ancora più forte e quando vide che lei non reagiva più, se non per contorcersi, si fermò. La sciolse e lei stramazzò a terra.
Lui si distese su di lei a lei e senza neanche spogliarsi le allargò le gambe e la penetrò. Isabella era inerte come una bambola, ma era piegata ed a lui non interessava se non partecipava, la sentiva comunque calda e bagnata e per quella prima volta gli bastava.
Aro venne mordendola sui capezzoli e facendola guaire. Lei si sentì invadere e chiuse gli occhi, voleva morire. Ma non morì.
- Ascoltami bene – disse poi alla cagna, - ogni settimana verrai a casa mia di pomeriggio e sarai a mia disposizione fino a sera.
Isabella era tramortita, confusa e distrutta. Era sporca dentro e fuori, infangata e scarmigliata.
Aro le prese il mento tra il pollice e l’indice e strinse indirizzando il viso verso il suo.
La guardò negli occhi e le strizzò un capezzolo per ottenere la sua attenzione.
- Hai capito? –
- Sì Padrone, ogni settimana sarò a casa sua e sarò a sua disposizione. –
Aro sorrise, l’aveva piegata.
- Inizi dopodomani. –
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Aro era un commerciante di pelli, benestante, ma non ricco, aveva una casa con un po’ di terreno intorno, giusto per garantirsi un po’ di privacy alla periferia di Kuanta, in un quartiere che non era un granché. Gli teneva in ordine la casa solo una schiava nera di età indefinibile, che forse aveva cinquanta anni abbondanti, grassa e brutta.
Aro però, in quegli ultimi mesi se la stava passando decisamente meglio di quanto il suo lavoro gli avrebbe permesso. Aveva acquistato una carrozza ed un paio di cavalli per trainarla e uno schiavo per fargli da cocchiere e tuttofare. Con discrezione frequentava i buoni locali di Kuanta e i migliori bordelli della città. Non aveva una compagna, ma lo si vedeva spesso in giro con qualche donna discreta. Niente di eccezionale, vedove di commercianti o commercianti loro stesse. Ma Aro non si metteva insieme a nessuna.
Aro aveva una cinquantina d’anni ed era figlio di un fotografo, quando esistevano ancora le macchine fotografiche e quel mestiere. Quando quella tecnologia era sparita, il padre di Aro si era dato al commercio e aveva creato quell’azienda di pellami che poi il figlio, alla sua morte, aveva ereditato, oltre alla casa in cui viveva.
Quando il padre era morto, sei mesi prima, Aro aveva scartabellato tra le sue cose. Un mucchio di cianfrusaglie che erano finite in discarica. Ma tra tutte quelle cianfrusaglie c’erano centinaia di fotografie. Ad Aro le foto piacevano, avevano anche un valore, come tutte le cose di pregio della vecchia epoca: antiquariato. C’erano molti ricchi che gli avrebbero offerto denaro per le foto migliori. Quindi si mise ad esaminarle con cura. Uno degli ultimi scatti ritraeva una giovane donna con un collare ad un’asta di schiavi. Doveva essere una delle prime schiave vendute con quella modalità. La foto, quando Aro la scoprì, aveva più di venticinque anni. Aro vedendola rimase a bocca aperta. Non poteva crederci. Come mai suo padre non gliene aveva mai parlato e soprattutto perché non l’aveva usata. Probabilmente non si era neanche reso conto del soggetto e forse se ne era dimenticato.
La troia, anche dopo tanto tempo era bella. E soprattutto era ricca, doveva avere sui quarantasette anni ed era vedova da qualche anno. La preda perfetta pensò Aro.
Chi sa come era andata ai tempi meditava Aro. Forse Kunta l’aveva comprata, poi le aveva levato il collare e l’aveva fatta riapparire da qualche altra parte e infine l’aveva fatta sua compagna. All’epoca le cose erano ancora molto confuse, non esistevano ancora registri delle proprietà e tanto meno degli schiavi ed era tutto ancora in movimento. Le regole e i registri sarebbero arrivati qualche anno dopo, con la nascita dell’impero e di un minimo di burocrazia ed ordine. Rimaneva il fatto che Isa da schiava era diventata una donna libera e una delle donne più ricche dell’impero.
Più o meno era andata in quel modo. Kunta quel giorno era al mercato degli schiavi, non cercava una bella schiava, ma un medico per il suo esercito. Lui era il capo, ma era Host il guerriero che comandava il suo esercito. Kunta aveva visto quella giovane donna, bella, austera, perfetta e impaurita mortalmente. Se ne era innamorato immediatamente. L’aveva comprata e l’aveva mandata in una delle sue proprietà liberandola, ma pregandola di non muoversi da quel posto. – Qui sei al sicuro, ma per il tuo bene non ti muovere da qui. - Poi l’aveva corteggiata per mesi e Isa riconoscente l’aveva apprezzato diventando sua. La loro era stata una unione basata sull’amore e sul rispetto.
Aro era brutto, occhi piccoli e un naso grosso, labbra grosse e bocca larga, era alto, ma grasso, flaccido e trasandato, però era forte, caricava e scaricava ogni giorno balle di pellicce. Ed era scaltro, molto scaltro, negli affari non era granché, ma aveva imparato a galleggiare. Quello era il colpo di fortuna della sua vita. Doveva trovare il modo di rimanere solo con lei per dieci minuti. Per qualche giorno Aro fece la fatica di sorvegliarla. Si appostò sul guado di un fiumiciattolo appena fuori dalla sua proprietà, dove c’era l’unico ponte che collegava il feudo alla strada per Kuanta e scoprì così che lei, quasi ogni mattina, andava in città da sola con il suo calesse, per affari o per incontrare qualche amica. Era una donna che amava il lusso, se doveva fare bella figura non rinunciava alla carrozza, ma era anche una donna energica ed indipendente e, da quando i banditi erano stati debellati, le strade erano sicure.
Aro si appostò sul suo ronzino proprio al termine del ponte, lì lei doveva rallentare e la salutò. – Buongiorno Madame, solo due parole per cortesia – esordì in tono contrito e dimesso.
Isa fermò il calesse, conosceva quell’uomo di vista, non aveva nessuna ragione di preoccuparsi, era infastidita, ma le sembrava assurdo tirare diritta come se non l’avesse visto e non le avesse parlato. Però lo guardò arcigna, come a dire: su, forza, non ho tempo da perdere con uno come te.
Aro avvicinò il cavallo al calesse, l’affiancò e tirò fuori dalla tasca della giacca la foto.
Lei fece per prenderla, ma Aro ritirò la mano indietro. Cambiò tono dandole del tu. – No, non puoi averla, guardala, ma senza toccarla. –
Come si permetteva quel cafone di parlarle a quel modo, poi Isa ebbe un terribile presentimento. Lui le aveva messo la foto davanti agli occhi. Isa vide e sbiancò, cercò di riscuotersi e bluffare, ma ribolliva di rabbia e la paura stava diventando terrore.
– Chi è quella? – rispose in tono arrogante, ma la voce tremò, era terrorizzata, anche se tentava di negare.
- Sei tu troia – rispose Aro duro, sprezzante e sicuro, - sei una lurida schiava. –
- Ti farò incatenare e impiccare – rispose rabbiosa Isabella, - tu non sai chi sono e non sai che Host, il Grande Drav, è un mio amico. –
- So chi sei tu, so chi è il Grande Drav e so quanti nemici avete, altrettanto potenti, che non vedono l’ora di scoprire chi sei, fartela pagare e prendersi tutto quello che hai. –
Isa sapeva che era tutto vero, negli affari lei e Kunta si erano fatti tanti amici, ma anche tanti nemici. Era potente, una delle donne più potenti di tutto il Dravor, ma nei tanti anni a fianco di Kunta si erano fatti molti nemici, nessuno osava venire allo scoperto, ma ora che era sola e con quella foto in mano non si sarebbero fatti scrupoli e l’avrebbero rovinata. Sapeva che come minimo rischiava e con lei rischiava anche la figlia. La figlia di una schiava era una schiava. Le avrebbero tolto tutto e chi sa che fine avrebbero fatto entrambe. Il suo incubo era finire in un bordello con la figlia. Tutti questi pensieri le passarono per la mente in un attimo. Forse non sarebbero arrivati a quel punto, ma chi poteva sapere, ma sicuramente Kora, se fosse andata bene, sarebbe diventata la kalsna di qualcuno. Non poteva rischiare.
- Cosa vuoi? – il tono era arrogante, ma cercò di iniziare una trattativa, solo che partiva da una posizione di estrema debolezza.
Aro aveva infatti le idee chiarissime, lui era arrivato preparato, e non aveva intenzione di trattare un bel niente.
- Voglio te troia, sarai la mia kalsna ed ogni mese mi darai mille tel. –
- Bastardo – rispose Isa d’impulso.
Lui le rise in faccia e le disse – seguimi, inizierai a servire già questa mattina. –
Uscirono dalla strada ed il calesse seguì il cavallo su un sentiero fino ad una piccola ed isolata radura. Isa era disperata, ma non vedeva via d’uscita. Nel breve tratto di strada che percorsero ebbe modo di pensare, ma non era lucida.
Mille tel al mese erano una bella somma, ma per lei non erano granché, quello poteva starci pensava, nell’attesa di trovare una soluzione per eliminare il problema.
Quello che non voleva era cedere il suo corpo a quell’essere ripugnante, quello doveva assolutamente evitarlo.
Aro aveva fatto bene i suoi conti. Poteva chiedere molto di più e tutto in una volta, ma a lui non interessava diventare immediatamente ricco, non avrebbe saputo come giustificare quell’improvvisa ricchezza. Il Dravor era un sistema chiuso e molto controllato, una ricchezza spropositata avrebbe generato un’infinità di domande. Lui voleva una rendita a vita che gli permettesse di vivere nell’agio. Piano, piano avrebbe trovato una casa più grande e più bella, in un quartiere più elegante e avrebbe preso qualche altro schiavo, anche una bella e giovane kalsna, ma soprattutto voleva Isa, quella troia arrogante e schizzinosa sarebbe finita ai suoi piedi e lui se la sarebbe goduta a lungo, era matura, ma ancora giovane e si manteneva bene. Gli avrebbe dato soddisfazione ancora per molti anni.
Isabella scese dal calesse, voleva cercare di farlo ragionare, ma appena mise i piedi a terra si sentì dire – spogliati troia. –
- Come osi – provo ancora a ribattere Isa, lei pendolava tra l’arroganza, l’intimidazione e le sue capacità dialettiche per convincerlo a trattare. Lui invece era forte di quello che aveva in mano e non aveva nessuna intenzione di discutere. Discutere, Aro lo sapeva, avrebbe significato scendere a qualche compromesso. Forse più soldi, ma non lei. Quindi lui fece precipitare la situazione, le fu addosso, un ceffone la mandò lunga distesa sul prato e Isa gridò. Fine dei ragionamenti.
Aro pensò di aver fatto una cazzata, le sarebbe rimasto il livido, invece nessuno se ne doveva accorgere. Il danno era fatto, la sua troia si sarebbe dovuta inventare una scusa, una caduta dal calesse era una scusa che poteva andare bene. Lui aveva intenzione di frustarla e strapazzarla, ma il viso non lo doveva toccare. Rimediò immediatamente prendendola a calci sulla pancia, sui fianchi e sulle natiche, si chinò su di lei e le strizzò un seno, poi le artigliò un capezzolo e la fece ululare. Isa era tramortita, sentiva male dappertutto. Era incapace di difendersi da quella furia.
- Devi fare quello che ti dico troia, altrimenti ti rendo irriconoscibile e tutti sapranno quello che sei. Ti rovino e tu e quella puttana di tua figlia finirete in un bordello per schiavi. –
Isa si arrese, quelle ultime minacce non potevano essere vere, ma lei non se la sentiva di andare a verificarle. Appena lui le diede un attimo di respiro, sotto uno sguardo implacabile, iniziò a spogliarsi, tutto tranne che prenderle e comunque i vestiti erano già strappati.
La legò ad un albero con la schiena rivolta al tronco, i polsi tirati indietro e legati ad abbracciare l’albero, fece lo stesso con le caviglie, queste ultime furono tirate tanto indietro da farla protendere in avanti, trattenuta all’albero solo dai polsi, con le gambe aperte.
- Bella vacca – commentò Aro rimirandola, poi si avvicinò e le strinse il seno, artigliò i capezzoli e Isa gemette. – Ti prego… -
Lui strizzò più forte. – Rispetto cagna, io sono il tuo Padrone. Parla quando sei interrogata e rivolgiti a me come si deve. – Aro continuava a strizzare.
- Padrone, per favore, mi fa male. Pietà. – Isa si era piegata, non aveva la forza e la volontà di resistergli.
Aro teneva in mano una lunga frusta da carrettiere e guardava la sua nuova schiava, mai, neanche nei suoi sogni migliori, aveva pensato di potersi fare una come Isabella. Aro se la mangiava con gli occhi, quella bella e matura femmina, dalle gambe lunghe e tornite, statuaria e con molti spigoli, ma anche tante curve, il corpo pastoso e sensuale, fianchi ampi e morbidi, il culo opulento e soffice, le tette superbe. Era sua. Aro si eccitò della paura della schiava, si avvicinò alla preda. Isabella tremava in un modo indecente ed incontrollabile. – Non è ancora successo niente e già tremi – l’irrise Aro alitando sul volto di Isa. Le sputò in faccia. Lei trattenne un conato di vomito, lui indietreggiò e le passò l’impugnatura della frusta tra le gambe. Lei si irrigidì, ma lui insistette. La massaggiò sulla vulva, Isabella tremò di paura, vergogna, non poteva stringere le cosce ed il manico scivolò dentro di lei.
Mai aveva immaginato che potesse succedere una cosa del genere, eppure la sua fica si stava bagnando. Arrossì, si morse il labbro, cercò di non guardare il suo carnefice, cercò di rimanere inerte e mostrarsi disgustata, ma il suo corpo la stava tradendo e Aro sorridendo se ne rese conto.
La mano libera di Aro prese possesso del corpo di Isa, dal seno discese sul didietro, verso il culo e poi sulle cosce, mentre il manico della frusta penetrava dentro Isa e ne usciva bagnato. Isabella inizialmente si era dimenata cercando di sottrarsi a quell’invasione, poi quando capì che era inutile e controproducente si arrese e si lasciò fare. Lui se lei si agitava strizzava e faceva male, se invece stava calma era meno violento.
La troia è calda, probabilmente non scopa da anni e non vede l’ora, pensava Aro.
Aro non poteva più aspettare, buttò la frusta per terra e raccolse il traboccante seno di Isa in entrambe le mani. Le sue mani grandi e callose non riuscivano comunque a contenere le grosse tette della schiava.
Le mani di Aro stringevano e Isabella gemeva per il male, ma era inutile negarlo Isabella gemeva anche di piacere. Isabella si tratteneva, ma stava iniziando a colare ed il suo corpo era sempre più caldo. – Brava cagna – le disse Aro, spingendo il bacino sulla fica della schiava e sfregando, l’arnese era ancora dentro i pantaloni, ma si faceva sentire. Aro artigliava le tette di Isabella e la mordeva.
Isa era in carne, morbida e profumata. Isabella era stordita e impotente. Paura e terrore, rabbia ed impotenza, disgusto, ma anche piacere. Lui la stava manovrando e portando dove mai sarebbe andata. Ebbe un attimo di lucidità, la dignità era finita, ora pensava cavarsela. Forse, pensava, se mi fotte poi finisce. Ma Aro cambiò registro sorprendendola ancora una volta.
- Offriti troia – le ordinò Aro. Isabella, riluttante, eseguì l’ordine spingendo il bacino in avanti e facilitando l’accesso alla fica che era già tremendamente esposta. La mano destra del suo nuovo Padrone s’impossessò della fregna. Isabella mugolò e continuò quando la mano l’accarezzò lungo la vulva. Forse mostrare le sue voglie l’avrebbe convinto a fotterla e finirla. Lui la umiliò.
– Sei peggio di una cagna in calore, ti basta un attimo per allargare le cosce e godere, devi controllare i tuoi sensi, devi arrivare a godere quando lo voglio io. –
Sentendo quelle parole Isabella sprofondò nello sconforto, aveva perso la partita. Se resisteva la picchiava, se si lasciava andare l’umiliava. Aro smise di accarezzarla, ma le intimò di non muoversi. Le gambe erano tenute larghe dalle corde, il seno era proteso in avanti. Lei ora sperava che lui si accontentasse solo di penetrarla, era ributtante, ma quello poteva subirlo, quello che invece l’avrebbe fatta impazzire era se avesse tentato di baciarla sulla bocca.
Isabella tratteneva il fiato ed aspettava, ritornò ad avere paura. Isa desiderava stringere le gambe per proteggersi la fica, ma era impossibile. Quando vide che lui raccoglieva la frusta da terra impazzì. Isabella dapprima non capì, poi quando gli vide spuntare quel ghigno animalesco sul volto si spaventò. Ora era terrorizzata e tremava come una foglia, non era mai stata frustata, neanche quando, a suo tempo, l’avevano catturata gli schiavisti. Quelli ne avevano intuito il valore e l’avevano trattata bene, almeno da quel punto di vista.
Non si frustavano le donne libere, la frusta era per le schiave, ma Aro gliel’aveva detto, lei era ora la sua schiava, ed era quello che stava per succederle.
– Te ne darò un po’, voglio che tu capisca bene quello che sei diventata. Devi capire che sei una schiava, anche se lo sapremo solo io e te, fino a quando farai la brava. Devi capire che mi appartieni, che farai tutto quello che ti ordinerò. –
- Padrone, non lo fate, vi obbedirò, ma non lo fate. – Isabella terrorizzata implorava, aveva perso ogni briciolo di dignità, ma Aro voleva comunque segnarla e farle capire che neanche le sue suppliche potevano fermarlo. Quella era la prima volta e lei doveva capire, una volta per tutte. In modo che da lì in poi avrebbe ubbidito sempre, senza esitazione.
Dopo qualche frustata Aro si riscaldò, non voleva essere pesante, ma l’eccitazione gli prese la mano. Isabella aveva accolto le prime frustate gridando più per la paura che per il dolore vero e proprio, ma quando vide e soprattutto sentì che il ritmo cambiava gridò terrorizzata ed invocò pietà. La frusta le aveva segnato le cosce, il seno, il busto. Aro si impose di fermarsi. Era sudato ed eccitato, si stava divertendo. Isa si mise a piangere, provò ad invocare pietà e poi pianse disperata.
Gliene diede qualche altra, ancora più forte e quando vide che lei non reagiva più, se non per contorcersi, si fermò. La sciolse e lei stramazzò a terra.
Lui si distese su di lei a lei e senza neanche spogliarsi le allargò le gambe e la penetrò. Isabella era inerte come una bambola, ma era piegata ed a lui non interessava se non partecipava, la sentiva comunque calda e bagnata e per quella prima volta gli bastava.
Aro venne mordendola sui capezzoli e facendola guaire. Lei si sentì invadere e chiuse gli occhi, voleva morire. Ma non morì.
- Ascoltami bene – disse poi alla cagna, - ogni settimana verrai a casa mia di pomeriggio e sarai a mia disposizione fino a sera.
Isabella era tramortita, confusa e distrutta. Era sporca dentro e fuori, infangata e scarmigliata.
Aro le prese il mento tra il pollice e l’indice e strinse indirizzando il viso verso il suo.
La guardò negli occhi e le strizzò un capezzolo per ottenere la sua attenzione.
- Hai capito? –
- Sì Padrone, ogni settimana sarò a casa sua e sarò a sua disposizione. –
Aro sorrise, l’aveva piegata.
- Inizi dopodomani. –
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